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martedì 7 agosto 2012

Comunicazione ai fan del 07/08/2012

Qualche novità:

I CASES: Avete presente i capitoli di ogni episodio? D'ora in poi saranno continuativi, cioè basta dire CAPITOLO I- II-III e poi ricominciare daccapo ad un nuovo episodi. Ora i capitoli si chiamano CASE e sono numerati in modo continuativo. Esempio: Episodio 1=CASE 1,2,3; Episodio 2= CASE 4-5-6 e così' via. Questo dà un senso di continuità, appunto, all'opera che è difficile avere
 con i capitoli statici come avevamo fino ad ora.

Ho fatto il conteggio di tutti gli episodi scritti. Ho ultimato da qualche giorno il 70esimo episodio che coincide con la fine della seconda stagione. I CASES sono alla fine 182 tra prima e seconda stagione e non ci fermeremo certo qui! Sto appunto scrivendo il secondo Great Enigma e poi inizierò la terza stagione.

La scelta dei CASES è motivata anche perchè cerchiamo un posto dove cominciare la pubblicazione di AF proprio a CASE. Nel senso pubblicare non il caso intero, ma UNA PARTE dell'episodio arrivando alla fine giorno dopo giorno. Naturalmente le pubblicazioni supereranno l'una a settimana ...

RESTYLING: Non sappiamo se verrà fatta un'opera di restyling per correggere e permettere a tutti di vedere la trasformazione, che sarà comunque effettiva già da sabato con "PAURA DEL ROSSO" , cinquantesimo episodio di AF. Nel caso in cui venga fatto, verrà fatto sa sul blog, sia sul DCF, sia su EW, ma poco a poco perchè è un lavoro davvero estenuante.

PAGE: Se riusciremo ad ottenere più visibilità e maggiori pubblicazioni, è probabile che la pagina si trasferisca, dunque seguiteci sempre e comunque.

Matteo

sabato 4 agosto 2012

Alex Fedele: La parte oscura del teatro #49(seconda stagione)


LA PARTE OSCURA DEL TEATRO

PROLOGO: Un caso giocato sull'intuito, sulla voglia di stupire, sulla facoltà di lasciarsi andare. Perchè a volte l'intelligenza non basta e serve fantasia ... la stessa fantasia che coordinerà i nostri durante un caso nella quale scopriranno ... il buio di un posto bellissimo!


Sigla di oggi: "Ora il mondo è perfetto" by Planet Funk e Giuliano Sangiorgi





CAPITOLO I – Il Novel

Il Novel di Torino è, secondo gli esperti e i vari critici, il teatro più moderno di tutta Italia. Costruito recentemente, la sua vista è a tratti imponente e il suo interno è a dir poco maestoso. L’ingegnere incaricato è stato il signor Giovanni Torta. L’opera di progettazione e costruzione della struttura è durata circa quattro anni e al progetto hanno lavorato ben centoventiquattro addetti tra architetti, operai, e ingegneri».
Maurizio Poscia era un vero appassionato di teatro. Parlava ormai del “Novel” da almeno un’ora e non accennava a segni di stanchezza.
Io, Flavio, Bianca e Fabio ci ritrovavamo lì perché il signor Poscia aveva avuto la gentilezza, e soprattutto la furbizia, di invitarci ad uno dei primi spettacoli organizzati dalla compagnia teatrale per la quale lavorava nel nuovo ed imponente teatro di Torino.
La verità è che era stato molto furbo. Circa un mese prima Flavio aveva lavorato ad un caso nel quale si era scoperto  un adulterio della moglie di Poscia ai danni del marito. Flavio lavorò giorno e notte al caso, facendo lunghi appostamenti e pedinando giorno dopo giorno la donna. Una volta che Poscia si vide recapitare la parcella, inviò all’ufficio investigativo quattro biglietti per assistere al suo spettacolo, giustificandosi come «artista non a contatto col vile denaro». «Infatti» aveva scritto nel biglietto allegato «offenderla con il vile denaro, signor Moggelli, sarebbe stato un fardello insopportabile per chi, come me, è abituato a dare ai soldi un valore esiguo. Per questo» aveva continuato convinto «ho deciso di invitarvi alle prove prima e allo spettacolo poi, che la compagnia teatrale per la quale lavoro sosterrà al teatro “Novel” di Torino. Ci vediamo presto, Suo Maurizio Poscia».
Inutile descrivervi la reazione di Flavio. Si arrabbiò talmente tanto che strappò il bigliettino in pezzi così piccoli che per ricomporlo ci sarebbero voluti dieci eserciti di formiche laboriose.
Quello era il primo giorno delle prove e stavamo visitando il teatro. Era davvero bellissimo, ma l’impressione è che lo sarebbero stati di più i soldi che ci doveva. Grossi balconcini in stile barocco si estendevano a metri e metri di altezza ed una vasta platea color rosso carminio era dipinta davanti al palco centrale.
«Vi presento i membri della compagnia teatrale che sono presenti. Alcuni arriveranno tra poco».
Attraversammo tutta la struttura e arrivammo fin sopra il palco. Bianca si emozionò quando toccò il palco con i piedi. Disse che le sembrava un sogno. Donne.
Era stato furbo Andrea. Aveva preferito stare a casa con Sergio e chissà come se la stava spassando tra i suoi piccoli giochini e la sua beata innocenza.

«Questo è Davide Merelli» disse Maurizio. «Lui è la punta di diamante della compagnia, un lavoratore encomiabile, uno straordinario attore. Avrà un futuro lucente».
«Non esagerare Maurizio. Comunque sono felice di conoscervi» disse un ragazzo di appena vent’anni con capelli castani e con una leggera forma di acne giovanile. Da come avevo capito doveva essere una sorta di grande promessa del teatro.
«E chi esagera? Lo sanno tutti che sei tu il motivo per il quale i critici vengono sempre a vedere i nostri spettacoli» disse entusiasticamente un uomo massiccio, dalla mole imponente e dal fisico sgraziato. Era vestito in modo sportivo e la barba incolta lo faceva assomigliare ad uno di quei protagonisti scalmanati di qualche reality show americano.
«Lui è Fabrizio Fogliersi. Lavora come attrezzista ed è un po’ il veterano del gruppo. Infatti, è l’unico assieme a me ad essere ancora presente nella vecchia formazione teatrale».
«Molto piacere. Ormai il “Gruppo Menecmi” è nel mio cuore, lo sai Maurizio».
«Menecmi?» domandò Flavio.
«Sì» intervenne Fabio «è il titolo di una commedia scritta dall'autore latino Plauto verso la fine del III secolo a.C. Il nome deriva da quello dei due personaggi principali, nonché fratelli gemelli. La commedia, in apparenza movimentatissima, tratta di un evento molto semplice: lo smarrimento e rapimento di Menecmo I e le peripezie che consentono ai due gemelli di incontrarsi per la prima volta e tornare insieme in patria».
«Complimenti per la cultura» apostrofai.
«Grazie mille» disse imbarazzato «ce l’hanno fatta studiare in seconda superiore e allora …».
«E ti è rimasta impressa tutto questo tempo? Dovevi essere un mostro di bravura in italiano».
«Nient’affatto. Il fatto è che la mia professoressa era un mostro … ma di cattiveria e così …».
«Capisco» asserii smorzando un sorriso.
«Già. La sa lunga il ragazzo» disse una voce calda e profonda.
Ci girammo e il nostro sguardo incontrò quello vivido e freddo di un uomo alto quasi quanto Flavio. Aveva l’aria di un intellettuale e portava gli occhialini leggermente abbassati sul naso, come per incutere autorità.
«Nicola! Volevo giusto presentarti … ».
«Non c’è bisogno. Mi presento da solo» affermò sicuro di sé. «Sono Nicola Locella. Faccio l’attore. Molto lieto» continuò in aria distinta.
Riuscimmo a balbettare qualcosa. Poi notai che una delle maniche della sua camicia, la destra per esattezza, era sporca come di carbone.
«Cos’ha fatto alla camicia? Il polsino destro è sporco» gli dissi.
«Oh, devo essermi macchiato prima in bagno».
In bagno? Aveva delle pietre come sapone?
«Nicola è molto intelligente. Prima di fare l’attore era ingegnere».
«Davvero?» domandò Bianca. «E come mai ha deciso di dedicarsi al teatro?».
«Ho semplicemente scoperto che il mio destino era un altro».
Enigmatico, snob e pure filosofo.
«Ciao ragazzi, come state?» fece in tempo a dire una ragazza rotondetta. Nel mentre però, scivolò rovinosamente e rovesciò sul palco un succo di frutta.
«Annamaria! Ti sei fatta male?» disse Davide cercando di aiutarla a rialzarsi.
Completamente opposta la reazione di Nicola. «Che pasticciona che sei! Potevi farti male e inoltre rovinare il teatro!».
«Mi dispiace molto, ma …».
«Ma un corno! Devi stare più attenta! L’attore è prima di tutto un animale da palcoscenico dotato di eleganza!» e così dicendo si allontanò dietro le quinte.
Non potevo dar torto a Nicola, ma nemmeno alla ragazza che chiamavano Annamaria. La zona del palco nel quale cadde era così buia che chiunque sarebbe ruzzolato.
«Scusate per la reazione di Nicola» ci disse Fabrizio. «Lui è fatto così, è uno studioso della disciplina e a volte anche durante le prove è molto duro».
«Oh, capiamo perfettamente» disse Flavio perplesso. In realtà non capiva affatto. Come dargli torto, d’altronde? Mai viste tante storie per una caduta, che idiota.
«Comunque io sono Annamaria Branchione. Sono anche io attrice, anche se non si direbbe» ci disse la ragazza sorridendo.
«Ma dove sono finiti gli altri? Sono in ritardo» commentò l’attrezzista.
«Cominciamo a provare le scene dove compaiono i vostri personaggi, vi va?».

CAPITOLO II – La scena principale

Iniziarono le prove e ci fecero accomodare in platea, in prima fila. Insieme a noi si accomodò Poscia.
«Di che parla lo spettacolo?» domandò Bianca.
«Oh, è una storia molto bella. I protagonisti sono Davide e Annamaria, per questo ho detto loro di provare e riprovare la scena madre. L’opera è ambientata nel millesettecento e parla di un nobile che si innamora di un membro della servitù della sua famiglia. Lei è talmente bella e gentile che conquista il nobile, ma il fratello, di quest’ultimo, che è interpretato da Nicola, è contrario e cerca in tutti i modi di contrastarlo».
«Che storia romantica! Ma l’ha scritta lei?».
«In parte sì. Un’altra parte è stata scritta da mio fratello, ma purtroppo è venuto a mancare tempo fa».
«Oh, mi spiace. Non volevo ricordarle …».
«Non fa niente ragazzina. Godiamoci le prove» e così dicendo sorrise.

«A volte penso che la mia vita sia molto più difficile di quanto pensi» disse Davide. Era talmente calato nel personaggio che, per il pubblico, non essere coinvolto nella recitazione era impossibile.
Eppure io non lo ero. Non so, forse ero l’unico al mondo, ma …
«Hai ragione. Ma è mio fratello il vero problema!» rispose di getto Annamaria.
I due stavano provando la scena madre e Bianca li guardava con occhi sognanti. Potevano appassionare tutti.
Io invece mi rigiravo i pollici. Che noia. Voi non avete idea di quanto sia scocciante stare a guardare qualcosa che non vi piace.
«Già. Quell’uomo è tanto ricco quanto vile!».
«Ma non lo fa apposta. Per lui è intollerabile che …».
E così per altri quindici lunghissimi minuti … ma l’ultima battuta fu questa:
«Sarà solo per te che io vivrò per sempre» di Davide.
Poi le luci si spensero per qualche minuto e noi restammo in silenzio. Il signor Poscia ci fece segno di stare zitti perché altrimenti avremmo rovinato l’enfasi. Purtroppo Flavio russava talmente tanto che al suo confronto una segheria in piena attività faceva lo stesso rumore di una suoneria polifonica regolata al minimo. Era buio e il rumore della chiusura del sipario era stata più forte del solito.
Poi un urlo. Un gridolino leggero soffocato dal dolore e poi l’agonia, l’agonia senza voce, quel tipo di sensazione e quel tipo di rumore che emettono coloro che vorrebbero difendersi almeno gridando aiuto e che invece non ce la fanno.
Le luci si riaccesero e credetemi, non avrei mai voluto che lo facessero. I miei occhi si sbarrarono e si allargarono in un’espressione davvero troppo cruenta per essere descritta. La mia bocca si aprì come per accogliere le mosche e tutto ciò che serviva per esprimere terrore si concentrò in quei pochi secondi nei quali vidi il corpo di Davide Merelli.
Era stato trafitto da parte a parte da un bastone dalla punta acuminata e su quel palco che fino a pochi secondi prima ci era sembrato il posto giusto dove nutrire speranze e sogni perfetti, sgorgava tanto sangue.
Bianca urlò. Fu un urlo talmente acuto da infrangere ogni decibel. Flavio urlò, ma il suo non fu terrore, bensì orrore. Fabio rimase scioccato, ma dentro di lui si combatteva una guerra infinita di sentimenti.

La polizia arrivò circa venti minuti dopo. L’ispettore Arturo Pesca si presentò sul posto.
«Flavio! Anche tu qui?» domandò con la solita aria indisponente mentre si chinava sul corpo.
«Già. Problemi?».
«Nessuno. Certo, non mi dirai che ti sei portato dietro anche quel moccioso … come si chiama? Walter, Gioele …».
«Alex!» disse stizzita Bianca. Poi mi distolse dal mio dialogo con l’attrezzista e mi tirò per un braccio per poi successivamente dire a Pesca «Sì, è qui e non è affatto un moccioso!».
La guardai fisso negli occhi e lei ricambiò lo sguardo.
«Lo dicevo per te, ti stavo difendendo …» riuscì a dire in totale imbarazzo.
Riuscii a farfugliare qualcosa come «grazie» e poi rivolsi le mie attenzioni a Pesca.
«Buonasera ispettore».
«Buonasera ragazzo. Vedo che sei sempre in mezzo …».
«Che ci vuol fare …».
«Bene, vorrà dire che mi occuperò del caso» disse convinto. Poi si rivolse a Poscia, ancora sconvolto per l’accaduto.
«Signor Poscia, vuol spiegarci cosa è successo? Ho saputo che lei è il principale responsabile di questa compagnia».
«Sì» riuscì a dire a fatica. «Io e i miei amici» disse indicandoci «stavamo guardando le prove della scena madre dell’opera … poi quando si sono riaccese le luci …» pareva non riuscire più a continuare, ma un agente della polizia, che fino ad allora non avevo mai visto, decise di intervenire.
« … l’avete trovato trafitto da quel paletto di acciaio».
«Esattamente».
Quell’agente non l’avevo mai visto e probabilmente non ci avevo mai nemmeno parlato. Però c’era qualcosa nei suoi modi di fare, nel suo modo di atteggiarsi, nel suo viso, che non mi era affatto nuovo.
Per fortuna Flavio ebbe l’accortezza di domandare.
«E tu chi sei, giovanotto?».
«Agente Giuliano Billeni, signore».
Flavio guardò Pesca.
«Nuovo elemento» rispose quest’ultimo.
«Ah … ma non ti ho ancora mai visto in giro … siccome vado spesso al commissariato …».
«Sono stato trasferito da Padova signore. Il mio trasferimento risale a circa due settimane fa, ha problemi signore?».
«A-assolutamente no … chiedevo soltanto …».
«Non ci fare caso, Flavio. Non è colpa sua, è proprio di carattere … un po’ scorbutico».
«Dio li fa e poi li accoppia … » sussurrai ridendo.
«Spiritoso. Giuliano è marziale».
E lo era davvero. Gli occhi grigi come l’acciaio ci fissavano e la sua testa, priva di capelli, era imperlata da un velo di sudore. Manteneva un’espressione talmente seria che era difficile pensare ad una sua risata. I baffi lunghi e il leggero pizzo sotto al mento, gli davano un’aria da duro, rafforzata dal fisico scolpito e dalla postura da soldato. Era basso però. Non superava sicuramente il metro e sessantacinque, ma si manteneva comunque in una posizione talmente combattiva che al suo confronto Mohammed Alì sarebbe sembrato un agnellino.
«Mi sembra lampante di come il colpevole sia tra voi quattro» concluse Pesca. «Tutti mi hanno detto che le uniche persone presenti siete voi, più il detective Moggelli e la sua famiglia».
«Non vorrà certo incolparci, non è vero? E su quali basi?» domandò Annamaria.
«Quelle le stabiliranno le indagini» rispose freddamente l’ispettore.
«Be’, Annamaria … le basi per te ci sarebbero» intervenne Fabrizio. L’attrezzista era appoggiato al tavolo da buffet che sporgeva da dietro le quinte e masticava un tramezzino. Come il suo pensiero fosse rivolto al cibo in quel determinato momento, rimaneva un mistero bello e buono.
«C-che cosa?» domandò Flavio incredulo. «Lei sa qualcosa che …».
«So molte cose» disse finendo il tramezzino.
«Per esempio?».
«Per esempio so che la signorina Annamaria aveva sofferto per la decisione di Davide, non è vero?».
La ragazza guardò in basso e cominciò a tremare.
«Sia più chiaro. A cosa si riferisce?».
«Qualche tempo fa erano fidanzati, ma poi Davide l’ha mollata e l’impressione era che Annamaria non l’avesse mai perdonato».
«Dice il vero?» domandò Pesca alla donna «è così?» ribadì dopo una non risposta.
«Sì, è vero. Eravamo fidanzati e lui mi ha lasciata. Ma non avrei mai pensato di commettere un omicidio per questo, figuriamoci!. L’attrezzista è lui, in fondo. Avrebbe potuto organizzare qualche trucco per far sì che Davide fosse trafitto da quel paletto di ferro, no?».
«In effetti …» si lasciò scappare Flavio.
«Non vorrete incolpare me? Io non avevo alcun movente …».
«Ah sì? E la lite della settimana scorsa? Siete arrivati quasi alle mani» affermò Nicola «te la sei già dimenticata? Tuo figlio voleva diventare attore e avevi chiesto a Davide di mettere una buona parola con Maurizio, ma lui aveva rifiutato».
«Sono … sono altri discorsi» rispose Fabrizio visibilmente scosso.
«No invece. Si tratta della stessa cosa».
«E comunque» riprese a parlare agguerrito «non avrei avuto il cervello per commettere quell’omicidio! Suvvia, come avrei potuto organizzare un trucco per far sì che quel paletto si conficcasse nel petto di Davide? Assurdo, no?».
Rimasi a pensare impassibile. Il colpevole si nascondeva sicuramente tra loro, Pesca aveva ragione. Ma chi era? E come aveva fatto?
«Hai capito qualcosa?» mi domandò Bianca.
«Ancora niente … tu hai notato qualcosa di strano?».
«Se l’avessi notato, te l’avrei già detto».
«Già» dissi portandomi una mano al mento.
«Che ne pensi di Maurizio?» mi chiese avvicinandosi.
«Non dire sciocchezze … è sempre stato con noi e non si è mai avvicinato al palco. No, il colpevole è tra loro tre, anche se ancora devo capire …».
Mi interruppi da solo e cominciai a fissare il sipario. Ora ricordavo. Il sipario era stato chiuso, pochi secondi prima dell’omicidio, in modo repentino e violento. Forse la chiave era lì. Dovevo assolutamente salire al piano di sopra per controllare. Mi sarei arrampicato su una trave o cosa, questo non lo so.
Domandai all’attrezzista dove fosse il bagno e lui, fortunatamente, mi disse di usare quello addetto al personale che si trovava dietro le quinte.
 Non appena fui fuori dalla visuale di tutti, mi acquattai al muro e mi trascinai verso la scala di legno che portava al piano di sopra. Arrivai su un pianerottolo polveroso e aprii la porta. Questa diede su uno spiazzale in legno veramente molto ampio, al quale mancava però una parte di pavimentazione. Da quella parte potevo udire i discorsi che si facevano al piano di sotto e si aveva una visuale dall’alto dei protagonisti della vicenda. Gli strumenti per l’apertura e la chiusura del sipario erano proprio accanto alla parte di pavimentazione rotta.
«Qui non c’è niente, dannazione!» mi dissi tra me e me. Avevo passato almeno dieci minuti a controllare tutto il controllabile, ma non avevo notato nulla di strano, con la sensazione di frustrazione che cominciava a farsi sentire. L’unica cosa positiva è che da quella visuale si poteva quantomeno vedere anche la parte di palco che era rimasta sempre oscurata. C’era infatti, un piccolissimo riflettore che faceva luce in quella zona e che poteva quantomeno farti vedere qualcosa in più di ciò che avresti visto al piano di sotto, dove l’oscurità in quella parte del palco più interna, regnava sovrana.

CAPITOLO III – Ombre nere sui faretti del teatro

Mentre stavo andando via inciampai, ma fui contento perché nella mia goffaggine scostai leggermente il riflettore e evidenziai una parte buia di palco del tutto interessante.
A terra c’era un mozzicone di carboncino, e c’erano residui di cenere, come se qualcuno avesse disegnato, scritto qualcosa. Ma cosa poteva essere?
Mi domandavo a cosa servisse per gli attori scrivere a terra sul palco. Poi feci una faccia da idiota e guardai nel vuoto come a sottolineare qualcosa di totalmente illogico e irrazionale. Che errore da parte mia!
Osservai gli anelli del bastone che servivano per manovrare il sipario, poi mi misi ad origliare le conversazioni di Pesca e di Ducato e raccolsi quella che poteva essere una prova schiacciante. Era stato abbandonato un fazzoletto con sopra residui di carbone. Stavo per intervenire per capirci qualcosa in più, ma non potei. Una mano longilinea e delicata mi toccò la nuca facendomi quasi cadere.
«Ma che …» riuscii a dire. Ma voltandomi capii che non c’era nulla da temere.
«Ciao!» mi disse allegra Bianca.
«Bianca! Che cosa fai qui?! Siamo in alto, è pericoloso!».
«E allora? Guarda che ci sei anche tu!».
«Oh mio Dio … è diverso! Senti, prima che tuo padre ci spiumi completamente, vai al piano di sotto e fatti vedere».
«Perché non posso stare qui? Voglio vedere come lavori …».
«Lascia stare come lavoro io! Scendi da qui perché è pericoloso stare su questa parte del piano. Non vedi?» dissi indicandole il vuoto «manca una parte della pavimentazione».
«E allora?».
«Se dovessi cadere?».
«Uffa! Sei peggio di papà, certe volte».
Stava andando via, ma poi frenò e mi disse:
«Qualcosa però hanno scoperto, hai sentito?».
«No … che cosa hanno detto?».
«Be’, Nicola ha detto di aver visto l’assassino».
«Che cosa?!» domandai energicamente alzandomi alla velocità della luce e lasciando la mia postazione d’osservazione. Afferrai Bianca per le spalle e la scossi in modo frenetico.
«Che cosa?!» ripetei agitandola.
«Ehi, sta calmo» mi disse con gli occhi diffidenti. «Comunque» proseguì aggiustandosi la maglietta di cotone che le avevo quasi sgualcito «indossava un giaccone rosso».
«Chi?».
«L’assassino, no? Nicola ha detto che lo ha visto ed ha notato che indossava un giaccone rosso. Basterà cercare un giaccone, fare degli esami e …».
Ma non l’ascoltavo più. Si era praticamente condannato da solo, ormai.  Ed ora ce l’avevo in pugno, povero lui.

«Mi stai ascoltando?».
«Eh? S-sì … come no … Ascolta, io scendo e tu vieni con me. Potresti essere decisiva per questo caso!».
«Io? Ma spiegami almeno come …».
«Non c’è tempo!» le urlai sorridendole e tirandola per il braccio.

Quando ci videro ritornare insieme, la perplessità avvolse tutta l’aria nel giro di almeno un chilometro quadrato.
«Perché siete ritornati insieme?» domandò subito Flavio.
«Ehm … ecco … io dovevo solo …» cominciai a balbettare, ma non riuscivo a proferire parola. Ero imbarazzato, in quanto io, ai fatti, ero fuori per andare in bagno e lei adesso era ritornata con me. Non volevo certo che pensassero ciò che non dovevano pensare.
«Ho cercato io Alex» interruppe Bianca. «Avevo bisogno di una mano per un problema al cellulare e così l’ho cercato dietro le quinte. Era appena uscito dal bagno».
«Eh già …» acconsentii con un sorriso da schiaffi e con il mio viso che pian piano diminuiva il rossore.
«Comunque … lui sa chi è il colpevole» continuò Bianca.
Pesca fece un’espressione sorpresa e al tempo stesso divertita; Flavio sgranò completamente gli occhi e i protagonisti di quella triste storia rimasero impassibili, ma solo apparentemente. Perfino io fui sorpreso dall’annuncio di Bianca.
«Ehi!» esclamai dandole gomito.
«Che c’è?» rispose sussurrandomi.
«Che diavolo ti è saltato in mente? Vuoi farmi prendere un colpo?» chiesi allo stesso modo.
«Perché? Non hai risolto il caso?».
«Sì, ma volevo prendere tempo per … oh, insomma …».
«Davvero hai risolto il caso, ragazzo?» mi disse Pesca avvicinandosi e alitandomi in faccia.
«Gradisce una mentina?» gli chiesi.
«Molto spiritoso, davvero da sbellicarsi».
«No, seriamente. Ne ho di alcune che fanno miracoli contro l’alito e …».
«Sta zitto e rispondi alla domanda!» mi rimproverò Flavio. Si avvicinò anche lui e fece la stessa identica cosa dell’ispettore.
Due alitate in meno di trenta secondi. Dovevo farlo omologare come record mondiale o qualcosa di simile.
«Hai davvero risolto il caso?» mi chiese anche Flavio.
«Ehm … sì …».
«Bene … vuoi dirci come è andata, oppure devo prenderti a calci fino a farti arrivare in Nebraska?».
 Guardai Bianca stranito e lei mi fece un’espressione del tipo “non volevo procurarti guai”.

Chiesi un bicchiere d’acqua per schiarirmi la voce. Avevo un gran mal di gola.  Poi mi sedetti in platea, pronto per lo show.
«E ora perché ti sei seduto lì?» mi chiese Flavio dal palco.
«Solo per comodità, non badate a me. Iniziamo a dire come si sono svolti effettivamente i fatti. La premessa è questa: Il colpevole è tra loro tre. Ho tenuto personalmente d’occhio il signor Poscia per tutto il tempo e questi, è stato sempre accanto a me o al detective Moggelli».
«Confermo» asserì Flavio con faccia scura.
«Innanzitutto, in questa vicenda ci sono delle cose che non quadrano. Non so se chi assisteva alle prove in platea l’ha notato, ma è da dire che al momento dell’abbassamento del sipario, le cose sono andate diversamente da come vanno di solito».
«Uh? In che senso?» domandò Pesca.
«Nel senso che … mettiamola così. Il sipario è stato calato ad una velocità impressionante. Sembrava che l’addetto stesse facendo una gara di velocità. Il mio sospetto è che …».
«Il sipario sia stato utilizzato come arma per compiere il delitto, vero?» chiese Bianca anticipandomi.
Feci un gran respiro e compiacendomi, annuii.
«Mi vuoi dire che è grazie al sipario che l’omicida ha ucciso la vittima? Spiegati meglio».
«Vedi Flavio, sono sicuro che se qualcuno andrà a controllare il bastone che regge la tenda del sipario, troverà qualcosa di interessante. Prima di tutto delle macchie di carbone sul legno e poi sicuramente qualche ferro storto o qualche piccola traccia».
Occorsero pochi minuti per salire a Giuliano Billeni.
«Corrisponde» disse nella sua compostezza.
«Visto?».
«Quindi?».
«Quindi l’omicida ha sicuramente agganciato il bastone di ferro all’apparecchiatura del sipario. Poi, per dare forza, ha calato il sipario a tutta velocità ed ha trafitto la vittima».
«Praticamente stai dicendo che ha usufruito del bastone e successivamente della tenda del sipario per agganciare l’arma e che poi ha usato la velocità per trafiggere la vittima … come una sorta di fionda? Ma come faceva a sapere la posizione esatta della vittima?».
«L’ha calcolata. Agente Billeni, provi a direzionare la luce di quel piccolo riflettore verso la parte scura del palco …».
L’agente eseguì. Poi un’espressione di sorpresa illuminò il suo volto.
«Carboncino … e ci sono scritte … sul palco!».
Pesca corse a controllare.
«Calcoli? Questa è matematica! Che situazione assurda!».
«Il nostro uomo è preciso, pignolo, puntiglioso, logico, razionale … è Nicola Locella, confessi, è lei che ha ucciso Davide Merelli!».
Il signor Nocella scoppiò a ridere come non mai e per un secondo mi sentii idiota.
«Dammi le prove, caricatura di un detective».
«Oh, suvvia. I calcoli da lei fatti sono ingegneristici. Ho visto statistica e qualcosa anche di fisica e lei è un ex ingegnere. Solo lei era capace di fare quelle cose».
«Tutto qui?» domandò Pesca.
«Oh, no … Prima, sul sipario, questo fazzoletto sporco di carboncino. Fatelo analizzare e vediamo quali impronte ci sono sopra. Lei ha fatto quei calcoli ed un’altra prova a suo svantaggio è la signorina Annamaria».
«Che c’entro io, adesso? Non sono sua complice!».
«No di certo. Ma ricorda quando è inciampata? Nicola l’ha rimproverata duramente. L’ha fatto perché lei ha rischiato di far cadere il succo di frutta proprio nella parte dove lui aveva fatto i calcoli! E lui doveva averli ancora per un po’, perché gli sarebbero serviti per colpire bene la vittima! Li avrebbe visti con il piccolo riflettore che ha utilizzato l’agente Billeni e che io stesso ho utilizzato pochi minuti fa!».
«Impressionante …» si lasciò scappare Pesca.
«Ma c’è di più. Il signor Nocella si è tradito».
«Tradito?» chiese Bianca.
«Eppure l’ha fatto in tua presenza. Ha detto di aver visto l’assassino indossare una giacca rossa, non è vero Bianca?».
«S-sì …» disse quasi intimorita.
«Mi spiegate come è possibile? Eravamo completamente al buio ed era impossibile distinguere i colori! Lei ha mentito, è andato nel panico e …».
«Basta così …» sussurrò buttandosi in ginocchio. Passò qualche secondo, poi continuò. «Ero sicuro di farcela … era perfetto …».
«Perché l’ha ucciso?» domandò Flavio.
«Una vecchia storia. Era fidanzato anche con mia sorella. Lui la lasciò per un’altra donna e lei si tolse la vita … dovevo fargliela pagare a quel bastardo maledetto! Non mi pento di ciò che ho fatto!».
Un dramma umano si era consumato, ma la cosa peggiore era avere la consapevolezza che non sarebbe stato l’ultimo. Il cervello umano a volte è incomprensibile.

«Sono stata brava, eh?» mi chiedeva Bianca. Me lo chiedeva da venti minuti, con un sorriso smorzato sulla faccia e con i suoi occhioni castani scuri che cercavano approvazione da parte mia.
«Sì … bravissima …» continuavo a ripeterle poco convinto.
«Potrei diventare la vostra aiutante, che ne dite?».
Flavio ebbe un colpo e sterzò l’auto.
Sobbalzai anch’io.
«Papà! Ma che ti prende?!».
«Ne … ne parleremo … ok?» dissi cercando l’approvazione di Flavio.
«Ne parlerai …» mi rispose scrollandosi di dosso le responsabilità.
«Buona fortuna … fratello!» sussurrò Fabio dandomi di gomito.
E ora? Chi glielo dice che ha avuto solo fortuna nell’ascoltare quella conversazione?

ANTICIPAZIONE EPISODIO 50: Il rosso è un colore bellissimo, ma a volte può fare paura e diventare il pretesto per un crimine. Il rosso, poi, è anche il colore del fuoco ... e i nostri si scotteranno. ALEX FEDELE EPISODIO 50 - PAURA DEL ROSSO. IMPORTANTE PER LA TRAMA PRINCIPALE! SOLO QUI A PARTIRE DALL'11 AGOSTO 2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!!!