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sabato 27 agosto 2011

Alex Fedele: Solo per interesse( stagione 1; episodio 2)

SOLO PER INTERESSE(Stagione 1; Episodio 2)

PROLOGO: L'interesse e l'ambizione divorano le persone. Nel prossimo caso, l'omicidio di una donna d'affari che all'apparenza non sembrava potesse nascondere segreti. Un caso che sfida le capacità deduttive per il nuovo eroe del giallo! 





Per la prima volta su Alex Fedele: Sigla per iniziare il caso. Oggi, c'è la bellissima "I don't wanna miss a thing" firmata Aerosmith. D'ora in poi ogni caso avrà una canzone che la introdurrà.



SOLO PER INTERESSE


CASE 6 – Cercasi Fama


Erano passati circa una decina di giorni dalla risoluzione del mio primo caso ed in televisione non si parlava d’altro. Gli spazi dei tg dedicati alla cronaca nera parlavano del caso all’unisono. Le colonne dei giornali si riempivano di pareri di esperti criminologi intenti a motivare con conoscenze e nozioni psicologiche il comportamento dell’assassino. L’ultima notizia in ordine di tempo è che la donna arrestata, la moglie della povera vittima, avesse tentato di togliersi la vita in prigione, nella sua cella, utilizzando un ferro sporgente delle sbarre che costituivano la finestrella della stanzetta.
«Bah…questi assassini» esordì Flavio spaparanzato sul divano con una bibita frizzante nella mano destra ed il telecomando nella sinistra. «Credono che la polizia si diverta ad incastrarli. E dopo aver fatto fuori una persona, decidono di suicidarsi, come se la vita fosse una sorta di telefonino a batteria ricaricabile. Non sanno che è una sola?»
«Probabilmente no.» risposi esausto sul divano.Avevo guardato circa una decina di notiziari in tv quel pomeriggio. Flavio non cambiava canale un momento. Voleva controllare che il suo nome fosse ripetuto in qualche tg. Invece nada. Il giornalista di turno si limitava a ripetere “Brillante operazione della polizia di Torino”, oppure nominava solo Ducato. Lui sì che aveva avuto successo diamine. Non ero mai stato un tizio che volesse la popolarità o che si esaltasse per un nome pronunciato in mondovisione, ma devo dire che non mi sarebbe dispiaciuto affatto. Finalmente Flavio spense la tv. Ci fu un attimo di silenzio. Poi si alzò dal divano, si diresse verso la scrivania e si sedette, fissando il vuoto.
«Cosa stai facendo?» chiesi insospettito.
«Sto pensando»
«A cosa?»
«Al fatto che nominino Ducato e non me»
«Be’, è lui l’ispettore»
«Certo, ma l’investigatore sono io!» disse spazientito.
«E cosa dovrei dire io? Ho risolto il caso e non mi hanno menzionato nemmeno una volta»
«Tu? Ah ah ah! Non farmi ridere! Non crederai davvero che io non abbia proferito parola nel caso perché non sapessi nulla vero? Volevo vedere il tuo livello di preparazione.»
«Ah davvero?»
«Non te n’eri accorto?»
«Per niente»
«Non sei molto sveglio»
«Dipende dai punti di vista»
«No, non hai capito. Non è soggettiva la cosa»
«Sai cosa penso?»
«Cosa?»
«Che in realtà, tu non avevi la minima idea di cosa fosse successo nel caso dei Fratti»
Alzandosi di scatto tirò un violento pugno sulla scrivania, in stile Mohammed Alì, ma rimasi comunque fermo nella mia posizione. In quei dieci giorni, Flavio si era agitato più volte di quanto aveva tentato di parlare normale. Si agitava quando finiva il dentifricio, o quando una piccola chiazza di caffè gli macchiava i pantaloni. Si arrabbiava quando finiva le sigarette. La sera prima si era arrabbiato perfino con l’annunciatore televisivo di canale nove, quando, nell’annunciare un programma ha sbagliato clamorosamente il titolo facendo una gaffe.
«Ma come ti permetti? Non lo sai che vengo da quindici anni di servizio?»
«Certo, certo» dissi sbadigliando.
«E allora cosa?...»
Mentre stavamo discutendo su chi avesse ragione , la nostra “interessantissima” conversazione, fu interrotta dall’arrivo di Bianca. La ragazza aprì la porta e disse:
«Sono tornata ragazzi»
«Dove sei stata?» chiedemmo all’unisono. Non nego che mi interessava e non nego certo che Flavio mi guardò storto.
«Uao. Non ho un padre ed un nuovo amico…probabilmente ho due suocere in casa» disse sorridendo.
«Allora?» insistette Flavio.
«Sono stata a scuola»
«A scuola? Ai miei tempi le scuole chiudevano i portoni all’ora di pranzo. Invece all’una mi sono ritrovato da solo come un fesso in cucina a tentare di preparami un uovo al tegamino. Capisci? Un misero uovo al tegamino!»
«Non c’era Alex con te?»
«No. Era in giro per la città con suo fratello e all’uscita da scuola di quest’ultimo sono andati in un fast food. Non mi ha nemmeno invitato!»
«Ma-Ma- io non credevo ti piacessero questo genere di cose. Non l’ho mica fatto apposta!» dissi a mia discolpa.
«Si, si come no! Comunque signorina, cosa sei stata a fare fino alle sei della sera in quella scuola?»
«Nulla di particolare. Barbara è rimasta per un corso di musica e sono rimasta a tenergli compagnia»
«Quindi se Barbara si buttasse da ponte tu le faresti compagnia?»
«Papà!» disse esasperata Bianca.
«Non farmi “Papà!”. Non ti sei degnata nemmeno di avvertire! Lo sai che ho il cellulare senza soldi. Mi hai fatto preoccupare!»
«Di questo mi dispiace molto. Per farmi perdonare cucinerò una bella cenetta per voi contenti?»
Lo sguardo di Flavio parve raggelarsi. Bianca cucinava molto bene. Non lo faceva perché doveva farlo. Mi aveva confidato che suo padre non aveva mai preteso che lei cucinasse, ma lei si sentiva in dovere di farlo. Inoltre le piaceva molto amalgamare i sapori, mettere insieme gli ingredienti per creare qualcosa di suo. In quei dieci giorni di “villeggiatura” era stata molto gentile nel farmi assaggiare cose che, a detta di suo padre, «non preparava da anni».
«Mi metto subito al lavoro» affermò la ragazza.
«Grazie figliola» disse Flavio.
Bianca uscì repentina dalla stanza e si diresse in cucina. Sentimmo la luce della stanza accendersi,il rumore delle pentole appena prese e lo scroscio dell’acqua proveniente dal lavandino.
«Posso chiederti una cosa Flavio?»
«Dimmi»
«Ho notato che nell’ufficio c’è un’altra scrivania. E’ tua, oppure c’è qualcuno che non conosco»
«Sai che sei proprio un ficcanaso matricolato?»
«Lo so. E’ il mio lavoro. Ed anche il tuo da un po’.»
Dopo il consueto sguardo di fuoco rispose «In questo ufficio lavora anche un mio assistente. Si chiama Sergio. Si occupa di cose burocratiche, pratiche, capisci cosa intendo?»
«Perfettamente. Diciamo che ti aiuta a mettere in ordine cose di carattere cartaceo e cose varie»
«Esattamente.»
«E dov’è adesso? Non l’ho mai visto in questi giorni»
«Essendo molto giovane, è uno stupido.»
«Cosa vuol dire questa cosa?»
«Che a ventisei anni mi ha chiesto le ferie. Ora sarà su qualche spiaggia del sud, magari in compagnia di una sorta di brasiliana»
Sorrisi. «Ti manca?»
«Diamine no! Mi manca il suo ordine, quello si!»
Risi. In realtà secondo me un po’ gli mancava. In realtà Flavio aveva(anche se molto in fondo) un cuore.
«Un’altra cosa. Scusa l’insistenza, ma sulla tua scrivania, è presente una foto di un bambino. Non può essere Bianca, è evidentemente un maschietto. Posso sapere di chi si tratta?»
«Dimmi la verità. Ti pagano per estorcermi informazioni?»
«Ah ah ah! Ma che vai a pensare?»
«Comunque è mio figlio»
«Hai un figlio?»
«Certo»
«Come si chiama?»
«Fabio»
«Ma, è qui a Torino?»
«Uff…no, vive fuori perché studia all’università di medicina, ma comunque ti informo che tra un po’ di giorni si trasferirà di nuovo a casa, perché dovrà fare praticantato nell’ospedale»
«Capisco» dissi. Per poi continuare con «Sai, credevo che ti comportassi gentilmente con mio fratello perché lo vedevi come il figlio che non avevi mai avuto»
«Tu vedi troppi film sai?»
«Essere detective significa sospettare di tutto e tutti»
«Significa anche stare zitti un momento!» disse irritato.
Forse non avrei dovuto dirlo, ma non resistetti.
«Sai che sei buffo?»
«Io?»
«No, il tizio che hai affianco…certo che tu!»
«Buffo io?»
«Già»
«Ma come ti permetti io ti…»
«Calma!» frenai. «Non è mica un’offesa»
Dopo una pausa di circa una trentina di minuti nei quali Flavio aveva sgomitato per vedere(di nuovo) i suoi tg, la cena fu messa in tavola e le grida di Bianca ci richiamarono all’ordine. A tavola, come di consueto affrontammo i più variegati discorsi. Parlammo di scuola, di lavoro, di sport, politica, società. Insomma, come una buona famigliola.
«Allora» esordì Flavio «Andrea com’è andato il tuo primo giorno?» chiese candidamente al mio fratellino.
«Non male. Il mio fratellone mi ha portato al fast food appena uscito»
«Lo so» disse con la solita aria scorbutica Flavio. Avevo la netta impressione che ce l’avesse “leggermente” con me perché non l’avevo considerato per l’invito al fast food. In compenso, spazzolò gran parte della cena preparata da Bianca. Fece degli agnolotti un sol boccone. Per chi non lo sapesse gli agnolotti sono un tipico piatto torinese a base di pasta ripiena di carne dell’arrosto. Di solito si usavano gli avanzi del giorno precedente per riempirli e così aveva fatto Bianca.

CASE 7 – Il lavoro chiama

«Che scorpacciata!» disse alla fine della serata mostrando tutta la sua indubbia classe. Successivamente Flavio andò in salotto, Andrea in camera sua a giocare ed io e Bianca rimanemmo da soli in cucina.
«Be’ tu vai pure di là. Ci penso io a lavare i piatti»
«Non se ne parla neanche! La lavastoviglie è ancora rotta?»
«Eh già. Il tecnico verrà domani a darle una controllata e fino ad allora ci sono i piatti da lavare a mano.» disse con un sorriso per smorzare i toni.
Lavammo i piatti per un po’ in silenzio. Devo ammettere che seppur abitavo lì ormai da dieci lunghi giorni, provavo ancora una leggera soggezione nel parlare con Bianca. Forse era per i suoi modi troppo gentili, forse per la sua estrema capacità di sorridere in ogni eventualità, ma forse era solo perché, causa la mia professione non avevo un appuntamento con una ragazza da tempo immemore. Eh già. Fare il detective toglieva parecchio tempo.
«Allora» disse timidamente asciugando i piatti «come ti trovi qui in città?»
«Be’.Torino è una città molto popolare, molto bella»
«Andrea che ne dice?»
«Andrea si comporta come un normale ragazzino di cinque anni. Affronta più o meno le novità, anche se per assimilarle ci mette un po’»
«Sai che mi aspettavo peggio?»
«In che senso?»
«Insomma… un bambino di cinque anni in casa. Ad essere sincera a me piacciono i bambini, ma credevo che avrei passato il tempo a cercare di accudirlo»
«Ah, no, no, “don’t worry be happy!”» risposi con scioltezza
«Sbaglio o non è il titolo di quella canzone degli anni ottanta…come si chiamava l’autore?»
«Bobby McFerrin»
«Giusto. Te ne intendi di musica a quanto pare»
«Non farti ingannare…è l’unica cosa che so!» dissi sorridendo.
Scoppiò in una risata abbastanza fragorosa. Con mio sollievo forse il ghiaccio era stato rotto definitivamente.
Finiti di lavare i piatti, decisi di andare in salotto,ma Flavio era già nel mondo dei sogni, così mi recai in camera mia, dove, nemmeno senza rendermene conto, mi addormentai goffamente, svegliandomi nel cuore della notte, vestito ancora, senza che non avessi nemmeno indossato il pigiama.
La mattina dopo, fatta la colazione, accompagnato Andrea a scuola con la macchina di Flavio(che per la cronaca, dopo avermi minacciato al fulmicotone di non rovinare la sua “bimba”, altrimenti mi avrebbe letteralmente sbattuto fuori…), tornai a casa ed entrando nell’ufficio di Flavio, lo trovai intento a scrivere degli appunti parlando al telefono.
«Ok. Si, certo» si limitava a ripetere ad ogni singola domanda del suo misterioso interlocutore.
Posata la cornetta, domandai di cosa si trattasse buttandomi sul divano ed accendendo la tv.
«Che succede?»
«Succede che c’è del lavoro ragazzo.»
«Un caso?»
«No. Dobbiamo andare ad arare i terreni della fattoria di Nonna Papera…certo che è un caso! Quando imparerai ad usare il cervello?» disse in aria comica. Anche quando Flavio mi sgridava non riuscivo a trattenere le risate. Era molto buffo quando fingeva di arrabbiarsi. Bianca d’altronde me l’aveva detto. Suo padre era un po’ burbero(un po’ tanto), ma non era cattivo e certo non aveva cattive intenzioni.
Ci recammo fuori città. In una villetta di campagna abbastanza moderna ed immersa nel verde. Un viottolo di pietra portava ad un’entrata in stile barocco. Chiunque dovesse abitare in quella villa, sarebbe dovuto essere un magnate in qualche campo. Insomma, un vero riccone. Il giardino che contornava l’abitazione era curato. Se non sbaglio c’erano tre giardinieri che si occupavano di potare alberi, siepi e cespugli vari. Nulla da dire davvero. Nel sentiero in macchina, durato circa trenta minuti, io, Flavio e Bianca, naturalmente con mio fratello Andrea al seguito, parlammo del caso. Pare che una donna,abile personalità nel mondo finanziario era stata ritrovata morta nel suo studio in casa con una ferita al petto, provocato da un colpo di arma da fuoco. O almeno questo era quello che avevano detto a Flavio.
Alla porta ci aprì una ragazza sui vent’anni. Doveva avere pochi anni più di me. Indossava un grembiule bianco ed ebbi la netta impressione che dovette essere un membro dello staff che curava gli interessi della casa.
«Desiderate?» chiese gentilmente
Prese parola Flavio, che si era messo davanti a tutti. «Detective Moggelli dell’agenzia investigativa Moggelli. Mi hanno chiamato poco fa»
«Oh si, certo. Accomodatevi» disse facendosi da parte e prendendo fiato. Successivamente, fattoci accomodare in un salottino contornato da dipinti di indubbio valore, continuò «I signori Cerruti saranno qui a momenti. Abbiate la pazienza di aspettare». Poi ci congedò con un sorriso e decise di andare a svolgere i suoi compiti.
«Guarda Alex!» disse Bianca indicando un dipinto posto a destra del camino «Quello è il famoso quadro di Monèt!»
«Uao!» esclamai.«Le dejunèr sur l’herbe…è corretto?»
«Che bravo! Ti interessi di arte?»
«No. Alle medie avevo un professore di artistica che ci costringeva a studiare tutte le correnti artistiche e ad analizzare tutti i dipinti. Così ho imparato a distinguerli»
Riuscii a farla ridere. Ci soffermammo su parecchi dipinti in quella stanza. Ce n’erano di molti belli ed appartenevano tutti alla corrente dell’impressionismo. C’erano quadri di Monèt,Renoir, Degàs,Corot, Cèzanne. Insomma, più che un salottino, sembrava una vasta galleria d’arte dedicata ai pittori francesi.
Intanto Flavio si era acceso una sigaretta e se ne stava seduto sulla poltroncina in pelle rosso carminio. Una voce, probabilmente di un uomo sulla trentina risuonò nell’aria e ci fece voltare di scatto verso l’entrata della stanza che dava sul corridoio.
«Signori, così mi offendete.» esordì lo sconosciuto voltandosi verso Flavio.
«Cosa?» rispose Flavio alzandosi dalla poltroncina
«Mi dispiace doverglielo dire, ma non sopporto il fumo. Le dispiacerebbe spegnere quella sigaretta?»
«Oh, certo. Mi perdoni»
«Fa nulla. Dopotutto non poteva sapere che non sopporto il fumo. Sa, mi rende nervoso e non mi fa respirare bene»
«Certo. Le porgo ancora le mie scuse» rispose un imbarazzatissimo Flavio.
«Papà…» disse Bianca a labbra serrate «mi fai sempre imbarazzare…quante volte devo dirtelo di non fumare?»
«Lei deve essere dell’agenzia investigativa vero? Il Detective Moggelli se non erro. Mi corregga se sbaglio»
«Nessun errore signor…?»
«Che sbadato. Non mi sono nemmeno minimamente presentato. Mi chiamo Antonio Ferri e sono il figlio della vittima»
«Condoglianze allora. Mi dispiace del decesso di sua madre»
«E- stato così improvviso che non ce l’aspettavamo nessuno»
«Lo immagino»
L’uomo di fronte a noi doveva avere minimo trent’anni. Il viso corrucciato dall’espressione persa faceva da contorno ad una barbetta sapientemente tagliata ad hoc con la forma del pizzetto. I capelli castano chiaro completavano il quadro dando all’uomo un aria di grande discrezione e al contempo grande dinamismo. Zoppicava in modo evidente dalla gamba destra. Nessuno osò chiedergli come fosse successo tutto ciò.
«Ma non perdiamo tempo detective. Chi sono queste persone?» disse indicando me e Bianca.
«Oh. Questa è mia figlia Bianca e quel ragazzino è un mio protetto. Si chiama Alex e dovrebbe essere un detective»
Sempre gentile vero?
«La conduco di sopra allora. La polizia è già arrivata. L’Ispettore Ducato ha già esaminato il cadavere ma mi ha consigliato di rivolgermi a lei e l’ho chiamata subito.»
Antonio ci fece salire le scale che conducevano al piano superiore. La villa era davvero particolare. Percorremmo una rampa di scale composta da dieci scalini, ma non ci fermammo. Antonio ci disse che lì c’erano le camere da letto ed i bagni. Percorremmo ancora altri dieci scalini e finalmente arrivammo in un corridoio lungo e stretto adornato con quadri di indubbio valore.
Alla nostra vista una donna ci corse incontro.
«Meno male che siete arrivati signori!» disse con l’accento di chi sa ed è orgogliosa di provenire da Napoli.
«Detective Flavio Moggelli. Questi sono, mia figlia Bianca ed il mio assistente Alex.»
Quantomeno adesso mi aveva definito “assistente”. Forse tra una mezz’ora avrebbe cominciato a chiamarmi detective.
«Meno male che siete arrivati, lo ripeto. La polizia ci ha subito raccomandato di ingaggiarvi. Dicono che siete in ripresa dopo un periodo di decadenza. Non è vero»
«Certo.». In quella parola Flavio riuscì a trasmettere tutta la sua tristezza. Non ne ero completamente sicuro, ma qualcosa mi faceva pensare che non sapevo ancora niente(o perlomeno non ancora tutto) di questo bizzarro personaggio. C’era qualcosa nel suo modo di fare, di pensare, di porsi in modo ostile che racchiudeva qualche segreto.
«Mi chiamo Wilma. Wilma Greschi.» disse la donna di fronte a noi. «Sono la domestica di casa Cerruti.»
Notammo un uomo che piangeva appollaiato vicino alla porta. Chiesi subito di chi si trattasse.
«Mi scusi signora Greschi. Chi è quel tizio che piange vicino alla porta?»
«Quello è il signor Boschi. Cristiano. Il fratello della vittima. Povero signor Boschi» disse concludendo il discorso con un filo di voce destinata al pianto.
«Per favore signora. Mi ci faccia parlare» disse Flavio.
Wilma, una donna sulla quarantina abbondante, appena pienotta e con dei capelli raccolti in uno chiffon di colore rossiccio e truccata con un pesante rossetto di color rosso carminio, ci condusse a pochi passi da Cristiano, un uomo dai folti capelli castano scuro e dai lineamenti nettamente giovanili, nonostante da alcune rughe a zampe di galline si evincesse che aveva oltrepassato gli “anta”.
«Signor Boschi» iniziò timidamente la domestica. «Il detective Moggelli vuol parlare con lei.»
Cristiano si asciugò le lacrime. Poi con un cenno mandò via Wilma che si apprestò subito a consolare Antonio.
«Cosa vuole da me detective?» disse in tono straziato.
«Nulla di particolare solo conoscerla almeno visivamente. Non si allarmi.»
«Alex!» una voce risuonò nell’aria come un fuoco d’artificio il giorno di capodanno. Vincenzo Ducato era appena apparso alle mie spalle.
«Ispettore. Come andiamo?»
«Diciamo bene.» E con un cenno salutò anche Flavio e Bianca. «Sapete. Ho appena esaminato il cadavere. La scientifica ha detto che la donna è deceduta per un colpo di arma da fuoco alla testa. Abbiamo perquisito tutti gli abitanti della casa, ma non abbiamo trovato tracce di polvere da sparo»
«Ha controllato gli alibi ispettore?» domandai.
«Certamente. Aspettate un attimo.» La sua voce si alzò in un grido di severità. «Novato! Vieni immediatamente qui con il rapporto completo!»
Anche lui, molto gentile, visto?.
«Lui è Giuseppe Novato. E’ alla sua prima esperienza sul campo, è un novellino, ma me lo sono portato appresso perché ha parecchio fosforo» disse fiondandogli una paterna e violenta pacca sulla schiena che fece sobbalzare il ragazzo. Perché era evidentemente un ragazzo. I capelli neri, tagliati a spina, gli conferivano un aspetto tipicamente giovanile. La sottile barba tagliuzzata gli davano quel tocco di maturità solo apparente. Ma dai suoi modi di fare si vedeva che era molto giovane.
«Mi chiamo Giuseppe Novato signori. Ho venticinque anni e…»
«Novato!» Lo richiamò all’ordine Ducato.« Ti ho chiesto di presentarti? Elenca il rapporto ai signori»
«Giusto, mi scusi signore! Da dove vuole che cominci?»
«Elenca gli alibi dei presenti ai signori e poi prosegui con tutte le informazioni possibili»
«Subito signore. La domestica Wilma Greschi e la sua assistente nei lavori casalinghi addetta dalla famiglia, Juliana Anastasi erano in cucina al momento del delitto. Entrambi testimoniano a favore ed affermano di aver lavorato insieme dalle dieci e trenta fino alle dieci a quarantuno. Per quanto riguarda Antonio Ferri era uscito a fare una passeggiata insieme al suo cane tra le dieci e venticinque e le dieci e cinqantacinque . Ci ha chiesto di domandare ad un suo amico che di professione fa il calzolaio. L’uomo afferma di aver parlato con lui seppur per pochi secondi. Invece Cristiano Cerruti ha affermato di aver dormito fino alle dieci e quarantacinque. Il delitto, per dover di cronaca, è avvenuto tra le dieci e ventinove e le dieci e quarantadue. La vittima si chiamava Gianna Boschi, di professione faceva l’imprenditrice nel campo dell’industria edile. Aveva sessantatre anni e spesso lavorava direttamente da casa. La Boschi S.p.A. è la leader del settore edilizio. Il decesso è avvenuto per colpo da arma da fuoco. La pistola aveva un silenziatore poiché nessuno, nemmeno i vicini hanno udito nessun colpo. Inoltre, prima che arrivaste abbiamo chiesto ai presenti se avessero notato qualcuno di sospetto, o se fosse entrato qualche sconosciuto, ma tutti hanno risposto negativamente. Inoltre, nessuna porta, finestra o entrata è stata forzata. L’assassino deve essere qui in questa stanza.»

CASE 8 – Le prime deduzioni

«Bene Novato» disse soddisfatto l’ispettore. Il cadavere della donna era lì di fronte a noi, ancora adagiato sulla sedia con lo schienale forse eccessivamente spinto in avanti. Il colpo era arrivato alle spalle della donna. Le aveva letteralmente bucato il cranio. I capelli bianchi erano stati inquinati da una folata di sangue rosso che gli annegava il volto, comunque ben tenuto per una signora di quell’età.
«Scusami Novato, ho notato che nella finestra/vetrata di spalle al cadavere c’è il vetro infranto. Sembra che sia partito da lì il colpo, vero?»
Novato assunse un’espressione simile a quelle dei film. Si avvicinò con fare intimidatorio. «Il fatto che tu sia un amico del detective Moggelli non ti da il diritto di fare domande. Sono informazioni riservate capito ragazzino? Ora sparisci!»
Vincenzo Ducato alle sue spalle aveva assunto un colorito di odio. Violaceo.
«Novatooo!» urlò così forte che forse nel Sahara fu sentito. «Lui è Alex Fedele, il detective del PDS, anche lui deve indagare!»
«Ohhh…scusami amico!» disse porgendomi la mano.
Gliela strinsi.
«Comunque si. Il colpo è partito da lì.»
«E’ probabile che il colpo sia stato inferto da lontano. Forse dal giardino prendendo la mira con un mirino.» disse Flavio.
«No. Non è possibile» affermai.
Flavio e Bianca mi guardarono perplessi, con il primo che, visibilmente irritato disse: «Come osi mettere in dubbio la mia parola? Non vedi che il vetro della porta/finestra è infranto?»
«Si, lo vedo. Ma se il colpo fosse stato inferto da lontano, il vetro non si sarebbe rotto in questa maniera. Quando un colpo parte da lontano, più precisamente con un mirino, il vetro si rompe solo nella perfetta forma del proiettile. Insomma, voglio dire che se il colpo fosse partito da lontano, probabilmente nel vetro troveremo solo il buco dello sparo. Invece guardate» dissi indicando il vetro in mille pezzi «il colpo è stato sparato a distanza ravvicinata, anzi, notando la grandezza del davanzale esterno, non mi stupirei se l’assassino si fosse poggiato sul davanzale e avesse fatto partire il colpo da lì In fondo siamo al secondo piano, ma è pur vero che quel davanzale può far sedere normalmente una persona senza pericolo.»
«E’ vero Flavio. Il ragazzo ha ragione» disse Ducato.
«Già, adesso che mi ci fai pensare è vero» disse storcendo il naso e la bocca.
«E’ stata accertata di quale arma si tratti?» chiese Flavio avvicinandosi a Novato.
«C-certo. Secondo le analisi sulla polvere da sparo, e dalle ipotesi della scientifica si tratta di una Browning Buckmark 22 l»
«Un’arma con la canna lunga» osservò sagacemente Flavio.
Mentre si classificava l’arma, mi avvicinai al cadavere. Il colpo era davvero stato inferto da vicino. Ad occhio e croce era stato mortale. Aveva colpito in pieno la parte posteriore del cervello. Aprì la finestra alle spalle della vittima munendomi di guanti affidatomi gentilmente dalla polizia. Stavo esaminando la scena. Sul davanzale non erano presenti tracce, ma solo tracce di cenere.
«Scusate.» dissi richiamando l’attenzione di tutti
«Che cosa c’è Alex?» affermò l’ispettore
«Ho notato che sul davanzale ci sono alcune tracce di cenere. Probabilmente il nostro assassino fumava»
Ad interrompere la conversazione fu Cristiano. «Mi dispiace deluderti ragazzino, ma mia sorella, essendo un’accanita fumatrice, spesso anche in mia presenza fumava proprio su quel davanzale aprendo la finestra.».
«Bene.» cominciò Giuseppe Novato. «Secondo gli ordini dell’ispettore devo chiedervi se qualcuno di voi ha visto la vittima prima dell’ora del decesso che stando agli analisi è stimata tra le dieci e ventinove e le dieci e quarantadue. Cominciamo con lei signora Greschi» disse rivolgendosi a Wilma, la domestica.
«Dica pure agente» disse mostrandosi cortese la signora.
«Lei ricorda in quel lasso di tempo di aver parlato con la vittima?»
«Be’…»
«Signora, la preghiamo di aiutarci, stiamo cercando di fare giustizia» disse Ducato, per poi aggiungere. «Novato, continuo io qui»
«Io con la signora stamattina ci ho parlato» disse con inconfondibile accento campano.
«Quando?»
«Dovevo ancora entrare in cucina. Era prima delle dieci e trenta sicuramente»
«Quindi lei afferma di aver parlato con la signora verso che ora?»
«E’ stata cosa di pochi secondi. Gli ho chiesto cosa volesse che preparassi per pranzo, ma lei ha detto che non avrebbe mangiato perché aveva molto lavoro da fare ed io ho lasciato la stanza».
«Lei ha dichiarato di aver lavorato in cucina dalle dieci e trenta.» proseguì l’ispettore.
«E lo confermo. In cucina c’è un orologio a pendolo e ho visto chiaramente l’ora. Ripeto, è stata roba di pochi secondi. Probabilmente non è passato nemmeno un minuto dalle dieci e ventinove e le dieci e trenta. Quello che è successo dopo non so.»
«Bene Signora. Signor Cristiano, proseguiamo con lei»
L’uomo si avvicinò con fare strafottente, e con gli stessi modi si accese una sigaretta.
«Dica» si limitò a dire.
«Lei ha avuto modo di parlare con la signora?»
«Purtroppo no. Non ne ho avuto la possibilità. Come ho riferito prima, sono stato a letto fino alle dieci e quarantacinque circa.»
«Non ha notato nulla di strano?»
«Stavo dormendo. Cosa avrei dovuto notare?» disse in modo scortese.
«Insomma lei ha dormito e non ha visto niente.»
«Già»
«Bene, può andare. Ora voglio qui di fronte a me il signor Ferri.»
«Mi chiami Antonio» disse Ferri.
«Ok Antonio. Lei ha avuto modo di parlare con sua madre?»
«Si»
«Ne è proprio sicuro?»
«Be’…non proprio»
Tutti lo guardammo con aria interrogativa.
«Non guardatemi così. Volevo dire che io sono effettivamente entrato nell’ufficio di mia madre, ho preso la cartellina dalla scrivania che avevo dimenticato ieri sera e ho provato a scambiare qualche parola con lei. Ma i rapporti tra me e mia madre sono stati molto tesi ultimamente. Era girata di spalle rivolta verso la finestra e alle mie domande non ha proferito parola, così ho lasciato perdere. Erano circa le dieci e trentacinque.»
«Mi sa dire il perché?»
«Be’ vede. Io non volevo che lasciasse papà»
«Quindi sua madre era separata?»
«Si, da circa un anno. Mio padre non avevo intestato nulla e quindi, quando fu lasciato da mia madre, rimase in mezzo ad una strada»
«Dov’è suo padre adesso?»
«Mio padre è morto da due mesi a questa parte. Viveva in un monolocale, la polizia ha detto che è morto per infarto»
«Mi dispiace signor Antonio»
«Sono cose che capitano nella vita». Abbassò lo sguardo e vedemmo scendere una piccola lacrima.
«Lei però aveva un ottimo movente se vogliamo»
«Cosa? Ispettore non sospetterà di me?»
«Sospetto di tutti signor Antonio. Fatto sta che lei è comunque l’unico che, stando ai fatti, avesse un valido movente per far fuori la signora Boschi. Può comunque andare»
«L’ispettore ordinò agli agenti di interrogare anche l’altra domestica al piano inferiore e di riferirgli il reperto, che fu successivamente negativo. Fece uscire dalla stanza tutti i sospetti, facendoli naturalmente scortare da ben due agenti della scientifica. Nella stanza ora c’eravamo solo noi.
Io, Flavio, Ducato, Novato, Bianca ed il cadavere.
«Cosa ne pensate?» chiese l’ispettore a me e Flavio.
«Nulla di che ispettore. Gli indizi sono ancora troppo pochi» affermò Flavio.
«Confermo» subentrai. Poi cominciai a pensare profondamente. Confesso che non ascoltai una sola parola di quello che dissero in quel frangente. Qualcuno aveva ucciso la povera vittima con un colpo di pistola. La pistola usata era abbastanza semplice. Poteva usarla anche un principiante. Sul davanzale c’era della cenere di sigaretta, ma la signora aveva la consuetudine di affacciarsi sul davanzale per fumare.
Ad un tratto mi venne un idea. L’assassino non avrebbe mai rischiato di essere visto e non si sarebbe mai addentrato nel giardino, appoggiato sul davanzale e sparato. No, non l’avrebbe mai fatto. Rischiava di destare troppi sospetti. Probabilmente aveva usato un metodo particolare, tenendo conto anche che,secondo le testimonianze che avevo udito sparse per la stanza, i giardinieri si trovassero solo sulla parte opposta del giardino. Mi affacciai al davanzale. Volsi il mio sguardo sopra. Poi domandai all’ispettore.
«Ispettore mi scusi. Una domanda»
«Dimmi pure ragazzo»
«Che stanza c’è al terzo piano»
«Novato ha perquisito tutta la casa. Sopra c’è solo una camera. Quella di Cristiano. Era la camera dove il ragazzo dormiva»
«Ok. Grazie»
Qualcosa mi insospettiva. Nulla di che si intende, ma per indole…sapete com’è.
Un particolare però destò la mia attenzione. Appena sopra il davanzale della finestra, a far da contorno alla porta/finestra, c’era una colonnina di pietra che impreziosiva il tutto. La colonna era disegnata in stile barocco, ma aveva qualcosa che non andava. A distanza di circa dieci centimetri l’uno dall’altro c’erano due segni. Segni di forzatura che erano stati fatti probabilmente intenzionalemente. Non si trattava di pietra rotta, né tantomeno di pietra recisa. Su quella colonnina c’erano due segni spessi circa un centimetro e che si protraevano per una buona decina di essi.
Forse avevo capito, ma mi ci voleva ancora qualche prova. Avevo individuato il papabile colpevole, ma come al solito la cosa difficile è trovare gli elementi che lo inchiodino.
Mentre ero assorto nei miei pensieri, Flavio non si era certo smentito.
«Ispettore posso accendermi una sigaretta?»
«Ma che domande sono? Certo che puoi, perché me lo chiedi?»
«Credevo che sapesse del problema del figlio della vittima. Non sopporta il fumo»
«Be’ poco prima di far rientrare i sospetti faremo arieggiare la stanza. Fai pure se ti aiuta a riflettere»
Flavio fumò la sua sigaretta. Bianca si era allontanata. Nemmeno lei sopporta il fumo. Ad un tratto, con Flavio fumatore, Ducato e l’agente Novato intenti a consultare i rapporti stilati anzitempo e me intento a guardare il giardino con lo sguardo corrucciato, sembrava di essere in una scena di un film thriller.
Bianca spezzò l’atmosfera. Si avvicinò a me e disse:
«Trovato nulla?»
«Uh? No, no ancora niente»
«E’ in difficoltà signor detective?»
«Direi di no» risposi con un sorrisino malizioso. «Probabilmente ci sono vicino. Ho già un sospetto.»
«Davvero? Chi è?»
«Non posso dirtelo se non trovo le prove Bianca»
A noi si avvicinò Flavio.
«Cosa state farfugliando voi due?»
«Niente!» dicemmo insieme. Avere Flavio come padre non doveva essere affatto facile. Era molto…sentinella.
«Queste nuove sigarette fanno davvero schifo. Meglio buttarla» e così fece riponendola nell’apposito posacenere. Il posacenere di casa Boschi non era un classico posacenere. Era uno di quei contenitori che si trovavano negli uffici pubblici. Molto grande, alto circa un metro e di colore bronzeo, era ripieno di sabbia e di cicche di sigarette.
Vidi la sigaretta ancora fumante buttata dal detective. Improvvisamente ebbi un sussulto. C’erano mozziconi di sigaretta ovunque nel contenitore, ma erano tutti marcati con un rossetto. Tutti tranne uno. Controllai le labbra della vittima. Indossava, così come Wilma un rossetto forte. Ora avevo le prove di cui avevo bisogno. Non c’era più nulla che potesse frenarmi.
«Ispettore» dissi richiamando la sua attenzione, allontanandomi da Bianca e Flavio.
«Dimmi Alex»
«Faccia rientrare i presenti. Sono arrivato alla soluzione del caso?»
«Cosa? Ma se non c’è nessun elemento…!»
«Ispettore si fidi di me»
«E se sbagli?»
«Nessuno nasce imparato. Ma se non ci provo, un assassino rimarrà pulito  nonostante le sue colpe.»
«Ok» disse perplesso ed infastidito. «Novato! Vai a chiamare i sospetti e digli immediatamente di arivare!»
«Sissignore!»
Novato ci mise relativamente poco. Dopo un paio di minuti avevamo di nuovo la stanza piena. Flavio in quei due “interminabili” minuti aveva fatto osservazioni del tipo: “sicuro?” “se sbagli la tua già misera reputazione crollerà”, oppure “non potevi aspettare?”. Ricevendo un “no” quasi logorroico a tutte le sue insulse domande.

CASE 9 – La verità

«Bene signori» prese la parola Ducato. «Il nostro collaboratore, Alex Fedele, ha annunciato di avere novità risalenti al caso. Vi prego di ascoltare attentamente ciò che ha da dirvi.» disse indicandomi.
«Bene. Grazie ispettore Ducato. Partiamo da un presupposto. L’assassino è in questa stanza. Secondo il rapporto che voi stessi avete contribuito a stilare, nessuno di voi ha notato cose sospette. Nessuno di voi ha aperto a sconosciuti. Nessuno di voi ha notato forzature alle entrate.»
«Quindi?» disse Wilma.
«Quindi signora, l’assassino, come già accertato in precedenza è in questa stanza. Come sapete l’unica persona che sulla carta avesse un movente valido per eliminare la signora Boschi era suo figlio, il signor Antonio Ferri.»
Antonio si alzò di scatto affaticandosi. «Cosa vuole insinuare? Io non ho fatto assolutamente niente!»
«Si calmi signor Ferri. Si rimetta a sedere. Ho semplicemente fatto una considerazione» dissi tenendo il mio braccio sul fianco.
«Devo dire però una cosa. Se fossi stato un criminale, dovrei fare le mie critiche all’omicida. Il killer infatti, ha lasciato tracce non molto evidenti vero, ma comunque che possono parlare per loro stesse»
«Cosa vuoi dire?» disse Flavio
«Voglio dire che serviva davvero molta concentrazione per scovare le tracce lasciate dal colpevole»
«Non ci sto capendo niente ragazzo! Ti consiglio di parlare e alla svelta anche!» mi rimproverò Ducato.
«Ok ispettore mi scusi. Ricostruiamo i fatti. Il delitto secondo alcune supposizioni della scientifica deve essere avvenuto nel lasso di tempo che va dalle dieci e ventinove e le dieci e quarantadue. L’omicida ci ha messo dunque tredici minuti per eliminare la vittima, ma non è detto che li abbia utilizzati tutti. Come sapete, l’ora stimata è solo una supposizione e spesso è un fattore variabile. La signora Wilma, è entrata nella stanza ed ha parlato, seppur per pochi secondi con la signora Boschi. Questo vale a dire che alle dieci e trenta la donna era ancora viva e vegeta.»
«Confermo» disse la Greschi.
«Tuttavia, anche il signor Antonio afferma di essere entrato circa cinque-sei minuti dopo per prendere delle cartelline dimenticate, ma nel tentativo di instaurare un dialogo con sua madre non ha ottenuto buoni risultati con la madre che taceva perché aveva avuto rapporti tesi con suo figlio. Giusto signor Ferri?»
«E’ corretto»
«No invece. Non lo è affatto!» dissi suscitando una serie di “ehhh?” nella stanza.
«Ma cosa dice? Mia sorella aveva litigato in mia presenza con mio nipote»
«Signor Cristiano, non sto mettendo in dubbio cosa è successo nelle vostre cose private. Quello che volevo dire è che l’assassino aveva già eliminato la povera donna quando suo figlio è entrato nella stanza.»
«Non è possibile! Avrei visto se mia madre fosse stata uccisa non le pare?»
«Eh no, signor Ferri. Lei non poteva vedere un bel niente. Un bel niente. Lei ha affermato durante la sua ricostruzione dei fatti che sua madre era voltata con la sedia verso la finestra. Lei non le ha visto la faccia o peggio la testa»
«Be’ è vero» ammise Ferri.
«Ascoltate…» dissi iniziando. Ma fui interrotto da Flavio. «Vuoi dirci chi è l’omicida secondo te?»
«Ci stavo arrivando, ma credo che non avrà problemi ad ammetterlo di fronte a prove schiaccianti. Non è vero signor Cristiano?»
Tutti si voltarono verso di lui. La stanza era assorta in un silenzio tombale. Tutti erano increduli. Lui manteneva il suo consueto sangue freddo. Gli occhi di ghiaccio scrutavano ogni singolo millimetro della mia persona. Forse stava pensando a scappare, forse ad attaccarmi, forse mi avrebbe riso in faccia. E così fu.
Dopo la fragorosa risata, senza mezzi termini affermò:
«Lei è un’idiota lo sa?»
«Signor Cristiano, mi perdoni, ma qui l’idiota è lei» dissi con tutta la calma possibile.
«Ok, genio. Mi spieghi come avrei fatto se stavo dormendo»
«E’ quello che ci ha fatto credere. Sa prima, mi sono affacciato sul davanzale. Ho notato che l’unica stanza sopra l’ufficio della signora Boschi è la sua camera.»
«E quindi? Non può provare nulla»
«Oltre che idiota, vedo che lei è molto maleducato. Mi faccia finire la ricostruzione dei fatti. Successivamente, se avrà il coraggio, potrà contestare l’incontestabile.» Schiarendomi la voce e prendendo fiato, cominciai lentamente a parlare.
«Lei, signor Cristiano era sveglio. Non so da quanto tempo, ma era all’erta come un grillo. Lei ha usufruito di una corda per calarsi dal piano superiore fino al davanzale di questa finestra. Ha legato la corda probabilmente ai pomoli del letto ed è sceso lentamente al piano di sotto. La corda però, complice la sua forzatura per atterrare il più lentamente e soprattutto silenziosamente possibile è strusciata sulla colonnina che sta sopra la cornice della porta finestra. Ispettore. Faccia controllare pure. Su quella colonnina ci sono due segni simili a delle corde e sono distanziati di circa dieci centimetri l’un l’altro.»
«Corrisponde ispettore» si limitò a dire Novato.
«Me ne sono accorto prima, quando ho guardato di sopra. I segni erano molto evidenti. Ma non trastulliamoci. Continuiamo nella ricostruzione.»
«Sì continui. Sono curioso» disse Ferri.
«Bene. Dopo essere atterrato sullo spazioso davanzale/muretto della porta finestra, lei ha estratto l’arma e a sangue freddo ha sparato alla testa della povera vittima. Come scritto nel rapporto della polizia, l’arma era ovviamente inclusa di silenziatore. Non contento però…»
«Ora basta! Sono tutte baggianate. Non starò qui un minuto di più a farmi spacciare come assassino. Non potete condannarmi» disse accendendosi una sigaretta.
Aspettai qualche secondo. Poi dissi voltandomi di spalle.
«Le annuncio Cristiano che lei si è appena condannato da solo!»
La stanza non sapeva più come comportarsi. Avevo addosso gli occhi di quasi dieci persone. Nel frattempo anche l’aiutante di Wilma era salita per il trambusto. Avevo addosso sguardi increduli, rapaci, vivaci, cattivi, di ammirazione. Un mix insomma.
Tirando dalla sigaretta mi guardò quasi con compassione. «Davvero? Perché?»
«Perché lei si è appena fatto un clamoroso autogol accendendosi quella sigaretta! Sul davanzale sono state trovate tracce di cenere di sigaretta. Lei, per sviarmi, mi ha detto che sua sorella fumava su quel davanzale, è corretto?»
«Giustissimo»
«Ma lei deve essere già sceso con la sigaretta in bocca. Da quando è qui si è acceso davanti a noi minimo tre-quattro sigarette e prima, quando ci siamo conosciuti, il suo alito era già pesante per via del tabacco, quindi lei aveva già fumato. Stavolta però la sua passione per il fumo le è costata cara. Ho notato che lei si accende le sigarette nei momenti di nervosismo. Se l’è accesa adesso che la sto incolpando. L’aveva accesa quando aveva deciso di commettere il delitto e anche quando è stato interrogato dall’ispettore. Chissà quante altre volte lo ha fatto. Lei è il classico fumatore compulsivo, quello che si accende la sigaretta per sfuggire allo stress.»
«Le pare una prova sufficiente?» disse con gli occhi vitrei. Avevo colpito nel segno.
«Oh, no di certo. Ma lei dovrebbe fare una bella ramanzina al negozio di cosmetici di sua sorella.»
«C-Cosa? Cosa centra adesso il negozio di cosmetici di mia sorella? Lei è un matto lo sa?»
«Per sua sfortuna sua sorella indossava un rossetto molto acceso ed era una fumatrice accanita come lei. Le sue sigarette sono depositate in quel contenitore appena sotto la finestra dove si recava a fumare come da lei stesso ammesso, abitualmente. In questa casa anche Wilma fuma. L’ho vista prima che si faceva spuntare dalla tasca posteriore del pantalone un pacchetto di sigarette. Ma anche Wilma ha un rossetto forte e quando avrebbe fumato il suo rossetto sarebbe rimasto impresso sulla parte che si mette tra le labbra. Inoltre entrambe le donne fanno un uso massiccio di rossetto, quindi è impossibile che in un contatto diretto, come quello del mettersi tra le labbra una sigaretta, il rossetto non possa rimanere per marchiare la parte della sigaretta o di qualsiasi altra cosa si tratti»
Il volto di Cristiano si fece paonazzo. Forse cominciava a capire doveva aveva sbagliato.
Continuai con la gente che mi fissava imperterrita.
«Stando a suo nipote Antonio. Non sopporta il fumo ed ha chiesto al detective Moggelli di spegnere la sigaretta che stava fumando maleducatamente nel salottino al piano di sotto.»
Flavio si avvicinò repentinamente. «Come maleducato? Razza di…» disse a labbra strette prima di essere interrotto ancora da me.
«Neanche l’assistente fuma ed inoltre non è mai entrata in contatto con la signora. Eppure dia un’occhiata nel contenitore dove sua sorella buttava le cicche di sigaretta. Sono tutte contrassegnate da rossetto tranne due. Se Wilma avesse fumato, la sigaretta sarebbe risultata macchiata. Antonio e Juliana non fumano, l’unico che poteva buttare quella sigaretta è lei signor Cristiano. Avanti, confessi!» Mi ero avvicinato a lui, a muso duro, con gli occhi di fuoco. Non sopportavo gli arroganti, non sopportavo gli assassini.
Continuai ancora a mettere il dito nella piaga.«Inoltre sono sicuro che in camera sua sulla corda che ha sicuramente troveremo delle tracce di pietra. Troveremo anche l’arma del delitto. Lei una volta sparato, ha buttato la sigaretta che stava fumando quando si è calato sul davanzale nel contenitore, e se n’è accesa un’altra per il nervoso di aver commesso un delitto così crudele. Come potete notare una sigaretta senza rossetto è finita, mentre l’altra non sta nemmeno a metà. Deve averla buttata dopo solo due-tre tiri. Poi è ritornato sopra, ha messo tutto a posto e si è rimesso a dormire aspettando l’allarme. E’ stato un ottimo attore. Ha versato lacrime vicino a quella porta» dissi indicando con l’indice la porta d’entrata. «Senza considerare poi il fatto che se lei avesse voluto incolpare suo nipote, non l’avrebbe fatta franca lo stesso. Oltre a non fumare, suo nipote è anche invalidato per problemi ad una gamba che lo fanno zoppicare, a compere quell’azione acrobatica di cui lei, essendo possessore di un fisico aitante sicuramente non avrà avuto problemi a compiere.»
Il suo volto era di fronte al mio. I presenti stavano zitti. Aveva abbassato lo sguardo. Si allontanò lentamente. Poi applaudì lentamente.
«Bravo ragazzino. Alla fine mi hai incastrato»
«Zio! Come hai potuto?» disse Antonio.
«Come ho potuto? Come ho potuto? Non parlare Antonio. Tua madre era solo una bastarda!»
Antonio, sentendosi ferito nell’orgoglio partì a tutta carica con l’intenzione di picchiare suo zio. Novato lo trattenne a fatica.
«Perché lo ha fatto? Perché Cristiano?» domandai
«Avevo collezionato vari debiti ultimamente per la mia passione di giocare con gli amici. Ultimamente dovevo una grossa somma ad un mio amico. Ammontava a diecimila euro. Avevo chiesto un prestito a mia sorella, ma lei mi aveva detto che era meglio se andavo a lavorare, che mi sarei dovuto creare una famiglia, che avrei dovuto smetterla di cercare la via più facile per guadagnare. Mi disse che ero la pecora nera della famiglia. Mi mollò uno schiaffo. L’ira mi ha accecato ed ho premeditato tutto. Il resto è andato come ha detto il ragazzino» disse guardandomi con malinconia.
«Sua sorella le ha detto quelle cose solo per il suo bene. Ma è inutile che glielo dica io. Lei potrà riflettere in carcere. Non è stupido. Ci arriverà da solo.»
«Signor Boschi. La dichiaro in arresto. Novato, ammanettalo e portalo alla centrale.» disse l’ispettore.
Flavio se ne stava incredulo appoggiato alla scrivania.
«Credimi Antonio» disse già ammanettato Cristiano. «Non volevo farlo. E’ stato un momento di nervi»
«Gli stessi nervi che ti hanno tradito» disse il figlio della vittima.
Abbassai lo sguardo. Una vittima era morta. Una vita era stata interrotta come in un blackout dalla furia omicida di una persona che aveva dei problemi, di un uomo apparentemente grande anagraficamente. Ma in realtà si trattava di un uomo che ancora non aveva imparato a crescere, non aveva imparato ad assumersi le sue responsabilità. Non aveva un lavoro. Sua sorella aveva detto quelle cose per il suo bene e lui inconsciamente non aveva capito.


L’ispettore si congratulò con me e Flavio per aver risolto il caso. Ok, a dir la verità si complimentò più con me che con Flavio dicendo che “il progetto del PDS proseguiva alla perfezione e Flavio aveva con sé un valido alleato”. Il PDS prevedeva che fossero i reduci del corso in prova a provare a risolvere i casi. Se ci avessero indovinato ok. Altrimenti subentrava il detective professionista.

Per fortuna non avevo avuto quel problema.
All’uscita Bianca smorzò i toni.«Che bravi siete stati! Complimenti!»
«Grazie figliola» disse Flavio. Aveva parlato lui. Che non aveva fatto nulla. Vabbè.
«Che ne dite» dissi « di andare a prendere Andrea a scuola e di pranzare in un ristorante giapponese? Offro io»
Flavio venne da me e mi diede una pacca sulla spalla abbastanza violenta.
«Ora si che ragioniamo! Ragazzo, qualcosa hai imparato. A ricambiare i favori!»
Feci una mezza risata. Dopotutto avevo spedito in galera un mostro, avevo dato sfoggio delle mie capacità. Mi stavo integrando bene con i Moggelli. Ero un ragazzo felice. Ma la strada era ancora lunga.




ANTICIPAZIONE EPISODIO 3!
L'amore è spesso un sentimento ambiguo. Le persone difficilmente riescono a dire tutto ciò che vogliono quando si ritrovano travolti da questa ondata di sentimenti turbinanti. Può finire bene, un matrimonio, un hotel addobbato per l'occasione, una serie di festeggiamenti vari. Ma ditemi, cosa succede se scoppia la tragedia?

ALEX FEDELE EPISODIO NUMERO 3: VENDETTA DI MATRIMONIO
Solo su questo blog a partire dal 3 Settembre. NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!


Matteo Iacobucci