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sabato 26 maggio 2012

Alex Fedele: Guerra al Clan(3°parte)#39 (seconda stagione)


GUERRA AL CLAN(3°parte)

Cos’è successo nelle prime due parti?: All’ufficio di Flavio arriva un uomo insicuro, goffo e distratto che vuole riprendere i rapporti con sua moglie. Il problema però è che non parla con lei da quindici anni e nel frattempo la donna si è trasferita ad Udine, così ci incarica di trovarla, visto che lui non ha la più pallida idea di dove sia. Andati ad Udine però, all’indirizzo del suo posto di lavoro, scopriamo che non che la signora Draschi non lavora lì. Cerchiamo allora su elenchi telefonici e svolgiamo alcune ricerche, ma niente. La donna sembra sparita. Intanto Baselli ci dice di avere l’indirizzo di sua moglie e di essersene precedentemente dimenticato. Mentre ci rechiamo al posto, la macchina sembra avere qualche problema e così ci fermiamo. Meno male che siamo abbastanza lontani, perché la macchina di Flavio si avvolge nelle fiamme. Dov’è la signora Draschi? E cosa significa tutto questo?



CAPITOLO IV – Fuoco, fiamme e paura

Mentre le fiamme avvolgevano la Croma, Flavio urlava e il fuoco ci bazzicava negli occhi, cominciai a pensare a Baselli e al suo strano modo di comportarsi. Sembrava atipico, strano, quasi poco incline alla normale relazione sociale con terzi. Si era esposto relativamente poco da quando era con noi e non mi era poi così simpatico. La sua goffaggine lo rendeva discretamente buffo, ma di solito le persone goffe non sono sempre simpatiche.
«Adesso siamo fottuti» disse Flavio a bassa voce.
«Già. La macchina è andata. Dille definitivamente addio».
«Sei di consolazione».
Grazie ad alcune sterpaglie e alla pioggia che decorava il pantano, l’incendio fu domato. Baselli si era tolto la giacca a vento e aveva cominciato a far vento sulle fiamme, quasi per cercare di accentuare ancor di più l’incendio. Si era subito scusato poi, quando era stato ripreso in modo veemente da un Flavio decisamente su di giri.
«Non ci resta che chiedere aiuto» commentò Flavio. «Torniamo indietro. Seguitemi».
«Sarebbe inutile tornare indietro» affermai tenendo lo sguardo sui rottami dell’auto incenerita. «Non vedresti bene, ormai è buio».
«Genio, guarda che anche se vai avanti c’è poca luce».
«Lo so» asserii «ma noi indietro ci siamo già stati e non c’è nulla a parte alberi, case abbandonate e vecchi fossati».
«Quindi tu andando avanti …».
«Spero di trovare aiuto».
«E se non lo trovassimo?».
«Allora aspetteremo il giorno. Che ore sono?».
«E’ ancora notte fonda. Saranno le due».
Ci incamminammo quindi in quella lugubre e triste strada. Ogni nostro passo affondava nella fanghiglia umida e ci rendeva stanchi ed esausti anche solo di respirare.
«Ma quando arriviamo?» domandò Baselli.
«Lei si tappi la bocca e non parli proprio. E’ soprattutto non rompa le scatole con il suo …».
«Flavio» lo ripresi. Gli feci cenno con lo sguardo di calmarsi. La sua vena negativa condizionava ancora di più la situazione.
«Cosa vuoi? Devo sfogarmi. Nella macchina c’erano anche i cellulari,effetti personali … tutto è andato perso per colpa di questo idiota! Se lei avesse saputo spiegarci il caso con maggior attenzione» disse rivolgendosi a Baselli «adesso non saremmo in questa situazione. Si è presentato con un problema, ci ha dato un indirizzo che non corrisponde a verità ed ora ne ricaccia fuori un altro perché afferma di essersene dimenticato! A cosa le servivano due detective se sapeva già dove abitava sua moglie?».
«Il fatto è che non sapevo in che stato l’avrei trovata …».
«Si spieghi» incitai.
«Il fatto è che tutti i familiari di mia moglie erano preoccupati per lei e adesso hanno incaricato me di andarla a prendere e riportarla in città … ma nessuno ha sue notizie da ormai mesi e mesi e non riescono a rintracciarla in nessuna ragione. E’ per questo che mi sono rivolto a voi».
Poi Baselli rallentò il passo. Inizialmente camminai, poi provai a voltarmi e con la coda dell’occhio vidi che quasi sorrideva.
Non feci in tempo nemmeno ad annuire che fummo attaccati nell’oscurità. Non saprei descrivervi bene i nostri aggressori, l’oscurità non mi ha consentito di vederli bene, ma posso sicuramente affermare che colui che era incaricato di marcarmi stretto, ci riuscì benissimo. Fui sovrastato fisicamente da un uomo alto almeno due metri. Aveva mani pesanti che mi spingevano la testa nella fanghiglia e un dialetto molto strano che gli fungeva da lingua principale. Nessuno dei tre aggressori spiccicò una sola parola in italiano, parlarono solo in dialetto, ma si fecero dare i miei documenti, di Flavio e di Baselli. Presero anche la pistola che Flavio aveva messo sotto la camicia, da dietro.
Se ne andarono subito, si dileguarono nell’oscurità come fossero polvere.
«Ma si può sapere cosa diamine sta succedendo? Ce l’hanno con noi? Venite fuori!» gridò Flavio sull’orlo di un esaurimento nervoso.
Baselli sembrava ancora rimbambito e frastornato dalla circostanza e si reggeva il braccio destro con veemenza.
«Comincio a pensare che sua moglie sia entrata in qualche affare losco» commentai alzandomi dolorante senza neppure fare una piega. Mi girava la testa e avevo la parte destra del volto tutta sporca. Logico, avevo avuto un contatto ravvicinato con il fango.
«Come si permette?» mi riprese.
«Come mi permetto? Da quando siamo arrivati a Udine abbiamo girato mezza città alla ricerca di una donna che finora non ha mostrato nemmeno l’ombra di sé stessa, poi la nostra auto ha preso fuoco ed ora veniamo assaliti da tre delinquenti di strada a pochi chilometri da quella che dovrebbe essere la casa di sua moglie. Mi perdoni, ma ho tutto il diritto di pensare che ci sia qualcosa di più grosso sotto».
Baselli mi guardò in modo rabbioso. Per un attimo ebbi l’impressione che i suoi occhi fossero delle frecce e che io fossi l’idiota con la mela in testa e che suda freddo ogni secondo della sua vita.
Poi si ricompose, ed in un attimo di estrema calma mi rispose.
«Lei è un detective. Il suo mestiere è fare teorie».
«Il mio lavoro è quello di risolvere casi legati a delitti, ritrovare persone, non stare appresso ai fantasmi» lo stoppai freddo.
Mi guardò stranito, poi un sorriso sadico si dipinse sul suo viso. Ricordo che non mi piacque affatto. Ero decisamente preoccupato, anche se cercavo di non darlo a vedere.
Alzammo gli occhi e vedemmo alla nostra destra che eravamo praticamente arrivati. Davanti a noi si ergeva una sperduta casetta di legno, una baracca praticamente sfasciata.
«Credevo mancassero ancora chilometri» ripresi a parlare «è questo l’indirizzo?».
«Corrisponde» disse Baselli indicandomi uno sbiadito cartello.
 Rialzandosi a fatica, Flavio provò a destabilizzarsi. La sua testa girava ancora, il suo stomaco era ancora tutt’uno con il conato di vomito che gli si era piazzato praticamente in gola e la visione ancora sbiadita.
La cravatta gli svolazzava seguendo la direzione del vento e i capelli gli si erano scompigliati talmente tanto che sembrava un reduce da una terapia intensiva guidata da quel medico pazzoide che fanno vedere in tv.
 Ci avvicinammo a piccoli passi a quella che sembrava davvero tutto, tranne una casa nella quale potesse abitare qualche forma di vita sana di mente. Il recinto che fingeva di delimitare la zona della casa dall’aspra ed umida campagna, era praticamente rotto e sfasciato in ogni punto. Il tetto della casa era aperto da un buco di almeno trenta centimetri per dieci e quello che ciò vent’anni prima sarebbe potuto sembrare un giardinetto, adesso era un tutt’uno con lo schifo di terreno che ci ritrovavamo sulla faccia.
«Credo che sia palese che sia disabitato» commentò Flavio tenendo la testa bassa e guardando bene i vari elementi caratteristici del giardino.
«Tu dici?» domandai con ironia tagliente.
Mi guardò con una smorfia di disgusto, poi aprì quel che rimaneva della porta della baracca ed entrammo dentro. Baselli rimase fuori, quasi impaurito.
L’interno era anche peggio. Praticamente la “casa” era divisa in due bassissimi piani. Al primo piano c’era quello che qualcuno avrebbe potuto definire un sofà, una scrivania in legno talmente bucata che se i tarli l’avessero vista avrebbero dato di sicuro le dimissioni e una sedia mezza rotta. Ah sì, c’era anche un’uscita posteriore, ma era chiusa a chiave. Al piano superiore c’era un lettino ad una piazza ed il bagno. Più che una casa sembrava un covo.
«Bene, sua moglie non è neanche qui» disse Flavio mentre era girato di spalle.
«Siete sicuri? Cercate meglio» incitò Baselli con insolita voce tremante.
Ero di spalle anch’io, ma sono tutt’oggi convinto che fu il più grande errore della mia vita. L’uomo goffo, imbranato, insicuro e stralunato che avevamo conosciuto fino ad un secondo prima,non era più tale. Baselli scattò rapidamente all’indietro e chiuse la porta dall’esterno. Lì per lì rimasi di sasso e Flavio fece lo stesso, ma poi cominciammo a battere i pugni sulla porta e a chiedere di aprire.
«Si può sapere cosa le prende? Apra signor Baselli!» gli urlava Flavio.
«I detective credono a tutto ciò che gli dicono gli altri, non è vero ragazzi?».

CAPITOLO V – Fatti e parole

«Poche storie, apra subito, perché ci ha chiusi dentro?» domandai già irritato.
«Te la ricordi la tua dichiarazione di guerra, ragazzino? O l’hai già dimenticata?».
«Ma quale dichiarazione di guerra? Contro di lei poi? Ma figuriamoci!».
«Non capisci un cazzo! Non sei molto sveglio per essere definito una promessa del settore investigativo».
«Di cosa parla?» domandò Flavio. Era rosso in viso e cercava in tutti i modi di abbattere la porta, senza riuscirci.
«E’ inutile che tentiate di buttarla giù. C’è un auto parcheggiata vicino alla porta e credo sia difficile per voi riuscire a spodestarla».
Riuscii a vedere attraverso le rotture della porta. Era una Ford Fiesta verde militare e troneggiava vicino alla porta con una parte della fiancata destra appoggiata.
«Insomma, vuole spiegarci, sì o no?» domandò Flavio asciugandosi il sudore.
«Prima di dichiarare guerra al Fuoco Re, dovevate pensarci due volte, idioti!».
D’ un tratto impallidimmo. Io e Flavio avevamo avuto, come già sapete, esperienze a dir poco traumatiche col clan. Il Fuoco Re aveva ucciso barbaramente la moglie di Flavio e segregato per giorni e poi giustiziato mio padre in una lenta agonia. Con Flavio se l’erano presa perché si era infiltrato tra di loro per carpirne i segreti quando aveva ancora la divisa, mentre con mio padre semplicemente perché era diventato praticamente un informatore della polizia della mia città. E siccome il clan ha espansione e giri ovunque, era stato meglio tappare due bocche pesanti, troppo pesanti che mano a mano avevano raggiunto quasi il culmine dell’informazione La prima per via indiretta, la seconda invece direttamente. Il fatto che non riuscivamo a spiegarci era come facessero a sapere che in realtà volevamo dare il nostro contributo alla causa contro di loro. Dovevamo farlo. Per il nostro lavoro, per i nostri familiari, per la gente che perso tutto con un colpo di arma da fuoco, per l’onore, per la rabbia, per le lacrime versate e per quelle da versare. Era il nostro dovere. Ma non riuscimmo a pensare quella notte. Colpi di mitra si abbatterono contro la porta danneggiandola parzialmente. Poteva non sembrare affatto, ma quella porta era così robusta e resistente che i proiettili del mitra riuscivano a malapena ad entrare e a creare panico.
Sia io che Flavio crollammo a terra nella nostra miglior imitazione di Al Pacino nella seconda parte del “Padrino” Sì, avete capito. La scena dove gli sparano in camera da letto e lui si raggomitola a terra. Eravamo anche meglio di lui adesso, ma la differenza è che la nostra situazione fosse reale e non inventata.
I colpi dell’arma da fuoco continuavano ad arrivare imperterriti, senza alcuno scampo. Se ci fossimo alzati anche solo di un centimetro da terra, probabilmente saremmo stati colpiti in pieno al cervello e l’idea non allettava nessuno dei due. Flavio si riparò capovolgendo la scrivania e ponendosela come scudo, mentre io riuscii ad arrivare nella zona dove i colpi non potevano arrivarmi, nella zona delle scale che portavano al piano di sopra.
«Ok, mettiamola così» iniziai affaticato «dobbiamo uscire da questa situazione. Vediamola come un gioco, ok?» affermai mentre i proiettili zampillavano ovunque.
«Ma quale gioco? Questi vogliono ucciderci e fare un budino con il nostro sangue!».
«Come sei poetico … ».
Seguì un attimo di silenzio intenso. Ora la faceva ancora da padrone il rumore assordante del mitra che si scagliava contro di noi. Le munizioni parevano non finire mai.
«Hai un piano?» mi domandò Flavio mentre si teneva sempre più basso. Ancora un po’ e sarebbe scomparso nel sottosuolo.
«Forse sì» affermai conscio del pericolo. Deglutii per un attimo, poi ripresi a parlare «esci fuori».
«Cosa?».
«Ma sì, hai capito. Esci fuori e fai da esca!».
«Ma che diamine dici?! Sei impazzito? Vuoi farmi ammazzare?» urlò talmente forte che per poco non fu sentito anche in Tibet.
«No … ma vuoi morire in questa baracca oppure tra trent’anni vuoi raccontare ai tuoi nipoti di essere sopravvissuto ad un agguato?» gli domandai sorridendo.
Mi fissò per un attimo, poi prese fiato e disse:
«Tu sei tutto cretino. Come diamine fai a scherzare su queste cose?».

Flavio non aveva mai visto una simile determinazione. Negli occhi di quel ragazzo da lui conosciuto poco, vedeva le stesse fiamme ardenti di chi non aveva paura di morire. La paura più grande di quel ragazzo era quella di non vivere come avrebbe voluto. Pensava ad Alex e al suo sguardo cattivo, ma non spregevole, feroce, ma non aggressivo. La sua cattiveria era solo una forma accentuata di grinta. Il ragazzo riprese a parlare.

«Piantala. Deciso. Tu vai fuori, li adeschi e io corro come il vento a cercare qualcosa».
«Ma cosa vuoi cercare?».
«Aiuto no? In mancanza di altro, verrò subito e ci prenderemo quella sfilza di dannati proiettili sul petto». Sorrisi come non avevo mai fatto prima e lo raggiunsi dietro la scrivania.
«E’ un rischio, lo sai?» mi chiese insicuro sul da farsi. Il sudore gli crogiolava sulle guance sporche di fanghiglia.
«Lo so, ma non abbiamo scelta. Davanti ci braccano e non possiamo uscire. Non abbiamo cellulari, macchina o altro per comunicare o scappare. Quel finto stupido ha pensato davvero a tutto».
Intanto il rumore della voce di Baselli si faceva sempre più assordante. Sembrava un po’ frustrato.
«Una cosa però devi concedermela» mi disse con gli occhi lucidi.
«Dimmi».
«Salutami Bianca e prenditi cura di lei. Fa lo stesso con Fabio e ti prego … dì a mia moglie che ci vediamo tra poco».
Quelle frasi mi colpirono profondamente e per un attimo desiderai piangere. Con la fronte impregnata di sudore e i capelli fradici, guardavo fisso negli occhi Flavio. Non l’avevo mai visto così. Nei mesi a casa Moggelli avevo imparato una cosa. La famiglia era davvero una cosa fondamentale della quale inconsciamente per anni avevo pensato di poter fare a meno. Oddio, non proprio farne a meno, ma quantomeno avevo pensato di potermi allontanarmi un po’ da essa.
Guardavo il suo viso e rivedevo il mio. Eravamo sudati, bagnati, sporchi, sudici, adrenalinici, cattivi all’inverosimile e con una paura talmente grande di non poterci più nemmeno punzecchiare, da impressionare.
Volevo davvero che le mie ultime parole per Flavio fossero colme di sentimento e di ringraziamento, ma tutto ciò che mi uscii dalla bocca fu:
«E dai …» e gli diedi una pacca sulla spalla. I nostri vestiti erano strappati. Ormai il mio jeans era inesistente, in quanto strappato in molti punti. La maglietta lasciava intravedere una parte dell’addome, mentre Flavio si era tolto la cravatta e la camicia era fuori dai pantaloni, quasi completamente sbottonata e con i peli del torace a carezzarla.
Non mi disse nulla, né diede più nulla, solo un ultimo sguardo. Sfondammo la porta sul retro  insieme, utilizzando pugni, calci, testate ed ogni parte del corpo potesse scalfirne la resistenza. Alla fine si aprì ed entrambi scattammo come la luce. Io corsi verso sinistra, lontano dalla casa, mentre lui strisciava a terra e urlava sfida contro il ragazzo con la mitragliatrice.
«Sono qui idioti! Venite a prendermi, brutti criminali!». Non ne fui sicuro, ma non tardarono ad arrivare. Dal canto mio, mi dileguai. Avevo due diverse possibilità. Numero uno, tornare e salvare tutto come nei film. Numero due, tornare senza nulla di interessante ed utile e trovarmi un cadavere sulla coscienza.

CAPITOLO VI – Violenza carnale

Intanto Flavio era stato raggiunto in modo repentino e decisamente sorprendente. Baselli, il cliente che gli si era dimostrato tutt’altra persona, incitava al sicario di far fuoco a vista. Dal canto proprio, l’uomo saltava e zampettava ad una velocità che mai avrebbe creduto di poter raggiungere nella sua esistenza. Anche la barba incolta adesso, sprizzava sudore e ne lasciava crogiolare un po’ al suolo. Il sudore cadeva sullo stesso suolo  che il detective poco prima aveva assaggiato con il viso.
Scappò, zampettò, distolse, fece finte degne di un campione del mondo di calcio, ma alla fine un proiettile lo abbatté, seppur solo di striscio, come il più violento dei difensori centrali.
«Ah!» urlò Flavio mentre il suo corpo provocava il rumore di un tonfo immane. Non lo ammetterebbe mai, ma in quel momento pensò anche ad Alex e implorava il cielo che potesse arrivare il più presto possibile. Il dolore pervadeva ogni singolo millimetro del suo corpo, ma aveva negli occhi l’espressione di chi non voleva arrendersi e quando vide l’uomo con il mitra in mano avvicinarsi a lui in compagnia di Baselli, sputò sulle scarpe di quest’ultimo in segno di disgusto.
«Deficiente. E’ la tua fine. Dì addio al mondo» disse stizzito Baselli.

Ritornai e vidi la scena da un punto di vista totalmente esterno. Mi sentivo come il protagonista dei giochi di ruolo. Ma una differenza che mi piacque molto fu il rapido crollo a terra di Mr. Mitra.
Lo colpii fortissimo sulla testa, ok. La sbarra di ferro che avevo trovato in un cantiere edile lì vicino era probabilmente piegata a causa dell’urto e ora non era più grigia ma rossa a causa del sangue che la avvolgeva Ok, la testa del nostro amichetto era talmente mal messa che un vespaio sarebbe stato più gradito e probabilmente non avrebbe riacquistato appieno le capacità neurologiche per almeno trenta giorni. Fatto sta che Mr. Mitra crollò a terra come un sacco di patate e che Baselli riprese a tremare come una foglia in autunno.
«C’è qualche problema?» domandai ironico mentre guardavo Flavio a terra che si teneva la gamba sinistra.
«Quale problema? No, nessun problema» mi rispose a tono Baselli. Ora che non aveva più un mitra davanti non era più così sfacciato. Osservava con le pupille che ballavano incontrollate ogni singolo centimetro del tubo di metallo che avevo usato per sfasciare la testa al suo amico.
«Stammi bene a sentire, lurido topo di fogna» gli dissi appoggiandogli il tubo metallico sulla spalla «se entro dieci secondi non mi dici il modo più rapido per andarmene da qui, avrai una conoscenza talmente ravvicinata con questo» continuai indicandogli l’arma «che ogni altra persona o cosa al mondo ti parrà sconosciuta per almeno un bel pezzo».
«O-ok … allora … Prendi la Ford Fiesta Titanium vicino alla porta e … e vattene»
«Sia chiaro» ripresi a parlare «un’altra volta che ti vedo e fai la stessa fine del tuo amichetto a terra, hai capito? E dì al tuo capo o a quell’idiota che ti ha mandato qui che la missione è fallita».
Poi colpii forte allo stomaco anche lui e cadde a terra esattamente come il mitragliatore.
Trascinai Flavio alla macchina. Era più pesante di quanto sembrava. Andava avanti con gemiti e lamenti e non ne poteva più di quella ferita alla gamba. L’avevano colpito appena sopra la caviglia, diciamo sullo stinco sinistro.
«Resisti, ti porto in ospedale».
«Macchè ospedale! Non abbiamo documenti e qui a Udine è improbabile che ci riconoscano. Inoltre è meglio che ce ne andiamo da questa città del cavolo. Metti in moto!» mi disse già quando eravamo in macchina. Lo sdraiai sul sedile del passeggero e gli arrestai l’emorragia con la cinta dei pantaloni.
«Sei sicuro che posso guidare?».
«Certo che puoi!» mi rispose a denti stretti per cercare di attenuare il dolore della ferita «non ricordi? Anche a casa Pelviani hai fatto lo stesso».
«Ma le mie facoltà di maggiorenne, una volta in PSD, non dovevano essere azzerate?».
«Quasi tutte. Sulla questione di guidare un auto o un veicolo sei considerato tale. Le obbligazioni di trattarti come un minorenne riguardano soprattutto la dichiarazione dei diritti e delle responsabilità che mi sono assunto. Nel caso in cui … ti accadesse qualcosa, seppur tu sia maggiorenne, sono io il responsabile e in quel caso non vale la tua età, chiaro? E la stessa cosa vale a dire per tutte le altre cose che implicano la presenza di un adulto, come il commettere reati, eccetera, eccetera …».
«Limpido».
Seguì un attimo di intenso silenzio, poi Flavio, digrignando i denti, iniziò di nuovo a parlare.
«Hai controllato che non … che non ci siano microspie? Da quelli mi aspetto di tutto» domandò con smorfie di dolore abnormi.
«E’ stata la prima cosa che ho fatto quando mi sono messo in auto. Stai tranquillo».
Era andata così, viaggiavamo ad una velocità probabilmente non consentita su scassate strade di campagna e aspettavamo che cosa ci fosse ancora in serbo per noi. Ma una cosa era sicura. Il Fuoco Re sapeva qualcosa di noi che pensavamo non sapesse nessuno. Come era riuscito a scoprirlo?

ANTICIPAZIONE EPISODIO 40: Flavio è ferito e Alex lo porta in ospedale. Anche un luogo però tranquillo può rivelarsi trappola per topi. E se quella trappola scatta ... ALEX FEDELE EPISODIO 40 - IL PAZIENTE UCCISO! Solo qui a partire dal 2/06/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!!!!


sabato 19 maggio 2012

Alex Fedele: Guerra al clan(2°parte)#38(seconda stagione)


GUERRA AL CLAN(2°Parte)
Cos’è successo nella prima parte: All’ufficio di Flavio arriva un uomo insicuro, goffo e distratto che vuole riprendere i rapporti con sua moglie. Il problema però è che non parla con lei da quindici anni e nel frattempo la donna si è trasferita ad Udine, così ci incarica di trovarla, visto che lui non ha la più pallida idea di dove sia. Andati ad Udine però, all’indirizzo del suo posto di lavoro, scopriamo che non che la signora Draschi non lavora lì. Cerchiamo allora su elenchi telefonici e svolgiamo alcune ricerche, ma niente. La donna sembra sparita.

Sigla di oggi: "Stay" by Simply Red



CAPITOLO III – Qualcosa di poco normale

L’aria tiepida della sera svolazzava sui nostri corpi mentre ci rilassavamo in macchina. Flavio si fermò vicino ad una vista panoramica di una piccola frazione montana della città. Posteggiata la Croma, scese a fumare una delle sue sigarette, mentre Baselli, dopo esser rimasto per un secondo in auto, decise di accettarne una anche lui.
«Sa, di solito non fumo. Ho smesso da circa dieci anni».
«Non si smette mai di fumare, mi dia retta».
«Perché dice così?».
«Sa com’è» disse Flavio inalando la nicotina «esperienza personale. Ho provato a smettere almeno cinque volte negli ultimi tre anni e indovini un po’? Mai riuscito».
«Davvero? Secondo me è anche questione di volontà».
«Non dica sciocchezze. E’ come per la dieta. La forza di volontà può esserci quanto vuole, ma in questo caso conta solo in piccola parte».
«Che conversazione interessante» dissi interrompendoli.
«E di che vuoi parlare?» mi chiese Flavio beffardo, mentre inalava ancora del fumo.
«Vediamo … del caso per esempio? Siamo ad un punto morto».
«Lo so, e allora?».
«Allora dobbiamo fare qualcosa».
«Qualcuno una volta disse che per avere il sereno devi attraversare la tempesta».
Quelle parole di Flavio mi colpirono in modo tremendamente innaturale. Che bastasse un panorama leggermente suggestivo ed una sigaretta per far fuoriuscire il suo animo sentimentale?
«Potremmo provare a casa sua, che ne dite?» chiese timoroso Baselli.
Io e Flavio ci guardammo in faccia, dopodiché i nostri occhi cercarono quelli di Baselli.
«Ma guarda che idiota! Ha il suo indirizzo e ce lo dice adesso?» affermò Flavio rabbioso gettando la sigaretta a terra e calpestandola con la suola.
«M-mi dispiace …» tentò di giustificarsi.
«Signor Baselli, con tutto il rispetto» dissi mentre fingevo di stare tranquillo «lei è sveglio come un cuscino!».

Prima di andare all’indirizzo della signora Draschi, la moglie di Baselli, ci fermammo per la benzina. Altri cinquanta euro e passò la paura. Dopodiché ci avvicendammo. Baselli ci aveva indicato un indirizzo molto defilato dal centro di Udine, direi quasi in piena campagna. Molto probabile è che senza accorgercene uscimmo anche fuori città. Non sembrava più l’Udine in cui avevamo vissuto fino ad allora.
I palazzi avevano lasciato ampio campo ad alberi nettamente storpi e malconci, mentre lo straordinario paesaggio si era tramutato in angusto palcoscenico sul quale la facevano da padrone vento battente, terriccio umido e ombre allungate tanto spaventose da far apparire assassini come agnellini.
«Dove diamine è venuta ad abitare sua moglie? Al confronto Alcatraz è una piacevole villeggiatura» osservò Flavio.
«Eh eh eh … non ha tutti i torti» disse Baselli. Per poi continuare con «anche i parenti gli hanno detto di non venire qui, eppure non c’è stato nulla da fare. Ha la testa dura».
«La testardaggine è un brutto difetto» osservò Flavio.
«Dice?».
«Sicuro. E’ uno dei difetti più brutti che si possano avere. Ti rende impulsivo e con vedute abbastanza ristrette a mio avviso, non crede?».
«Be’, da ragazzino ero testardo anch’io».
«In che senso, dice?».
«Deve sapere che i miei genitori, inizialmente, non avevano piacere di Arianna. Anche lei è figlia di una famiglia umile, mentre mio padre e mia madre volevano che sposassi la figlia di una nostra amica di famiglia, la quale economicamente poteva permettersi cose che all’epoca erano considerate un lusso».
«E lei ha sposato Arianna» intervenni.
«Certamente».
«Ci furono conseguenze?».
«Quando la portai a casa mio padre andò su tutte le furie. Ricordo che diede un pugno così forte al muro che si ruppe una mano e non poté lavorare per un mese».
«Violento?».
«No, impulsivo all’ennesima potenza, ma non mi ha mai picchiato».
«Che fine ha fatto poi la donna che doveva sposare?» domandò Flavio tenendo ben saldo il volante.
«E’ morta qualche anno fa».
«Come mai?».
«Overdose di cocaina. Non era mai stata una ragazza seria. Si figuri che già alle superiori aveva la fama di essere una grande …».
«Ci risparmi i particolari» disse Flavio scucendo un risolino. «Era molto ricca?».
«Di famiglia sì. Poi aveva litigato furiosamente con la madre, sposato un tossicodipendente che la picchiava ogni santo giorno e fatto la poco di buono in mezzo a molte strade di periferie».
«E poi morì … giusto?».
«Esatto. Andò a casa di un cliente piuttosto facoltoso che le aveva chiesto di sniffare della cocaina per eccitarlo di più. Il suo fisico non ha retto e il resto è storia».
«Che schifo» dissi disgustato.
«E’ stata la mia stessa identica reazione, ragazzo».

La Croma cominciava a rallentare la propria andatura andando di pari passo con la densità di terriccio presente al suolo. Grandi alberi decisamente spaventosi si ergevano ai lati della via conferendo al posto in questione un aspetto lugubre e sicuramente poco raccomandabile. Ad un tratto mi parve di esser finito in un film horror tratto da un romanzo di Stephen King, ma poi la ragione sovrastò l’immaginazione e la realtà la fece da padrone.
Il vento si faceva sempre più battente e rendeva difficoltosa la guida. Baselli continuava a scusarsi in un monito di lamentele sempre più patetiche. Poi ad un tratto sentimmo un tonfo e il piede di Flavio, per quanto grosso e forte, non riuscì a mettere energia sull’acceleratore e così ci ritrovammo bloccati nel bel mezzo di quel pantano.
«Ci mancava solo questa» disse lo stesso Flavio con frustrazione.
«Che succede?» domandai.
«Che succede?» scimmiottò. «Si è fermata la macchina. Secondo te, cos’altro può essere successo?».
«Siamo nervosetti?».
«Ok, siamo fermi in una città che non conosciamo, con la macchina fuori uso, in un pantano, cercando una fantomatica donna di cui non vi è traccia, né indizio e senza sapere la nostra metà» poi si fermò un attimo «come diamine potrei non essere nervoso?».
«Intanto individuiamo il guasto. Può essere che sia qualcosa che sappiamo riparare» osservò Baselli.
«Lei non parli nemmeno. I ventimila d’euro che mi ha anticipato sono anche pochi in confronto a ciò che stiamo passando da quando abbiamo accettato l’incarico».
Scendemmo dalla macchina in preda al panico e questo si accentuò quando anche la pioggia battente fece lo stesso. Eravamo bagnati fradici, con una macchina ferma in una zona davvero poco allegra.
«Forse posso …» provò a dire Baselli, ma fu subito stoppato da Flavio.
«Non mi dica che ha un’auto nuova nel taschino?».
Finse una risata, poi disse: «Lei è sempre così pessimista?».
Flavio gli lanciò un’occhiataccia, poi si rivolse a me che avevo alzato il cofano per vedere di cosa si trattasse il guasto all’auto.
«Ci capisci qualcosa?».
«Be’ … dopo analisi accurate e qualche ipotesi, posso affermare che … non ci capisco nulla».
«Bella roba. Che razza di situazione! Non c’è nemmeno una … una cabina telefonica o qualcosa che possa aiutarci a telefonare per chiedere aiuto. E ormai ci siamo allontanati troppo dalla città per tornare a piedi».
«Già, a meno che tu non ti chiami Usain Bolt».
«Sei sempre così spiritoso oppure hai preso una laurea per questo?».
«Dottor Alex Fedele. Specializzato in risata e risolini».
Non mi rispose nemmeno e si voltò verso Baselli. «Senta» lo interpellò «come va il suo cellulare? Perché i nostri sembra che non prendano».
«Nemmeno il mio» disse questi estraendo un vecchio Nokia. «Non c’è campo».
«Ci finisco io al campo! A quello santo però, se continuo a fare questa vita!».
Ad un tratto sentii uno strano rumore, una sorta di scricchiolio. Non saprei descriverlo in modo accurato e minuzioso, ma sicuramente posso dire che si trattava di qualcosa di sospetto. Mentre avevo la testa “infilata” nel cofano dell’auto, sentivo puzza di benzina, ma non puzza normale. Era un aroma troppo forte, troppo sgradevole
Mi allontanai dall’auto in modo cauto e vidi Flavio che smise di battibeccare con Baselli. Ora entrambi guardavano me ed io tenevo lo sguardo fisso sull’auto che non mi era mai apparsa così spaventosa come in quel preciso istante.
Poi un piccolo botto ed il fuoco padrone della scena. La Croma era stata completamente avvolta dalle fiamme.
«La mia auto!» urlò a squarciagola Flavio. Voleva avvicinarsi, ma dovetti trattenerlo e allontanarmi a mia volta, in quanto il fuoco cominciava a prendere terreno e ad espandere il proprio raggio d’azione. Baselli guardava imperterrito la scena come se fosse uno spettatore di un qualche film trasmesso in tv. Nelle nostre pupille brillava il luccichio delle fiamme. Quelle fiamme consentivano ai brutti ricordi di venir fuori e ci faceva riflettere sulla nostra situazione. C’era qualcosa che non quadrava. Ormai era palese, qualcuno voleva eliminarci. L’auto non aveva certo preso fuoco per caso e sarebbe improbabile pensare ad un surriscaldamento proprio con quelle determinate condizioni atmosferiche. Ma il mistero più grande riguardava Baselli. Dov’era sua moglie?

 ANTICIPAZIONE EPISODIO 39: Nulla è come sembra ... e mai frase fu più adatta! Un caso all'apparenza delicato e solo leggermente impegnativo si trasforma in una papabile carneficina. Perchè a vincere sarà il più forte .... ALEX FEDELE EPISODIO 39! GUERRA AL CLAN(3°Parte). Solo qui a partire dal 26 Maggio 2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE! 

sabato 12 maggio 2012

Alex Fedele Guerra al Clan(1°Parte)#37 (seconda stagione)


GUERRA AL CLAN(1°parte)


Sigla di oggi: "Whatever" by Oasis

PROLOGO: Quando l'eccitazione diventa terrore ... i nostri vanno ancora una volta in uno studio televisivo, ma avviene un orrendo crimine. Chi è l'assassino? Il mistero lo risolverà 




CAPITOLO I – Che l’incubo inizi

La pioggia batteva forte sui vetri dell’agenzia di Flavio Moggelli e il vento fluttuava nell’aria facendo volare volantini abbandonati dai maleducati in strada o sulle panchine.
La gente cercava di coprirsi come poteva usando cappelli, sciarpe e quanto più poteva per attenuare quella terribile ondata di freddo che aveva coinvolto tutto il paese.
Erano giorni che me ne stavo in casa, senza nulla da fare, come un perfetto idiota. Pensate che mi annoiavo così tanto che diedi un’occhiata ai libri dell’università. Ero d’accordo con mia madre. Se non fossi riuscito a diventare detective e a coronare dunque il mio sogno, mi sarei messo d’impegno a frequentare l’università e avrei cercato di dedicarmi alla sociologia, scienza che comunque mi appassionava, ma che non mi coinvolgeva così tanto da studiare mattoni da quattrocento pagine e sostenere esami su esami.
Che ne so? Forse non sarei mai diventato detective e forse sarei finito a chiedere elemosina in strada come un vagabondo, ma si sa, la vita riserva sorprese davvero troppo grandi per essere gestite con la calma necessaria. Il mio obiettivo di diventare detective era qualcosa di immensamente grande e di conseguenza qualcosa di immensamente ingestibile dalla mente umana. Le persone umane sono spesso nevrotiche, fastidiose e difficilmente riescono a controllare ciò che gli passa nella testa prima e nel cuore poi. Per me era l’esatto contrario. Non mi sono mai definito una persona espansiva, né emotiva. Non piangevo da anni, non avevo pianto per la morte di mio padre, non perché non mi dispiacesse, ma perché semplicemente non sono mai stato un soggetto che ha avuto bisogno del pianto per esprimere dispiacere a proposito di una cosa. Non parlai per tre giorni interi. Fu quello il mio modo di esprimere il mio dispiacere. Il silenzio. A volte è una virtù, a volte decisamente no. Per me era una gabbia, un tentativo di evadere dalla triste realtà nella quale mi ero inaspettatamente trovato, ma contemporaneamente era diventato un luogo dove pensare a quanto era successo e magari riflettere. Non tutto il dolore esce dagli occhi. A volte rimane nel cuore, in attesa di una spiegazione; a volte invece riesce ad essere decisivo nelle scelte di un uomo, mentre altre volte ti rimane dentro per sempre, almeno finché non scopri la verità. Era esattamente il mio caso. Avevo avuto quella sensazione di vuoto dentro fino a quando non avevo incontrato Flavio e fino a quando non avevo conosciuto la tematica di sua moglie. Mi ero incuriosito a proposito dei segreti di quella famiglia e avevo scoperto che la distanza non uccide il caso.
Già, quell’uomo e quelle persone avevano il mio stesso vuoto dentro e lo riempivano con le lacrime, con il ricordo oppure semplicemente con la rabbia e con un carattere decisamente scontroso. Ma ora erano chiare cose che prima non lo erano e se c’era qualcuno che aveva ucciso tanti innocenti e aveva provocato loro quello stesso vuoto, quello stesso cancro immaginario che avevo provato io, allora doveva pagare. E diventare detective, oltre che una passione, un sogno, diventava una missione, un dovere, un dogma scritto su qualche antica pergamena compilata da qualche strano Signore con la barba lunga.
«Alex, a che pensi?» mi domandò Bianca. La sua voce era tenue e dolce allo stesso tempo e quasi mi spaventò. Ero completamente assorto nei miei pensieri.
«Stai studiando?» mi chiese indicando il libro di sociologia che avevo in mano.
«Diciamo che mi ci stavo affezionando».
«A cosa?».
«Al libro no? Sono quasi trenta minuti che è con me».
Scoppiò in una risata timida e zuccherosa, poi mi guardò e disse:
«Pensavi a qualcosa, vero? A qualcos’altro …» assunse un’aria seria.
«Sono diventato così prevedibile?».
«Direi» affermò spostandosi una ciocca di capelli che le si era posata sul viso. «Allora, a che pensi?».
Tentennai per un momento. Poi presi fiato,aprii il libro ad una pagina a caso, la guardai con tutta la dolcezza del mondo e le dissi:
«La sociologia è essenzialmente una scienza applicata, anche se la sua vicinanza con la filosofia mantiene al suo interno un vasto dibattito teorico simile a quello specifico delle scienze filosofiche. Sotto questo aspetto possiamo dividere la sociologia in due parti, naturalmente e fortemente interconnesse: una parte formata soprattutto di grandi teorie che hanno lo scopo di creare modelli macro di spiegazione della società, modelli eminentemente teorici che nascono però come grandi sintesi teoriche di osservazioni della realtà sociale; un'altra parte costituita da studi maggiormente focalizzati su fenomeni sociali circoscritti per tempo e luogo».
Rimase zitta un attimo. «Eh?».
«Lascia stare. E’ roba della quale non capisce niente nessuno …».
«E’ un modo per dirmi che non stavi pensando a niente in particolare tranne che allo studio?».
«Sei sveglia» le dissi guardandola negli occhi e sorridendole ironicamente.
Non fece in tempo a rispondermi, in quanto la porta dell’ufficio si spalancò nella bufera generale che si stava scatenando fuori. A fare il suo ingresso, Flavio , che si portava appresso un ometto di circa un metro e sessanta, pelato e con una bombetta come cappello. Vestiva firmato, si vedeva lontano un miglio e dalle sue mani curate e dai suoi modi decisamente delicati mi accorsi che probabilmente si occupava di lavoro in ufficio.
«Che si dice, giovani?» domandò schizzando l’ombrello pieno di pioggia sul pavimento.
«Papà! Stai bagnando tutto il pavimento!».
«Oh, lascia stare, non preoccuparti …».
«E certo! Perché poi c’è Bianca che pulisce, non è vero?! Ma questa volta puoi anche scordartelo! Pulirai tu!» urlò sbattendo la porta e andandosene indignata. Aveva ragione. Sapevo benissimo quanto Bianca si impegnasse per tenere la casa pulita, visto che mio fratello ultimamente si era fissato con l’idea di dargli una mano.
Il signore che era arrivato con Flavio invece, poso delicatamente il suo ombrello color giallo ocra nell’apposito portaombrelli e sembrava quasi essere uno di quei balzani personaggi che spuntano dalle fiabe. Avete presente quelli alla Mary Poppins? Che risolvono tutto con un gesto magico? Ecco, quel buffo tizio era così.
Dopo qualche secondo di silenzio nel quale rimisi a posto il libro di sociologia, il tizio si sedette di fronte a me, nel divanetto che si opponeva a quello da me occupato. Flavio invece si accomodò alla sua scrivania e cominciò a parlare giungendo le mani e passandosele sulla fronte umida a causa della pioggia ricevuta.
«Allora, direi di cominciare con le presentazioni. Alex, questo è il signor Mauro Baselli. Signor Baselli, il ragazzino che vede di fronte a lei si chiama Alex Fedele ed è anche lui un detective, anche se in formato … “small”».
«Molto onorato» sussurrò tenendo lo sguardo basso.
«L’onore è tutto mio» risposi a tono.
«Bene, ora che vi siete presentati, direi di esporre il problema signor Baselli. Me ne stava parlando strada facendo, ma credo che sia molto meglio chiarire qui».
«Ok …» cominciò mostrandosi indeciso e quasi spaventato dalle sue stesse parole. Sembrava molto imbarazzato e continuava a tenere lo sguardo basso e ciò era strano, inusuale, tanto da innervosirmi.
«Il problema che voglio sottoporvi è molto semplice» affermò con voce limpida e squillante, quasi melodica. «Voglio che ritroviate mia moglie».
«Questo l’ho capito anche in strada. Vorrei che lei ci desse maggiori informazioni …  sui rapporti, ad esempio, che ci sono stati fra voi due. Ad esempio … avete avuto figli ai quali possiamo far capo?».
«No, sfortunatamente sono sterile e non ho potuto avere figli».
«Capisco … e da quando non vede sua moglie?» domandai incuriosito.
«Be’, il problema è proprio questo … non la vedo da quindici anni».
Mi distesi sul divanetto sgranando gli occhi, mentre vidi che Flavio si era allontanato dalla scrivania con la sedia quasi stizzito.
«E’ completamente impazzito?!» gridò ad un certo punto. Era davvero fuori di se. Le vene del collo si erano gonfiate e gli occhi erano iniettati di sangue. «Come pretende che ritroviamo una persona dopo quindici anni? Quando è stato l’ultimo contatto che ha avuto con sua moglie?».
«Quindici anni fa, gliel’ho appena detto. Non l’ho più rivista, ma nel frattempo sono successe tante cose. E’ più di un mese che nessuno la vede al lavoro e non risponde nemmeno al telefono!».
«E’ assurdo» continuò Flavio. «Per chi ci ha presi? Per perditempo? Non abbiamo …».
Ma l’uomo non gli fece finire la frase. Si gettò in ginocchio e con aria disperata e goffa cominciò ad urlare a più non posso.
«La prego detective! Lei è la mia ultima chance! Non può abbandonarmi!». Aveva le lacrime agli occhi e l’immagine dell’uomo perfettino e composto di pochi minuti prima sembrava ormai solo un ricordo lontano.
«Ok, ok, ma ora si alzi e non faccia tante storie. Dannazione, cosa mi tocca vedere».
Tentò di ricomporsi e mi fece un risolino che per pura educazione ricambiai.
«Cerchiamo di fare chiarezza» continuò Flavio accendendosi una sigaretta. «Lei non vede sua moglie da quindici anni ed ha avuto l’ultimo contatto con lei proprio quindici anni fa. Può scendere nei dettagli?».
«Certo» disse in aria sempre indecisa. «Il fatto è che mia moglie è stata davvero paziente con me, forse troppo. Il fatto è che …».
«Lei ha tradito sua moglie» interruppi.
«C- come lo sa?» domandò incredulo.
«Il segno della fede sul dito non è marcato, ma sbiadito, segno che la fede è tolta molte volte durante la settimana, forse anche durante il giorno. Ma sono passati quindici anni dall’ultimo rapporto con sua moglie, quindi direi che lei ha il costante vizio di … spendere dei soldi per donne, direi. Infine si guardi le maniche della camicia che le fuoriescono dalla giacchetta. Ci sono dei segni rossi, probabilmente di rossetto, lasciate da quella buontempona della sua ultima fiamma. Quand’è che ci è andato a letto? Ieri sera?».
«E’ … è stupefacente! Ora sono certo di aver fatto la scelta giusta! Lei ha ricostruito la mia serata di ieri solo guardandomi e  … ops …» si accorse di non essere proprio un esempio da seguire e quindi cadde in un altro momento di imbarazzo.
«Non c’è niente di cui imbarazzarsi. Se vuole che ritroviamo sua moglie, deve dirci tutto della sua vita, anche i particolari più … ehm … come dire … scabrosi».
Baselli annuì non molto convinto. Poi aggiunse:
«Voglio ritrovarla perché è l’amore della mia vita. E’ vero, ho il vizio delle belle donne, ma non la farei più soffrire e poi potrebbe essere in pericolo e …».
«Ok, basta così. Sono un detective, non un’agenzia di cuori affranti. Stia tranquillo. Ora mi dica tutte le informazioni su sua moglie».
«Questa è una sua foto detective Moggelli» fece porgendo una piccola fotografia che ritraeva una donna sulla quarantina, con lunghi capelli castani con meches bionde. Il color miele dei suoi capelli era affascinante e i suoi occhi da cerbiatto rafforzavano ancor di più questa qualità.
«E’ una bellissima donna» osservò Flavio.
«La ringrazio. Si chiama Arianna e il suo cognome da nubile è Draschi».
«Mi dica, attualmente sa qualcos’altro di sua moglie? Tipo dove lavora, oppure se ha relazioni in corso. Cose di questo genere insomma».
«Certo. Lavora a Udine, in uno studio legale, sa, lei è avvocatessa. Non ha relazioni con nessuno al momento. Lo so perché sento alcuni membri della sua famiglia che mi sono rimasti affezionati».
«Capisco. Va bene signor Baselli, vorrei dirle innanzitutto che può esistere la possibilità concreta di non trovarla».
«Non mi importa. Detective, non posso vivere con lo scrupolo di non essermi mai riproposto a lei. Devo essere perdonato e provare a ripartire con mia moglie».
«Lei è divorziato?» domandai.
«Ufficialmente».
«E allora perché porta la fede?».
«Be’, amo ancora mia moglie».
«Se la ama, perché va a pu …»
«Alex! Stai zitto un attimo, diamine!». Flavio sentenziò prima che potessi finire la frase. Sobbalzai.
«Perché? Stavo solo dicendo che se non la ama non dovrebbe andare a punti nella sua vita. Da quanto vedo e osservo sembra quasi consideri uno sport collezionare amanti. Cos’è? Una sorta di tiro a segno? Un biliardo erotico?
«La finisci di fare queste battute?» mi disse Flavio un po’ nervoso.
Intanto entrò Bianca. Pur spettinata era straordinaria.
«Alex, volevo farti vedere questi» disse mostrandomi i quaderni di Andrea.
«Perché?» domandai instabile.
«Tuo fratello mi ha chiesto di dirti se gentilmente potresti aiutarlo con un disegno che gli hanno dato da fare all’asilo».
«Ma ora non ho tempo. Ho un caso da risolvere».
«E battutacce da fare …» aggiunse Flavio continuando la ramanzina di pochi secondi prima.
«Che … che battute?» domandò Bianca.
«Battute a … lo sai no … a doppio senso».
«Alex!» disse colpendomi l’addome con il dorso della mano.
«Ahia! Che c’è?!».
«Fai battute a doppio senso, adesso?».
«E’considerato doppio senso paragonare il sesso al gioco del biliardo?».
«Alex!» disse ancora una volta lei e mi colpì più forte sempre sull’addome.
«Oppure al gioco delle freccette …».
«Ancora?! Pervertito!» affermò arrossendo.
«Non dico più niente perché altrimenti devo comprare un addome nuovo … ma tu sei diventata rossa però».
«E’ perché da queste cose preferisco tenermi alla larga … sono giovane».
«Già, già, dicono tutti così …».
«Che intendi dire?».
«Ehm … possiamo tornare al mio problema?» ci chiese educatamente Baselli.
«Ci scusi» rispondemmo tutti in coro.
«Comunque» continuò a parlare Flavio «non sarà facile signor Baselli. Trovare una persona è già di per sé un’impresa difficile. Se poi si aggiunge a questo che non la si vede da quindici anni, che è in un’altra città e che non è propriamente in pace con la persona che la cerca, le probabilità si riducono all’osso».
«Lo so. Ne sono cosciente, ma la prego di partire subito alla ricerca di mia moglie».
«Senz’altro. Accordiamoci per il viaggio e le spese e …».
«Non c’è nessun problema per quello detective Moggelli. Non dovete preoccuparvi per il viaggio. Pagherò per lei e per il suo amico» disse indicandomi.
«Non è mio amico, comunque …».
«E per il suo compenso» disse estraendo un assegno dal taschino interno della giacca «non deve preoccuparsi».
Flavio prese l’assegno e sgranò gli occhi. «Ventimila euro?! Ma sono una montagna di soldi!».
«E’ solo l’anticipo per il disturbo, detective. L’altro denaro lo riceverà a fine caso, comunque vada».
«Non so che dire. Ci vediamo domani allora. Andremo con la mia auto e arriveremo ad Udine».
«Ci vediamo domattina … alle nove diciamo?».
«E alle nove sia!» esclamò Flavio.

CAPITOLO II  – Il viaggio per il ritrovamento

La mattina dopo, il signor “e alle nove sia!” era praticamente a pezzi.
La sera prima c’erano stati i campionati giapponesi di golf fino a circa le tre del mattino e lui naturalmente aveva voluto seguirli tutti per intero. Poi aveva mangiato qualcosina, perché Flavio prima di andare a letto doveva  sempre mangiare qualcosina.
Così, mentre si era messo a letto si erano fatte le cinque passate. Gli occhi penzolavano e ballonzolavano a destra e a sinistra per tentare di scansare la calda luce dei raggi del sole che filtravano in casa.
«Un caffè forte» disse ripetutamente.
Fatto sta che partimmo con la Croma verso le dieci del mattino e arrivammo ad Udine alle tre del pomeriggio.
Nel viaggio mangiammo dei panini e Basetta si era praticamente snodato nel raccontarci tutta la sua vita. Aveva avuto un’infanzia bellissima, ma un’adolescenza difficile segnata da problemi con l’alcol. Si era sposato  appena ventenne con sua moglie praticamente bambina, di quindici anni. Poi aveva perso il lavoro ed erano nati i problemi. I soldi, sono il problema e la soluzione. Il problema quando non li hai, mentre diventano il contrario quando li possiedi.
«Non è stato sempre così» mi disse Baselli mentre mi complimentavo con lui per il suo Rolex d’oro. Aveva conosciuto anche lui lo spettro della povertà, quella cruda che ti costringe a rinchiuderti in casa e a farti male, sia psicologicamente che fisicamente. E poi se sei forte, rimani in piedi e sorridi, magari di meno, ma sorridi. Ma se vai giù e non sai rialzarti sei finito. Il mondo diventa una cella dalla quale vorresti evadere e che vorresti incendiare per intero, come un foglietto di carta.
Aveva fatto “migliaia di lavori”, parole sue, prima di trovare incarico come broker finanziario in una nota compagnia di Torino e guadagnare la bellezza di settemila euro al mese. Era felice, ma gli mancava la sua metà e aveva deciso, dopo scappatelle, figli illegittimi, contraccettivi usati coi piedi e altro, di essere serio, di diventare un uomo serio. Per quanto ci riguarda, avevamo lasciato Fabio a casa con Bianca e Andrea. Sia mio fratello che Bianca avevano insistito tanto per venire, ma Flavio non se l’era sentito di farli viaggiare per un caso all’apparenza così semplice.
«Siamo a Udine» disse Flavio parcheggiando la Croma davanti all’indirizzo che ci aveva dato Basella. Seguì un attimo di silenzio.
«Be’? Cosa sta aspettando?» chiese lo stesso Basella a Flavio.
«Forse una strategia da attuare? Mi lasci pensare».
«Ma a cosa?».
«Alla strategia da attuare, no? Non è che posso andare lì e dire “salve, sono un detective incaricato di sorvegliarle la vita!”».
«Fingiamoci clienti, no? In fondo è uno studio legale» affermai stirandomi.
«Inventa una storia allora, ma che sia credibile».
«Potremmo dire che sei mio padre e che siamo qui per un problema di truffa informatica ai miei danni».
«Truffa informatica?».
«Già, perché mi guardi con quella faccia strana?».
«Niente, è solo che trascuri un piccolo particolare».
«Sarebbe?».
«Io non capisco un tubo di computer e cose varie! La cosa che mi riesce meglio è aprire la posta elettronica e usare qualche social network!».
«E tu lascia parlare me. In fondo la truffa l’ho subìta io, no?» gli dissi facendogli gomito e occhiolino.
«Tu non stai affatto bene» mi disse accendendosi una sigaretta. «Mentalmente intendo» aggiunse.
«Per niente. Finalmente l’hai capito».
«Bene, il genio ha parlato. Signor Baselli, lei stia in macchina fino a nuovi aggiornamenti, chiaro?».
«Limpido» disse quest’ultimo.
Ci avviammo dunque lungo un sentiero di pietra molto particolare. A formarlo c’erano piccole pietre bianche che caratterizzavano a fondo quel posto. Non avevo mai visto il Friuli da così vicino.
Era davvero sorprendente come Udine fosse riuscita a mantenere, nonostante le grandissime diversità occorse nel tempo, una straordinaria individualità. L’aria frizzante della campagna accentuava ancora di più questa sorta di classicismo eterno.
Arrivammo dunque vicino ad una porta in mogano. Aveva una targhetta argentata sulla quale erano incise queste parole: “Studio Legale Ricci”.
Flavio tentò di suonare il campanello, ma una donna dall’altra parte della porta lo anticipò, sorprendendoci e spaventandoci.
«Ehm … cosa posso fare per voi?» chiese. Era una donna magra, secca, sulla sessantina certa. Aveva dei capelli color castagna raccolti in un pregevole chignon tenuto con un fermaglio con delle perle. Portava un paio di piccoli occhialetti e teneva in mano delle cartelline ordinatamente catalogate. Il suo fisico mi annunciò la sua attività preferita, la palestra. Nonostante l’età del tutto avanzata, teneva la schiena dritta e avevo notato nei movimenti e nella postura che l’attività fisica fosse ormai un elemento predominante della vita di quella donna. La sua faccia invece, anzi, l’espressione sulla sua faccia, non presagiva nulla di buono. La bocca era deformata in una smorfia di cruenta diffidenze e gli occhi sgranati, alla ricerca di un qualche appiglio.
«Ehm … ecco noi … volevamo sapere se per caso …» cominciò a farfugliare. Era in palese stato di difficoltà.
«Papà!» urlai «non siamo qui perché volevi denunciare quella truffa via internet? Quella dove ti chiedevano soldi collegando il tuo IP a quello di noti hacker».
«Eh … già, già. Hai proprio ragione, figliolo». Pronunciò “figliolo” come se avesse dovuto partorire due gemelli da un momento all’altro. Era quasi sofferente. Faceva così schifo essere mio padre?
«Ah bene» rispose a tono la donna. Era rasserenata in viso. Chissà, forse a primo impatto aveva pensato che fossimo dei malintenzionati. «Benissimo» disse scostandosi per farci entrare. Poi si sedette freneticamente alla sua scrivania, un bancone enorme ed ingombrante e cominciò a scrivere qualcosa al pc.
Dopo qualche minuto di silenzio, nei quali gli altri impiegati e segretari dello studio legale ci guardavano come se fossimo arrivati da un altro pianeta, la donna alzò le vispe pupille e ricominciò a parlare.
«Allora, vi metto con Crambi o Piolino?».
«Prego?» disse Flavio stranito.
«Preferisce l’avvocato Crambi o l’avvocatessa Piolino?».
«No, non ci siamo spiegati» interruppi «noi vorremmo Arianna Draschi. Ce l’ha raccomandata un nostro amico e volevamo vedere se …».
«Draschi ha detto?».
«Sì, proprio Draschi».
«Non mi pare che nelle nostre fila a Udine ci sia …, forse è fuori città, aspettate che controllo».
Dopo circa quindici minuti ritorno completamente sudata, quasi in preda a degli istinti omicidi e piena di polvere.
«No, mi dispiace» aveva un’aria così preoccupata che faceva venire da piangere «non abbiamo nessun Draschi in agenzia».
«Possibile? Controlli meglio» provò a dire Flavio, ma fu bloccato dallo sguardo della donna.
«Impossibile, ho già cercato in tutti gli archivi, anche quelli passati. Da quando esiste l’agenzia legale e cioè dal 1965, non abbiamo avuto nessun avvocato con quel nome».
Dopo aver ringraziato la donna, ce ne andammo via dallo studio legale con la testa abbassata. Il sentiero di pietre che prima sembrava pacifico, adesso era sprofondato giù nella delusione. Il caso si preannunciava molto più complicato di quanto si fosse presentato all’apparenza.
«Allora, l’avete trovata?» domandò goffamente Baselli quasi uscendo dalla macchina a causa della sua troppa foga.
«No. Una segretaria ha detto che non c’è mai stata nessuna Draschi in agenzia. E’ strano signor Baselli. Sicuro che l’agenzia sia proprio questa?».
«Al cento per cento, detective Moggelli».
«E allora come se lo spiega?» gli chiesi.
«Non me lo spiego».
«E nemmeno io».
Seguii un lungo momento di silenzio.
«Proviamo a cercarla sull’elenco» disse Flavio mentre guidava a vuoto. Deve esserci in un bar ad esempio, un elenco telefonico disponibile. Forse vive da sola».
«E se vivesse con qualcun altro?» Baselli già sudava freddo.
«Ma scusi» dissi io «ha detto che sua moglie non è impegnata».
«Ah … ehm … ha ragione … be’ intendevo che forse il telefono potrebbe essere intestato a qualcun altro, forse un’amica».
Che strano quel tizio. Non so perché, ma qualcosa mi diceva che non ci si poteva fidare di lui. Sarà per la sua faccia, per i suoi modi decisamente troppo frenetici, per la sua eccessiva emotività, ma ero sicuro davvero che nessuno avrebbe mai affidato suo figlio a quel tizio.

In definitiva: Flavio spulciò gli elenchi telefonici presenti in tredici bar, io domandai a circa una quarantina di passanti, mi feci la città in lungo e in largo a piedi e mi dannai l’anima per tentare di capire quale fosse la verità, ma non cavammo un ragno dal buco. Niente da fare, niente da dire. Arianna Draschi non si trovava da nessuna parte, sembrava svanita nel nulla. Per quanto riguarda Basella, lui continuava a sostenere di essere sicuro che sua moglie si trovasse a Udine. La domanda nacque spontanea:
«Ma la Draschi, esiste davvero?».

ANTICIPAZIONE EPISODIO 38: Casualità non definite destabilizzano l'ambiente. Ma sono davvero casualità? O forse sono solo biechi scopi da parte d persone senza scrupoli? ALEX FEDELE EPISODIO 38! GUERRA AL CLAN(2°Parte). Solo qui a partire dal 19/05/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!





domenica 6 maggio 2012

Alex Fedele: L'ascensore rivelatore #36(seconda stagione)


AVVISO: A causa di vari impegni personali, la puntata di AF va in onda con 24 ore di ritardo rispetto al solito. Mi scuso personalmente per il ritardo.




L’ASCENSORE RIVELATORE

PROLOGO: Quando l'eccitazione diventa terrore ... i nostri vanno ancora una volta in uno studio televisivo, ma avviene un orrendo crimine. Chi è l'assassino? Il mistero lo risolverà 

CAPITOLO I – Energic

«Sbrigatevi, non voglio arrivare in ritardo».
Flavio aveva detto quella frase almeno dieci volte, e non esagero, da quando cinque giorni prima era arrivata nel suo ufficio una convocazione ufficiale per andare a vedere gli “Energic Studios”, un edificio nel quale recitavano i migliori attori emergenti. In realtà la lettera era firmata dalla nota attrice Clara Porelli. La Porelli era molto nota soprattutto per due motivi. Il primo era la sua sfolgorante carriera teatrale. Aveva solo ventidue anni e aveva già recitato in almeno una trentina di opere, raccolto premi e impersonato personaggi difficili dal passato tormentato.
Il secondo motivo per il quale la Porelli era nota al grande pubblico era la sua relazione amorosa con il suo segretario manager, Giovanni Serra. La loro storia continuava ad essere raccontata come un romanzo d’amore su ogni giornale che si occupasse di scandali e paparazzate.
Ogni testata che si occupasse di gossip e che avrebbe voluto un minimo di considerazione da parte di ragazzini urlanti e adolescenti in fibrillazione avrebbe dovuto parlare almeno una volta a settimana di quella relazione. I programmi televisivi “rosa” non erano da meno. Era l’argomento preferito dai giornalisti di cronaca leggera ed era incredibile come ogni volta che se ne parlasse, qualcuno aggiungesse sempre qualche nuovo ed inedito particolare.
Clara Porelli aveva scritto quella lettera a Flavio perché era una sua grandissima fan e avrebbe voluto incontrarlo cinque giorni dopo agli studios nei quali lavorava.
Nei corridoi dei lussuosissimi “Energic Studios” la cravatta era d’obbligo e nessuna motivazione avessi avuto sarebbe stata convincente per presentarmi magari in jeans e camicia. Ricordo che fui decisamente colpito dall’ambiente di quel posto. Cumuli di persone si avvicendavano affinché tutto si decidesse in pochi secondi. Super direttori impegnatissimi si slacciavano freneticamente il nodo della cravatta e facevano intravedere i poco graditi peli sul petto; Segretarie affannate e stressate battevano energicamente ogni record di dattilografia su una tastiera da pc e poveri addetti ai lavori, gli unici a potersi permettere una magliettina a maniche corte, erano incredibilmente sudati nonostante l’aria condizionata avesse raggiunto quasi temperature polari. E pensare che era quasi orario di chiusura degli studios.
La Porelli si era raccomandata più di una volta nella sua lettera. Infatti aveva scritto di preferire un incontro con Flavio in condizioni decisamente più “appartate”, quindi vale a dire di sera, quando gli addetti ai lavori staccano e quando gli unici che rimangono sono i grandi direttori e quelli del consiglio di sorveglianza.
Flavio cercò di fermare qualche aiuto regista proveniente da chissà quale sperduto set, ma tutto ciò che ne ricavò fu un “energico” mal di testa ed un “energico” scorbutico in più nella lista nera delle persone cattive.
«Ma è mai possibile che nessuno debba fermarsi?!» urlò all’improvviso cercando di attirare l’attenzione su di sé.
Non si mosse un’anima, ma fortunatamente, continuando Flavio ad implorare il cielo e deplorare quella lettera della Porelli, fummo notati da un’anima pia. L’uomo era sulla cinquantina, con pochi capelli rossicci pettinati secondo uno stile del tutto particolare. Se ne andava in giro per gli studios totalmente svagato e ogni tanto guardava indietro per vedere se qualcuno lo stesse osservando. Mi accorsi che aveva un taglio abbastanza inarcato sull’avambraccio sinistro.
«Signor Moggelli, è lei?».
«Ehm … sì … e lei chi è?».
«Mi chiamo Nicola Scroglio, sono il produttore esecutivo della soap opera alla quale Clara Porelli sta lavorando. Che piacere vederla! Clara sta salendo in ascensore, pazienti un attimo».
«Oh, non c’è nessun problema. Non … non ci stavamo nemmeno lamentando, si figuri».
Viva la sincerità.
Vidi per un attimo Bianca fare un’espressione colma di ironia, poi il produttore esecutivo decise di cominciare a raccontarci  la storia della sua vita. Non so, forse voleva prendere tempo o semplicemente essere cordiale e al tempo stesso ospitale, ma non credo che le sue chiacchiere interessassero la gente circostante.
«Capisce signor Moggelli? E’ dura andare avanti ai tempi d’oggi. La crisi economica è ormai una realtà ben consolidata e il tempo scorre inesorabile portando le sue lancette sempre più avanti».
«Ehm … ha sicuramente ragione. D’altronde è assodato che ormai il tenore di vita della società italiana è calata di molto».
«Sicuramente. Ha visto la benzina? Raddoppia sempre di più, giorno dopo giorno, e le ho fatto solo un pallido esempio di ciò che sta accadendo».
Mentre camminavamo, ci dirigevamo sempre verso altri figuri. I collaboratori o amici più fidati della Porelli, a detta di Scroglio.
«Salve, mi chiamo Fabrizio Angioletti. Lei deve essere il signor Moggelli, non è vero?» domandò un uomo dall’andatura zoppa e dai capelli grigiastri. Aveva il mento pronunciato e la voce roca di chi urla ogni giorno come un matto per farsi rispettare.
«Sì, sono io, piacere di conoscerla».
«Per qualsiasi cosa chieda pure a me. Sono il direttore generale degli studios, ma venga, le presento altre due celebrità».
Angioletti stava praticamente tirando per le maniche della giacca Flavio. Un comportamento a dir poco sospetto, senza dubbio. Poi mi resi conto che avrei sospettato anche di una scopa e allora ci risi su.
 Sembrava quasi impaziente di farci conoscere gli altri amici della Porelli.
«Ecco qui» annunciò indicando un ragazzo con una benda sull’occhio «Lui è Davide Parati, il famoso attore del noto film “Vampire”. Spero lei lo conosca».
«Molto piacere» disse Flavio con imbarazzo. In realtà non lo conoscevo nemmeno io. E, vi dirò, l’impressione è che lo conoscesse a malapena sua madre.
 I suoi capelli color biondo ramato erano sicuramente affascinanti ed aveva la faccia caratteristica da divo, ma era meno noto di quell’annunciatore delle previsioni del tempo la sera, dopo il tg di canale dieci.
«Il piacere è tutto mio. Sono un grande fan dei casi risolti da lei e da quel ragazzino» disse indicandomi. Lo guardai stupito. Sapeva anche leggere i giornali? Di solito i bellocci hanno un quoziente intellettivo pari alla radice quadrata di nove, e sono stato generoso.
«Cos’ha fatto all’occhio?» domandai.
«Oh, solo un piccolo incidente durante una scena in moto. Quando si è belli come me, niente intacca la bellezza che ci avvolge».
Gli sorrisi, ma avrei voluto invalidargli anche l’altro occhio. Chiamatela “antipatia a pelle”. Intanto la luce se ne andò via e rimanemmo quasi totalmente al buio. La porta aperta che dava sul parcheggio, siccome eravamo ancora pressoché al tramonto, riusciva a darci un po’ di luce.
«Come diavolo è potuto succedere?» domandò quasi retorico Angioletti. «Sto attento a queste cose».
«Be’, un corto circuito, può succedere e …» disse Flavio.
«Nei miei studios non succede!».
«Chiaro» acconsentì un impaurito Flavio.
«Be’, continuiamo con le presentazioni. Io invece sono Giovanni Serra, piacere di conoscervi» fece un ragazzo sulla trentina con cotonati capelli neri. Aveva proprio l’aspetto da bravo ragazzo, con i suoi occhialetti da intellettuale e la sua voglia di rendersi servizievole per tutti. Parlava con un accento tipico del centro, tanto che dopo i convenevoli gli dissi:
«Lei è del centro – Italia, non è vero?».
«Eh bè’ … sì. Si nota tanto?» domandò sorridendo imbarazzato.
«No, visto che glielo fa notare solo uno che proviene da quella parte d’Italia. Allora, lei di dov’è?».
«Sono di Aprilia e tu?».
«Fondi, provincia di Latina».
«Ah sì, ci sono stato qualche giorno in passato. Avete un castello meraviglioso».
«Be’, la ringrazio, anche Aprilia non è male, anche se ho avuto l’occasione di starci solo per pochissimo tempo e poche volte».
«Ma il nostro Giovanni è noto per un’altra cosa, non è vero casanova?» gli domandò ironicamente facendogli gomito Davide Parati.
«Su, piantala di mettermi in imbarazzo …».
«Ma quale imbarazzo? Dovete sapere che il nostro Giovanni, una volta svestiti i panni del manager tutto punto, è un inguaribile casanova! Ora è fidanzato con Clara, ma fino ad un anno fa è stato legato con la signorina Solari, non è vero amico mio? Ti piaceva Chiara, eh?».
«P-piantala, mi metti in imbarazzo!» affermò già fosforescente di imbarazzo. «Piuttosto» continuò guardando l’orologio, non vi pare che Clara stia tardando troppo? Non era insieme a Corinna?».
«Sì, ma conta che gli studios sono deserti. Ci siamo solo noi in tutto quest’enorme edificio e forse ha difficoltà a truccarsi, pettinarsi. D’altronde  sta per incontrare il suo idolo, il detective Moggelli, non una persona qualunque. E poi c’è stato anche il piccolo cortocircuito di prima» replicò Scroglio.
Flavio arrossì pesantemente e io gli feci gomito come un perfetto idiota. Lo so, sono seccante.
«D’accordo, smetterò di dire che sei un casanova nato. Ma era un complimento, non fraintendere» riattaccò Davide Parati.
Ad un tratto la luce rossa del display situato sulla parte inferiore dell’ascensore si accese mostrando il piano numero due , al quale eravamo noi. Le porte si spalancarono, anche se probabilmente non avrebbero mai dovuto farlo.

CAPITOLO II – Solo per l’orgoglio

La scena che ci trovammo davanti fu davvero macabra. Nell’ascensore c’erano due donne. La prima era morta a terra, straziata dal dolore. Probabilmente la sua morte era stata causata da una pugnalata al cuore che le si era rivelata fatale. Il sangue dipingeva completamente tutta la pavimentazione dell’ascensore. Di fianco alla vittima, una donna sui quarant’anni piangeva disperata come una bambina.
Mise le mani nel sangue dell’ amica, quasi per provare a percepire il suo stesso dolore. Non aveva parole e gli occhi sbarrati dicevano tutto sulla sua situazione psicologica.
Riconoscemmo subito la vittima. Era Clara Porelli, star indiscussa degli Energetic Studios. Che tristezza vederla così. Corremmo subito come ossessi, ma dissi a tutti che entrare in massa nell’area dell’omicidio sarebbe stato fatale e chissà quale santo mi fece la grazia di essere ascoltato.
Flavio tastò subito i polsi della donna, ma non c’era davvero più nulla da fare. Intanto Giovanni si era fiondato sul corpo della sua ragazza e piangeva disperato. Aveva disubbidito alle mie direttive e le lacrime, descrivendo il tutto con un’iperbole, avevano assunto dimensioni quasi cucurbitacee.
L’altra donna presente nell’ascensore ,la famosa presentatrice Corinna Martella, era letteralmente in preda a delle convulsioni di panico. Non reggeva più la pressione, davvero.
«Ma chi l’ha uccisa? Chi ha potuto fare questo gesto così crudele?!» urlava in continuazione.
«Signora Martella» iniziò Flavio «Ora lei diventa il punto fondamentale dell’indagine. E’ lampante che solo lei può essere il fulcro della verità. Solo lei infatti era in ascensore con  la sua amica e solo lei quindi, può conoscere la verità su quanto è accaduto».
La donna non parlava, più che altro gemeva. Il rimmel sciolto e il rossetto deformato sulla bocca, erano l’ovvio ritratto di una donna devastata dal punto di vista mentale. Comprensibile, aveva visto morire un essere umano davanti a lei.
«Non parla perché è stata lei ad ucciderla!» affermò rabbiosamente Angioletti.
«Cosa?!» ebbe la forza di reagire Corinna Martella. «Io?! Non avrei mai potuto e lo sai bene, idiota!».
«Suvvia, lo so benissimo che eri arrabbiata con lei perché le avevo affidato la conduzione del programma mattutino. Ti ha battuto sul filo del rasoio e non l’hai digerito. Confessa, assassina!».
«No che non confesso! Non sono stata io! Tu piuttosto, e anche Nicola … potevate avere un validissimo movente per uccidere la mia migliore amica!» il suo parlare era interrotto da pianti e singhiozzi. Ma lei si sforzava e provava ad ultimare i concetti.
«Cosa?!» affermarono all’unisono i due tirati in causa.
«Non è un segreto che tu le dovevi una grossa somma di denaro che ti aveva prestato» continuò maliziosamente Corinna. Ora aveva assunto tutta l’astuzia di questo mondo e se non fossi stato un detective portato alla razionalità, l’avrei indicata colpevole sotto tutti gli aspetti. «E tu Nicola, non è forse vero che non avevi digerito il suo rifiuto?».
«Il suo rifiuto?» domandò Bianca dubbiosa. Aveva la manina di Andrea stretta nella sua e i due parevano proteggersi a vicenda.
«Già. Non lo sai? Il nostro direttore era diventato pedofilo! Voleva mettersi con una ragazzina, lui che al confronto è un vecchio!».
«Non ti permetto …» alzò la voce Scroglio.
«Signori, mantenete la calma, per favore. Non è in questo modo che riusciremo a scoprire il colpevole».
«Se per questo anche i due giovanotti erano interessati alla sua morte» affermò pacato Scroglio. Aveva riacquistato il suo autocontrollo.
«Il nostro casanova avrebbe potuto incassare i soldi sull’assicurazione della vita che avevano stipulato, mentre Davide era suo rivale, esattamente come Corinna!».
«Da come ho capito, avevate tutti un alibi per ucciderla» affermai sprezzante. «E voi vi definireste suoi amici?».
«Ma cosa ne sai tu degli amici? Io …» iniziò Davide Parati.
«Io so solo che una donna ha perso la vita e che il colpevole è uno dei suoi “amici”» feci ironizzando con faccia scura.
«Bene signora» cominciò Flavio con tono dirompente «Ora tocca a lei. Deve dirci nei minimi particolari cosa è successo. Da quando siete scesi dal settimo piano, fino a quando siete atterrai qui».
«Ok …» sussurrò a fatica. «Io e Clara ci eravamo appena pettinate e rivestite e per scendere al secondo piano abbiamo deciso di prendere l’ascensore. Così ci siamo incamminate e abbiamo schiacciato il pulsante corrispondente al piano. Ma siccome l’ascensore è vecchio ed è difettoso, le porte ci mettono sempre un po’ a chiudersi e ad aprirsi. Mentre stavamo parlando, mi sono voltata un attimo per truccarmi nello specchio dell’ascensore, ma dopo pochi secondi ho visto avvicinarsi un uomo con un lunga giacca. Aveva il bavero alzato e un paio di occhiali da sole e …» si interruppe trattenendo un pianto.
«E … ?» domandai.
«E poi questo individuo ha accoltellato freddamente la mia amica! ».
«Quindi, mentre voi eravate in attesa che le porte dell’ascensore si chiudessero, l’individuo ha accoltellato la sua amica in modo efferato. Ha notato qualche particolare nell’aggressore? Era alto, basso, magro, grasso … lo descriva».
«Non ci ho fatto molto caso, ma aveva un’altezza normale, non era né alto, né basso. Sulla forma fisica non saprei dirvi un granché,visto che il cappotto che indossava lo avvolgeva praticamente».
Mentre Flavio continuava il suo interrogatorio, decisi di andarmene un po’ in giro a cercare indizi, ma fui seguito da mio fratello Andrea.
«Fratellone, che fai?» mi disse espansivo come al solito . Stavo pensando ed ero molto assorto nel caso, tanto che quando sentii la sua voce sobbalzai per un attimo, poi mi girai e carezzandogli la testa gli dissi:
«Vai con Bianca.  Devo cercare indizi».
«No, sono stufo di restare a guardare. Voglio fare il detective anch’io!» disse puntando i piedi.
«Ma …».
«Dai, tu sei bravissimo! Insegnami i trucchetti che usi con i criminali!».
«E … va bene. Seguimi». Che pazienza.
«Tutte le porte erano chiuse, tranne una. Su di un cartello giallino c’era scritto “Riservato al Personale dipendente”.
 All’interno non c’era nessuno, ma quanta roba ci avevano messo lì dentro! Tavolini da caffè, tazze, distributori automatici, poltroncine, sedie di ogni forma, colore e dimensione e vari telecomandi adiacenti agli elettrodomestici. C’erano condizionatori, forni a microonde, fornetti, piastre e anche lo stereo dal quale usciva una delicata musica di Beethoven.
«Vedi se noti qualcosa di strano» dissi a mio fratello cercando di tenerlo buono. «Vai a curiosare un po’ in giro come fai di solito» aggiunsi.
«Ok fratellone».
Intanto cominciai a pensare. Come poteva aver agito l’assassino? Di certo non poteva essere un estraneo. No, al consiglio di sorveglianza l’avrebbero notato. Inoltre c’erano davvero tantissime telecamere che vigilavano sull’ordine di ogni singolo metro quadrato dell’edificio. Doveva essere per forza uno di loro, ma chi? Chi avrebbe mai potuto? Certo, tutti avevano un alibi, ma erano tutti innocenti.
«Fratellone, hanno inventato un nuovo gioco!».
«U-un nuovo gioco?» domandai incredulo. «Cosa vuoi dire?».
«Guarda sui telecomandi. Ci sono sempre gli stessi numeri.
Presi i telecomandi dei condizionatori, quello del microonde, quelli dello stereo e della tv. Avevano sul display tutta la stessa ora: 19:30. Rimasi a guardare i display per qualche secondo, poi un brivido freddo mi percorse la schiena.
Furbo il tipo. Ora avevo capito come aveva fatto a portare a termine il suo piano. Forse non era abbastanza sicuro che il suo colpo fosse stato mortale ed è per questo che ha utilizzato quel suo trucco.
«Grazie piccolo! Ora andiamo!» dissi trascinandolo.
«Ehi! Ma io non ho scoperto niente!».
«Non importa, sei bravissimo. Vieni con me!».
«Misi i telecomandi in una busta aiutandomi con un fazzolettino di carta per non lasciare impronte ulteriori a quelle che avevo già lasciato.
Poi raggiunsi di nuovo Flavio. Arrivai appena in tempo.
«Un’ultima cosa signora. Con che mano ha agito l’aggressore?».
«Mi … mi pare la destra. Sì, doveva essere per forza la destra, non c’è altra spiegazione».
«Oh, sì che c’è!» affermai sicuro di me.
«Cosa?» domandò incredulo Flavio voltandosi.
«Hai capito bene. Corinna, lei ha affermato di essersi truccata nello specchio dell’ascensore giusto? E di aver visto l’aggressore attraverso lo specchio, giusto?».
«Be’, si … ma dove vuole arrivare?».
«Semplicemente al fatto che lei ha confuso le mani dell’aggressore. Infatti, lei, accecata dall’orrore e tratta in inganno dallo specchio, ha sicuramente sbagliato ad individuare la mano. Sono più che convinto che il colpevole sia mancino».
«Mancino?!».
«Sì, mancino. Scrive e agisce con la sinistra. E basandomi su quanto visto prima, due persone sono mancine in questa stanza. Davide Parati e Nicola Scroglio. L’assassino è tra di loro!».
«E’ ridicolo!» mi urlarono contro entrambi.
«Non è ridicolo, è la verità. E volete sapere un’altra cosa? Sono sicurissimo che in breve tempo sapremo chi è l’assassino della signorina Porelli».
La stanza si ammutolì un secondo o due. Le espressioni dipinte sui volti della gente coinvolta erano indescrivibili. Bianca mi guardava perplessa con occhi davvero incuriositi e si mordeva il labbro inferiore in un non so che di nostalgico. I suoi capelli risplendevano come oro ai riflessi della luna e questo le conferiva un aria da principessa moderna.
«E davvero? Come farai?».
«Molto semplice. Io lo so già chi è l’assassino, ma questo pensa di imbrogliarmi, non è vero signor Parati?».
«Che cosa?! Non sono io l’assassino! Lo giuro! Non …».
«Lei afferma di non essere l’assassino, giusto?».
«Giusto!».
«Quindi lei è sicuro di ciò che dice, voglio dire, non si discolpa solo per non assumersi le proprie responsabilità dell’accaduto, non è vero?».
«A che gioco stai giocando ragazzino?» mi chiese ad un tratto quasi esausto.
«Ma a nessuno, naturalmente! Volevo sapere se lei era l’assassino … oppure se lo era il signor Scroglio! Nicola, cosa ne dice?».
«Dico che sei malato ragazzo. Hai visto troppi film gialli, davvero».
«Quindi nemmeno lei ha ucciso la signorina Porelli?»
«Per niente! Ho ben altro da fare che indossare quella ridicola giacca avana e …».
Lo interruppi. «Alt! Avete sentito tutti no? Può ripetere?».
«Ho detto che ho altre cose da fare piuttosto che uccidere le persone con quella giacca …» forse si era reso conto che era diventato idiota da solo.
«Avana, l’aiuto io. Ma non la capitale di Cuba, no» ironizzai « Lei alludeva al colore! E mi dica, come fa a sapere il colore della giacca che indossava l’assassino?».
«Ho – ho detto il colore?».
«Già» disse Flavio già agguerrito.
«Devo essermi confuso …».
«Nessuna confusione. Sono sicuro che è lei l’assassino e …».
«Ragazzo mio, l’hai detto tu che i mancini sono due qui! E Davide?».
«Il colpevole indossava occhiali da sole abbastanza vistosi. Una persona già ferita all’occhio non rischierebbe mai ancor di peggiorare ancor di più la sua visuale solo ed esclusivamente per nascondersi. No, l’unico che avrebbe potuto indossare gli occhiali da sole per non farsi riconoscere è proprio lei, Nicola. Il colpevole è lei!».
Impallidì. «Che prove hai contro di me?» domandò esasperato.
«Oh, ho scoperto anche come ha provocato il cortocircuito dell’ascensore. L’ha fatto perché non era sicuro che il suo colpo fosse stato mortale e voleva rallentare ogni probabile soccorso. Ha regolato tutti gli elettrodomestici della saletta là in fondo alla stessa ora, alle 19:30. C’è ancora l’ora sul timer. E scommetto che se faremo analizzare i telecomandi, troveremo le sue impronte dato che non ha avuto tempo di pulirle. E’ chiaro adesso?».
«E’ sufficiente … è vero» confessò «l’ho uccisa io».
«Cosa? Ma perché l’ha fatto?» domandò Bianca delusa.
«Ragazzina … cosa vuoi saperne tu? Volevo sposarla, coprirla d’oro e invece …».
«Invece l’hai uccisa, bastardo!». Giovanni Serra sferrò un violentissimo pugno sul volto di Scroglio. Aveva le lacrime agli occhi e gli tremavano le mani. Se non ci fossimo stati noi, probabilmente avremmo assistito ad un ulteriore omicidio.
«Se la amavi veramente … non avresti mai potuto commettere questo gesto così inconsulto!» riuscì a dire ancora Serra mentre veniva trattenuto a stento da Angioletti.
La polizia arrivò dopo mezz’ora e ammanettò Nicola Scroglio. Ma nessuna condanna avrebbe mai potuto risarcire la famiglia e le persone che volevano bene alla vittima.

ANTICIPAZIONE EPISODIO 37: A volte non serve cercare le persone, sono loro che vengono direttamente da te. Alex e Flavio in un'avventura dai toni psichedelici che li porterà a tanto così dall'essere ingannati! ALEX FEDELE EPISODIO 37 - GUERRA AL CLAN(1°Parte). Solo qui a partire dal 12 Maggio 2012!