LA MOSTRA DEI DOLCI
PROLOGO: Al ritorno da Vicchio i nostri eroi si cimentano in un'avventura dove arte, gusto, odio e sentimenti repressi si mescolano in un tutt'uno. Perchè alla fine a cuore aperto è tutto più facile!
Sigla di oggi: "Fall into you" by Justyna Kelley
CAPITOLO
I – Cuore aperto
E’ incredibile come il tempo sia
relativo. Prendete il nostro caso. Erano passate soltanto venti ore
dall’avventura a Vicchio, ma i ricordi, spesso vendicativi e decisamente troppo
limpidi, erano ancora presenti nelle menti di tutti noi e probabilmente lo
sarebbero stati per molto tempo.
Luana era rimasta ferita ad una
spalla e si era dovuta fermare, per forza di cose, in ospedale. Con lei era
rimasta la polizia, mentre tutti noi eravamo tornati a Torino in fretta e in
furia. Anche Claudio e Antonio lasciarono Vicchio per far ritorno in quel di Padova.
Non fu facile convincere Denise a venire con noi a Torino, ma alla fine si
convinse grazie al volere di Luana.
«Vai con loro, io sto bene» le
aveva detto. «Farai un viaggetto, ti rilasserai e non interromperai il
praticantato. Flavio è un ottimo elemento e inoltre vedo che hai già fatto
amicizia con Alex».
Lei dapprima arrossì un po’, poi
mi guardo con la coda dell’occhio e annuì in modo poco convinto.
D’altronde era di sicuro la soluzione
più convincente. Rimanere in Toscana non sarebbe servito a niente. E non
sarebbe stato utile nemmeno tornare da sola a Verona. Era sola e Luana non
poteva certo aiutarla. Per la via del ritorno domandai a Flavio se Luana ce
l’avesse fatta da sola per giorni in un ospedale, senza conoscere nessuno.
Quando glielo dissi pensavo che Denise stesse dormendo, ma lei mi stoppò subito
dicendomi: «Non conosci Luana». Guardai Flavio e lui guardò me. Poi annuì
convinto.
Tornammo a Torino con un’altra
auto a noleggio, fummo a casa per mezzogiorno e non pensammo a nient’altro che
a dormire.
Per fortuna la camera degli
ospiti era libera e stava messa abbastanza bene. Denise si accomodò lì.
Dormii fino alle sei del
pomeriggio.
Il bagliore candido e lucente del
tramonto avvolgeva il mio corpo inerme sul letto. Me ne stavo ad occhi chiusi
cullandomi in quei dolci momenti e cercavo di non pensare in alcun modo al
caso, ma non ci riuscii. Ricordavo Claudio e rivedevo Denise. Sentivo ancora le
urla del gruppo al ritrovamento del primo cadavere e riascoltavo il mio urlo
liberatorio quando dovetti scansare Denise dall’auto che stava per esplodere.
Ricordavo tutto, ogni singolo particolare, e la cosa peggiore era che
probabilmente lo avrei fatto per sempre, con ben poche pause.
«Sherlock, sveglia» mi sussurrò
una voce calda e dolce.
«Mhmm …» sussurrai a mia volta cercando
di non svegliarmi.
«Poirot, Dupin … insomma, come
devo chiamarti per farti svegliare?».
Vedendo che quella voce insisteva
aprii delicatamente gli occhi. I residui della polvere di Morfeo mi erano
rimasti ancora sulle palpebre e non volevano andarsene. Cercai di motivare gli
occhi a riaprirsi, ma questi rifiutavano dandomi quasi del “matto”. Alla fine
vinsi io, e riaprendo gli occhi, mi ritrovai di fronte Denise. Aveva i lunghi
capelli biondo cenere che le cadevano sulle spalle. Brillavano in modo
esagerato sotto il solee per un momento mi domandai se non fossi sbronzo. Gli
occhi neri mi fissavano in una espressione mista tra dolcezza e soggezione.
Scostai con il braccio le coperte e feci un impercettibile balzo all’indietro.
«Ehi …» riuscii a dire ancora
assonnato.
«Ehi, buongiorno … oh be’, per
modo di dire …» rispose.
«Già».
«Ecco …».
«Che cosa ci fai qui? Hai … hai
qualche problema?».
«No e sì …».
Mi sedetti sul letto e lei fece
lo stesso. Salì su di esso e incrociò le sensuali gambe sedendosi di fronte a
me. Per un attimo divenni rosso come un pomodoro. Pur essendo appena sveglia
era di una bellezza imbarazzante e il fatto di essere vestita solo da un pantaloncino
corto aderente ed una canottiera verdino chiaro che ne risaltava le forme,
accentuava ancor di più il mio imbarazzo. Per un attimo, prima di parlare, mi
fissò come se dovesse essere in procinto di parlare con un perfetto idiota.
Magari avrà pensato di trovarsi di fronte uno che non aveva mai visto le gambe di una ragazza o qualsiasi altra cosa simile.
«Che c’è? Ti imbarazzi?» mi
domandò sfrontata.
«Eh? Ma no! Che dici?!».
«Un po’ sì, dai …» disse
lasciandosi scappare un risolino malizioso.
«Passiamo a te» la stoppai.
«Spero avrai una buona ragione per svegliarmi a quest’ora …».
«Ma quale ora? Sono le sei del
pomeriggio!».
«Lo so, ma sono andato a letto
circa sei ore fa e francamente sono distrutto». Mi toccai i capelli e le tempie
e notai il suo silenzio glaciale. Chiusi gli occhi, me li strofinai, poi li
riaprii e vidi che mi fissava con aria interrogativa.
«Che cosa c’è? Ho qualcosa in
faccia?».
«Togliendo l’espressione da
stupido, l’aria da tonto e il miscuglio di sonno e spossatezza … direi di no, è
tutto a posto».
«Ah, grazie tante …».
Seguì un silenzio intenso.
Guardai le sue gambe, il suo corpo e poi i suoi occhi incontrarono i miei.
«Senti … non voglio che pensi
chissà cosa … sono venuta qui per …» si fermò un attimo. Guardandosi attorno
una ciocca di capelli le cadde sugli occhi e lei se la scostò con tutta la
delicatezza del mondo.
«Non ho ancora avuto modo di
ringraziarti per … per ieri notte … insomma …».
La guardai e arrossii un po’. Poi
abbassai gli occhi e mi scappò un sorriso.
«Sei venuta qui per questo?».
«Sì … spero non ti abbia creato
disagio».
«Mi crea disagio il fatto che tu
mi ringrazia».
«Bella questa …» asserì
accennando ad un sorriso. Il bagliore del tramonto le rischiarava i capelli e
dava alla circostanza un qualcosa di quasi epico. Non so spiegarvelo bene a
parole, avreste dovuto vivere quella situazione. Conoscevo Denise da circa
ventitre ore, minuto più, minuto meno, e mi sembrava di poterle dire qualsiasi
cosa. Nelle ore trascorse insieme si era dimostrata così alla mano e così poco
incline al non socializzare che mi sembrava di conoscerla da anni. E poco
importava se non era vero. Le persone che ti fanno stare bene, quelle con le
quali parli a ruota libera, quelle che ti fanno sorridere o che ti fanno
pensare, quelle sono da tenersele strette. E se Denise avesse voluto essere mia
amica per sempre, ne sarei stato più che felice, sono sincero.
«Devi sapere» continuò a parlare
tenendo gli occhi bassi e aggiustandosi i pantaloncini «che è la prima volta
che qualcuno fa qualcosa per me …».
«Uh?».
«Eh sì …».
«Non capisco … che vuoi dire?»
dissi spaesato.
«Eppure dovresti …».
«Continuo a non afferrare …».
«Conosco la tua storia. I
problemi col Fuoco Re, l’omicidio di tuo padre e tutto il resto».
Per un attimo ebbi un fremito
allo stomaco. La rabbia salii dentro di me come un ascensore improvviso e i
miei occhi divennero rossi.
«Mi spiace» disse. E mi calmai.
Due parole dette nel modo più sincero possibile. Due sole parole che davano
senso a quanto volevo sentirmi dire.
«Chi te l’ha raccontato?».
«Me ne ha parlato Flavio mentre
facevamo ritorno a Torino. Stavamo parlando di lui e così il discorso, senza volerlo,
è finito su di te».
«E io che facevo?».
«Prova un po’ a indovinare».
«Dormivo, eh?» dissi sorridendo.
Mi rispose con un altro sorriso.
«Ti da fastidio che lo sappia
anch’io?».
«Figurati. Mi da fastidio che tu
mi abbia ringraziato. Non è stato nulla di speciale e …».
«Oh sì che lo è stato. Per una
abituata a crescere nella violenza, lo è stato eccome».
«Per una …».
«Abituata a crescere nella
violenza … sì …».
Non le domandai mai cosa volesse
dire. Me lo spiegò lei stessa.
«Quando tuo padre è alcolista,
con la violenza stabilisci un legame diretto».
«Alcolista … vuoi dire che …».
«Mio padre era un fottuto
alcolista, sì».
«Non dovresti …».
«Non dovrei parlarne così?
Diamine Alex!» urlò.
Le feci segno con la mano di
zittirsi. Così svegliava tutta la casa.
«Scusami» fece mentre si scostava
un’altra ciocca di capelli. «Il fatto è che» continuò carezzandosi i polpacci
«non ho rispetto per lui».
«E perché? Perché amava bere?».
«No. Perché il liquido che gli
finiva nel sangue produceva altro sangue».
Non capii immediatamente. Poi la
guardai negli occhi per un secondo. Erano colmi di lacrime e da lì a poco
sarebbero esplosi in un pianto drammatico.
«Che schifo» sussurrai. Mi pentii
di averlo fatto, credevo di averla fatta grossa, ma lei mi rasserenò.
«Quel pazzo picchiava mia madre e
i suoi figli fino a farli scoppiare. Non merita il rispetto di nessuno».
«Ti ha mai picchiata?».
Annuì lievemente, quasi con
paura.
«Che follia» commentai.
«Ci picchiava ogni sera. Ogni
benedetta sera si ritirava a casa ubriaco fradicio. Si era svuotato con tutte
le donnine del bar in cui andava e poi voleva finire di sfogarsi con noi …».
Era quasi impressionante sentir parlare una diciottenne in quel modo. Il suo
linguaggio era talmente composto da sembrare perfetto, ma in realtà non lo era
affatto. Stizza e frustrazione erano i sentimenti dominanti.
«E adesso dov’è?».
«All’inferno» rispose fredda.
«E’ morto?».
«Da due anni ormai. E’ morto nel
modo più consono alla gente come lui».
«E sarebbe?».
«Coma etilico».
«Mi … mi dispiace molto e …».
«Non dispiacerti Alex, detesto il
falso moralismo».
«Ma io non sto fingendo. Mi
spiace davvero per …».
«Ed io ti dico che è inutile
dispiacerti. Una persona che ha fatto del male come lui non può avere la pietà
di nessuno».
«E i tuoi fratelli? Dove sono?».
«Paolo sta lavorando in
Australia. E’ un odontoiatra».
«Uao!» esclamai ammirato. «Ma
quanti anni ha?».
«Ventinove. Poi c’è Sara che
studia veterinaria in Sicilia e infine Giampiero studia ingegneria negli USA».
«Anche mio fratello sta lì a
studiare, ma lui si occupa di architettura».
Non rispose nemmeno.
Probabilmente non le importava ed era del tutto comprensibile.
«E tua madre?».
«Mia madre era fantastica qualche
anno fa …».
In quel momento non dissi neanche
“mi spiace”. Mi limitai a tirarla per le braccia e a spingerla verso di me. La
abbracciai forte e per un attimo mi parve che i nostri corpi si fondessero in
un tutt’uno. Mentre era nella mia “morsa”, ansimava in modo copioso. Forse
cercava di trattenere un pianto, chissà.
«E ora cosa fai?» mi domandò
tanto dolcemente da farmi mollare l’abbraccio.
«Be’ …» sussurrai imbarazzato.
«E’ stato un istinto».
«Davvero? O volevi consolarmi
perché pensavi mia madre fosse morta?» disse sorridendo stranamente.
«P-pensavo?».
«Alex, mia madre è viva e
vegeta!».
Feci un ulteriore balzo
all’indietro. «Eh?! Ma come mai hai parlato di lei al passato?!». Avevo
cominciato a sudare freddo. Che figuraccia!
«Non mi hai lasciato finire.
Stavo dicendo che mia madre era fantastica qualche anno fa in fatto di bellezza.
Ora è un po’ appassita».
Che gaffe che avevo fatto!
L’avevo abbracciata per consolarla della questione di suo padre, ma anche
perché pensavo che sua madre fosse già morta!
«Tutto ciò che ho vissuto con mia
madre è stato semplicemente stupendo. E’ … è come quando ci sono i fuochi di
artificio. Lei è una donna meravigliosa, piena di energia, espansiva».
«Ti capisco» le sussurrai
carezzandole una guancia.
«Ascoltami» disse prendendo le
mie mani. Le sue erano fredde e screpolate dalla serata precedente. «Ho saputo
che Claudio ti aiuterà con il Fuoco Re».
«Sì, è vero».
«Ti devo la vita, Alex e …».
«Alt. No, non permetterò che ti
invischi in questa brutta situazione. No. C’è già Claudio che è di troppo».
«E perché no? Claudio c’è. Io
voglio solo ripagarti del fatto che …».
«Che ti ho salvato la vita?
Dannazione, non hai nessun debito. Sarebbe stato anormale se non avessi provato
a salvarti».
«Lo so, ma forse adesso sarei
morta, che ne sai? Io» continuò a parlare toccandosi i soffici capelli «voglio
solo contribuire alla giustizia».
«Ma sei una detective. Collabori
quotidianamente e puoi assicurarla quotidianamente».
«Ma io voglio fare qualcosa di
più, capisci? Qui stiamo con gente che ha ucciso migliaia di persone e che ha
rovinato la vita a tantissimi innocenti. E tu sei uno di quelli! Non posso star
ferma se un mio amico ha bisogno di aiuto. Ti voglio aiutare e non potrai
impedirmelo, chiaro?».
«Ci proverò però …» dissi
sorridendole. «Ti prego, non farti male» le sussurrai mentre l’abbracciavo di
nuovo.
«Attento a non farti male tu …»
mi rispose ironica.
Nel mentre della situazione entrò
Bianca. Non bussò nemmeno e la porta si spalancò.
«Alex, papà ha detto che …» si
interruppe vedendo Denise con me. Mi guardò per un attimo e vidi in lei tanti
sentimenti diversi. C’era imbarazzo, c’era sorpresa e tanto altro. Nemmeno il
miglior detective può decifrare il cuore di una persona.
«Io … mi dispiace di …» balbettò
ad occhi bassi. Guardai Denise e vidi che non era per niente imbarazzata, anzi,
sembrava quasi divertita dalla cosa.
«E di che … non …» provai a dire.
Ma mi interruppe alzando il tono
di voce. «Quando siete pronti … tra poco si cena perché … papà ha ricevuto un
invito ad una mostra dolciaria e aveva intenzione di portarci stasera stessa».
Pronunciò queste parole ad una velocità quasi anormale, poi chiuse la porta e
sentii i suoi piccoli passi allontanarsi.
Mi toccai i capelli e feci una
smorfia di frustrazione. E se adesso ce l’aveva con me?
Vidi Denise ridacchiare e le
domandi, anche parecchio adirato, cosa avesse da divertirsi tanto.
«Niente, niente. E’ che adesso
crede che stiamo insieme, capisci?».
«Noi due?!».
«No, Topolino e Minni … che
domande … noi due!».
«Ma … perché?».
«Sarai anche un bravo
investigatore, ma in quanto a donne non ne capisci nulla».
«Grazie mille, molto confortante»
le risposi sarcasticamente. Poi alzai il tono della voce. «Perché avrebbe
dovuto pensare una cosa simile?».
«Uh? Calmati amico. Insomma,
guardiamoci. Siamo in pigiama, sul letto, uno di fronte all’altra. Quando è
entrata ci ha visti abbracciati. Il tramonto alle spalle che fa bagliore … ».
«Oh mio Dio …».
«Che c’è? Sei preoccupato?».
«Io? Per niente!».
«Sei bugiardo».
«Ma cosa vai dicendo?».
«Ti piace, non è vero?».
La guardai fissa negli occhi per
un istante. Aveva occhi così vispi che ero sicuro che stesse per prendermi in
giro. «Andiamo a prepararci, su».
CAPITOLO
II – Dolci e veleni
Misi su una maglietta ed un
vecchio jeans tutto logoro. Prendemmo l’auto e ci dirigemmo appena fuori città.
«Dovevano invitarti proprio oggi?» domandai a Flavio mentre eravamo in auto».
«Che ci posso fare?
L’organizzatore è un vecchio amico di mia moglie e mi spiaceva rifiutare».
«Quindi rincontrerai questo
vecchio amico della mamma ... » disse Bianca.
«Non so, anche perché è uno dei
pasticcieri in gara. Il posto in cui andiamo è un prestigioso torneo di
pasticcieri e artisti dolciari. Si svolge una volta l’anno ed è molto sentito
nell’ambiente».
«Oh, che peccato».
«Non crucciarti» le dissi «sarà
per un’altra volta».
«Già, perché tu pensi ci sia
sempre un’altra possibilità, non è vero?». Mi fece rimanere immobile come un
perfetto imbecille. Cosa voleva dire con quella frase? La guardai e notai che
si era completamente disturbata al momento del mio rivolgerle la parola.
Per un momento Flavio si distolse
dalla guida e mi guardò interrogativo. Andrea fece lo stesso, mentre Denise
ridacchiava. Avreste dovuto vederci. C’eravamo io e Flavio davanti, Bianca e
Denise dietro con Andrea al centro.
«Sono contento abbiate accettato
l’invito» ci disse un uomo sulla quarantina con lunghi capelli castano chiaro.
Era naturalmente un pasticciere e portava un grembiule talmente bianco da poter
considerare quel colore come unico al mondo.
«Federico Marello!» esclamò
Flavio. «Federico Marello!» ripetè. «Chi l’avrebbe mai detto che saresti
riuscito nel tuo grande sogno? Già da ragazzo sognavi di fare il pasticciere,
ricordi?»
«Certo che sì. Ce l’ho fatta a
quanto pare».
«Puoi dirlo forte. Non è da tutti
concorrere per un premio così … ehm … a quale premio ambisci, scusa?».
Che figuraccia …
«Sono in gara per essere nominato
pasticciere piemontese dell’anno. Se vincerò, potrò partecipare al concorso per
il pasticciere italiano dell’anno e se vincerò ancora andrò a giocarmi gli
europei di categoria a Londra».
«Hai capito … e pensare che
credevo rubassi le ricette al signor Grianti» disse sarcasticamente una voce
ruvida e incisiva. Proveniva da un uomo alto circa un metro e ottantacinque con
capelli impomatati dal gel e dal portamento quasi nobile, un fascio di muscoli
impressionante. Portava una valigia piuttosto voluminosa. A vista d’occhio
doveva pesare sicuramente parecchio.
«Piantala di dire cavolate,
Marco. Lui è Marco Pizzeli, si occupa di granite, dolci freddi, macedonie
artistiche e roba di questo genere».
«Mi conoscono sicuramente. In tv
hanno trasmesso anche le prove del concorso e ti ricordo che sono stato il
primo ad arrivare qui e che sono colui che ha prestato più ore di allenamento
all’interno di questo edificio. Non c’è bisogno che tu …».
«Ti conoscono? Non dire eresie»
annunciò una voce femminile. La ragazza era minuta e con i riccioli. Indossava
occhiali da vista molto grandi.
«Tu stai zitta Annalisa. Solo
perché tuo padre è Vito Scores, non puoi permetterti di criticare un genio come
me. Sei una raccomandata, lo sappiamo tutti».
«Lei deve stare zitta? Senti»
cominciò un altro pasticciere. Era fisicamente prestante e teneva tra le mani
uno strofinaccio. «Quante donne ti sei portato a letto per arrivare fin qui?».
«Ma come ti permetti, razza di immaturo!».
«Ragazzi, calmatevi. Litigare non
serve a nulla» chiarì un altro artista dolciario. Era un tipo decisamente
strano. Era completamente rasato e aveva canottiera e jeans sotto il grembiule.
«E tu Armando» disse interpellando il pasticciere con lo strofinaccio «cosa
vuoi saperne di pasticceria? I tuoi dolci secchi valgono meno di zero.
Risparmia le critiche per te stesso».
«Senti chi parla. Il tuo nome non
lo conosce nessuno in questo ambiente. Faresti meglio a tacere».
«Forse è vero … ma tra due anni
starò a giocarmi gli europei a Londra, parola di Elia Scodelli. A differenza
tua, naturalmente».
«Perdonateci» disse Federico.
«Non siamo sempre così competitivi. Purtroppo è la tensione del momento che
porta a dire queste cose».
«Oh, capiamo benissimo, non
preoccuparti» rispose Flavio.
«Che cos’ha il signor Pizzelli in
quella valigia?» domandai a Federico.
«I suoi arnesi da lavoro. Dice
che lavorare con il ghiaccio è come lavorare con il cemento armato e dunque ha
bisogno dei suoi attrezzi. E’ solo un fanatico».
Non ne capisco niente di arte e
non ne capisco niente di dolci, se escludiamo la parte di degustazione, che tra
l’altro casualmente è anche la mia
preferita, ma devo ammettere che ciò che vidi quella sera mi piacque molto.
Ogni artista dolciario era impegnato con la sua opera e profumi di ogni tipo
avvolgevano il grandissimo edificio in cui ci trovavamo. Marzapane, mandorle,
cioccolato di tutti i tipi e dimensioni, caramelle, mousse miste, tutto si
amalgamava alla perfezione con l’ambiente.
«Non ti fanno venir fame tutti
questi dolci?» domandai a Bianca.
Mi guardò con aria di
sufficienza, poi prese Andrea per la mano e gli disse:
«Vieni piccolo, andiamo a vedere
le creazioni dei pasticcieri. Qui c’è brutta aria».
Una volta che quei due si erano allontanati
sbuffai.
«Non ti va giù, non è vero?» mi
chiese Denise.
«Per niente».
«Perché ti piace, dai».
«Ancora con questa storia? Ma la
volete piantare, tutti quanti?».
«Ammettilo detective, ci stai
male».
«Io non ci sto male, è solamente
paura di rovinare un bel rapporto d’amicizia».
«Molte persone entreranno ed
usciranno dalla tua vita, ma soltanto i veri amici lasceranno delle impronte
indelebili sul tuo cuore».
La fissai come un idiota.
«Frase da cioccolatino?».
«Ignorante. Roosevelt».
«Ma tu parli solo per aforismi?».
«Non è vero, anche se li trovo
molto significativi».
A parte quell’assurda situazione
le creazioni dolciarie dei concorrenti erano strepitose. C’era un tizio che
aveva creato una composizione di frutta usando caramelle gommose modellate.
Federico aveva dato sfoggio della sua abilità riuscendo a comporre una
ballerina di samba brasiliana con l’ausilio di mandorle e scaglie di cioccolato
nero. Era straordinariamente bella. Anche gli altri artisti che avevamo
conosciuto non erano da meno. Marco Pizzelli creò una farfalla gigante grazie
alla sua abilità nell’intagliare ghiaccio e nel creare granite. Era talmente
bella da sembrare vera. Il rosso e il verde erano stati assicurati grazie a
spruzzate di fragola e menta forte. Armando aveva ricostruito una bellissima
scenetta quotidiana usando biscotti secchi. Grazie a loro infatti, aveva
dipinto la scena tipica dei bambini che vanno a scuola. Anche Annalisa e Elia
non furono da meno. Crearono rispettivamente una zebra fatta di panna e
cioccolata ed un enorme ghirlanda fatta di dolci caramellati.
«Che meraviglia!» esclamò Bianca
soffermandosi su una statua interamente di ghiaccio.
Furono le ultime parole prima
dell’orrore.
La stanza venne inghiottita dal
buio e la sensazione era che stesse per accadere qualcosa di negativo.
«Cosa succede?» gridò più di una
persona. Eravamo completamente nell’oscurità. Nel pieno nero si fecero largo
tante parole diverse. C’erano i bambini che avevano paura, le madri
starnazzanti che gridavano allo scandalo per far vincere un concorrente invece
che un altro e c’erano gli organizzatori che invece tentavano di assicurare che
la gara sarebbe ripresa in pochi secondi. Nel buio si udì anche un urlo
agghiacciante e poi un tonfo, anzi due.
Non appena udito l’urlo cominciai
a correre a vuoto nel buio. Non sapevo dove andare ma stare fermo era contro
tutti i miei impulsi Ad un tratto mi
scontrai violentemente con qualcuno che aveva avuto la mia stessa idea. L’urto
fu talmente forte che venni sbalzato ad almeno un metro di distanza e lanciai
un urlo come se fossi appena caduto dall’ottovolante.
Le luci si riaccesero soltanto pochi
secondi dopo e ciò che trovammo davanti ai nostri occhi fu uno spettacolo
decisamente poco piacevole. Armando, il pasticciere esperto in composizioni di
dolci secchi, era disteso sul pavimento, inerme nei pressi del suo piano cucina
e aveva una profondissima ferita alla testa dalla quale zampillava sangue a non
finire. Le urla dei presenti fecero da contorno al macabro spettacolo, mentre
gli organizzatori riuscirono a far allontanare tutti alla velocità della luce
annunciando “l’immediata sospensione della gara a tempo indeterminato”.
Inutile dire che fu chiamata la
polizia e che arrivò più svelta di un treno merci.
CAPITOLO
III – Gli intenti del colpevole
L’ispettore Ducato e l’agente
Giuseppe Novato arrivarono in un battibaleno. Tutti e due avevano l’aria dei
lavoratori instancabili, l’aria di chi viveva per e con il suo lavoro,
l’impressione di chi non si fermava da un bel po’. La camicia dell’agente non
era stirata e le maniche svolazzavano in ogni gesto che compiva. Per
l’ispettore era anche peggio. Il lungo cappotto di panno nero lo vestiva in
modo apparentemente elegante, ma la vera figura dell’ispettore si rivelava una
volta che questo si metteva da parte. Una cravatta completamente maltrattata
era il preludio di un modo di vestire
agitato e confuso, senza troppi fronzoli. La camicia, per la verità non
più bianchissima, ne accentuava ancor di più l’aspetto trasandato. La barba
incolta di una settimana completava il quadro.
«Allora? Cosa succede qui?»
esordì già nervoso.
«Ispettore, che piacere!» lo
salutò Flavio.
Lo guardò con aria di sufficienza.
Poi ripeté la domanda di prima, solo in tono più marcato. Dopo che Flavio gli
aveva esaurientemente spiegato tutto, lo guardava ancora male e inarcando un
sopracciglio gli disse di togliersi di mezzo.
«Io sono contento di lavorare con
lei, non fraintenda».
«Vabbè … adesso occupiamoci del
caso che è meglio».
La scientifica, arrivata pochi
minuti dopo Novato e Ducato, analizzò immediatamente il corpo. Bastarono pochi
minuti per redigere un referto e consegnarlo a Novato.
«Novato, leggi ciò che ha scritto
la scientifica» incitò l’ispettore.
«Bene … qui si legge che la vittima
si chiama Armando Estrali, aveva quarantaquattro anni e di professione faceva
il pasticciere artistico. Il decesso è avvenuto circa mezz’ora fa a causa di un
colpo alla tempia provocato da un corpo contundente sconosciuto, ma
presumibilmente molto pesante. Per ora è stato analizzato solo questo, ora sono
in corso le indagini ispettore».
«Bene» disse Ducato sfregandosi
le mani «Poi si voltò verso di noi. Incontrò il mio sguardo grintoso, quello
adrenalinico di Flavio, l’innocente di Andrea, lo spaventato di Bianca e quello
quasi indifferente di Denise. Si avvicinò a lei e domandò a Flavio chi fosse.
«E’ un prodotto del PSD, si
chiama Denise … ehm … come fai di cognome, scusa?».
«Mi chiamo Denise Diamelli
ispettore. Vengo da Verona».
«Piacere. Perché sei qui, ragazzina?».
«Il mio tutor ha avuto un
incidente».
«Chi è il tuo tutor?».
«Luana Siamese, la conosce?».
«Altroché! Abbiamo anche lavorato
insieme, dannazione! Che tipo di incidente …».
«E’ stato un incidente con un
caso. Se lei permette, non mi va di parlarne. Preferirei dare una mano dove
serve».
Chiara e coincisa, la ragazza.
«Ok …» asserì Ducato un po’
perplesso. Forse non si aspettava che una ragazzina potesse avere così tanto
carattere. Poi riprese a parlare.
«Abbiamo fatto un po’ di indagini
preliminari e abbiamo scoperto che in questo concorso ci sono circa tre persone
che avevano risentimento verso la vittima. Si tratta di Marco Pizzelli, Elia Scodelli
i e Annalisa Scores. Confermate signori?» domandò loro.
«Per niente! Ispettore, chi le ha
detto una cosa simile?».
«I fatti me l’hanno detto, signor
Pizzelli. Non è forse vero che lei doveva un’altissima somma di denaro alla
vittima? Abbiamo indagato e uno dei nostri agenti ci ha detto che aveva
ricevuto un prestito di cinquantamila euro, un capitale enorme».
Pizzelli abbassò lo sguardo.
«E dica, cosa ci ha fatto con
quei soldi?».
«Ho … ho fatto il mutuo per la
casa. Io e la mia ragazza ci siamo sposati da poco e … sa come vanno queste
cose. Ma questo non prova nulla! Io non avrei mai potuto uccidere Armando!».
«Questo lo dicono tutti …
passiamo a lei signor Scodelli. Ho saputo che ultimamente era parecchio in
conflitto con la vittima, non è vero?».
«A dir la verità sì …».
«Le aveva … le aveva rubato una
ricetta, non è vero?».
«Sì, ma comunque non sarei mai
stato capace di ammazzarlo. Invento decine di ricette alla settimana».
«E poi c’è lei signorina Scores.
Lei è figlia d’arte, giusto?».
«Sì, la mia famiglia fa questo
lavoro da tre generazioni».
«Si dice in giro che lei abbia
litigato più volte con la vittima. In particolare gli amici di Armando ci hanno
detto che lei continuava a rifiutarlo e che il mese scorso siete addirittura
arrivati alle mani, non è vero?».
«Gli ho tirato uno schiaffetto …
nulla di più».
«C’è anche un’altra ipotesi da
considerare, ispettore» intervenne Flavio.
«E quale sarebbe?».
«Be’, l’omicidio è avvenuto al
buio e l’assassino sapeva sicuramente come muoversi. Dobbiamo quindi per forza
notare, che le postazioni di gara dei sospettati sono tutte vicino alla
vittima».
«Anche questo è vero» asserì
Ducato. «Ciò vi catapulta ancor di più nel vuoto. Facciamo così … il colpevole
confessi subito».
«Aspetti un momento! Non può
stilare una lista dei sospettati con solo questi elementi!» disse Elia
Scodelli.
«Tutti i rapporti che aveva la
vittima portano a voi. La dinamica dell’omicidio, che a quanto mi dicono è
avvenuto con tutta probabilità al buio, implica nel coinvolgimento un’azione
veloce, dinamica. Le vostre postazioni sono quelle più vicine al luogo del
ritrovamento del corpo, dunque potendo, avreste potuto commettere il delitto».
«E cosa mi dice di Federico?
Anche lui avrebbe potuto commettere il delitto!» disse Scodelli.
«Elia! Come puoi pensare
questo?!» rispose l’interpellato.
«No, mi spiace, lei sbaglia.
Fonti dell’edificio hanno già confermato che al momento del blackout il signor
Marello si è assentato per andare in bagno. E’ stato visto da tutti gli addetti
ai lavori».
«Storie! Non …».
«Non un’altra parola signor
Scodelli. Il signor Marello era dall’altra parte della stanza e in più c’è il
suo alibi a tener banco.
«Ispettore» disse un tizio della
scientifica.
«Mi dica agente».
«Volevo solo avvertirla di alcuni
particolari rinvenuti sul corpo della vittima. Sui suoi capelli, infatti,
abbiamo ritrovato una sostanza appiccicosa».
«Una sostanza appiccicosa?»
domandò Ducato sorpreso.
«Già» proseguì l’agente leggendo
il referto che teneva in mano. «Inoltre siamo rimasti basiti nell’esaminare il
corpo della vittima».
«Uh? E perché?» domandò Flavio.
«Be’, detective … i capelli della
vittima ci risultano bagnati».
«Bagnati?! Ma non è possibile!».
«Oh sì che lo è. Se vuole può
venire a controllare. Ora faremo degli esami più approfonditi, ma …».
Flavio guardò profondamente
l’agente negli occhi. Poi emise una sorta di «uff» incontrollato e acconsentì
alla tesi del funzionario di polizia.
CAPITOLO
IV – Gelosia e odio
Quante domande mi facevo nella
mia testa!
Cosa significavano i capelli bagnati della
vittima? Eravamo al coperto e non era possibile prendere in considerazione un
fenomeno esterno. Certo, avrei capito se avesse avuto qualche incidente, ma
questo non era stato il caso di Armando.
Incontrai lo sguardo di Marco. Si
teneva fortemente il braccio sinistro. Lo aveva avvolto in un fazzoletto di
stoffa.
«Che cos’ha fatto al braccio?»
gli domandò Denise, incuriosita quanto me.
«Io? Ecco … in cucina prima mi
sono … mi sono fatto male».
«Ma prima non era affaticato».
«Oh, non ci hai fatto caso. E’
dall’inizio della serata che ho il braccio in queste condizioni».
Una volta che Marco si era
allontanato, notai Denise pensierosa.
«Che cos’hai?» le domandai.
«Niente, niente … qui il
detective in servizio sei tu».
Feci un risolino ironico, quasi
isterico. «Cosa vuol dire questo? Hai notato qualcosa? Se è così devi dirmelo,
perché …»..
«Io dico solo che quel Marco è da
tener d’occhio».
«Già …» asserii voltandomi per
guardarlo. Notavo in lui qualcosa di strano, ma non riuscivo a capire cosa.
Pensai velocemente a tutta la serata. Con gli occhi spenti rivedevo ogni singola
scena, dall’incontro con i pasticcieri in gara fino al dialogo con Denise
avvenuto pochi secondi prima.
I miei occhi si accesero
d’entusiasmo quando capii la verità. In quel momento compresi anche di essere
un perfetto idiota.
«Vergognati» dissi a me stesso.
«Come detective non vali un sandalo bucato» mi ripetei. «Dovevi capirlo da
mezz’ora» proseguii.
Guardai ancora per un attimo la
polizia cercare di districarsi dalla faccenda. Ora avevo capito anche il senso
dei capelli bagnati e appiccicosi. Non poteva che essere lui l’assassino, che
stupido!
«Dovete venire con noi» comunicò
Ducato ai sospettati. «Per stanotte rimarrete tutti in commissariato e poi
domattina stringeremo il cerchio».
Inutile dire che ci furono tante
lamentele tanto da poter riempire di scartoffie tutti gli uffici reclami
dell’Italia.
«Ispettore, non ha ancora capito
come si sono svolti i fatti?» cominciai.
«No …» disse guardandomi
stranito. «Perché? Tu sì?».
«Diciamo che l’ho intuito … ma
c’è chi lo sa meglio di me, e questi è naturalmente l’assassino».
«Insomma, sai chi è stato o no?»
si spazientì Flavio.
«Sì che lo sa» disse Denise ad
occhi bassi.
Tutti la guardarono. Bianca mi
fissò negli occhi e per un attimo mi parve di vederla sorridere a testa bassa.
«Ricostruiamo i fatti, vi va?»
domandai mentre mi sedevo a terra. Tutti mi guardavano come se fossi un
fanatico, ma onestamente me ne fregavo di ciò che pensava la gente. Volevo
stare seduto a terra? Me ne stavo a terra. Non era fanatismo, né voglia di
esibirmi, o almeno non lo era per me. La consideravo posizione di deduzione.
«Sappiamo tutti che i sospettati,
per forza di cose, sono solamente tre. Questo restringe il campo, ma la domanda
è sempre la stessa. Chi è l’assassino del signor Estrali?».
Vedevo gente palpitare. I tre
sospettati mi guardavano come se fossi un discepolo di Cristo decisivo per la
loro salvezza. Flavio aveva la fronte imperlata di sudore.
«Allora? Vuoi dirci come sono
andati i fatti?» mi chiese Ducato già spazientito. Si era allargato il nodo
della cravatta e passato il dorso della mano alle tempie per asciugarsi il
sudore.
«Partiamo subito con il dire che
la vittima è stata uccisa con un’arma che difficilmente potrà essere sottoposta
ad esami e varie cose alle quali siete abituati voi della scientifica».
«Cosa?» era la domanda
ricorrente. Sentii Federico, l’amico di Flavio, diffidare delle mie deduzioni.
Andai avanti. Lui faceva parte di quella
massa che non conta niente che chiamo gente, no?.
«Esatto» continuai guardando le
facce stupefatte. «L’arma è insospettabile, talmente tanto da poter sembrare
quasi invisibile».
«Insomma, che cos’è?» disse
Bianca.
La guardai ancora. Poi il mio
sguardo ritornò su Ducato e Flavio. «E’ un pezzo di ghiaccio, ecco cos’è! Più
precisamente una piccola lastrina, se non erro».
«Un pezzo di ghiaccio?» ripeté
incredulo Federico.
«Già, un pezzo di ghiaccio. Un
bel pezzo di ghiaccio, consistente, duro, solido e poco ingombrante. Ha
presente?».
Si zittì.
«Com’è possibile uccidere
qualcuno con un pezzo di ghiaccio? Ragiona!» mi disse Annalisa. Non credeva a quanto ascoltava.
«Si può eccome, Annalisa. E’ pur
sempre un oggetto contundente».
«Ok, ma hai trascurato un
particolare importante» affermò convinto Elia Scodelli.
«E sarebbe?».
«Se l’assassino avesse colpito
effettivamente la vittima con un pezzo di ghiaccio, non avrebbe avuto la
stabilità necessaria, capisci? Il ghiaccio non è facile da maneggiare a mani
nude».
«Oh certo, ma mi creda è molto
più facile di ciò che sembra per chi è abituato a lavorare con esso tutti i
santissimi giorni. Inoltre, il corpo della vittima ha i capelli bagnati e
impregnati di una sostanza appiccicosa».
«Hai risolto anche questo
mistero?».
«Dovrei averlo fatto. Agente …»
feci cenno ad uno della scientifica «di che colore è la sostanza appiccicosa
rinvenuta nei capelli della vittima?».
«Non ricordo bene, ma pare fosse
verde …».
«Tutto torna a quanto pare».
«Insomma, chi è il colpevole? E’
abbastanza tardi e qui stiamo ancora lavorando!» intervenne Ducato
spazientendosi. Era nervosissimo.
«Mi meraviglio che lei non
l’abbia ancora dedotto. Guardi le opere esposte dietro di lei».
Vincenzo Ducato si girò talmente
lentamente da far sembrare la scena in slow motion. Per un attimo mi parve di
essere catapultato in una di quelle scene da western d’epoca. Avete presente
Sergio Leone, no?
Dopo qualche secondo lo vidi
sobbalzare. «Di chi è quella granita?» domandò mentre indicava la farfalla.
«Del colpevole naturalmente. Del
signor Marco Pizzelli! Confessi, su! E’ stato lei, non è vero?».
La sua reazione fu una risata
talmente forte e sonora da far sembrare l’acustica del Madison Square Garden
solo quella di una palestra per dilettanti.
«Devi avere le prove per
inchiodarmi, ragazzino impertinente!».
«Vuole le prove? Innanzitutto c’è
la questione del ghiaccio. Lei sa maneggiare molto bene il ghiaccio e …».
«Ah davvero? Vuoi incolparmi perché
faccio bene il mio lavoro? Razza di idiota …».
«Mi dispiace informarla … ma qui
di idiota c’è solo lei. E’ l’unico tra i sospettati che abbia fatto uso di
menta».
Il suo sguardo si fece truce e
cominciò a mirare in basso.
«Perché se la ricorda la menta,
non è vero? L’ha usata per decorare la sua farfalla di ghiaccio».
«Insomma io …».
«Lei ha provocato il blackout.
Poi ha impugnato una lastrina di ghiaccio, l’ha avvolta in uno strofinaccio ed
ha colpito la vittima alla tempia! Non lo neghi!».
«Io non devo negare niente! Sono
innocente!».
«Si ostina a negare? Lei è senza
vergogna!».
«Lo sai anche tu che non avrei
mai saputo muovermi al buio con tanta destrezza. Come avrei potuto colpire bene
Armando?».
«Non dica sciocchezze! Lo ha
detto lei che è quello tra i partecipanti che lavora da più tempo in questo
edificio. Conosce la stanza a menadito perché l’ha usata per le prove e sa come
muoversi … anche al buio!».
«Supposizioni! Nient’altro che
supposizioni infondate!».
«Ok, ha vinto».
«Lo hai capito finalmente che
sono innocente?».
«E’ così Alex? Hai sbagliato? Lo
ammetti?» domandò freneticamente Flavio.
«Aspetta. Vediamo cosa ci dice il
signor Pizzelli del suo dolore al braccio. Poco fa ha detto a Denise che ce
l’ha da inizio serata, conferma?».
«Certo!».
«Peccato che ad inizio serata
portasse una valigia dal peso di almeno dieci chili! E’ la valigia dei suoi
attrezzi da lavoro, non è vero? Vi sono formine, macchinari per le incisioni nel
ghiaccio di livello professionale e altre cose. E allora mi dica, com’è
possibile che adesso abbia il dolore? No, non si sforzi. Glielo dico io! Si è
fatto male mentre colpiva la vittima, vero?».
Un «dannazione» sfuggì al suo
controllo. Ora aveva gli occhi iniettati di sangue ed era sul punto di
piangere. I pugni gli tremavano in un insieme di rabbia, frustrazione e
spossatezza.
«Vuole confessare?» infierì
Ducato. «Ormai è palese che ci sia qualcosa di strano».
«E va bene! Lo confesso, l’ho
ammazzato io!» disse urlando.
«Ma perché l’hai fatto?» domandò
Federico. «Non ti aveva mai fatto niente!» aggiunse. «Non l’avrai fatto per i
soldi?» domandò?
«Per niente!» rispose pronto.
«Dopo avermi prestato quell’esorbitante cifra di denaro credeva di essere autorizzato
a fare di me ciò che voleva, anche dopo la restituzione. Mi chiamava fallito,
mi umiliava davanti a tutti, ma il culmine è stato il mese scorso. Ha
violentato la mia ragazza e lei si è tolta la vita proprio il mese scorso. Non
potevo assolutamente passarci sopra, no, non potevo!».
«Se è così doveva sporgere
assolutamente denuncia, perché non l’ha fatto?» domandò Novato.
«Non sarebbe servito a nulla.
Doveva pagare personalmente per il male che aveva fatto».
Usciti fuori dall’edificio nel
quale ci trovavamo, stavamo raggiungendo la macchina nel parcheggio. Avevamo
trovato posto piuttosto lontano dall’entrata e così c’era da fare una bella
scarpinata.
«Allora? Ancora ce l’hai con me?»
dissi a Bianca. Aveva evidentemente sbollito la rabbia. Non mi guardava più
storto, non lanciava più frecciatine e il suo viso pareva rilassato.
«Io non ce l’ho mai avuta con te
…» disse tentando di nascondere le sue vere sensazioni.
«No, eh? E va a finire che non
hai nemmeno provato fastidio nel vedere Denise sul mio letto, non è vero?».
Arrossì talmente tanto che al suo
confronto la bandiera della Cina sembrava solo una macchietta insignificante.
«Se tu nella tua mente ti fai i
film da oscar … non è mica colpa mia?».
La guardai per un attimo
divertito. Lei rispose allo sguardo con uno imbarazzato. Poi riprese a parlare
aggiungendo le sue impressioni personali.
«Però concedimi questa. Non è
normale entrare nella camera di un ragazzo e vedere una ragazza in …».
«In?».
«E dai, lo sai anche tu! Aveva
degli shorts troppo corti!».
«Quindi il problema sono gli
shorts?».
«No …» disse a metà tra
confusione e rabbia «solo che mi ha fatto uno strano effetto …» ultimò
tirandomi un buffetto sul braccio. «Comunque non ce l’avevo con te. Non ne
avevo davvero il motivo, per chi mi hai preso?».
Poche ore dopo Denise prese il
primo treno per Verona. Luana era stata giudicata tutto sommato in buone
condizioni e dunque stavano per dimetterla dall’ospedale in Toscana per
rimandarla a Verona. Voleva fare una sorpresa alla sua mentore e arrivare prima
di lei per prepararle una cena di bentornato. Così l’accompagnai alla stazione
e lei se ne andò dicendomi di chiamarla per ogni sviluppo sul caso del Fuoco
Re. Ero un po’ scocciato e questa mia reazione ne provocò una altrettanto
curiosa da parte sua. Mi guardava con occhi strani. Dolci e caritatevoli allo
stesso tempo. Mi guardava come se stesse guardando un bambino.
Tornai a casa a tarda sera. Mi
fermai da quel ristorante cinese vicino l’ufficio e dovetti aspettare un’ora
prima che il pollo fritto con spezie mi fosse consegnato. La verità è che c’era
un cliente talmente bisbetico che sembrava aver creato il mondo e così il
personale era intento nel calmarlo. Solo dopo riconobbi in lui un noto critico
culinario che conduceva in tv un programma chiamato “Stronco cucina”.
Simpatico, eh?
Quando tornai il pollo era
invitante. Entrai in casa dall’entrata secondaria sul retro, quella che da
direttamente nell’ufficio di Flavio. Lo trovai cupo, al buio, con il riflesso
della luna che gli lucidava la nuca.
«Che c’è?» gli domandai con le
buste ancora in mano «fai le prove per il sequel de “Il silenzio degli
innocenti?”».
«Spiritoso. Piuttosto … quante
volte ti ho detto di non entrare da lì?».
«E quante volte ti ho detto che
mi si dimentica? Mi dici tremila cose al giorno!».
Flavio teneva per le mani un
pezzo di carta mezzo stracciato, una sorta di pergamena moderna con scritte su
tante parole incomprensibili.
«Che cos’è?» gli domandai
curioso.
«Si sono fatti sentire. Sanno di
noi a quanto pare …».
«Ma chi?».
«I nostri amici. Il Fuoco Re,
no?» affermò con un risolino.
Mi si gelò il sangue e per un
attimo credetti che la morte fosse solo un intercalare della parola sofferenza.
«E’ … è loro quella lettera?».
«Indovinato. Bell’intuito».
«E cosa … cosa dice?».
Fece un risolino.
«Che hanno capito che li stiamo
dietro, ma che vogliono mettere subito le cose in chiaro. Non ci considerano
una minaccia credibile e …».
«E?» lo anticipai.
«E hanno altri obiettivi
piuttosto che star dietro ad una coppia di detective che cercano di vendicare
il loro passato».
Rimasi per un attimo in tensione.
«Dice qualcos’altro?».
«Solo che per loro non c’è nulla
da regolare e che … seppur sanno che in qualche modo siamo sulle loro tracce …
».
Flavio si bloccò.
«Parla, su!» lo incitai mollando
le buste a terra. E la cena era andata a farsi fottere.
«Sono disposti a lasciarci in
pace se noi non li attaccheremo … che cosa ne pensi?».
Mi alzai in piedi, in quanto mi
ero accomodato sul bracciolo del divano, e presi a sfogliare qualche vecchio
libro di teoria investigativa che vi era nello scaffale della libreria di
Flavio.
«Alex? Allora?».
«Cosa ne penso … non è facile
pensare in queste situazioni … nella baracca, poco tempo fa, volevano farci
fuori e adesso non ci considerano più minaccia credibile?».
«E ti lamenti?».
«No, no. Solo non capisco come
mai questo cambiamento di atteggiamento. Se fai un agguato a qualcuno significa
che in qualche modo lo temi … ed è quello che hanno fatto con noi. Ora però se
ne escono che non siamo più così … minacciosi … c’è qualcosa che non torna».
«Per esempio?».
«Innanzitutto cosa abbia
effettivamente portato al cambio d’atteggiamento. Non so … c’è stata una
soffiata, un qualcosa? Ci tengono sottocontrollo forse? Non so cosa pensare».
«Stai pensando troppo, è questa
la verità. Lo fai sempre. Pensare troppo fa male».
«Quindi?».
«Quindi ormai è stata intrapresa
una strada da seguire e la seguiremo … abbiamo preso di comune accordo la
decisione di contribuire alla cattura di quei criminali e non molleremo certo
dopo questa lettera, dico bene?».
«Dici benissimo».
«Anzi …» cominciò, ma lo
interruppi rubandogli le parole di bocca.
«E’ anche meglio così … potremo
agire più in ombra».
Annuì convinto e io feci lo
stesso.
ANTICIPAZIONE EPISODIO 46: Una baita in montagna diventa lo scenario perfetto per una serie di efferati delitti. Ma c'è un problema. I nostri arrivano a pensare che il colpevole sia niente poco di meno che ... UN FANTASMA! ALEX FEDELE EPISODIO 46 - I DELITTI DEL FANTASMA INCANDESCENTE(1°parte). Solo qui a partire dal 14/07/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!
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