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sabato 28 gennaio 2012

Alex Fedele: Il parcheggio dei misteri(stagione 1; episodio 24)


IL PARCHEGGIO DEI MISTERI

PROLOGO: Il luogo di un delitto può essere impensato, spesso a tratti anche insospettabile. Stavolta il tutto accade in un parcheggio sotterraneo di un condominio all'apparenza tranquilla. Come scoprire il delitto? Idea ... usiamo ... i fiori! 




CAPITOLO I – Un caso nel buio

Due giorni dopo l’avventura della “Karen” i notiziari nazionali, non parlavano d’altro. Enrico Bascia e Lucas Merota erano stati condannati per direttissima, con quest’ultimo che aveva infangato il nome della polizia italiana. Tuttavia, l’aria di sfiducia che si era diffusa a livello popolare, non era stata ancora soppiantata e onestamente facevo fatica a vedere un livello gradevole di chiarezza in quella spiacevole foschia di Giustizia diradata.
Nei giorni scorsi Flavio mi aveva chiesto sempre più spesso particolari sulle parole che Elisabetta Criota mi aveva rivolto, quasi fosse curioso di ciò che dicono i criminali in punto di morte. Il dialogo era stato sempre iniziato da lui e finito da lui. Non me ne vogliate, ma ebbi la netta impressione che Flavio stesse nascondendomi qualcosa. Avete presente quei presagi che vengono quando sei sicuro di avere ragione? Quelli mi stavano distruggendo, almeno psicologicamente parlando. Era evasivo, schivo, abbastanza infastidito dal discorso quando era lui stesso a voler raccogliere informazioni. Comunque pensai che Flavio fosse strano semplicemente per indole naturale.
Dopo un po’ che vivi insieme a lui, ti abitui a delle intemperanze che non avresti mai potuto vivere con un’altra persona. E’ fatto così, è particolare.
Quel pomeriggio avevamo appena finito di pranzare. Flavio se ne stava appollaiato sulla sua sedia in ufficio in attesa che un caso gli cadesse addosso. Io dal canto mio, davo una sfogliata ai quotidiani della mattina.
Bianca era uscita con Andrea per andare al centro commerciale. Sergio era in ufficio e trascriveva alcune relazioni burocratiche. Com’era solerte quel ragazzo! Aveva una vera e propria adorazione per Flavio, che abbinata alla sua simpatia naturale, lo rendeva abbastanza godibile.
Il telefono dell’ufficio di Flavio, un reperto archeologico risalente ai tempi del buon Marconi, cominciò a suonare violentemente. Altro che sveglia al mattino … era questo quello che ci voleva per alzarmi dal letto.
«Detective Flavio Moggelli, al suo servizio». Ecco, quando risponde così al telefono è tutta scena.
Dall’altro capo del telefono si udiva una voce giovanile, maschile, che farfugliava qualcosa a proposito di un parcheggio.
«Sì, veniamo immediatamente» mormorò Flavio a voce bassa. E poi riagganciò.
«Chi era?» domandai.
«Uno che vende gelati … ma dico, secondo te chi era?».
«Dimmelo tu» dissi ridendo.
«Non prendermi in giro, maleducato!».
«Addirittura? Dai seriamente, chi era?».
«Il portinaio di un condominio situato in periferia ha chiamato per avvisarmi della morte di uno degli inquilini della palazzina. Ha detto di aver già chiamato la polizia, e di aver già chiesto del dipartimento omicidi».
«Niente male» osservai. «Il compare è fan di saghe gialle?».
«Non so ma se l’è cavata bene».
Quindici minuti dopo ci eravamo diretti in un parcheggio sotterraneo situato all’interno di un viottolo che portava ad un condominio a sette piani, completamente dipinto di verde. Il cemento usato per l’edificio era sporcato e segnato dagli anni, il parcheggio era quasi completamente vuoto, fatto eccetto per due auto, una Fiat Punto di vent’anni prima ed una Fiat Uno della stessa epoca.
Un ometto sul metro e sessanta, con baffetti folti e curati e con capelli leggermente ondulati, ci venne incontro agitando vistosamente le mani.
«Eccovi, finalmente!». Doveva essere il portiere che aveva chiamato.
«Mi chiamo Giorgio Barnetti, sono il portiere del condominio. Vi ho chiamato per l’omicidio … » era agitato, quindi Flavio lo stoppò subito.
«Si calmi» gli disse in tono autoritario. «Io, Flavio Moggelli, sono qui a sua disposizione». Tossii per fargli capire di presentarmi, ma nulla. Che gentilezza.
«Chi è la vittima?» domandai.
«E tu cosa vuoi ragazzino?». Un uomo sulla quarantina, con capelli corvini ondulati e tirati in alto, mi aveva rivolto la parola associando al tutto uno sguardo spocchioso e antipatico.
«Ispettore Pesca!» affermò Flavio.
«Flavio Moggelli» disse dopo una pausa di qualche secondo. «Cosa ci fai qui? Ti hanno mandato ad indagare su un furto di polli?».
«No, indago su un omicidio. E tu invece? Hai perso il brillantino all’orecchio e allora lo cerchi qui?». Entrambi si rivolsero dei sorrisi falsamente amichevoli. C’era un’aria sicuramente pesante.
«Veniamo a te ragazzino» continuò l’uomo «non è un posto per te questo. Solo gli autorizzati possono … ».
«Sta con me» disse Flavio.
«Sta con te? Ti porti fuori i poppanti adesso?».
«Il poppante» dissi mentre gli tendevo la mano «si chiama Alex Fedele e fa il detective» gli dissi rivolgendomi a lui e accennando ad un sorriso.
«Tsk! Che tempi. Non dirmi che sei uno di quelli che il ministero ha reclutato sotto raccomandazione dei dipartimenti cittadini?».
«Sì, sono del PSD e le posso assicurare di non aver avuto nessuna raccomandazione. Il commissario Marbelli, di servizio a Fondi, ha avuto modo di collaborare diverse volte con il sottoscritto e si dia il caso che abbia notato in lui un certo senso di intuito. Tutto è rimasto tranquillo finché non è nato il PSD. Siccome lo stato cercava promesse nel settore detective, Marbelli mi ha iscritto al corso di istruzione della professione e successivamente… ».
«E quindi se qui a Torino con Moggelli … non è vero?» disse stizzito. «Fammi capire. Cosa ti hanno fatto fare in quel corso? Prove di intuito? Casi simulati?».
«Niente di tutto questo. Solo cose teoriche poco importanti. Ovvero, “che cos’è il detective”, oppure “come l’ordinamento lo stabilisce e disciplina”. Poi hanno parlato dei vari casi che potremmo trovare nella nostra carriera, ma non ci hanno detto come risolvere il problema. Ce l’hanno solo presentato. Ad esempio casi di omicidio, furto, rapimento».
«In pratica non avete fatto un accidente».
«Esattamente. Onestamente penso che non mi servisse sapere cosa fosse un detective o in quali situazioni avrei potuto trovarmi. Per quelle esistono i film polizieschi».
«Già. Quindi in questo corso nemmeno lezioni del tipo “rigor mortis”, oppure altre nozioni come la decomposizione o i modi per commettere un delitto … ».
«Niente di niente. Solo teoria sulla figura del detective. Le circostanze, per lo più burocratiche che possono presentarsi e infine qualche piccola nozione sulle forze dell’ordine italiane».
«Capisco. Be’, vedi di non intralciarmi il lavoro. Ispettore Arturo Pesca, squadra omicidi del dipartimento di polizia di Torino» affermò con fierezza mentre incrociava le braccia.
Rimasi di sasso. Pesca mi sembrava più un complessato che un tutore dell’ordine. Era sempre scrupoloso in quello che faceva, agiva con la pignoleria di un professore frustrato ed aveva come unica forma di cortesia un sorriso da schiaffi.
«Non farci caso» mi disse Flavio avvicinandosi mentre Pesca ispezionava il corpo. «Ha 37 anni e si atteggia come se ne avesse 90. Crede di essere ad un livello superiore, quando non ha capito che ne ha ancora di strada da fare!».
«Che vuoi dire?».
«Era in servizio anche quando ero ancora in polizia il sottoscritto, ma era un semplice agente, Anche allora però si dava tante arie e non sono mai stai rari i suoi battibecchi con i colleghi. La verità è che è sempre stato un raccomandato e sempre lo sarà».
«E pensare che dava del raccomandato a me fino a pochi secondo fa».
«Già. Forse ha dimenticato che suo padre è uno degli italiani più facoltosi quotati a Wall Street. Il signor Girolamo Pesca, è un imprenditore nel campo televisivo all’estero. E’ produttore di numerose serie tv comiche di successo che vanno in onda anche qui da noi. Praticamente è sfondato di soldi. Sai, Pesca ha voluto entrare in polizia solo sette anni fa. Il suo paparino realizzò il suo sogno immediatamente. Qualcuno dice che ha corrotto il dipartimento nazionale, altri che se lo sia meritato sul campo … ».
«E tu cosa pensi?» gli chiesi lisciandomi i capelli e mandandomeli all’indietro.
«Che Arturo Pesca sia un uomo comune, come tutti gli altri. E’ sicuramente capace, ma se non fosse stato per suo padre a quest’ora lo avremmo trovato disoccupato sul ciglio di un marciapiede di periferia. E non per necessità, ma per scelta. Ha una scarsissima attitudine al lavoro. Ora basta parlare però … occupiamoci del caso».

CAPITOLO II – Il “DAN” del mistero

Ci avvicinammo al corpo. Sul freddo cemento del parcheggio sotterraneo era distesa una donna sulla cinquantina, con lunghi capelli neri e un trucco pesante sul viso. Aveva del sangue che le fuoriusciva dalla bocca. Insieme a Pesca e alla scientifica, c’erano altri cinque figuri che all’arrivo non avevo notato.
«Eccomi di ritorno ispettore». Giuseppe Novato era comparso nel parcheggio, con un referto in mano.
«Novato, ci sei anche tu?» domandò Flavio.
«Detective Moggelli … che piacere! Certo, sono stato incaricato di accompagnare … ».
«La vogliamo finire sì o no? Novato, non perderti in quisquilie e leggi il rapporto! Immediatamente!». Arturo Pesca aveva rimproverato duramente il povero ragazzo, “reo” di aver intrapreso una conversazione di circostanza con Flavio. Al suo confronto un killer sembrava un agnellino.
«Subito ispettore» disse demoralizzato. «La vittima si chiamava Lucrezia Tosta, aveva 49 anni e lavorava presso un ufficio pubblico a circa tre isolati da qui. Sul corpo non sono stati riscontrati segni di colluttazione, eccezion fatta per un piccolo livido rinvenutole sulla guancia sinistra. Il decesso comunque, è da attribuire ad una emorragia interna dovuta ad un forte colpo alla testa che ha ricevuto nell’impatto con il suolo. La vittima è deceduta all’incirca quattro ore fa. Degli interessi personali della vittima sappiamo solo che amava i fiori all’inverosimile. Visitando l’abitazione abbiamo trovato più di quattordici specie diverse di fiori, oltre che centinaia di libri sulla botanica e sulle leggende di fiori e roba del genere».
«Bene Novato» commentò Pesca. Miracolo, qualcosa gli andava bene.
«Chi sono questi signori, Novato?» dissi all’agente indicando i cinque figuri che troneggiavano nel bel mezzo dell’area del parcheggio.
«Abbiamo fatto delle indagini approssimative su chi possa aver avuto un movente e una possibilità per uccidere la donna. Alla fine i sospettati risultano essere quattro. Il primo è Giovanni Tosta. Ha 42 anni ed è anche lui un impiegato. Come potrete intuire, è il marito della vittima. All’ora del decesso afferma di aver fatto una passeggiata, ma nessuno può confermare il suo alibi in quanto era da solo. Era in crisi con sua moglie da tempo tanto che dormivano separati da almeno un anno».
Novato mi mostrò un uomo con capelli biondi, angelici e con degli occhi grigiastri taglienti. Sfogliava una tessera del club degli amici dei fiori. Accanto alla sua foto, c’era l’immagine di un nontiscordardime. Originale.
«Il secondo sospettato è Onorato Besci. Ha 22 anni ed è uno studente universitario presso la facoltà di Giurisprudenza. Aveva rapporti con la vittima, in quanto ha affermato di averle fatto la corte tramite social network, venendo però rifiutato. Al momento del decesso era a casa a dormire, ma non c’è conferma da parte di nessuno». Onorato Besci era il classico nerd. No, non voglio usare il termine in modo negativo. Per carità, i nerd hanno il loro indubbio fascino, la loro indubbia personalità, ma si vedono a prima vista. I grandi occhiali neri, quasi da critico televisivo, incorniciavano un viso giovanile e quasi immaturo, colmato da grossi e violenti riccioli castani che gli cadevano sugli occhi verdi.
«Come hai osato importunare mia moglie? Sono sicuro che sei tu il suo assassino!». Il signor Tosta era balzato in avanti e aveva strattonato in modo confusionario e ingiusto il povero Onorato, che per tutta risposta, si scusava del suo corteggiamento continuando a negare un suo coinvolgimento diretto nel caso.
«Si calmi signor Tosta, non aggravi la sua posizione» sussurrò freddamente Pesca. Queste parole bastarono per attenuare gli animi.
«Il terzo è Stefano Fogani. Ha 71 anni ed è pensionato. In vita ha fatto il ferroviere per lo stato. All’ora del decesso era in casa, al quarto piano, a guardare il programma mattutino di canale quattro, ma purtroppo è vedovo e vive da solo. Sappiamo però che aveva un credito da riscuotere dalla vittima». Stefano Fogani, dall’alto della sua età, doveva essere una persona abbastanza forgiata nel carattere. Le lunghe palpebre cadenti attribuivano all’uomo il peso statico dell’età. I capelli bianchi, complici le tempie innevate, davano un senso di tranquillità a un uomo apparentemente pacifico e decisamente pacato.
«Non ho ucciso io quella donna! Ed ora lasciatemi andare!». Aveva cominciato ad urlare all’impazzata, alzando la voce e ponendosi in una condizione di superiorità. Arturo Pesca cercava di calmarlo, ma non ci riusciva un granché.
«L’ultima sospettata» sospirò Novato quasi per stizza «si chiama  Lorella Cellidio. Ha 30 anni ed è disoccupata. Era la migliore amica della vittima, ma la loro amicizia viveva di continui conflitti. Al momento del decesso era in un negozio di articoli sportivi, ma il proprietario ha detto di non averla notata in mezzo alla confusione, quindi il suo alibi non regge».
«Insomma, chiunque di voi avrebbe potuto commettere l’omicidio, mi pare» osservò Flavio.
«Non si azzardi minimamente!» disse Fogani nonostante la dentiera ingombrante. «Le pare che alla mia età mi metta a fare queste stupidaggini?».
«Signor Fogani … ».
«Signor Fogani, un corno! Sono innocente e voglio andare sul divano di casa mia!».
«Non può finché le indagini non saranno terminate, almeno in modo parziale» commentò ammonendolo Arturo Pesca.
«E’ assurdo ispettore!» affermò Onorato. «Non ho ucciso quella donna, dannazione!»
«Finché la sua innocenza non sarà provata, signor Besci, può disperarsi quanto vuole, ma non uscirà da questo parcheggio. Se qualcuno di voi è colpevole, vi avverto, è meglio confessare adesso!».
Silenzio assoluto. Classico.
Ad un tratto notai nelle mani di un agente della scientifica, impacchettato in una sottile carta trasparente,un cellulare.
«Mi scusi» dissi attirando l’attenzione dell’agente.
«Dimmi ragazzo».
«Quel cellulare che ha lì, nel pacchetto … è della vittima?».
«Sì, perché me lo chiedi?».
«Posso vederlo?».
«Non so se puoi ragazzo … ho capito che sei insieme al detective Moggelli, ma non mi pare il caso di … ».
«Suvvia, solo una sbirciata» gli dissi facendogli gomito.
«Ehm … ».
«Andiamo, non toccherò nulla, lo prometto».
«E va bene … ma solo per pochi secondi d’accordo?». Che agente rompiscatole.
Presi in mano il pacchetto, calcai un bottone a caso e … una scritta che recitava “DAN” fece la sua comparsa.
Rimasi per un attimo a guardare lo schermo, assumendo l’espressione di un perfetto idiota. Poi mi subii il richiamo di Pesca, che con la sua voce adulta e graffiante, urlò:
«Inquini le prove, sciagurato!». Così dicendo mi strappò il telefono tra le mani. L’impiastro stava quasi per farlo cadere, ma mi gettai a terra come il migliore dei giocatori di baseball e lo presi al volo, esibendomi in una caduta degna delle migliori comiche.
«Hai visto cosa stavi per combinare ragazzino?».
«Io? Guardi che è lei che … ».
«Non voglio sentire scuse! Sei fuori dall’indagine!».
«Intanto ho trovato ciò che voi cercate da ore» dissi girandomi di spalle.
«Ah sì?» rispose Pesca in tono sfottente «e cosa sarebbe?».
«Un indizio» affermai voltandomi di scatto e guardandolo negli occhi.
«Ah davvero? E saresti così gentile da mostrarcelo,Sherlock Holmes?».
«Così mi lusinga» dissi col mio sorrisino abbinato alla faccia da schiaffi. «Guardi sullo schermo del cellulare. Pigiando un tasto a caso ho scoperto che la signora stava inviando un sms al momento del decesso».
«”DAN”» disse leggendo a voce alta. «”DAN”» ripeté tre volte. «Non può essere che i tasti si siano premuti nella tasca involontariamente?».
«Non credo. Vede, il fatto è che questo cellulare ha la combinazione per il blocca tasti piuttosto complessa. Lo so perché questo tipo di cellulare ce l’aveva anche un mio compagno di scuola. Bisogna calcare due tasti contemporaneamente. Certo, è possibile che sia stato un caso, ma il fatto che sia stato inserito il block mi fa pensare che la signora mentre stava per inviare il suo messaggio, sia stata distratta da qualcosa, o da qualcuno. Così facendo ha immediatamente inserito il block».
«Ipotesi possibile, ma non certa. A giudicare da come parli sembra quasi tu abbia assistito al caso» ammonì Flavio.
«Io? Ma no!» mi difesi giustamente. Cos’era, volevano incolpare me?
«Il “DAN” però è sospetto. Indubbiamente può significare qualcosa» aggiunse Pesca.
«Ma che cosa?» subentrò il marito della vittima. «Cosa sta a significare quella parola?».
«E’ da escludere che sia una parola di una lingua straniera. Non conosco nulla del genere» disse Flavio.
«Forse è il diminutivo di qualche suo conoscente. Forse la vittima voleva comunicarci il nome del suo assassino!» disse energicamente l’agente Giuseppe Novato.
«Dici Novato?» domandò Pesca. Il ragazzo annuì. «Bene, può essere che tu abbia ragione. Scientifica, vi chiederò un piccolo supplemento di indagini. Indagate sulle conoscenze della vittima e comunicatemi se c’è qualcuno con il nome “DAN”. Novato, tu andrai con loro».
I poliziotti scattarono sull’attenti e andarono subito dove l’ispettore Pesca aveva richiesto loro. C’era una invidiabile voglia di scoprire la verità nonostante le divergenze di carattere. Tutto ciò era ammirevole. Significa che c’è molta professionalità. Quando c’è collaborazione tra persone diverse che però hanno lo stesso obiettivo, quest’ultimo non può non essere raggiunto.
Ma non mi convinceva. La signora Tosta, non voleva comunicare il nome del suo assassino. Chiamatelo sesto senso, chiamatelo intuito, chiamatelo semplicemente senso di diffidenza, ma non credetti ad una sola parola di ciò che Novato aveva detto. Era un peccato aver perso quella donna. Da come l’avevano descritta distrattamente gli inquilini, capii subito che si trattava di una donna piena di energia, piena di passioni, piena di convinzioni. Una donna che aveva dedicato tutta la sua vita ai fiori, alle piante. Alzai lo sguardo al cielo. Vidi i potenti fari a lampadario che illuminavano l’umido parcheggio sotterraneo. I fiori! Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima? Che stupido! Mi ricordai di una vecchia favoletta narratomi da mia madre. “DAN”, non era una persona!

CAPITOLO III – Quando l’odio sovrasta l’amore

Aspettai che l’agente Novato tornasse. Poi mi preparai per lo show di deduzioni. Mi avvicinai ad una delle poche macchine parcheggiate e mi sedetti sul parabrezza con aria fintamente spensierata.
«I fiori sono bellissimi» annunciai ai presenti. Lo sguardo delle persone virava esclusivamente su di me. Mi credevano un’idiota, un perfetto idiota. Bene, benissimo, era ciò che volevo.
«Che cosa fai?» chiese Onorato Besci. «Quella macchina è mia! Scendi!».
«Mi dia un attimo signor Besci» gli dissi giungendo le mani. «La vittima amava all’inverosimile i fiori. Aveva ragione, il linguaggio dei fiori è spesso imprevedibile. Dovrebbe essere insegnato nelle scuole … no! Dovrebbe essere insegnato nelle università!».
«Dove vuoi arrivare? Ti sei bevuto il cervello?» chiese Arturo Pesca.
«Oh, per niente. Dicevo che spesso con il linguaggio dei fiori … si possono dire tante cose. Tra cui … chi è il colpevole di un omicidio!» conclusi con aria appagata.
«Che cosa?» urlò la folla.
«Eh già signori» annunciai tristemente scendendo dall’auto. Mentre lo feci notai l’aria sollevata di Onorato Besci. Che preoccupazioni poteva avere poi? Quella vecchia Punto era talmente scassata che la 313 di Paperino sarebbe sembrata un fuoristrada al confronto. «Il colpevole dell’omicidio è racchiuso proprio in quel “DAN” lasciato dalla vittima poco prima di essere colpita mortalmente. Quelle tre sillabe contengono un segreto orribile, nascosto a sua volta da un sentimento nobile che stava per rifiorire. In altre parole» dissi toccandomi i capelli «il colpevole è lei signor Tosta! Confessi, è in trappola!».
Calò un silenzio abnorme fatto di paure, sensazioni confuse, poche certezze e mille diverse ipotesi mentali. Lo sguardo di Giovanni Tosti si era fatto di fuoco e le pupille si ingrandivano a dismisura.
«Allora, confessa?» chiesi avvicinandomi.
«Per niente!» disse urlando. «Sei solo un ragazzino ignorante!» mi disse gridandomi in faccia. «Un raccomandato del ca … ».
«Non ho nemmeno bisogno di mostrarle le prove, signor Tosta» dissi a voce bassa, guardando il nudo cemento che pavimentava il parcheggio.
«Ah davvero?».
«Sì» affermai continuando a guardare in basso. «Lei, anche se ha ucciso sua moglie, probabilmente nell’ultima parte del suo cuore ha ancora una piccola fiamma di amore che brucia per lei».
A queste parole i presenti si zittirono. I brusii, vennero coperti dall’assordante rumore del silenzio. Quel silenzio, lo ottieni solo parlando chiaro.
«Sua moglie» dissi con i pugni stretti «voleva mandarle un sms per riconciliarsi con lei, e voleva usare il linguaggio dei fiori per farlo. Era sicura che lei avesse capito. Aveva cominciato a scrivere la parola “DANUBIO”, ma è stata stoppata da lei sul “DAN”».
«Aspetta, come fai a sapere che il messaggino era rivolto al signor Tosti? Il Danubio non è un fiore!» chiese con stanchezza Stefano Fogani.
«Infatti è un fiume». Mi fermai un attimo. «E’ un fiume, come dicevo. La leggenda vuole che due innamorati, passeggiando lungo quel fiume,vennero affascinati dai tantissimi fiori blu che si paravano continuamente sul loro cammino». Mi fermai ancora. Mantenevo lo sguardo basso di chi non poteva guardare negli occhi quel mostro.
«Continua» mi incitò Flavio.
«In quel momento però, il ragazzo venne risucchiato nelle acque. Mentre la corrente lo deturpa e lo porta via, grida alla sua amata la frase “non dimenticarmi mai”. Il fiore, venne ribattezzato “nontiscordardime” ed è ancora oggi tra le specie più romantiche dell’intero panorama botanico. Il messaggio poteva essere rivolto solo ad una persona. Alla persona alla quale voleva più bene, all’unica persona che, condividendo con le la passione per i fiori, avrebbe certamente capito … a suo marito».
Giovanni Tosti si buttò in ginocchio. La sua coscienza era scossa dall’intenzione di sua moglie di riconciliarsi con lui. Non pensava l’avesse mai fatto. Dopo tante liti in casa, dopo tutte le parole taglienti volate e mirate a distruggere l’animo altrui, mai avrebbe pensato che la persona che gli aveva reso la vita un inferno negli ultimi tempi, potesse avere buone intenzioni. La furia aveva divorato la ragione. L’odio, l’amore. Succedeva sempre più spesso.
«Io l’amavo» disse con un fil di voce l’assassino. «Ma non riuscivo a perdonarla per ciò che aveva detto pochi giorni fa. Stava sparlando dei miei genitori morti in un incidente stradale. Diceva che “se l’erano cercata”, che non aveva “nessuna pietà” per loro. Io … non so come abbia potuto farlo» Terminò a fatica la frase. Scoppiò in un violento pianto a dirotto. Le lacrime avevano soppiantato il ghigno odioso di pochi minuti prima.
«Mi dispiace amore!» disse urlando al cadavere. Mi sentii una fitta al cuore. Quell’uomo,in fondo, era ancora innamorato di sua moglie, ma l’orgoglio, l’assenza di dialogo e l’odio, avevano soppiantato quel sentimento tanto puro quanto i fiori appena sbocciati.

ANTICIPAZIONE EPISODIO 25: Un folle decide di far saltare in aria Alex e tutta la famiglia Moggelli. Una bomba direttamente a casa, senza nessun indizio di esserla. La corsa disperata per liberarsene la compie Flavio, mentre Alex e Fabio indagano su chi possa essere il mandante. Ne vedremo delle belle. ALEX FEDELE EPISODIO 25: BOMBA A CASA.
Solo su questo blog a partire dal 4 Febbraio 2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!

sabato 21 gennaio 2012

Alex Fedele: Le punizioni della Karen 5°parte (stagione 1; episodio 23)


LE PUNIZIONI DELLA KAREN(5°parte)

PROLOGO: Via il sipario, ora finalmente sappiamo che Elisabetta è l'assassina, ma con la bomba come la mettiamo e soprattutto, non sappiamo ancora i biechi motivi che hanno spinto la ragazza alla strage. Alex indaga e instaura un dialogo in punto di morte con la ragazza ... quando si dice, il passato che ritorna! 

Cos’è successo nelle prime quattro parti?:Bianca vince una crociera risolvendo insieme a me un gioco di logica su internet. La crociera sarà nel Mediterraneo e vede oltre a noi(io, Bianca, Flavio e Andrea), altri 7 passeggeri. Per i primi due giorni va tutto bene, ma la sera del secondo giorno, il capitano della nave si accorge che un passeggero è in mare. Viene ripescato e appuriamo che si tratta di Riccardo Montervino, lo stuntman che era partito con noi. Sembra un incidente, ma sulla testa c’è del sangue coagulato e sotto le unghie ci sono frammenti di pelle umana. NON E’ STATO UN INCIDENTE!La mattina dopo però. Un’altra spiacevole sorpresa ci attende. La signora Lonsi, è ritrovata morta nella sua cabina, con un accendino in mano ed un colpo di pistola alla testa. La cosa strana è che veste solo di una minuta vestaglietta intima. Veniamo inoltre a scoprire che il colpevole ha, con tutta probabilità, gettato l’arma del delitto in mare, e che la vittima trafficava droga per un clan mafioso. La mattina successiva, troviamo il corpo di Alberto Falonghieri, il noto imprenditore. Affianco al suo letto, vi è un coltellino da cucina, così il sospettato numero uno diventa il cuoco, Federico Mascella. La sera, io e Flavio decidiamo di dormire fuori dalla cabina e di sorprendere l’omicida. Un urlo però ci fa allontanare dal luogo. E’ quello di Elisabetta, che ci dice di aver visto un losco figuro dirigersi verso la sala delle caldaie. Andati lì, troviamo il corpo bruciato vivo di Federico Mascella. La testa però è lasciata fuori dal forno della caldaia nella quale era chiuso, probabilmente legato, così sul collo, noto che ci sono alcuni segni di violenza, con un ricamo a ghirigori. L’ASSASSINO E’ ANCORA TRA NOI! Grazie ad alcuni indizi, riesco a scoprire che l’assassino che ha commesso ben 4 delitti, è l’innocente Elisabetta. Dopo averla inchiodata però, confessa di aver predisposto una bomba per esplodere a bordo tra soli 7 minuti!




CAPITOLO IX – Parola d’onore

«Non c’è tempo da perdere! Dobbiamo evacuare la nave immediatamente!» urlò il vice capitano Nelboni. Il panico si diffuse tra la gente a bordo, Lucas Merota cominciò ad urlare a squarciagola come una ragazzina; Enrico Bascia tentava di mantenere il suo proverbiale sangue freddo, ma era in difficoltà. Bianca fu gelata nel sangue; Flavio era rimasto con gli occhi socchiusi in attesa di sviluppi e sembrava propiziare una strategia mentale. Corsi verso Elisabetta. La strattonai dicendole:
«Dimmi come si disattiva la bomba! Ti rendi conto che potrebbe accadere una strage ancora più grande di quella che hai già provocato?».
Inizialmente non mi rispose. Poi fece ondeggiare la testa e mi sussurrò che non gli importava nulla.
«State calmi signori!» riprese l’attenzione Casolare «prendete il minimo indispensabile e mettetevi in attesa sul ponte principale. Abbiamo scialuppe di salvataggio per tutti. Non temete, ce la faremo!». Poi ordinò a Nelboni e ai due ragazzi dello staff di preparare le scialuppe. Tutti corsero nelle loro cabine. L’aria era elettrica.
Tre minuti dopo, tutti erano pronti per abbandonare la nave. Anche per quanto mi riguarda era tutto a posto. Avevano fatto indossare a tutti dei giubbotti bianchi, di quelli che dovrebbero gonfiarsi appena toccano una superficie di acqua considerevole, in modo così da salvare chi non sa nuotare.
Ci stavano caricando sulle scialuppe. Ne erano state predisposte tre. Una per Casolare, Nelboni e lo staff. Un’altra per me, Bianca, Flavio e Andrea, e l’ultima per Bascia, Merota e Elisabetta.
Quindi apparentemente sembrava non esserci alcun problema. Sia Merota che Bascia erano in salvo, ma … mancava Elisabetta. Non potei avvistarla da nessuna parte.
«Signor Casolare … » gli domandai mentre aiutava Bianca a salire sulla scialuppa insieme a Flavio «dov’è finita Elisabetta?».
«E’ già nella scialuppa ragazzo».
«Non direi signore … guardi» dissi indicandogli il posto vuoto.
«Dannazione! E allora dov’è finita?».
Mi fermai un attimo, poi ebbi un sussulto. «Lo so io!» urlai ad altissima voce. Cominciai a correre come un forsennato per la nave. Elisabetta voleva togliersi la vita! Non potevo permetterlo! Un detective non spinge mai al suicidio nessuno, criminali compresi.
La voce di Flavio mi chiamava a gran voce ricoprendomi di insulti e cercando di trattenermi.
«Brutto idiota! Dove vai? Vuoi farti ammazzare?» Poi lo vidi mentre mi seguiva correndo quanto me.
Continuai a correre come un folle, finché non arrivai sul ponte più esterno della nave. Lì c’era Elisabetta, girata di spalle.
Con il fiatone, riuscii a chiamarla usufruendo dell’ultimo filo di voce che mi era rimasto.
«Elisabetta» le dissi esasperato.
«Che cosa vuoi ancora da me? Verme schifoso!» mi urlò addosso lei.
«Da che pulpito … » dissi inizialmente. Poi mi ricomposi e risposi «Solo farti ragionare».
Flavio era dietro di me, fermo, immobile come una statua di cera.
«Senti Alex, è meglio che andiamo, non … ».
«Un detective deve assicurare giustizia, non vittime. Per quanto i criminali sbaglino, non hanno alcun diritto a togliersi la vita. E se un detective permette questo, allora non è degno di essere considerato tale». Non mi girai nemmeno per dire queste parole. Ci fu un attimo di silenzio che parve non finire mai.
«Abbi cura di te» mormorò Flavio da dietro le mie spalle. Poi sentii i suoi passi allontanarsi velocemente. Lo sentii dialogare tra sé e sé.
«Perché sei venuto qui, verme?» iniziò Elisabetta.
«Solo per parlare e per farti ragionare. Te l’ho detto no?».
«Se le cose andassero come ordinato … a questo punto non mi ritroverei a parlare con te».
«Che cosa vuoi dire?».
«La crociera, gli organizzatori, il quesito … era tutto finto, non l’hai capito stupido detective?». Che gentile, non è vero? Un amore.
«Fin qui c’ero arrivato» dissi appoggiandomi alla porta della caldaia. «Ma, tu … chi sei? Perché hai fatto questo?».
«Vuoi sapere chi sono? E va bene … tanto morirò su questa nave, non come te che farai la tua bella carriera e ti farai bello con le prime pagine». Poi trasalì «Io faccio parte … sono parte di un clan terroristico, mafioso, criminale. Ne hai mai sentito parlare? Si chiama Fuoco Re».
Rimasi immobile.
«Il mio clan aveva rapporti con tutte le persone che vedi nella nave. Dall’operaio dal cuore buono, al cuoco che ho bruciato vivo! Tutti erano in rapporto con noi. Tutti per arrotondare svolgevano compiti criminali per noi!» disse con voce stridula. Le emozioni cambiano le persone. Non sembrava più la ragazza gentile ed espansiva che avevamo incontrato solo pochi giorni prima.
«Vuoi dire che i passeggeri … ».
«Sì, i passeggeri lavoravano con noi un tempo. Lo staff è escluso naturalmente. Ma poi si sono stancati, tutti loro ci hanno denunciato e hanno messo a repentaglio la nostra incolumità. Così abbiamo corrotto la famiglia proprietaria della nave, abbiamo instaurato questo concorso fittizio che metteva in palio una crociera e abbiamo immesso nei computer di queste persone i dati necessari a partecipare al concorso. L’indovinello era complesso, ma eravamo sicuri che sarebbero riusciti a risolverlo».
«Ma cosa c’entra Bianca allora? Perché è stata contattata anche lei?».
«Bianca … non c’entrava assolutamente nulla» disse in preda alla follia. «I nostri server hanno errato alcuni codici di identificazione del linguaggio informatico. Di conseguenza, il numero IP di Bianca è risultato uguale a quello del nostro uomo».
Il vento della notte ci faceva trepidare, l’aria fresca assicurava brividi emotivi fuori dal comune. Le onde rullavano tra loro, dando all’ambiente un aspetto da ultimatum.
«Sbrigati adesso, non vorrai morire?» le dissi a voce alta per paura di essere coperto dal rumore delle onde.
«Tu credi che io voglia salvarmi?» mi domandò guardandomi con occhi stanchi.
 «Ne sono sicuro. Non vuoi morire, nessuno lo vuole».
Diedi un’occhiata al timer della bomba. Mancavano 2 minuti e 35 secondi.
«Io invece lo voglio».
«Ma perché?» le chiesi nervoso.
«Ho fallito una missione … il clan mi ucciderà. Tu non sai niente di me, del mio passato … non sai che sarò soggetta a torture fisiche e psicologiche per mesi se dovessi tornare senza un nulla di fatto» disse piangendo. Poi riprese a parlare «La mia sfortuna è stata che tu capitassi per sbaglio su questa nave. Se non ci fossi stato tu … io avrei abbandonato la nave prima e avrei completato l’opera uccidendo tutti … io … ».
«Ma ti ascolti quando parli?» la rimproverai a muso duro. «Sei dispiaciuta per non aver ucciso, mentre dovresti esserla per averlo fatto! L’omicidio è imperdonabile! Hai fatto una strage di poveri innocenti! Avrebbero pagato le loro colpe in prigione!».
«Tu parli da detective! Non sai nulla!».
«Ne so abbastanza per dirti che hai già commesso una sciocchezza enorme. Ora non commetterne un’altra. Vieni con me! Il timer segna un minuto preciso. Non fare la stupida, vieni con me, non ha senso farsi saltare in aria adesso».
«Io non vado in galera» mormorò.
«Ti costruirai una nuova vita una volta espiate le tue colpe! Per quanto riguarda la vendetta del clan, chiederai la protezione alle forze dell’ordine, cambierai identità! Insomma, avrai l’opportunità di diventare una persona nuova, dopo la galera!».
«No,  non posso».
«Ma perché?!» chiesi irritato. Guardai il timer. Meno 30 secondi all’esplosione.
«Per un discorso d’onore. I membri minori del clan, quando falliscono una missione, devono uccidersi … significa non essere riusciti a soddisfare quello che il loro sovrano gli diceva di fare!».
«L’unico Sovrano sta in cielo» le dissi sorridendo maliziosamente «Lascia stare. L’onore non è per i criminali, altrimenti non avresti ucciso nessuno» ultimai deluso, con lo sguardo basso.
I miei compagni di viaggio erano sulle scialuppe di salvataggio a metri di distanza, ma i loro occhi mi si attaccavano addosso come in uno stadio gremito di gente, come se avessi io l’unica possibilità di salvare il mondo e questo francamente non mi piaceva affatto.
Elisabetta Criota si allontanò ulteriormente da me, prese il dispositivo e se lo mise addosso. Senza paura, con lo stesso sprezzo del pericolo di chi aveva ucciso quattro vittime.
«No!» gli urlai con gli occhi rossi dell’agitazione. Poi mi mostrò il timer e con l’indice fece segno al tempo. Meno 5 secondi. Lanciai un ultimo urlo, poi corsi verso il ponte con tanta disperazione,  a gareggiare con la morte. Un salto lungo, profondo, impotente …  e poi il mare. Il botto, una nave in fiamme, Elisabetta Criota scomparsa tra l’inferno provocato dalla bomba. Il mio volto taciturno per non essere riuscito a trattenerla da quel folle gesto. Le urla di Flavio e di Bianca che mi richiamavano a salire sulla scialuppa di salvataggio.
Ero riuscito a salvare la mia vita, ma non quella di un altro essere umano. Era stato tremendo.

CAPITOLO X – Ritorno alla base

Giorni dopo, ero ancora provato per l’esperienza sulla nave. Nei giorni precedenti Flavio aveva provato a tranquillizzarmi in ogni modo possibile. Devo dire che fu anche più gentile del solito, ma non funzionò molto. Digiunai quasi in quei giorni. Vivevo le me giornate in casa, con la testa sui libri gialli, o il volto diretto a fissare il vuoto, come fosse una sorta di spettacolo imperdibile. Sapevo di avere la coscienza pulita, ma sapevo anche che non è compito di detective far perdere la vita a qualcuno. Insomma, ci ero rimasto male di non aver evitato il suicidio di Elisabetta Criota. Ogni tanto guardavo all’indietro, per vedere poi mio fratello Andrea scrutarmi preoccupato come nel peggior film drammatico. Di fronte a lui cercavo di essere leggermente più allegro, ma non serviva a molto per convincerlo. Mio fratello sapeva e covava dentro di sé quei sentimenti negativi.
Nemmeno le cure affettuose di Bianca riuscivano a distogliermi dal pensiero di Elisabetta. In questa circostanza, ebbi l’aiuto di una persona che fino a quel momento avevo considerato in modo minore rispetto a quello che effettivamente vale.
«Ancora depresso?» Fabio si sedette vicino a me sul divano nero di pelle del salotto di casa Moggelli.
«Un po’ … ».
«Ti va di fare una partita a carte? Un bel poker tra amici?». Sul suo viso era dipinta un’espressione bonaria.
«No grazie … non sono in vena».
Seguì un attimo di silenzio.
«Alex ascolta … non è così che si combattono le difficoltà».
«Lo so» mormorai a testa bassa.
«Non mi pare» disse Fabio appoggiandomi una mano sulla spalla. «Ascolta» affermò mentre impugnava una salda una copia di “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie «in questi giorni hai letto e riletto gli stessi libri, hai fissato il vuoto a ripetizione e hai guardato tv fino a scoppiare … cosa ti succede?».
«Lascia stare».
«Ma un bel niente!» disse spazientito. «Accetto che tu non voglia parlarne con Bianca o con tuo fratello. Passo sopra anche al fatto che tu non voglia dire quello che pensi e quello che provi a mio padre … ma almeno sfogati con me. Insomma, abbiamo su per giù la stessa età. Potrei essere tuo fratello».
«Ok» gli dissi a voce bassa, mantenendo lo sguardo distaccato. «C’è un po’ di tristezza per l’esito finale del caso della nave e … ».
«Sei dispiaciuto per non esser riuscito a salvare dal suicidio Elisabetta Criota, non è vero? Comunque ho sentito che sia Bascia che Merota sono stati arrestati per associazione mafiosa».
«Già».
«E non sei contento? Insomma, è anche merito tuo!».
«In un caso non ci sono eroi o antagonisti. C’è solo un detective che deve far di tutto per far regnare Giustizia ed equilibrio. E stavolta non … ».
«Stavolta un bel nulla! Tu hai provato a salvare quella donna dal suicidio! Ma lei non ti ha ascoltato e si è ammazzata con le sue mani. Alex, credimi, non hai nessuna colpa, ma è normale che tu ti senta uno straccio. Ora però devi reagire».
«Reagire» ripetei a voce bassa. «Reagire non è facile».
«Lo so bene Alex … ma hai diciotto anni, una mente brillante, un’intelligenza acuta, la vita davanti e una carriera che può davvero assicurare Giustizia dove non c’è … non buttarti giù per non esser riuscito a convincere un criminale a non togliersi la vita. Avresti dovuto crucciartene se non ci avessi nemmeno provato, ma tu sei stato sopra quella nave fino a cinque secondi prima dell’esplosione … hai rischiato la tua vita, hai rischiato di saltare in aria, solo perché volevi salvare una vita umana. La tua coscienza è a posto!».
«Forse hai ragione» ripetei a basso tono.
«Sicuramente è così, dammi retta!».
Quella sera abbracciai forte Fabio. Qualcuno una volta disse che l’uomo indossa delle maschere per tutta la vita. Sì, è vero. Tutti indossiamo delle maschere, ma la cosa più bella è che quando te la togli, a volte,  hai un animo ancora più nobile di quello che volevi mostrare. Fabio, che si era dimostrato svogliato, a tratti futile su argomenti seri, giocherellone, burlone e scostante su problemi di vera rilevanza, quella sera con le sue parole era riuscito a farmi cambiare idea. E non potrò mai ringraziarlo abbastanza.
«Ehi! Siamo in vena di abbracci?» Flavio era entrato dalla porta, con la sua consueta camminata.
«No, no» affermò Fabio «finalmente ha capito» aggiunse con un sorriso di soddisfazione.
«Ne sono felice» continuò Flavio. «Sai ragazzo … non era piacevole vederti in colpa» disse appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Non lo era nemmeno per me».
«Lo so bene».
«Vabbè» iniziò Fabio «io esco. Ho appuntamento con Martina al cinema».
«Buona serata Fabio e … grazie» gli dissi sorridendogli quasi in modo sofferente.
Non rispose, ma mi fece l’occhiolino. Passammo qualche minuto in silenzio.
«Sempre gialli eh? Sai, anche a me alla tua età piacevano tanto … ma non ero fissato come te» disse Flavio prendendo l’opera della Christie.
«Eh già … e pensa che l’ho riletto già una decina di volte … ormai so i nomi di tutti i protagonisti a memoria».
Ci fu ancora silenzio.
«Dimmi un po’ … se hai voglia di parlarne naturalmente … cosa ti stava dicendo Elisabetta Criota nel vostro scontro sulla nave?».
«Sì tranquillo … nulla, mi ha detto che il concorso era una farsa e che eravamo capitati lì per un errore di un server … I loro uomini … Sai che tutti erano traditori e … ».
«Non ho ben capito … ma avevano tradito lei?».
«No, il clan per il quale lavoravano».
«Il clan?».
«Sì, pareva che c’entrasse qualcosa col fuoco … mi pare si chiamasse Fuoco Re o qualcosa del genere … ».
Flavio trasalì senza alcuna espressione negli occhi e il vuoto per un momento  lo avvolse. Per un attimo impallidì. Poi si alzò ed uscì dalla stanza. Cosa stava succedendo? Rimasi di sasso.

Mentre a casa Moggelli il dialogo era ormai sfociato nel mistero, tanto più lontano due figuri parlavano della questione “Karen”. Stavolta Alex non era presente, per nulla, ma il suo essere risiedeva nell’aria e fluttuava nelle parole di persone a dir poco losche.
«Criota ha fallito l’assalto a quanto vedo». Una voce stanca, segnata dalla vecchiaia, strideva nell’aria come il suono di un coltello su uno specchio. Una televisione illuminava una stanza buia e le conferiva un aspetto decisamente poco allegro. La stanza era stazionata all’ultimo piano di un vecchio albergo sconclusionato. Era fuori città, a circa un quattrocento metri dalla campagna.
«Già» sussurrò una voce più giovanile, decisamente da quarantenne. «Succede» aggiunse tranquillo mentre fumava una sigaretta.
I volti dei due figuri erano nascosti dal buio e nessuno di loro era ben delineato alla luce del sole. Il più anziano dei due gettò la sigaretta a terra e la calpestò con la suola.
«E’ un problema quel ragazzo» aggiunse il vecchio.
«E’ solo una macchietta microscopica» commentò il quarantenne con poca esitazione.
«Già, hai ragione figliolo».

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sabato 14 gennaio 2012

Alex Fedele: Le punizioni della Karen 4°parte (episodio 22; stagione 1)


LE PUNIZIONI DELLA KAREN(4° parte)

PROLOGO: Il cerchio perfetto disegnato dall'assassino ha delle piccole imperfezioni e non è facile scovarle per un detective normale. Alex però non lo è e riesce a scoprire chi si cela dietro la maschera del sadico che sta terrorizzando la "Karen". E il volto è più improbabile che mai ... 

Cos’è successo nelle prime tre parti?:Bianca vince una crociera risolvendo insieme a me un gioco di logica su internet. La crociera sarà nel Mediterraneo e vede oltre a noi(io, Bianca, Flavio e Andrea), altri 7 passeggeri. Per i primi due giorni va tutto bene, ma la sera del secondo giorno, il capitano della nave si accorge che un passeggero è in mare. Viene ripescato e appuriamo che si tratta di Riccardo Montervino, lo stuntman che era partito con noi. Sembra un incidente, ma sulla testa c’è del sangue coagulato e sotto le unghie ci sono frammenti di pelle umana. NON E’ STATO UN INCIDENTE!La mattina dopo però. Un’altra spiacevole sorpresa ci attende. La signora Lonsi, è ritrovata morta nella sua cabina, con un accendino in mano ed un colpo di pistola alla testa. La cosa strana è che veste solo di una minuta vestaglietta intima. Veniamo inoltre a scoprire che il colpevole ha, con tutta probabilità, gettato l’arma del delitto in mare, e che la vittima trafficava droga per un clan mafioso. La mattina successiva, troviamo il corpo di Alberto Falonghieri, il noto imprenditore. Affianco al suo letto, vi è un coltellino da cucina, così il sospettato numero uno diventa il cuoco, Federico Mascella. La sera, io e Flavio decidiamo di dormire fuori dalla cabina e di sorprendere l’omicida. Un urlo però ci fa allontanare dal luogo. E’ quello di Elisabetta, che ci dice di aver visto un losco figuro dirigersi verso la sala delle caldaie. Andati lì, troviamo il corpo bruciato vivo di Federico Mascella. La testa però è lasciata fuori dal forno della caldaia nella quale era chiuso, probabilmente legato, così sul collo, noto che ci sono alcuni segni di violenza, con un ricamo a ghirigori. L’ASSASSINO E’ ANCORA TRA NOI!

Sigla di oggi: "Walk" by Foo Fighters


CAPITOLO VII – Voce alta

Il fresco richiamo marino adottava una nuova giornata. Eravamo rimasti in pochi, rispetto a quando eravamo partiti. Il capitano Casolare aveva un’espressione delusa e amareggiata. Si carezzava la sua grigia barba incolta e veniva assalito dalla foschia del mattino. Spruzzi di acqua leggeri, bagnavano le nostre tempie e ci consentivano di ottenere dei momenti di lucidità dall’incubo che stavamo vivendo. L’assassino pareva non aver lasciato tracce, e ciò era preoccupante. Non ho mai creduto al delitto perfetto. Non esiste. Non è mai esistito. Non esisterà mai. Il colpevole per quanto sia infame nel nascondere le prove che lo inchiodano, tralascerà sempre qualcosa.
C’era un’aria insolitamente fresca.
«Manca solo un giorno all’arrivo» osservò Enrico Bascia, l’operaio dal cuore umile. Quell’uomo era stato gentilissimo anche nei giorni scorsi, e, grazie alla sua indubbia freddezza, era riuscito a mantenere un self control davvero eccezionale.
Mio fratello fece uno starnuto. Poi un altro e ancora un altro.
«Tieni, prendi un fazzoletto» gli disse Elisabetta. La donna porse a mio fratello un pacchetto di fazzoletti di colore giallo ocra, con ricamature bianco sporco.
«Grazie mille signorina Elisabetta» ringraziò educatamente.
Avete presente quei flashback improvvisi? Me ne venne uno proprio in quel momento. I miei occhi si sbarrarono e si riempirono di sangue, i miei pugni si chiusero e divennero armi letali; Il mio volto si distorse dalla solita espressione pacifica e divenne pronto alla guerra. Ora quadrava tutto. I miei sospetti erano fondati. Ora sapevo come mai Orietta Lonsi aveva aperto al suo assassino in quel modo. Elisabetta, grazie ai suoi fazzoletti, mi aveva aperto la strada verso la deduzione principale, io la chiamo “ la base intuitiva casistica”.
Ora mi spiegavo come mai Federico Mascella fosse stato ritrovato in quelle condizioni e come mai Alberto Falonghieri fosse stato così fragile nel far entrare un papabile sospettato nella propria cabina. No, non erano coincidenze. Ce n’erano troppe.
Indifferente, mi avviai verso il ponte di comando e guardai i superstiti, che dialogavano tra loro di come il tempo in questa crociera non sia passato mai, a causa di quel brutale assassino che li torturava.
Andai dal capitano Casolare, lo tirai a me e gli chiesi un piccolo favore.
Dieci minuti dopo, la luce alta della nave si accese, abbagliando tutti i passeggeri, staff compreso. Flavio guardava in alto a fatica, dimenandosi per scostarsi da quella profonda luce bianca che gli invadeva gli occhi e che glieli faceva bruciare.
«Ma chi diamine è che si diverte a fare scherzi?!» urlò con la solita fermezza.
«Allora» dissi dal microfono posto a pochi centimetri da me e legato ad una postazione usata per controllare le aree marine più facilmente. «Piaciuto lo scherzetto?» dissi con ironia e tono sprezzante.
«Ma quello … » cominciò Bianca.
«E’ Alex!» ultimò Flavio con rabbia. Poi si avvicinò alla postazione, seppur da sotto, urlando a squarciagola:
«Scendi di lì ragazzino! Ti è dato di volta il cervello? Sei idiota oppure hai fatto un corso specifico per essere tale?».
«Ammetto di aver fatto un corso specializzato» risposi a tono. «Ma non tutto può essere insegnato come in una università, Flavio». Le mie parole risuonavano fastidiose alle orecchie dai partecipanti a quel macabro gioco. Il perché avessi scelto di parlare da lassù, è sconosciuto perfino a me. Non lo chiamerei protagonismo. Piuttosto mi andava che tutti mi sentissero bene, forte e chiaro. Ok, lo ammetto, non ridete, ma era abbastanza fico parlare da lassù. Ti sentivi come Al Pacino in “Scarface”, quando diceva “The World is Yours!”, ricordate?
Ad ogni modo, continuai la mia patetica recita da lupo di mare.
«Ma cosa dici Alex? Scendi prima di farti male!» mi rimproverò Bianca.
«Un attimo. Non interessa a nessuno sapere come si sono svolti i fatti dal primo omicidio fino all’ultimo?».
«Che cosa?» disse sonoramente Enrico Bascia «vuol dire che hai chiaro il quadro della situazione?».
«Esatto signor Bascia. Lei ha centrato il punto. Ora so, chi è il mostro che si diverte ad uccidere».
«Stai dicendo sul serio ragazzo? Non ci stai prendendo in giro» chiese Merota.
«Mai stato così serio» replicai dall’alto.Fisicamente parlando, sia chiaro.
«Allora muoviti! Dicci chi è l’assassino!» incitò Elisabetta.
«Con calma signorina. Non avrei fretta … sa com’è … non vedo come lei potrebbe essere felice di essere inchiodata al suo destino!» dissi alzando il tono della voce.
«Vuoi dire che … » disse Flavio a voce alta.
«Esatto, l’assassino che ha commesso ben quattro omicidi, è proprio la signorina Elisabetta Criota!».

CAPITOLO VIII – Arma a doppio taglio

«Ma come ti permetti? Brutto detective da quattro soldi!». Elisabetta Criota era fuori di sé. Gli occhi arrossati, le labbra secche e i pugni chiusi in posizione d’attacco, davano l’idea di una donna mentalmente instabile, anche se probabilmente non lo era affatto. E’ sempre così, mia madre diceva che esistono i pazzi e i pazzi furbi. La Criota era assolutamente del secondo tipo.
«Mi permetto eccome mia cara» dissi ironicamente. Avevo una faccia da schiaffi sul volto. Mi divertivo nel momento in cui dovevo incastrare i colpevoli. Vedere l’espressione di terrore dipinta sul loro volto, non aveva prezzo.
«Non chiamarmi “mia cara”, ragazzino impertinente!».
Al suo confronto un bisonte a cui avevano pestato la coda era nettamente più pacifico, ma che ci volete fare? E’ così che va la vita.
«Insomma, basta tergiversare! Vuoi dirci che prove hai contro Elisabetta?» urlò Flavio.
«Ti accontento subito. Passiamo al primo omicidio. Lo staff della nave ha dato l’allarme di un corpo in mare, che poi si è rivelato essere quello di Riccardo Montervino, il noto stuntman. Tutti hanno pensato a un incidente, ma la realtà dei fatti è molto diversa. Infatti, sul capo della vittima, c’era del sangue coagulato, e se non sbaglio anche nel punto in cui è stato ripescato il corpo c’era uno strano alone rosso. Con il buio non si vedeva bene, ma quando il vice capitano ha acceso il faretto principale della nave per consentire di vedere meglio il corpo in mare, me ne sono accorto subito. La vittima è stata prima tramortita e poi gettata a mare».
«Non sai quello che dici! Come avrei potuto, io che sono gracile ed esile, buttare un uomo di quel peso giù dalla nave, da sola?».
«Giusto Alex, non può essere» osservò Bianca toccandosi il mento.
«Oh, parliamoci chiaro. La signorina è abbastanza avvenente. Gli avrà detto di sporgersi per motivi di pura cavalleria e il nostro Riccardo, per buona educazione, non ha esitato nemmeno un attimo. Poi l’ha tramortito. Il pover’uomo è rimasto in bilico, barcollante sulla parte finale della nave. A quel punto bastava una spintarella. Non mi credete? Sotto le unghie della vittima sono state ritrovate parti di pelle umana. Sono sicuro, che non appena toccata la terraferma, la scientifica sarà curiosa di esaminarle, e allora scopriremo tutta la verità».
«Non ha prove contro di me» disse scostante Elisabetta.
«Mi dica una cosa. Alla partenza, lei vestiva sempre con canottiera scollata, aveva vestitini succinti, che poco lasciavano all’immaginazione. Mi dica, perché dal momento in cui Riccardo è stato assassinato, ha cominciato a vestire in modo diverso? Sempre felpe a maniche lunghe, anche quando il tempo non le consentivano». Il suo viso si fece di ghiaccio, gli occhi strabuzzarono tre volte. «Non è che ha qualche segno sulle braccia? La verità è che lo stuntman l’ha presa alle braccia cercando di difendersi e l’ha graffiata. E’ da lì che provengono i frammenti di pelle di cui parlavo poc’anzi!».
Tutta la nave mi fissava in modo alquanto interessato. Il capitano Casolare aveva imposto di default un sorriso soddisfatto sotto i baffi grigi.
«Per quanto riguarda la professoressa, scoprirla è stata ancora più semplice» sussurrai lisciando uno dei pali dell’imbarcazione.
«Il fatto è che la donna è stata ritrovata in vestiti intimi, con un accendino in mano».
«E quindi? Quale sarebbe la prova?» disse Enrico Bascia cercando di farsi sentire.
«La prova, signori, sta nell’abito della vittima». Un grido di sussulto uscì dalla bocca della maggior parte dei presenti.
«Provate a ragionarci» incitai. «In quel momento sulla nave c’erano due sole donne oltre a Bianca. Orietta Lonsi e la nostra Elisabetta. Se ha aperto la porta della cabina vestita in quel modo … ».
«Significa che a bussare doveva essere stata per forza una donna!» ne uscì vittoriosa Bianca.
«Proprio così» dissi socchiudendo gli occhi. Poi li riaprii «Solo una donna poteva convincere la signora Lonsi ad uscire in quello stato dalla sua cabina. Senza contare l’accendino in mano. Glielo avrà chiesto per fumare una sigaretta. Una volta che glielo ha visto in mano … l’ha aggredita e l’ha uccisa … non è vero Elisabetta?»
Non rispose.
«Non parla più adesso? Allora ascolti, parlo io» dissi aggrappandomi ad una fune collegata ad una delle viti di fissaggio del ponte sul quale avevo stazionato. Mi lasciai calare lentamente in basso e arrivai a destinazione. Inciampai però, e così feci una figuraccia. Ma perché sono così goffo a volte?
«Sapete» dissi mettendomi seduto a terra in segno di pace «le donne hanno un vantaggio non indifferente. Possono usare la loro seduzione come un’arma. Anche uno sguardo può trasformarsi in una letale arma se usato bene. E’ un po’ come per le parole, per le emozioni o per i semplici gesti».
«Ti metti a fare il poeta adesso?» mi rimproverò Flavio.
«Nient’affatto. La nostra Elisabetta, ha usato la sua arma migliore per fare i suoi porci comodi. Sto parlando della seduzione naturalmente. Prendiamo il signor Falonghieri ad esempio. Non deve essere stato difficile per lei entrare nella sua cabina. Lo avrà provocato un pochino, lui le avrà aperto credendo di averla conquistata, ma lei lo ha ammazzato senza pietà. Sto indovinando vero Elisabetta?».
«Maledetto … » mormorò lei in trance.
«E vuole sapere dove mi sono accorto che era stata propria lei a commettere l’omicidio? Flavio, ti ricordi quando abbiamo trovato un cadavere e tu avevi bisogno di un fazzoletto?».
«Sì, ma cosa c’entra?».
«Dimmi, chi è stata la prima a offrirtelo?».
«Elisabetta».
«E mi dica signora Elisabetta … lei come faceva a sapere dov’erano esattamente i fazzoletti nella stanza del signor Falonghieri? Lei si è tradita in quel momento. Non ha avuto nemmeno un attimo di esitazione. Li ha presi subito, quasi come se fosse la sua stanza».
«Ora che ci penso … è vero!» sussurrò il capitano Casolare.
«Aspetta solo un attimo!» disse Lucas Merota. «Elisabetta non può essere l’assassina, perché ha visto lei stessa il  colpevole passare per i corridoi della nave. Non ricordi ragazzo? Ha anche lanciato l’allarme!».
«Certo signor Merota, ma il fatto è che ha lanciato un falso allarme. Non avrà creduto davvero che abbia visto qualcuno muoversi nell’ombra? Il suo era solo un pretesto per condurci nella stanza delle caldaie, dove aveva già mietuto un’altra vittima, è questa la verità!».
«Ma non ci sono prove contro di lei stavolta».
«Oh sì che ci sono. La testa del signor Mascella, è rimasta fuori dalla caldaia, e di conseguenza anche il collo. Le bruciature sono meno evidenti. La vittima è stata prima strangolata, come si vede dai segni sul collo, e poi buttata lì dentro. Ma diamo un’occhiata alla corda con la quale ha strangolato. Ha dei motivi a ghirigori. Gli stessi motivi della borsa dalla cinta lunga che la signora Elisabetta aveva quando si è presentata a Roma il giorno della partenza! Le basta come prova signor Merota?».
«D-direi di sì» disse sbigottito.
Elisabetta, dal canto suo, guardava in basso. Tremava tutta e non sopportava il brusio che si era creato causa le mie parole. Gli occhi fissavano il vuoto, c’era davvero poco da fare, ce l’avevo in pugno.
«Bravo» disse con gli occhi malati e infangati del crimine. «Ma c’è una cosa che ancora non sai» disse accendendosi una sigaretta.
«Uh?» riuscii ad esclamare mentre mi guardava con gli occhi di volpe.
«Eh già, detective. Non hai visto la bomba che ho messo nella sala caldaie dei macchinisti?».
«Cosa?!» esclamai con gli occhi pieni di terrore.
«Eh sì» disse guardandosi l’orologio da polso «dovrebbe esplodere tra qualche minuto … tic-tac, tic tac, tic tac» e poi fece un risolino malvagio.
«Va subito a controllare!» disse Casolare ad uno dei ragazzi dello staff che all’occorrenza fungeva anche da macchinista. La “Karen” andava alimentata con un carburante speciale solo tre volte al giorno per quindici minuti. Poi andava liscio. Possedeva un sistema di automatizzazione quasi innovativo.
Il ragazzo fu di ritorno dopo pochi secondi.
«Capitano» disse ad alta voce mentre si asciugava il sudore dalla fronte imperlata «c’è davvero! E’ sotto una delle assi vecchie del pavimento».
Trasalii.
«Tra quando esploderà?» chiese Flavio ad occhi chiusi per il terrore.
«C’è scritto, sette minuti e venticinque secondi ».

ANTICIPAZIONE EPISODIO 23: Via il sipario, ora finalmente sappiamo che Elisabetta è l'assassina, ma con la bomba come la mettiamo e soprattutto, non sappiamo ancora i biechi motivi che hanno spinto la ragazza alla strage. Alex indaga e instaura un dialogo in punto di morte con la ragazza ... quando si dice, il passato che ritorna! ALEX FEDELE EPISODIO 23: LE PUNIZIONI DELLA KAREN 5° ed ultima parte!
NON PERDETELA PER NESSUNA RAGIONE! Solo qui a partire dal 21/01/2012