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sabato 3 marzo 2012

Alex Fedele: Il perdono(stagione 1; episodio 29)


IL PERDONO

PROLOGO: Qual'è la cosa più difficile da fare quando si ha subìto un torto? Perdonare, esatto. Tra casi coinvolgenti, sentimenti contrastanti, relazioni trapiantate e forza di ricominciare, chi avrà mai la forza di concedere ... il perdono? 

Sigla di oggi: "Domani" by Lucio Dalla




CAPITOLO I – Il sospetto la fa da padrone

Fra tre ore mia madre sarebbe dovuta partire per il Giappone. Ormai erano giorni che non ci parlavamo nemmeno più. L’indifferenza la faceva da padrone in un turbinio incontrastato di emozioni. Ogni qual volta provavo ad abbracciarla, c’era un’anima dentro di me che mi faceva diventare restio a farlo. L’orgoglio è una cosa bruttissima a volte. Ti impedisce di pentirti e di far pentire. Nei giorni passati provarono a parlarmi sia Bianca che Flavio. Mi dissero che ero uno stupido a non perdonare mia madre e che ero solo un egoista montato. Fabio provò a farmi ragionare. Ma discutemmo quando lui mi apostrofò come “permaloso”. Insomma, stavo da schifo e lo sapevo bene.
Leggevo Sherlock Holmes, “Il mastino dei Baskerville” e me ne stavo a gambe accavallate sul letto.
«Ehi» disse caldamente Bianca entrando nella mia stanza. «Come va?».
«Potrebbe andar meglio».
«Ancora arrabbiato?».
«Furioso».
«E dai …» sussurrò carezzandomi il capo. «Tua madre deve partire tra tre ore per il Giappone e non vi rivolgete nemmeno la parola».
«Quindi?».
«Non fare il bambino!».
«Fare il bambino è la cosa più bella del mondo. E’ grazie a loro che il mondo va avanti».
«Filosofo?».
«Preferisco profondo, grazie».
«Ad ogni modo, verrai ad accompagnarla all’aeroporto … non è vero?».
«Forse … ».
«Comunque io, Fabio, papà e tua madre,andiamo a bere qualcosa al bar … venite anche tu e Andrea?».
«Solo se lui vuole. Per quanto mi riguarda potrei anche rimanere a casa».
Mi colpì con una cuscinata e mi confermò la risposta positiva di Andrea. Gliel’aveva già chiesto prima.
Circa quindici minuti dopo, stavamo passeggiando in strada, direzione “Gold”. Il bar era nelle vicinanze dell’agenzia investigativa ed era il preferito di Flavio. Domandategli informazioni e vi risponderà con la medesima frase riusata e strausata: «Lì si beve il miglior caffè d’Italia».
 Il gestore era Luigi, un ometto simpatico che, appena vistoci entrare, ci venne incontro offrendoci un tavolo.
La cosa più insopportabile e insostenibile di quella situazione credo fosse il fatto che io e mia madre ci comportassimo come perfetti estranei. Lei si era pentita molte volte nei giorni precedenti e aveva provato ad avvicinarmi, ma io non le avevo mai rivolto la parola, nemmeno per chiedere di allontanarsi. Luigi era apparso con indosso il grembiulino color porpora e con le scritte dorate che stavano a rappresentare il logo del bar.
«Vi piacciono i nuovi divanetti che ho acquistato?» disse con aria felice «In realtà» continuò facendo l’occhiolino a mio fratello «c’è un trucco. Non sono veri divanetti, né vere sedute di legno con cuscini. Sono cassapanche, vedete?» e così dicendo sollevò il ripiano superiore di una di esse. « Allora, cosa vi porto?».
«Per me un caffè corretto, con un po’ di China » iniziò Flavio.
« Un cappuccino con cornetto, per favore» disse Bianca, venendo subito imitata da Fabio.
«Io invece voglio il latte con i biscotti al cioccolato». Andrea era in piedi sul “divanetto” che sostituiva i tavolini. Mia madre lo tirò giù con forza e lo rimproverò altrettanto duramente.
«E per te Alex?».
«Un caffè ristretto per favore».
«Non ti farà male?» mia madre mi aveva appena rivolto la parola, ma non la ascoltai.
«Più ristretto del ristretto» forzai.
Luigi mi guardò con una espressione simile a quella di uno che pensa che tu sia completamente idiota. Il bello è che non potei nemmeno biasimarlo, visto che pensavo anch’io la stessa cosa. Il clima, parzialmente riscaldato dalle chiacchiere di Flavio e Bianca, si era di nuovo raggelato.
A scaldare di nuovo gli animi, ci pensarono due donne, a dir la verità di bell’aspetto. Avevano circa quarant’anni ed erano entrambe elegantemente vestite, sedute di fronte a due tazze di caffè fumanti.
«Finiscila di dirmi certe cose, Rosa! Lo sai benissimo che avrei voluto che tu pubblicassi le tua serie di libri in esclusiva per la mia casa editrice! Ed ora vengo a sapere che te ne vai al nostro maggior rivale?» la donna seduta a sinistra, con capelli castano chiaro raccolti in uno chignon tenuto fermo con una matita, urlava a squarciagola contro la sua interlocutrice, una donna avente l’espressione stanca sul viso, un volto che predicava vendetta e che annunciava grida ancora più forti. Si toccava i capelli neri a boccoli che le conferivano una espressione da intellettuale. L’abbigliamento e l’immagine però lasciavano davvero a desiderare. La camicia svolazzava, i bottoni al lato della gonna erano quasi completamente sbottonati e lo smalto di colore rosso quasi integralmente scolorito e grattato via.
Aveva gli occhiali in mano, un paio di quelli legati con il cordoncino. Non potevano davvero fare a meno di stare zitte! Gesticolavano come ossesse e urlavano come pazze, probabilmente se fossero state in una biblioteca sarebbero state già cacciate a pedate.
«E’ solo temporaneo! Diamine, mi avete preso solo due giorni fa e non ho saputo dirvi di no, ma avevo già firmato per la “Flora”, non credevo che la vostra “InsegnoLibri” mi avrebbe contattata. Lo vuoi capire che non l’ho fatto apposta?».
La donna con lo chignon probabilmente era una rappresentante della “InsegnoLibri”, una casa editrice molto in voga, mentre la donna di fronte a lei doveva per forza essere una scrittrice. Al centro della discussione, una collaborazione lavorativa che poteva sicuramente finir meglio.
«Lo sapevi benissimo che ti avrei contattata! Te l’avevo detto tre giorni fa via mail!».
«Già, l’avessi saputo se solo fossi stata a casa in questi giorni! Non lo sai che per motivi di lavoro sono dovuta andare fuori città? Non ho avuto nemmeno il tempo di guardarmi allo specchio!».
«A me non interessa nulla del tuo libriccino senza talento. Io voglio solo che il mio capo sia contento, nulla di più, nulla di meno. Ti avevamo proposto un contratto da centomila euro l’anno per avere tre romanzi della serie di “Lady Esmeralda” , ma la tua imprudenza ha fatto saltare l’affare. Ah, ma questa me la paghi! La pagherai ….». La donna con lo chignon aveva assunto un’espressione poco rassicurante sul volto. Aveva uno stranissimo sorriso, ma non strano in senso buono. Quell’espressione aveva un non so che di cattivo, la vedevo davvero poco stabile dal punto di vista mentale. Dal canto suo, la scrittrice continuava a toccare i cuscinetti del divanetto sul quale erano seduti e aveva il volto stravolto e contemporaneamente esasperato.
«Cosa posso farci io? E’ colpa vostra se … ».
«Taci!» la donna con lo chignon si era eretta in piedi e aveva assunto una posizione di attacco non indifferente. Anche se fossi stato un pugile professionista, avrei avuto davvero paura di lei. I pugni erano chiusi, lo sguardo vitreo e poco incline al ragionamento e alla razionalità. Le braccia le tremavano e le gambe erano un continuo preludio di un apoteosi negativa che si sarebbe manifestata ben presto sottoforma di urla e grida.
«Sei solo una bugiarda! Ci conosciamo da quando siamo piccole. La verità è che non mi hai ancora perdonato il tradimento a Patrick di qualche anno fa! ».
Questa frase fece letteralmente impallidire la donna con i boccoli e gli occhiali. Balzò in piedi e cominciò ad urlare parolacce a squarciagola.
«Brutta baldracca!», fu questo l’insulto più piacevole. Ne volarono talmente tante che Luigi e Flavio provando a sedare la rissa, ne ricavarono un bell’urlo da entrambe che, in quel particolare frangente sembravano d’accordo come non mai.
La donna con lo chignon scattò di rabbia e, aprendo con forza la porta d’uscita del bar, quasi inciampò.
«Lo spettacolo è finito! Cosa diamine avete da guardare?» la donna con i boccoli aveva fatto un’altra scenata inutile. Ma su una cosa aveva torto. Lo “spettacolo” come lo chiamava lei, non era ancora terminato. Nostro malgrado.
La donna che era uscita dal bar, entrò nella sua Fiesta e mise in moto. Accelerò, ma per un attimo dalle vetrate del bar vedemmo quello che nessun essere umano dovrebbe mai scorgere. La donna ebbe un improvviso colpo di sonno che la portò ad accelerare senza controllo. La Fiesta scorazzò per alcuni metri, arrestandosi dopo aver colpito in pieno un palo della luce. La donna, per la forza d’inerzia, sbatté violentemente il capo contro il cruscotto dell’auto. Inutile dire che in pochi secondi eravamo già fuori dal bar, ci stavamo catapultando a soccorrere la signora e la stessa cosa avevano fatto alcuni passanti, spettatori ignari di ciò che stava accadendo.
Entrai nell’auto forzando lo sportello con una piccolo giravite che avevo preso da un manovale impegnato con alcuni lavori stradali. Ma non c’era più nulla da fare. Toccai il polso della donna, ma ormai, il silenzio aveva avvolto il battito cardiaco in un turbinio di emozioni poco piacevoli. Il cielo si era rabbuiato, come se qualcuno, da lassù, avesse voluto lanciarci un segnale. Toccai il capo insanguinato e mi aiutai con le mie poche forze rimaste e consumate dall’agitazione, per portarla fuori dal veicolo. In un punto del tragitto venni punto da qualcosa. Non so, è come se avessi sbattuto su un ago o su qualcosa del genere. La stesi per terra e ordinai ad un ragazzo poco più grande di me di chiamare la polizia. Per l’ambulanza ormai era troppo tardi.

L’ispettore Franco De Vistri, arrivò sul posto non prima di dieci minuti. Non so se avesse avuto da impomatarsi il ciuffo, se avesse potuto rasarsi o cose varie, ma conoscendolo, poteva anche essere così. De Vistri era considerato il bello del corpo di polizia. A quarant’anni si ritrovava ancora scapolo, con una lunghissima fila di corteggiatrici affamate del suo amore e del suo fisico che nonostante l’età, portava ancora benissimo. Si raccontavano strane storie sul suo conto. Si diceva che si alzasse ogni mattina alle quattro e andasse a correre per ben tre ore prima di arrivare in ufficio, naturalmente sempre intonso da ogni qualsivoglia difetto.
«Chi si rivede … » disse scrutandomi con sufficienza.
«Ehilà».
«Il baby detective».
Sorrisi per forza di cose. «Il modello del corpo poliziesco». Questa mia battuta non gli fece tanto piacere, visto lo sguardo che mi lanciò.
Si avvicinò al corpo della vittima.
«Com’è successo?» chiese rivolgendosi a Flavio.
«Un colpo di sonno alla guida. Una tragedia».
«Sapete, è molto strano» cominciai portandomi una mano al mento «pochi secondi prima stava benissimo».
«E allora? Avrà avuto un malore no? A volte dici delle cose proprio stupide!» affermò Flavio guardandomi con aria da saccente. Non lo sopporto certe volte.
«Ammetterai che è strano se … ».
«Non ammetto un bel nulla, insolente! Accetta consigli da chi è più grande di te e da chi soprattutto ha più esperienza di te».
Ha parlato Sherlock Holmes.
«Vedremo dall’autopsia. Riusciranno a capirci qualcosa».
«Senza dubbio. Non è che te la sei un po’ creduta da quel caso nella scuola di danza?» mi chiese De Vistri strafottente.
«Ma nemmeno per sogno! Stavo solo … ».
«Tu non devi “stare”, tu devi ascoltare e parlare di meno».
«Ma … ».
«Ancora?».
«Voglio solo dire che …».
«Zitto!».
Sbuffai.

CAPITOLO II – Odio, rancore e tanto delirio

C’era ancora qualcosa che non mi convinceva. Perché la donna aveva avuto improvvisamente quel malore? Certo, poteva capitare, ma fino a poco prima stava benissimo. E poi … perché poco prima mi ero punto trasportandola? Aveva forse qualcosa addosso?
Non resistetti al curiosare. Così andai vicino al cadavere e cominciai ad ispezionarlo. Toccai il collo, le mani, i polsi e poi … zac! Punto di nuovo! Avvicinai il suo braccio ai miei occhi e scorsi un impercettibile filo rigido trasparente, quasi invisibile. Ora era tutto chiaro.
Lo guardai meglio, ma De Vistri mi stava già rimproverando e così mi distrassi.
«Ancora qui? Hai dato il tuo contributo, adesso non scocciare e vai insieme al detective Moggelli, su … ».
«Ma io …».
«Stai in silenzio! Dannazione, come devo farti capire che devi seguire le indagini e non condurle?».
«Capisco perfettamente, ma guardi qui … ».
«Io non guardo nulla, non abbiamo trovato niente e … ».
«Non avete trovato niente? E questo cos’è?» gli domandai mostrandogli il braccio con su infilzato l’ago quasi invisibile. Era di pochissimi centimetri e non era nemmeno del tutto conficcato nella pelle. Si mostrava quasi invisibile all’occhio umano, tanto era piccolo e impercettibile.
«Fammi vedere … ma questo è … ».
«Esattamente. E proprio un ago! Un ago ipotermico!».
«Questo vuol dire che la donna … ».
«Già, non è stato un incidente. Presto, chiami la scientifica e dica loro di analizzare la punta dell’ago!».
«Subito, intanto vado ad avvertire anche Moggelli».
Notai con la coda dell’occhio mia madre stava guardandomi. Era apprensiva all’inverosimile,ma aveva anche saputo darmi fiducia, come quando intraprese quel procedimento legale per dichiarami abbastanza responsabile per vivere da solo anche se non fossi ancora maggiorenne.
Pochi minuti dopo, la scientifica prelevò con tutta la delicatezza possibile quell’ago ipotermico e lo inserì in una bustina trasparente di nailon.
Entrai di nuovo nel bar.
«Allora, avete scoperto qualcosa? mi chiese Bianca con apprensione.
«No, ancora nulla».
«Dov’è tua madre?».
«E’ in strada, vicino a Flavio. Si è portato dietro anche Andrea, lo sai che è affascinato da questo lavoro».
«Già. Allora, sei riuscito a … ».
«No, non sono riuscito a fare nulla, né a dirle nulla. Non è il momento» affermai piuttosto infastidito.
«E quando sarà il momento?» interruppe Fabio mentre sorseggiava un bicchiere d’acqua. «Quando prenderà il volo per il Giappone?».
«Ascoltate, ora c’è un caso da risolvere. Non c’è motivo per cui io debba … » mi frenai non riuscendo a terminare la frase. Notavo ancora la donna che era stata fino a quel momento con la vittima palpeggiare il cuscinetto che poneva riparo al divano del bar. Assunsi un’aria determinata, talmente determinata che mi facevo paura da solo.
Lo toccava e ritoccava, assicurandosi che fosse perfettamente a posto. Molto inusuale.
«Signorina» iniziò De Vistri «dobbiamo farle qualche domanda a proposito dei suoi rapporti con la vittima. Innanzitutto mi dia le sue generalità».
«Mi chiamo Nadia Astolfi, ho trentanove anni e di professione faccio la scrittrice».
«Benissimo, lei conosceva la vittima?».
«Sì, ma solo da poco. Dovevo pubblicare un libro per la casa editrice per la quale lavorava. Ma avevo tardato a questo mio impegno, finendo col firmare per un altro affare».
Ebbi un sobbalzo. Aveva mentito. Perché l’aveva fatto? Voleva forse nascondere qualcosa?
«La signora Adele Marenghi, questo il nome della vittima, era seduta fino a poco tempo prima dell’impatto al suo stesso tavolo. Ha notato per caso qualcosa di strano nel suo comportamento o nella sua condizione fisica? Che ne so, sbandamento, colpi di sonno, spossatezza … ».
«Niente del genere signore. Avevamo avuto una discussione e sembrava in perfetta salute».
«Quindi lei ha avuto una discussione con la vittima poco prima che avvenisse l’impatto? E perché discutevate?».
«Discutevamo al riguardo del discorso di prima, gliel’ho detto».
«Allude alle pubblicazioni che lei ha tardato di effettuare?».
«Esattamente».
In quel momento, notai come la donna fosse incredibilmente goffa e nervosa. Nella conversazione le caddero gli occhiali dal naso almeno cinque volta. La stilografica che aveva ferma al taschino della camicetta si staccò in modo del tutto innaturale, inoltre sul pollice sinistro aveva un vistoso cerotto al quale non  avevo fatto caso prima.
Rimasi un attimo in attesa, lo sguardo fisso nel vuoto esattamente come un perfetto idiota. Ora era chiaro. Non poteva che essere lei l’assassina, questo era lampante dal primo momento, ma mi mancavano le prove necessarie e adesso le avevo in pugno!
Con aria disinvolta mi avvicinai al tavolo al quale eravamo seduti. Bianca mi guardava con aria interessata e non ci mise molto ad iniziare un’altra conversazione, stavolta riguardante il caso.
«Conosco quello sguardo» iniziò «hai scoperto qualcosa, non è vero?».
«Diciamo che avresti grande successo come detective. Come hai fatto a capirlo?».
«Oh, è facile» affermò distogliendo il suo sguardo dal mio «ogni volta che risolvi un caso ti brillano gli occhi, sembri perfettamente in pace col mondo e assumi un’espressione indescrivibile» concluse con occhi sognanti mentre si portava una mano al petto.
Rimasi attonito. Stavo guardando Bianca in modo del tutto inusuale, ma decisi di non soffermarmi troppo. Avrei potuto starci delle ore. Perciò, decisi di comunicare a tutti la mia versione dei fatti.

«Ispettore, posso andare?» Nadia Astolfi si toccava i boccoli neri con aria distratta e si aggiustava gli occhiali con un’espressione del tutto innocente ed estranea ai fatti.
«Uhm … va bene signorina. Ma rimanga a disposizione, quindi lasci un recapito telefonico».
«Non c’è problema ispettore».
«Oh, un problema c’è» dissi incrociando le braccia dietro la nuca.
«Di cosa stai parlando?» mi chiese Flavio.
«La signorina non deve rimanere a disposizione. De Vistri, mi meraviglio di lei».
«Cosa … sei andato fuori di melone?» mi chiese quest’ultimo.
«Per niente. Mai stato così sobrio. Il fatto è che le indagini possono anche terminare qui. A cosa serve continuare a chiedere, indagare verificare se il colpevole è già qui?» domandai ironicamente appoggiandomi al bancone di Luigi. Il gestore del bar mi guardava in modo ammirato e decisamente poco incline alla razionalità. Sembrava un bambino ansioso per le pagelle. «Anzi … a cosa serve indagare se possiamo chiederglielo direttamente come ha fatto a commettere l’omicidio? Perché stato un omicidio … non è vero signora Astolfi?». Il bar, con i pochi presenti, era completamente girato verso di me. Il mio sguardo di sfida verso l’assassino era intonso da ogni peccato. Ogni scusa sarebbe risultata inutile. Tutte cavolate. Lei era l’omicida, il mostro che aveva premeditato tutto nei minimi dettagli. Ed ora l’avevo in pugno.
«Come ti permetti ragazzino? Vai a giocare e non immischiarti di queste cose! Ispettore, non gli crederà, non è vero?».
«Be’, l’ispettore vorrà sicuramente ascoltare la mia versione dei fatti, non è vero?».
«Veramente no».
 Feci un passo indietro e quasi stavo cadendo per quanto ero avvilito.
«Ma come no?! Ispettore!» lo rimproverai.
«Senti ragazzino, non ci serve la versione dei fatti di uno che non ha uno straccio di prova per … ».
«Signorina Astolfi, cosa ha fatto al pollice sinistro? Ha un cerotto no? Ci spieghi come si è fatta quel taglio».
Rimase di sasso. Poi sorrise e disse «Ieri, mentre … mentre tagliavo il pane mi sono … ».
«Le dispiacerebbe toglierlo per favore?».
«Insomma, comincio ad essere stanca! Ispettore!».
De Vistri aveva letteralmente cambiato espressione. «Lo tolga».
La donna inizialmente fu riluttante, ma poi tolse in modo lento e impacciato il cerotto, rivelando un taglio troppo piccolo per essere fatto con un coltello.
«Mi dica ispettore, secondo lei questo è un taglio da coltello?». De Vistri prese la mano della donna e la osservò da vicino.
«Direi di no».
«E sa dirmi da dove proviene?».
«No, perché tu sì?».
«Certo. Provi a controllare sotto la seduta della signora. Intendo proprio lì, sulla cassapanca del signor Luigi, o meglio, all’interno della cassapanca. Scommetto che lì si trova la risposta ai nostri problemi».
«De Vistri fece controllare a due uomini della scientifica. I due agenti sollevarono il coperchio della cassapanca e estrassero un’apparecchiatura con incluso un piccolo dispositivo con aghi ipotermici.
«Cosa significa questo signorina?» chiese adirato Flavio. Era rimasto in silenzio per tutto il tempo e stessa cosa aveva fatto mio madre.
«Te lo dico io. Significa che la vittima è stata colpita con un ago ipotermico mentre era seduta di fronte al suo omicida. Gli aghi se fatti passare velocemente, provocano solo un piccolissimo dolore, quasi inavvertibile ed è per questo che la donna, nella foga della rabbia e della discussione, non ha avvertito nulla. L’assassino toccava troppo spesso quella parte della cassapanca e mi ha indotto a pensare che avesse qualcosa da nascondere. Infatti, quando ho recuperato personalmente il corpo della vittima dall’auto, qualcosa mi ha punto e come ti ha detto De Vistri … sembrava proprio un ago ipotermico. La scientifica ha comunicato i risultati?».
«Sì» affermò soddisfatto l’ispettore. «Mi hanno detto che si tratta proprio di quello».
«Benissimo, che velocità! Ma non è finita. La prova della colpevolezza della donna è il fatto che proprio sotto la sua seduta avesse nascosto l’apparecchiatura per lanciare gli aghi. Da sotto il tavolo, in un secondo, nessuno si sarebbe accorto del fattaccio. Inoltre quel cerotto è il risultato del fatto che lei si è punta con quell’ago. Il taglio, o per meglio dire “il puntino” che ha sulla pelle, è davvero troppo piccolo per essere un taglio da coltello come lei ha affermato poc’anzi. Inoltre» continuai mentre l’assassino aveva sbarrato gli occhi «si è praticamente tradita da sola. Una donna della sua bellezza ma, mi perdoni, con uno stile così trasandato, non sarebbe mai così pignola da sistemarsi i cuscinetti della seduta solo perché non stava comoda. E’ da lì che è partito tutto. Infine, ha mentito anche all’ispettore. Lei la vittima, la conosceva fin da bambina e non da poco. Perché ha mentito? Perché aveva qualcosa da occultare, voleva sviare i sospetti. Ora vuole confessare?».
Strinse un attimo i pugni e nel silenzio del bar si udì un sospiro di malinconia.
«Va bene. Sapevo che il piano non era perfetto».
«Ma perché l’ha fatto? Perché l’ha uccisa?».
«Mi aveva tolto tutto … » iniziò a parlare inginocchiandosi all’evidenza. «I soldi, l’affetto dei miei familiari, quello degli altri nostri amici. E da qualche anno … anche l’amore della mia vita. Eravamo innamorate dello stesso ragazzo,ma lui preferì Adele. Le dissi che non avrei mai rivelato i miei veri sentimenti a Patrick,a patto che lei l’avesse amato. Ma Adele era di facili costumi. Lo tradì con vari uomini, finché …» non riuscì a terminare la frase.
«Finché?» domandò cupa Bianca.
«Finché» continuò mettendosi in piedi «lui non si tolse la vita per la delusione. Aveva ucciso Patrick! Doveva pagare! Doveva! Non sono pentita! Non lo sono affatto! Sentito?» urlò al cielo «Sentito baldracca? Non lo sono affatto!».
De Vistri si avvicinò alla donna e le diede un violento schiaffo. Credo fosse per farla parzialmente rinsavire. Era completamente fuori di testa.
«La smetta adesso! Deve solo vergognarsi. Poteva rivolgersi alla polizia se sospettava un coinvolgimento nella morte di Patrick della vittima. Non doveva farsi giustizia da sola! Spero per lei che sappia davvero rendersi conto, in futuro, di ciò che ha fatto».
Le sirene della polizia suonarono in lontananza in una triste sinfonia mattutina. L’odio umano può arrivare a fare delle cose che nemmeno nei film più macabri può essere messo in atto.
E’ questo il vero limite umano. L’odio. Poi c’è l’ignoranza. Ma pensandoci bene, odio e ignoranza, seppur non sempre, spesso coincidono.

CAPITOLO III – Quando il cuore te lo dimentichi

Eravamo all’aeroporto. Mia madre stava per andarsene. Il Giappone l’attendeva. L’attendeva la sua sfavillante carriera da giornalista di cronaca, l’attendevano le sue scartoffie, le varie ospitate in televisione e quant’altro.
I Moggelli e mia madre si stavano salutando in modo caloroso. Flavio le aveva portato la valigia per tutto il tempo.
«Quando vuoi tornare Federica, ora la mia casa è la tua casa»le sussurrò mentre l’abbracciava.
«Grazie Flavio. Sei un amore».
Flavio arrossì, ma non voleva darlo a vedere. Aveva una reputazione da difendere.
Mia madre continuò con i saluti. Abbracciò Fabio e schioccò un forte bacio sulla guancia di Bianca. La ragazza le sussurrò qualcosa come «ci ho provato», ma lei la zittì con aria pacifica e la baciò intensamente.
Poi abbracciò Andrea, riempiendolo di baci e disse di porgere i saluti a Sergio, rimasto a casa per un sovraccarico di lavoro.
Come nel film più bello, le comparse si lasciarono andare fuori dall’inquadratura principale e i protagonisti subentrarono suscitando nell’aria un sollevarsi di emozioni incontrastate. Il rapporto tra madre e figlio, è davvero troppo forte e vince su tutto.
Avevo lo sguardo abbassato, gli occhi che reclamavano le sorelle lacrime. Mia madre faceva lo stesso. Restammo così per almeno due minuti e tutto attorno a noi pareva essersi fermato. I Moggelli guardavano da lontano la scena.
«Voglio che tu sappia che non l’ho fatto per farti soffrire. E’ perciò che … » esordì, ma arrivata a questo punto, il pianto ebbe il sopravvento e singhiozzi la fecero da padrone.
Rimasi con lo sguardo basso, poi d’impulso, afferrai mamma e la portai in un tenero abbraccio. Non capivo nemmeno quello che stavo facendo, ma una voce benigna nella mia testa e nel mio cervello, mi sussurravano che era la cosa giusta. Le parole uscirono dal campo, lasciando spazio ai singhiozzi di una donna che altro non aveva fatto che proteggere i suoi figli da un mondo troppo sporco e troppo crudo. Inconsciamente però, aveva finito col provocare l’effetto contrario, quello che non avrebbe mai voluto affrontare. Il rancore.
«Grazie figliolo» singhiozzò. «Grazie per avermi perdonato».
«Grazie a te per avermi reso ciò che sono» le dissi con il massimo dell’ emozione in gola.
L’abbracciò cessò. «Ascolta, ora sai la verità» affermò asciugandosi le copiose lacrime «mi dispiace per averti causato sofferenze. Mi dispiace per … ».
«Su, ho capito tutto adesso. Non devi giustificarti. La vita a volte può rivelarsi troppo dura per un adulto, figuriamoci per un bambino» continuai a denti stretti e sguardo basso. «Mi hai nascosto delle cose. Hai sbagliato, ma adesso so come è andata. E so anche quello che devo fare».
«Che cosa devi fare?» disse sorpresa.
«Scoprire la verità».
«Oh, no tesoro. Non sopporterei di perdere anche te! Non lo tollererei e … » l’angoscia era il sentimento dominante.
«No, no tranquilla» dissi abbracciandola ancora. «Non voglio fare niente di insensato. Mi conosco mamma, sono tuo figlio. Quello che per mesi ha vissuto da solo con Andrea. E’ vero, a Fondi avevamo i parenti vicino, ma un giudice ha dimostrato il mio grado di responsabilità … non devi preoccuparti. Ma non togliermi quello. Non togliermi il piacere di ogni detective. Devo scoprire la verità, ad ogni costo. E’ la mia indole, il mio status, il mio ossigeno. Non farlo … non togliermela … ».
Mia madre non commentò per nulla. Le mie parole la colpirono nel segno. Mi diede un ulteriore abbraccio e schioccò un bacio sulla mia candida guancia. «Stai solo molto attento».
Facendomi un occhiolino triste, si imbarcò. Rimasi a guardare finché l’aereo non si confuse con le nuvole e l’immaginazione reclamava un posto di viaggio.
Tornai indietro e vidi Bianca sorridere. Flavio era indifferente, ma forse era una maschera. Aveva guardato tutta la scena, ci scommetto. Non perché fosse un detective, ma semplicemente perché non averla guardata avrebbe significato non avere cuore. E Flavio ce l’aveva. Anche io ce l’avevo. Ma di fronte alle delusioni provocate da chi ami e ti ama, a volte lo metti nel dimenticatoio

ANTICIPAZIONE EPISODIO 30(Ultimo della stagione): The show must go on! Il segreto è finalmente svelato e tutti i meccanismi sono ben visibili! Finalmente c'è chiarezza, perchè è QUI che inizia la partita! ALEX FEDELE EPISODIO 30, GRAN FINALE DI STAGIONE! Solo qui a partire dal 10/03/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE! 

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