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sabato 28 aprile 2012

Alex Fedele: Un suicidio poco realistico #35(seconda stagione)


UN SUICIDIO POCO REALISTICO

PROLOGO: Sul suicidio c'è poco da dire. Una persona si toglie la vita, lo fa di propria volontà. Ma è davvero così? 



CAPITOLO I – Il suicida

Di sera Torino assume un’aria quasi macabra. Gli alberi si dipingono tramite le proprie ombre sui marciapiedi e i lampioni conferiscono una sorta di atmosfera mistica. Le persone che di giorno ti sembrano rispettabili diventano, come ad un tratto, all’apparenza meno tranquille del solito e se per caso un tipo sospettoso come me dovesse incontrare un uomo con il bavero della giacca rialzato, penserebbe subito ad un tipo losco.
Quella sera io e Flavio avevamo deciso di accompagnare Bianca a dormire da Barbara, la sua migliore amica. Le due ragazze avevano intenzione di fare un pigiama party d’eccezione, con tutte le ragazze della scuola. Erano ormai le sette e trenta della sera quando lasciammo Bianca di fronte ad una palazzina color verde acqua che troneggiava come un punto di riferimento all’interno del quartiere.
«Figlie … mi raccomando, quando avrai delle femmine, non permetter loro mai di imporsi con te» mi disse Flavio mentre era alla guida della sua Fiat Croma.
«Davvero? Perché dici questo?».
«Credimi ragazzo, fa come dico io. Da bambine sembrano innocenti, sono tranquille, molto svagate, tu ci giochi e loro fanno degli enormi sorrisi per assecondarti. Ma è solo una trappola! Una volta diventate grandi cominciano a rompere sul fatto che tu non sia abbastanza moderno, che vogliono ritirarsi a casa quando vogliono, che invece di bambole e giochini vogliono che tu le faccia fare fotografie a grandezze naturali in alta definizione e tutte quelle cose che fanno vedere nei film demenziali al cinema, hai presente?».
La foto alla quale alludeva Flavio era posizionata nella camera di Bianca. Era una bellissima fotografia incorniciata. Nella foto era ritratta Bianca, qualche anno prima, mentre sorrideva con fare angelico e mentre si teneva forte a sua madre, una bellissima donna dai capelli castani scuri e dagli occhi azzurri. Occhi speciali quelli della madre di Bianca, che parlavano da soli e che gridavano gioia di vivere. Il ritratto in bianco e nero suscitava sempre qualche emozione a Bianca, che riteneva si trattasse dell’ultima cosa che sua madre avesse fatto per lei prima di morire. Era stupendo. Cercai di raccapezzarmi e continuai a cercare di sostenere uno dei pochi dialoghi seri che avessi avuto fin dalla mia comparsa a Torino.
«Poi credo che per un padre sia anche … diciamo … più imbarazzante parlare con una figlia di certi argomenti o sbaglio?».
«E infatti non sbagli. Sai, la mancanza di mia moglie è stata una tragedia sotto tutti i punti di vista. Nella vita una persona ha bisogno sia di un padre che di una madre e quando uno di questi due viene a mancare, il genitore che rimane è soggetto ad una responsabilità pressoché enorme. Il fatto è che non credo che Bianca voglia parlare con me di certi argomenti … e per certi argomenti sai benissimo cosa intendo, non è vero furbacchione?» mi domandò con una espressione quasi comica.
«Be …» iniziai piuttosto imbarazzato. «Ehm … certo che lo so. Tanto tu … puoi stare tranquillo con Bianca, no?».
«E come mai dici questo?».
«E’ una ragazza con la testa sulla spalle, non una … insomma, non è una …».
«Di facili costumi. Giusto?».
«Esattamente. Si fa rispettare, voglio dire» continuai arrossendo leggermente.
«Questo è assodato».
Seguì un momento di silenzio.
«E tua madre come se la cavava?».
«Cioè?».
«Voglio dire … hai perso tuo padre che avevi …».
«Tredici anni».
«Già. Non deve essere stato facile per lei … rimanere con dei bambini in casa, no?».
«Sì, in effetti è così. Io avevo tredici anni, Andrea era di pochi mesi e Stefano, mio fratello più grande,ne aveva appena compiuti sedici. Il resto della storia lo sai. Mamma accettò gli incarichi in Giappone solo quando Stefano raggiunse la maggior età. Io e Andrea vivemmo per alcuni mesi con Stefano, almeno fino a quando quest’ultimo non decise di studiare architettura in America. Poi ci fu il periodo del tribunale, con me che costrinsi mia madre a lasciarmi vivere da solo nonostante avessi soltanto quindici anni all’epoca».
«E come finì?».
«Come già ti avevo accennato. Finì che … dopo lunghe procedure durate alcuni mesi, nei quali vissi dai miei zii a circa due isolati di distanza da casa mia, il giudice incaricato del caso decise di affidare la problematica a degli ispettori speciali che avrebbero dovuto controllare la mia quotidianità giorno dopo giorno per un periodo di tempo indeterminato. In sintesi dovevano controllare che sapessi cosa fare in caso di emergenza, che andassi a scuola tutti i giorni, che sapessi mettere qualcosa in tavola, eccetera, eccetera …».
«E alla fine vincesti tu, non è vero?».
«In un certo senso sì. Fui lasciato a vivere da solo a patto che un ispettore venisse una volta alla settimana a controllare la casa e le mie attività e che i miei parenti di Fondi mi avrebbero controllato e monitorato a vista. Fu una sorta di emancipazione speciale».
«Hai vissuto da solo per tre anni, non è vero?».
«Sì … fino al PSD. Poi sono andato lì a lezione per un mese e quindi avevamo dormitori, mense … hai chiaro il concetto, no?».
«E’ chiaro. Chissà tua madre come si sarà battuta per farti vivere da solo. Insomma … avevi solo quindici anni».
«Mia madre inizialmente era contraria. Voleva che scegliessi di vivere o in Giappone o in America con Stefano, ma io non avevo alcuna voglia di cambiare paese e così concordammo di stipulare un accordo legale. Offrì al giudice la sua garanzia nei miei confronti e così si avviarono le procedure. Devo dire che fui avvantaggiato anche dal fatto di non aver avuto zii troppo lontani … ».
«Altro che figlie femmine … tu sei stato molto peggio …».
«Ma che dici!?».
«Tua madre ha fatto da garante, ma io non l’avrei mai fatto con uno dei miei figli. E’ troppo pericoloso».
«Anche andare a scuola da solo è pericoloso … in strada puoi incontrare qualche delinquente che può picchiarti. La vita è tutta pericolosa, alla fine …».
«Che razza di discorsi … sembri un filosofo e …».
«Attento! Dannazione!» urlai a perdifiato impugnando il volante e facendo una manovra che ci fece andare in un’ aiuola. Flavio riuscì a frenare e una volta ripresosi dallo shock mi guardò fisso e mi disse:
«Ma sei andato fuori di testa?! Rischiavamo di morire!».
«Guarda là …» gli dissi indicando alla destra della zona nella quale eravamo posizionati noi.
Flavio si voltò e i suoi occhi si congelarono in un fondersi di paura e di estrema preoccupazione. Il corpo di un uomo era rivolto faccia a terra, rigido e inevitabilmente spaventoso. Flavio era distratto mentre parlava con me, ma per quanto mi riguardava lo avevo visto precipitare dall’alto all’ultimo momento.
Subito scendemmo dalla macchina cercando di trovare qualcuno in aiuto che cercasse di spiegarci la situazione, ma i passanti e i venditori situati vicino alla scena del crimine erano già abbastanza scossi per conto loro ed un ulteriore spiegazione sarebbe stata devastante.
«Chiamate subito un’ambulanza!» urlò un uomo posizionato allo stesso piano del palazzo dal quale era precipitata la vittima dell’incidente.
«Non è necessario … è morto. Chiamate la polizia» annunciò un intristito Flavio.

CAPITOLO II – Non è realistico

L’ispettore Ducato, seguito come al solito dal fido Giuseppe Novato, si precipitò in pochi minuti senza il bisogno di alcuna chiamata supplementare.
«Che succede Flavio?» domandò in aria stressata. Ducato era un lavoratore davvero instancabile, un cavallo da corsa senza freni, un grande uomo dedito al proprio lavoro. Un giorno, parlando con Novato, quest’ultimo mi aveva confessato che ormai l’ispettore era completamente assorto dal suo lavoro e che aveva addirittura litigato con sua moglie per questa problematica. Non prendeva ferie da almeno un decennio e rimaneva imperterrito nella sua posizione proponendosi per faticosi ed infiniti turni di notte, straordinari, facendo appostamenti pericolosi e quant’altro.
«Un incidente signore. Quest’uomo è caduto dal terzo piano di questa palazzina giallo ocra. L’impatto è stato fatale».
«Capisco … Novato, metti a verbale. Alex, ci sei anche tu? Non ti avevo visto … come va?».
«Tutto a posto ispettore. E a lei?».
«Tralasciamo ragazzo … tralasciamo …» mi sussurrò con aria stanca. Poi si lisciò la barba incolta e toccandosi i leggeri baffetti disse: «Forse sarebbe meglio dare un’occhiata all’appartamento, non pensi anche tu Flavio?».
«Be’ … se lo ritiene necessario …».
Detto questo, ci avvicendammo nel salire al terzo piano di quella palazzina giallo ocra. Era vecchia, probabilmente costruita immediatamente nel dopoguerra e se ne stava ferma ad osservare tutte le crudeltà del mondo.
Alla porta ci aprì un ragazzo da fattezze rotonde e da un’indubbia emotività. Continuava ad avere le lacrime agli occhi e nonostante i tentativi di Novato di calmarlo, il suo tremolio di braccia e di gambe non accennava a diminuire. L’appartamento era davvero carino e ben in ordine. L’uomo era precipitato da una vetrata senza balconi, con un cornicione davvero sottile. L’aveva completamente sfondata ed è per questo che si era pensato subito ad un suicidio.
«Allora … lei in che rapporti era con la vittima?» domandò Ducato al ragazzo.
«Ero il suo coinquilino …».
«Vuole darci le sue generalità per favore?».
«Non sospetterà di me non è vero? Non ho fatto niente! Lo giuro! Non può …».
«Stia calmo» lo placò Flavio. «L’ispettore ha il dovere di mettere tutto per iscritto, quindi cortesemente annunci le sue generalità».
«Ok … sono Patrizio Berruti, sono nato a Torino il 4 Marzo 1986 e sono studente universitario presso la facoltà di legge … però lavoro anche come assistente per un fotografo …».
«Ok. E il suo coinquilino era …».
«Marco Carlotis, era di Cagliari. Nato il 14 Aprile1967.  Lui era invece docente in una scuola media …» sussurrò ancora abbastanza scosso.
Intanto mi guardavo intorno. Cercavo di trovare indizi circa l’incidente, quando l’ispettore continuò nel suo interrogatorio con domande del tutto interessanti, attirando così la mia attenzione.
«E mi dica signor Berruti, in che rapporto era con la vittima?».
«Era il mio coinquilino, ve l’ho detto poco fa …».
«Già, ma intendevo dire … da quando lo conosceva?».
«Oh,era relativamente poco, nemmeno due settimane».
«Nemmeno due settimane?».
«Già. Si era trasferito a Torino da circa tre settimane e avevamo deciso di condividere l’appartamento …».
«Mi scusi signor Berruti» interruppi.
«Dimmi»
«Prima ha perso questo dai jeans … è una ricevuta del pedaggio in autostrada … ma la macchina risulta essere intestata al suo amico e …».
«Oh già … be’ forse ci siamo scambiati i jeans …».
«Già … forse» sussurrai dando la ricevuta a Novato.
Più andavo avanti e più mi rendevo conto che la tesi dell’incidente era terribilmente fuori luogo. Ragioniamo. Personalmente non conosco molte persone che affiderebbero un’auto ad una persona che conoscono soltanto da due settimane. C’era qualcosa che ancora mi sfuggiva, qualcosa che ancora non riuscivo a connettere, ma senza dubbio la tesi dell’incidente non aveva un filo rosso che la collegava.

«Può descriverci adesso la dinamica dell’incidente signor Berruti?» chiese elegantemente Novato. Giuseppe Novato apparteneva a quella categoria di persone che avevano una visione completamente diversa del lavoro e della posizione che assumevano. Col tempo mi ero accorto che era impeccabile in tutto ciò che faceva, ma che nella vita di tutti i giorni sapeva reinventarsi. Avevo anche notato che non aveva per niente l’aspetto del poliziotto. I capelli sparati in alto, a destra e a manca, modellati con litri di gel davano già un’impressione diversa da quella di tutore della legge incorruttibile. Ma erano altre le cose che lo contraddistinguevano.
La sua ironia dissacrante, il suo volto giovane, fresco, simpatico, gli permettevano tranquillamente di evadere dagli status quo imposti da questa professione secondo in quali sembra quasi che la polizia debba annoverare tra le proprie fila solo musoni inguardabili e uomini super impegnati.
«Certo. Be’ vede, non l’ho visto proprio bene e non saprei descrivervelo accuratamente perché ero fuori fino a pochi secondi prima …».
«Vuole dirci in che senso?» domandò Flavio curioso.
«Vede, mi occupo delle piante del condominio. Devo potarle, innaffiarle, è una mia grande passione e così ero fuori con i guanti e quant’altro».
«Capisco, quindi appena entrato …».
«Ho visto Marco in bilico e pochi attimi dopo è caduto!».
«Interessante … decisamente interessante» osservò Novato.
«Che lei sappia» continuò sempre Novato «la vittima aveva manifestato qualche segno di squilibrio evidente? Qualche disturbo sociale, emotivo?».
«No … non mi pare proprio».

Aveva mentito per la seconda volta. Ora ne ero sicuro, non si era trattato di omicidio e il colpevole era lui. Si era tradito ben due volte ed era davvero assurdo non pensare il contrario. Oltre alla tessera dell’autostrada, c’erano altre due cose che non quadravano, ma non riuscivo a mettere bene a fuoco la vicenda. Mancava un tassello, una piccola parte che avrebbe sicuramente potuto inchiodare l’omicida.
«Ma che lei sappia, ha avuto qualche shock in passato?».
«Be’ …».
«Signor Berruti» ammonì repentinamente Ducato «se conosce qualcosa del passato della vittima, è pregato di dircelo. Dobbiamo redigere un verbale».
«Mi aveva raccontato di aver perso sua figlia, circa tre anni fa in un incidente stradale a Cagliari».
Ora che me lo faceva notare, sul tavolino vicino al divano c’era una fotografia interessante. Era ritratta una ragazza di circa quindici anni, con lunghi capelli neri e cuffiette da Ipad. Indossava un berrettino verde ed una felpa violacea. Sorrideva teneramente tenendo in braccio un gattino dalle piccole dimensioni.
«E’ questa la figlia del signor Carlotis?» domandai innocentemente.
«Esattamente … si chiamava Maya».
«Uh? Che nome strano …».
«Lo so, ma gliel’aveva scelto la sua povera mamma …».
«Vuole dire che anche la moglie della vittima …» iniziò quasi avvilito Flavio.
«Sì. Morì nello stesso incidente che coinvolse anche la figlioletta adolescente».
«Da qui il trasferimento, non è vero?» chiesi con gli occhi bassi.
«S-sì … ma come fai a saperlo ragazzo?» mi domandò Berruti con aria incredula.
«Oh, so tante cose. Quando le persone hanno bisogno di distrarsi vanno via per un po’ … succede …».
«Diamo un’occhiata alla vetrata» incitò Ducato. Con i suoi guanti bianchi e le sue mani marcate, cominciò a toccare i lunghi e pesanti vetri che facevano da riempitivo alla porta di legno.
«Sembra quasi sia stata presa a spallate … un pezzo del legno che unisce il cardine è scheggiato …».
«Ispettore!» urlò un uomo della scientifica. Si era fatto tre piani a piedi correndo, ed ora non riusciva nemmeno a fabbricare ossigeno necessario per far funzionare il cervello.
«Agella, dimmi pure».
«Sul corpo della vittima, sulla spalla destra, abbiamo trovato delle schegge di legno conficcate».
«Ecco qui svelato il mistero della porta» ultimò Novato.
«Ma non è finita. Alcuni testimoni oculari hanno affermato di averlo sentito gridare a perdifiato mentre si buttava. Inoltre, mentre stava quasi per schiantarsi invocava una certa Maya … Infine, la vittima si era appena svegliata quando ha compiuto il tragico gesto. Lo possiamo intuire dal pigiama che ha indossato per buttarsi».
«Ma Maya è sua figlia!» esclamò Flavio.
«Be’, di che ti sorprendi? Non è tanto strano. Ha voluto salutare il mondo per raggiungere sua figlia e sua moglie e per farlo invocava il nome della prima. Può accadere … » affermò distrattamente Ducato.
«C’è un’altra cosa strana però …» commentai.
«E cioè Alex?» mi chiese Novato.
«Be’, non è normale che una persona che stia per suicidarsi gridi a perdifiato … certo, è normale il fatto del riferimento a sua figlia, ma un suicida cade in silenzio …».
«Be’, ha ragione il ragazzo …» osservò Ducato.
«Inoltre c’è anche un’altra cosa molto strana …» dissi toccando i vetri della finestra. «Guardate. C’è del nastro adesivo a quattro angoli di una delle due porte, sui vetri, avete visto?».
«Hai ragione … e sono posizionati ad un’altezza piuttosto alta e ad una distanza piuttosto elevata l’uno dall’altro».
«Che strano!» esclamò Novato. Poi squillò il telefono di Flavio.
«Oh, scusate. E’ un messaggio di Bianca».
«Uh? Non sapevo che avessi un’immagine di un campo da golf come sfondo».
«Be’, è vietato dalla legge?» mi chiese ironicamente.
«No, no … ci mancherebbe … ma sarebbe più normale un giocatore …».
«Ma che t’importa? Insomma, se potessi … altro che gigantografia in camera di Bianca … me ne farei fare una del campo da golf, così potrei sentirmi sul campo anche in ufficio!».
Rimasi un attimo a fissare il vuoto come un perfetto idiota, poi cominciai a carburare e urlai.
«Ecco il filo!».

CAPITOLO III – Il filo rosso
L’intera stanza si voltò a guardarmi.
«Ma quale filo? Di che parli? Sei andato fuori di testa?» mi domandò quasi stranito Flavio.
«Signori, ho capito tutto finalmente. So benissimo come sono andate le cose e sono pronto a spiegarvele».
«Ma è stato un incidente, questo è assodato!» esclamò Ducato.
«Per niente ispettore. Ci sono molti elementi che fanno pensare ad un omicidio e non ad un suicidio!».
«Che cosa? Spiegati ragazzo!». Ducato sudava freddo e ormai si lisciava la barba continuamente. Era tutto un fremito e pareva in procinto di partorire.
«Innanzitutto, c’è la questione dell’urlo. Un suicida non griderebbe mai mentre spicca l’ultimo volo. Ok, vada per l’invocazione a sua figlia, ma non è assolutamente possibile che una persona che stia per suicidarsi urli così tanto».
«Continua, questo l’hai già detto …» comunicò Novato.
«Successivamente c’è la questione della vetrata. Mi dite perché avrebbe dovuto spaccarla? Insomma, poteva tranquillamente aprirla e di conseguenza buttarsi giù senza fare il minimo danno, ma la vittima no, la vittima ha preferito infrangerla. Mi sa dire il perché?».
«Ehm … no Alex, ma …».
«E poi il nastro adesivo agli angoli della vetrata … tutto ciò puzza. Forse c’era qualcosa di irrinunciabile alla finestra, forse un qualcosa che il nostro uomo non vedeva da tempo, qualcuno che desiderava vedere da tempo …».
«Be’ … l’unica persona che avrebbe potuto desiderare di vedere è …».
«Maya!» esclamò Flavio.
«Esattamente».
«Ma … stai sostenendo che Maya ha fatto suicidare suo padre?».
«Oh no …» dissi allontanandomi e sedendomi sul divano. «Vede ispettore. La vittima stava dormendo quando è successo il fattaccio e a Torino ci sono molti studi fotografici professionali. Riescono a fare delle foto ad altissima definizione e a grandezza naturale di qualunque soggetto tu voglia».
«Ma cosa c’entra adesso?».
«Ma come, non ha capito ispettore Ducato? Il colpevole ha architettato un trucco semplice ed efficace basandosi sul subconscio della sua vittima. Innanzitutto si è procurata una foto di Maya, poi l’ha fatta riprodurre a grandezza naturale ed infine l’ha appesa alla vetrata. Una persona appena sveglia che vede di fronte a sé  la faccia della figlioletta morta, a grandezza naturale, schizza subito via per abbracciarla, non crede?».
Ducato si scurì in volto, mentre Berruti cominciava ad abbassare gradualmente lo sguardo. Il topo era in trappola.
«Ho capito! Il colpevole voleva inscenare un suicidio con l’ausilio della tecnologia in ambito fotografico!».
«Esatto ispettore. E mi perdoni se l’anticipo, ma il colpevole può essere solo uno. Signor Berruti, confessi, non ci faccia perdere tempo. E’ stato lei!».
«Ma … è matto? Figuriamoci se commetto un omicidio!».
«Sa signor Berruti, il suo piano era davvero ben congeniato. Sfortunatamente per lei,  ha lasciato vari indizi in alcuni punti. Innanzitutto, ha affermato di conoscere la vittima solo da due settimane, ma non è assolutamente vero. Ha detto questo per evitare di essere coinvolto il meno possibile nel caso, non è vero?».
«Aspetta, che prove hai che lo conoscesse da più tempo?» mi domandò Flavio.
«Il biglietto del pedaggio dell’autostrada, ricordate? Vi pare che una persona possa affidare la sua auto ad una persona che conosce solo da due settimane? E inoltre anche più giovane?».
«In effetti è vero … ma non è sufficiente Alex. Ha detto di aver indossato per sbaglio i jeans dell’amico, non ricordi?» commentò Novato.
 «Già, ma qualcuno ha notato la differenza di stazza che c’è tra i due? Mi perdoni signor Berruti, ma lei è grosso almeno due volte la vittima, fisicamente parlando».
«Non ci avevo fatto caso, è vero!» commentò Ducato.
«E’ impossibile quindi che lei possa aver indossato i jeans del suo amico. Gli sarebbero andati stretti, è evidente no? Ma ci sono altre parti del suo discorso che hanno permesso di smascherarla. Ricorda quando ha detto di essere entrato poco prima che il suo amico si buttasse? Be’ non è possibile».
«E perché no? Potavo le piante fuori!».
«E mi dica, dov’è l’attrezzatura necessaria?».
«Co-cosa?».
«Ma sì, l’attrezzatura. Dov’è finita? Grembiule, pinzette, acqua … Non mi dirà che lei, nonostante stesse per assistere ad un suicidio bello e buono, abbia avuto la freddezza di mettere tutto a posto? Perché se è così, complimenti per la calma …».
«No … il fatto è che io …».
«Il fatto è che lei sta crollando signor Berruti. L’unico che poteva procurarsi una foto ad alta definizione della figlia della vittima era lei, vivendo qui e lavorando contemporaneamente in uno studio fotografico. E le dirò di più. Non ha avuto nemmeno il tempo di disfarsi della foto completamente. Scommetto che se rovisteremo nella spazzatura, troveremo quello che cerchiamo e …».
«Basta così» mi interruppe. Si lasciò andare sul divano e inarcò il sopracciglio destro «è  vero. L’ho ucciso io».
«Ma perché l’ha fatto?» chiese Flavio.
«Era diventato scontroso e irascibile con tutti e minacciava di svelare il mio segreto».
«Quale segreto?» domandò sospettoso Ducato.
«In realtà evadevo fiscalmente da più di quattro anni. Facevo una bella vita … una sera avevamo alzato troppo il gomito e così inconsciamente, glielo rivelai. Fu l’errore più grande della mia vita».
«L’errore più grande della sua vita è stato commettere un omicidio signor Berruti. Che Dio abbia pietà di lei …» commentò Novato affranto.

«Ho cambiato idea sulle gigantografie, sai Alex?» mi disse energicamente Flavio in auto.
«Davvero? Perché?».
«Be, se hanno permesso di smascherare un omicidio, non possono essere tanto malvagie … sai che farò? Un galleria con alcuni dei miei scatti migliori! L’appenderò nel mio ufficio, in casa, dappertutto!».
«Domani cambio residenza …».
«Cosa?».
«Niente, ragionavo ad alta voce».

ANTICIPAZIONE EPISODIO 36: Quando l'eccitazione diventa terrore ... i nostri vanno ancora una volta in uno studio televisivo, ma avviene un orrendo crimine. Chi è l'assassino? Il mistero lo risolverà ... l'ascensore! ALEX FEDELE EPISODIO 36 - L'ASCENSORE RIVELATORE.
Solo qui a partire dal 5 Maggio 2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!









sabato 21 aprile 2012

Alex Fedele: Persi nella neve #34(seconda stagione)


PERSI NELLA NEVE

PROLOGO:Un caso irrisolto, un nuovo omicidio, intrighi, passioni e misteri che si fondono alle spalle di un noto politico. Tutto accade in un soggiorno in montagna. Si scoprirà quanto è difficile trattenere le bufere dei sentimenti.


Sigla di oggi: "False Pretense" by The Red Jumpsuit Apparture



CAPITOLO I – Una vecchia storia sospetta

Filippo Bonerini era sempre stato un uomo potente, dalle indubbie qualità politiche ed un pezzo talmente grosso di quel mondo da far ombra agli uomini d’affari più facoltosi. Ciò vuol dire che sapeva rapidamente ottenere tutto ciò che voleva nel giro di mezzo secondo al massimo. Bonerini voleva una cioccolata calda a Luglio? Bene, poteva averla. Il senatore voleva un jet personale per viaggiare lungo il Tamigi con indosso solo un orrendo bikini ed un paio di cappellini da universitari? Bene, gli veniva sicuramente concesso. Insomma, era uno di quei pochi uomini in grado di spostare il destino del mondo con le proprie mani e con i propri voleri. Personalmente avevo sempre odiato la gente così. Fatto sta, che il lavoro era ancora una volta prevalso sulle preferenze e quindi, quando degli assistenti di Bonerini erano venuti nell’ufficio di Flavio per chiederci di venire in vacanza con loro a Rucas, nota località sciistica piemontese, per far luce su un mistero di tre anni prima, avevamo accettato molto velocemente.
Si stava bene. Rucas era una località accogliente, piccolina e decisamente affascinante. Le piste innevate erano solo il contorno di un paesaggio che seppur spoglio conservava un fascino inevitabilmente senza tempo e che avvolgeva ogni singolo oggetto contenuto in esso.
Bonerini aveva deciso di passare un periodo di vacanze in quella località e così, invitandoci, ci aveva fatto alloggiare per due giorni nella sua stessa baita, una sorta di villetta in legno appositamente affittata per l’occasione, personale compreso.
Nei primi due giorni il senatore si era raccomandato esplicitamente di “divertirsi”. Voleva che prendessimo un po’ di tempo prima di conoscere la questione e Flavio naturalmente ne approfittava. D’accordo, era tutto pagato da Bonerini, potevamo davvero scegliere tra mille attività, ma Flavio stava nettamente esagerando. Nel giro di due giorni aveva sciato, fatto massaggi, mangiato con il servizio extra lusso, richiesto l’idromassaggio speciale che permetteva un maggiore relax e adesso continuava a sciare. Eravamo dunque sulle piste da sci e mentre Flavio sciava in modo davvero elegante, io, Bianca e mio fratello Andrea, ce ne stavamo appartati in un piccolo spazio non decorato dalle piste. A volte guardavo il panorama, scrutavo l’orizzonte, torturavo l’orologio e continuavo a riflettere su quale fosse la questione tanto spinosa di cui il senatore avrebbe dovuto parlarci.
«Alex, che cosa fai?» mi chiese Bianca di ritorno dalla baita. Distava solo una quarantina di metri dall’entrata in pista.
«Rifletto» risposi non distogliendo lo sguardo dalla neve. Giocherellavo con essa, mi piaceva passarmela tra le mani e rabbrividire al suo minimo contatto.
«E su cosa rifletti fratellone?» mi chiese Andrea. Solo adesso avevo notato che avevano entrambi due enormi tazze di cioccolata calda.
«Varie cose Andrea … dì un po’» dissi rivolgendomi a Bianca «non vi farà male tutta quella cioccolata?».
«Questa?» chiese quasi innocentemente.
«Certo … avete passato due giorni a sorseggiare quella roba,  non ne avete la nausea?».
«E tu hai la nausea dei tuoi libri gialli?» rispose a tono facendomi una linguaccia.
«Ma è diverso … vabbè, che ve lo dico a fare …».
«Tu non ne prendi?».
«Ma se l’ho presa ieri mattina e anche ieri sera … non ho nessuna intenzione di diventare diabetico».
«Quanto sei esagerato!» disse Andrea.
«Vedi? Lo dice anche tuo fratello … fai una tragedia per tutto …».
Mi zittii, osservandoli sorseggiare la cioccolata. Ascoltavo le urla dei turisti. C’era una donna che era scivolata almeno quattro volte negli ultimi sessanta secondi e la questione cominciava ad assumere risvolti quasi comici tanto che cominciai a ridacchiare.
«Per cosa ridi?» mi domandò Bianca.
«Nulla, lascia stare … ».
«Dimmi, dai. Ora mi hai incuriosito».
«E’ quella signora laggiù, quella con gli occhialetti arancioni … è caduta minimo dieci volte da quando è entrata in pista» affermai con sorriso dipinto su di una faccia da schiaffi.
«E dai … » disse trattenendo con forza una fragorosa risata. Chiuse per un attimo un occhio deglutendo così l’ultimo sorso di cioccolata. «Ridi delle disgrazie altrui?».
«Non mi permetterei mai … » commentai ironicamente.
«Solo perché tu sai sciare, non è detto che tutti sappiano farlo … ».
«Ok, nemmeno tu sapevi sciare, ora fai schifo lo stesso ma … ».
«Alex!».
«Che c’è!?».
«Non faccio schifo … ».
«Ok … fai pena, ma è lo stesso, solo detto in modi più gentili».
«Ma lo sai che sei terribile?» mi disse fingendosi arrabbiata e dandomi una pacca sulla spalla.
«Lo so, lo so … altrimenti che gusto c’è?».
Stavamo parlando e per la prima volta dopo due giorni mi sentivo davvero a mio agio. Nei giorni precedenti ero stato contornato da uomini in giacca e cravatta che erano efficientissimi e pronti a fare qualsiasi cosa tu chiedessi. Mio fratello l’altro giorno aveva inavvertitamente parlato di un piccolo gioco che aveva visto e che gli piaceva molto. Ma purtroppo non eravamo riusciti a trovare il tempo per comprarglielo, così indovinate un po’?
Bonerini gliel’aveva fatto recapitare in modo zelante, scusandosi anche per il ritardo della consegna che per la cronaca, durò circa due ore. Della serie, “in un lampo per voi”
Mentre scrutavo ancora l’orizzonte, stavolta stando in silenzio, sentii i passi pesanti e forti di uno degli assistenti di Bonerini. Era ancora in giacca e cravatta, nonostante fuori fossimo sottozero. Non appena lo vidi, feci:
«Signore, ma lei non ha freddo?».
«No la ringrazio signor Fedele». Ok, chiamarmi signor Fedele era davvero troppo. Avevo diciotto anni, dannazione!
«Mi chiami Alex!».
«Non posso. Il senatore me l’ha proibito, signor Fedele».
«Lasci stare il senatore, mi chiami Alex per favore».
«Non posso mi spiace. Il senatore ha chiesto urgenza di vedervi. Seguitemi. Dov’è il signor Moggelli?».
«Controlli in pista».
«Bene, vado a recuperarlo, voi aspettate qui signori».
Recuperato Flavio, ci avvicendammo per conoscere finalmente di persona Filippo Bonerini. Esatto, nei due giorni precedenti avevamo risieduto nella stessa struttura, ma in due ali dell’edificio completamente diverse.
Percorrevamo lunghi corridoio rustici e allo stesso tempo dotati di una inafferrabile voglia di stupire attraverso quadri, tappezzeria, parquet avidamente lucidato e quant’altro. L’uomo che ci aveva “prelevato” dalla pista si chiamava Gioele e ci aveva condotto di fronte ad una pesante porta di legno che dava sull’ufficio esecutivo affittato da Bonerini. Da quell’ufficio si poteva accedere all’altra ala dell’edificio.
Entrammo, e di fronte ci ritrovammo un uomo di indubbia cura, diciamo sulla cinquantina buona. I capelli brizzolati e il mento imponente davano a significare un uomo sempre impegnato e pronto in ogni qualsivoglia circostanza che la vita presentasse. Gli occhi verdi stanchi, solcati da rughe e occhiaie, erano il preludio di un naso aquilino. Il corpo mastodontico accompagnava un altezza media, sul metro e ottanta circa.
Era vestito con un elegantissimo doppiopetto nero lucido e sedeva su di una sedia di legno accuratamente intagliate e decorata secondo lo stile barocco.
«Signori, che piacere conoscervi!». Bonerini si alzò in piedi con fare goffo e venne a stringerci la mano uno ad uno.
«Il piacere è tutto nostro» rispondemmo in coro da chiesa.
«Gioele, porta delle sedute per i nostri ospiti. Non vuoi certo che si stanchino, non è vero?».
Provammo a dire che stavamo benissimo in piedi, ma in un battito di ciglia le sedie erano già arrivate. Notai che nello studio c’erano altre quattro persone, tre uomini e una donna.
«Bene» cominciò Bonerini richiamando l’attenzione di tutti «cominciamo presentandoci. Loro sono il detective Moggelli, il detective Fedele, la signorina Moggelli e il signorino Fedele. Chi vuole cominciare le presentazioni? Erika, vuol cominciare lei?».
«Certo» annunciò una donna pienotta e rotonda. Aveva abiti comuni e un piumino in mano.
«Mi chiamo Erika Bionfini, sono la donna delle pulizia del senatore. E’ un piacere fare la vostra conoscenza».
«Tocca a me» disse un uomo muscoloso e dalle spalle imponenti. Indossava una minuscola magliettina a maniche corte nera, nonostante il freddo pungente. Aveva una stampella che gli impediva di camminare normalmente. Forse si era fatto male di recente.
«Sono Paolo Ficoretti, lavoro come bodyguard di Filippo Bonerini. Sono onorato, davvero onorato».
«Io mi chiamo Gianni Giusari» commentò un ragazzo molto giovane dalla capigliatura bionda.«E sono il nipote del senatore. Onorato di fare la vostra conoscenza».
«Sono rimasto solo io … » continuò un sessantenne dalle tempie imbiancate. Aveva un’aria stanca, viziata dall’età e braccia flaccide e possenti. «Sono Sandro Polieni, amico di Filippo».
«Siamo felici di conoscervi» commentò Flavio un po’ turbato. «Ma veniamo al motivo della nostra convocazione senatore».
«Già, dimenticavo che lei ama andare al sodo. Posso offrirvi qualcosa? Un caffè, qualcosa da mangiare, magari un tramezzino alla piastra … ».
«No, la ringrazio … ora …».
«Suvvia, un caffè … ».
«Devo declinare,mi spiace. Passiamo piuttosto … ».
«Mi offende così però eh … ».
«Non voglio certo … ».
«Insomma senatore, vuole dirci il motivo della convocazione?» intervenni alzando il tono di voce. Seguì un attimo di intenso silenzio.
«Bene, non voglio insistere» disse alla fine giungendo le mani sulla pancia.
«Non fare il maleducato …» mi sussurrò Flavio.
«Macché maleducato …».
«Bene, passiamo al caso. Cominciamo col dire che in realtà io e i miei amici che vi ho presentato poco fa, siamo qui per scommessa».
«Per scommessa?» domandò incredula Bianca.
«Già dolcezza, per scommessa. Dovete sapere che tre anni fa in questa località avvenne un terribile omicidio».
«Un omicidio?» urlammo in coro.
«Esatto. Eravamo venuti qui in vacanza con un altro nostro amico. Una sera scomparve e la mattina dopo fu ritrovato cadavere in mezzo alla neve con un colpo di pistola in testa. Negli anni ho ragionato e ho formulato congetture su congetture per arrivare ad una sola conclusione. L’omicida del nostro amico è una delle persone che vedete in questa stanza, escludendo naturalmente Gioele!».
Il silenzio ora durò vari secondi ed era diventato glaciale. A romperlo fu il nipote del senatore.
«Mio zio si è fissato con questa storiella! E’ convinto che abbiamo ucciso noi Fabrizio».
«Già, come se non avessimo nulla da fare» commentò la donna delle pulizie.
«Sono tre anni che cerchiamo di fargli cambiare idea» commentò Ficoretti mentre guardava il cielo con il suo telescopio.
«Ma scusate, perché avete accettato allora di venire qui e … perché non reagite alle accuse del senatore?» chiese incredulo Flavio.
«Il fatto è che vogliamo finirla una volta per tutte» iniziò a parlare ancora una volta il bodyguard. Ficoretti teneva ancora lo sguardo fisso nell’obiettivo del telescopio e toccava la canna di questo per bilanciarlo.
«Ma sta sempre al telescopio, lei?» intervenni.
«Oh scusatemi» disse staccandosi finalmente da quell’aggeggio. «Non volevo mancarvi di rispetto. E’ che ho questa passione e così mi porto questo aggeggio anche quando non ho niente da fare».
«Comunque» continuò Bonerini «è proprio questa la ragione per la quale vi ho convocati. Dovete scoprire il maggior numero di informazioni sull’omicidio di tre anni fa, è chiaro? Se nessuno di loro risulterà colpevole, allora mi scuserò e darò loro, come da scommessa, diecimila euro ciascuno. Ma se dovesse rivelarsi un vero colpevole … ».
«Lo sbatteremo dritto in prigione» disse Flavio trionfante.
«Vedo che ha compreso».
«Mi dica, è proprio sicuro che si tratti di omicidio? Cioè che tre anni fa fu davvero omicidio?» chiesi educatamente.
«Assolutamente signor Fedele. La polizia indagò per giorni, ma non trovò nulla, nessun’arma e il caso fu archiviato come suicidio. Ma so che Fabrizio non si sarebbe mai tolto la vita e …».
«Aspetti, credo di essermi preso … sta parlando di suicidio?».
«Esatto. La polizia pensò inizialmente al suicidio, poi indagò e per giustificare la profonda incompetenza, scrissero che era stato suicidio!» urlò Bonerini sbattendo il pugno sul tavolino che troneggiava al centro della stanza.
«Fabrizio era come un fratello per me … e non è possibile si sia tolto la vita» terminò.
«Capisco» continuò Flavio. Può dirci per favore qualcosa di più su Fabrizio? Che età aveva quando è morto, le sue passioni, le sue manie … in fondo lei era il miglior amico».
«La sua più grande passione era la politica. Voleva candidarsi, ma aveva già quarantacinque anni e stava raccogliendo esperienza da me. Diventammo amici pian piano».
«E condividevate tutto? Intendo anche … il personale? E’ per questo che sospetta di loro?»
«Esattamente. Avevamo la stessa donna delle pulizie, lo stesso bodyguard e sia mio nipote che Sandro erano ottimi amici anche di Fabrizio».
«Capisco … Bene, ora indaghiamo signor Bonerini».
«Mi tenga aggiornato detective Moggelli! Ne va della mia stessa vita!».

CAPITOLO II – L’assassino in scena

Usciti fuori da quella situazione al tempo stesso spiacevole e decisamente preoccupante, ci fu dato libero accesso anche all’altra ala dell’edificio, quella nella quale risiedeva Bonerini.
«Cosa ne pensi di questa strana situazione?» chiesi a Flavio mentre camminavamo.
«Cosa penso? Bah, mi pare una banda di sciocchi … scommettere su omicidi, suicidi … sembra che non abbiano nulla da perdere».
«Già, ascolta ho un’idea».
«Stop! Non devi avere idee, il tuo compito è quello di seguirmi passo passo nei casi. Certo, hai avuto fortuna in qualche caso e …».
«Mi fai parlare oppure vado a prendermi un caffè?».
«Insolente!».
«Ti ringrazio. Senti, perché non giriamo a turno le camere degli amici del senatore? Forse riusciamo a scoprire qualcosa, non ti pare?».
«E’ la stessa identica cosa che avrei detto io!» disse quasi offeso Flavio.
In sintesi, per farla breve ci dividemmo i compiti. Io mi occupai del bodyguard Paolo Ficoretti e della donna delle pulizie, la signora Erika Bionfini, mentre Flavio cercò di carpire qualcosa da Gianni Giusari, nipote del senatore e naturalmente da Sandro Polieni, il suo miglior amico.
Ci ritrovammo la sera al bar della baita. Il lungo bancone di legno troneggiava nella spaziosa stanza e conferiva al tempo stesso tranquillità ed eleganza.
Ero già seduto al bar, quando Flavio mi venne incontro desolato e affranto, con Bianca e Andrea al seguito.
«Come è andata?» domandai.
«Uno schifo … e sono stato delicato».
«Uao, be’ non lamentarti. A me è anche andata peggio».
«Perché dici così?».
«Be’ sai com’è … sorbirmi un’ora e mezza di monologhi su telescopi e lenti e successivamente ascoltare le lamentele bisbetiche di una donna … non è proprio il massimo».
«Ti lamenti? Innanzitutto io, Bianca e Andrea siamo stati nella stanza di quel pazzo del nipote del senatore».
«Pazzo? In che senso?».
«In che senso? Conduce esperimenti sui topi morti che trova in strada! E’ orrendo, credimi … ».
«E Bianca è rimasta lì senza svenire?» domandai ironicamente.
La ragazza mi fece una linguaccia e rispose: «Sono uscita fuori con tuo fratello!».
«Ma non è finita qui» riprese a parlare Flavio mentre ordinava un drink «poi sono stato da Polieni, il migliore amico di Bonerini. Mi ha riempito la testa di chiacchiere sulla sua famiglia, sulla sua carriera da militare e tutta questa roba simile …».
«In sintesi è stato un fallimento!» dicemmo in coro disperati.
Quella sera restammo al bar fino a circa le dieci. Nessuno di noi cenò. Incontrammo di nuovo Gioele che, ligio al dovere, cominciò a nominarci tutti i sessanta piatti presenti nel menù del ristorante. Era come avere un robot che ti salvaguardasse qualunque cosa tu facessi. Però declinammo. E’ sempre così, almeno per quanto mi riguarda. Quando ho un caso difficile per le mani non riesco a mangiare, né a bere. Mi chiudo in me stesso. Spesso rimango ore a fissare il vuoto con lo sguardo determinato a cercare una soluzione ben limpida al mistero che mi si è posto davanti e finché non ho trovato la soluzione, rimango come uno spaventapasseri. Condividevamo tutti la stessa camera e quindi era inevitabile che qualcuno si accorgesse di me. In realtà non era una camera vera e propria, ma una suite casalinga, arredata in arte povera, molto semplice. Avevamo due stanze, un cucinino, due bagni ed un piccolo soggiorno.
Era ormai tardi, non so l’ora, ma era sicuramente notte fonda e ancora non distoglievo lo sguardo dal vuoto. Ci voleva qualcosa di forte per distrarmi. Era venuta Bianca almeno tre volte a chiedere cosa stessi combinando. Mi aveva avvolto nel suo dolce profumo e affascinato con la sua innata sensualità innocente … eppure niente. Non distoglievo lo sguardo dal vuoto e non avevo impulsi, ritmi, istinti. Sembravo immobile, parevo una statua di cera.
Ma mi distolsi. Già. Mi distolsi solo perché sentii le grida di Bonerini. Nessuno me le tolse dalla mente e nessuno me le toglierà mai più. Nonostante alloggiassimo in due ali completamente diverse dell’edificio, le pareti molto sottili lasciavano trasparire ogni benché minimo rumore, ogni benché minimo palpito, figuriamoci un grido di aiuto come quello. Subito ci vestimmo in modo rapido. Flavio aveva già indossato pigiama e cappellino da notte, ma non ci misi molto a sradicarlo dal letto e ad avvisarlo che qualcosa non andasse. Si infilò una camicia, e con ancora il pantalone del pigiama e le ciabatte ai piedi, cominciò a correre come fosse un automa.
In cinque minuti fummo da Bonerini.
«Cosa succede senatore?» chiesi agitato.
«Erika …».
«Cosa?!».
«Erika è scomparsa! Ho già domandato a Paolo di noleggiare e guidare un gatto delle nevi per cercarla fuori!».
«Ehm … io non potrei guidare a causa della gamba …e poi ho una brutta esperienza con quegli aggeggi … si ricorda tre anni fa?».
«Ah già vero … è una tragedia! Erika è scomparsa! Forse per sempre!».
«Come? Cosa sta dicendo?».
«Mio zio dice la verità! L’abbiamo cercata dappertutto e non si trova da nessuna parte!».
«Ok, ma perché tutta questa agitazione?» domandò Flavio ancora insonnolito.
«Non ve l’ho detto ma …» iniziò Bonerini tenendosi il cuore «tre anni fa il delitto avvenne esattamente come adesso! Fabrizio sparì all’improvviso senza più tornare e fu … fu ritrovato nella neve».
Sentite queste parole cominciai a correre a perdifiato per i corridoi della baita. Era troppo preoccupato ed ero certo allo stesso tempo che qualcosa di ciò che sosteneva il senatore fosse vero. Era un uomo troppo sicuro di sé, e se imperterrito aveva sostenuto una tesi per ben tre anni, allora aveva le sue valide ragioni. Me ne fregai anche del freddo avvolgente ed uscii fuori solo con un maglioncino di lana color castagna ed un paio di jeans. Continuavo a solcare la neve con i miei passi mentre Bianca, Flavio e Andrea continuavano a chiamarmi dall’ingresso della baita. Il senatore era rimasto leggermente dietro di loro insieme ai suoi ospiti. Era in corso una lieve tormenta e soffiava vento gelido, tanto che alle mie mani occorsero solo pochi secondi per congelarsi definitivamente. Poi inciampai e sbattei la parte inferiore degli avambracci a terra, riportando qualche graffio di lieve rilevanza.
Ma fu ciò che videro i miei occhi a provocarmi una ferita umanamente insopportabile. Un corpo era ormai affogato nella neve e non si muoveva, era immobile, senza nessun tipo di reazione al freddo pungente. Sperai con tutto me stesso che si trattasse solo di uno svenimento, di un mancamento, ma in cuor mio sapevo benissimo che ciò che aveva sostenuto Bonerini fino a quel preciso istante, si era avverato. Raccogliendo le ultime forze e facendo leva sulle ginocchia, mi caricai in spalle il corpo della signora Erika Bionfini. Il capo crogiolava di sangue a causa di una ferita da arma da fuoco e nonostante corressi velocemente per provare a salvare il salvabile, mi resi conto che sarei andato sempre troppo piano per ergermi a salvare una vita umana.
Arrivati dentro, il senatore era letteralmente shockato e con lui anche ogni singola persona presente nella baita. Oltre a noi c’era solo il personale, ma era comunque stato uno shock per tutti. La signora Erika Bionfini aveva lasciato questo mondo  e lo aveva fatto in mezzo alla neve.

CAPITOLO III – Parole, concetti e verità

«E’ inammissibile detective!». Il senatore Bonerini passeggiava in mezzo alla stanza con grande ferocia e ringhiava come un leone. Non sapeva darsi pace per la tragedia che era occorsa e aveva incolpato Flavio come unico responsabile del crimine.
«Signor Bonerini, non …».
«Lei deve stare solamente zitto! Non è all’altezza della fama che possiede! Le avevo chiesto di risolvere un caso di omicidio di tre anni fa e invece adesso ce ne ritroviamo uno nuovo … e tutto per la sua proverbiale incompetenza! Si vergogni!».
«Ma si vergogni lei!» intervenni con durezza.
«Che cosa hai detto ragazzino?».
«La signora Erika è morta, ma non è colpa di nessuno tranne che del suo assassino naturalmente e …».
«Se voi detective aveste fatto bene il vostro lavoro non …» cominciò ad urlare facendosi grosso.
«Lei ci ha ingaggiati per far luce su un omicidio riguardante il passato, non per tenere sotto controllo uno ad uno i suoi ospiti e non creda di potermi intimidire con i suoi modi da spaccone! A lei non insegna nessuno come fare il politico, allora non ci insegni il nostro mestiere di detective».
Rimase un attimo in silenzio, tenendo la testa alta e lo sguardo da matto. «Insolente che non sei altro! Come osi darmi dello spaccone?».
«Una persona che affitta un’intera baita montana per un soggiorno e fa scommesse con i suoi amici per casi di omicidio/suicidio … già, sul dizionario alla voce “spaccone” deve esserci la sua foto, controlli meglio» e così dicendo mi allontanai indignandomi.
Non ho mai sopportato le persone che si credono superiori alle altre. Non avrà mica creduto di intimidirmi solo perché può fregiarsi dell’appellativo di “senatore” ?. Be’, francamente me ne sbatto. Nessuno può darmi la colpa di qualcosa che non ho fatto. Se avessi potuto avrei sicuramente evitato quella triste morte, ma la morte per l’appunto, non aspetta nessuno e non avrei mai potuto prevedere un omicidio.
Me ne stavo fuori appoggiato con la schiena al muro, a braccia incrociate e guardavo il vuoto con gli occhi pieni di rabbia. Vidi Bianca e il suo corpo muoversi davanti a me e il suo viso dilungarsi in un sorriso dolce come il miele.
«Ehi, dai non prendertela così …».
Non risposi.
«Alex, che cos’hai?».
Scattai in un cumulo di rabbia e con gli occhi lucidi e la mancanza di freddezza risposi:
«Cos’ho?! C’è uno sciocco che crede che abbia ucciso  io la vittima di un cruento omicidio! Non posso sopportarlo!».
Bianca rimase per un attimo impassibile, come a voler significare rispetto per la mia emotività.
«Devi scusarmi … è che quando sento certe cose, perdo la testa e …».
«Mi sei piaciuto molto quando hai risposto a quel pallone gonfiato» mi disse con gli occhi bassi.
Arrossii visibilmente e quando lei mi vide, fece lo stesso.
Rientrato dentro, vidi Paolo Ficoretti armeggiare di nuovo con il suo telescopio. Stava in piedi a fatica per causa dei dolori che gli provocava la sua gamba sinistra.
«Le piace proprio il telescopio. Non se ne stacca un attimo» commentai.
Bianca si mise ad ispezionarlo e a toccarlo, ma fu frenata da un gridolino dello stesso bodyguard.
«Sono così … sono così appassionato che non permetto di toccarlo nemmeno ai miei più cari amici. E’ come se fosse la mia ragazza …» rise in modo imbarazzato ed innaturale.
Cominciavo a sospettare pesantemente di lui. D’altronde era uno degli amici fidati incolpati da Bonerini.
«Mi dica … che brutta esperienza ha avuto con il gatto delle nevi?» domandai innocentemente.
«Ah già. Accadde l’ultima volta che il senatore decise di passare qui le vacanze. Guidai il gatto delle nevi per gioco e mi procurai una frattura alla gamba destra».
«Poverino, deve aver sofferto» disse Bianca con aria caritatevole.
«Molto».
«E adesso come mai ha la gamba sinistra inferma?».
«Il fatto è … è che io in verità ho avuto un incidente domestico e così …».
«Capisco» affermai annuendo con grande disinvoltura.
«E’ proprio una tragedia!» continuò in aria semplice
«Già …» commentai.
«Se n’è andata proprio vicina al mio compleanno …».
«Uh? Davvero? Be’, sicuramente le avrebbe regalato un nuovo treppiede» commentai distrattamente.
«Ah ah ah! No, in quanto a biciclette sono a posto … be’, è meglio che vada …».
La mia faccia fu deformata da una espressione di estrema intuizione, fu quasi come un lampo nel cielo, come un fulmine che mi aveva appena folgorato. Ora avevo capito …
Inoltre il telescopio era molto strano in alcuni punti, sembrava come se fosse montato a scaglioni e la cosa era molto sospetta. Ormai avevo capito tutto, anche dell’omicidio di tre anni prima. Mi toccai i capelli in senso di deduzione e dopodiché finsi di cadere. Cadendo travolsi completamente il telescopio, facendo scoprire la macabra macchinazione del vero colpevole. Una parte della canna dello strumento si staccò completamente facendo fuoriuscire una pistola di provenienza straniera. Oltre a questa, venne fuori anche una sorta di altro piccolo tubo di acciaio, molto leggero a dir la verità che si vedeva chiuso da un tappo simile a quello che ostruiva la visione dalla lente principale del telescopio.
«Brutto moccioso!» urlò Ficoretti.
La stanza era ancora sotto shock, ma mi alzai con l’aiuto di Andrea e cominciai a parlare.
«Mi pare che abbiamo finito qui, non è vero signor Ficoretti?».
«Di cosa stai parlando?».
«Oh andiamo! Cosa ci fa una pistola nella canna del telescopio? Che c’è? Le sta affezionato e non vuole farle prendere freddo?».
«Sono … sono affari miei! Non conosci la privacy?».
«E lei conosce il reato dell’omicidio? Ascoltate, ve lo dico io come stanno realmente le cose. Il signor Ficoretti aveva fatto montare nella canna principale del telescopio un ulteriore piccola canna con in fondo una finta lente. Dopodiché ha inserito nella canna d’acciaio la pistola ed ha rimontato il tutto. Grazie al suo infortunio, ha adescato la vittima fuori dall’edificio. Che ne so, gli avrà detto solamente “ho scordato qualcosa fuori, puoi andare a prendermelo siccome ho la gamba rotta?”. Naturalmente la signora Bionfini in buona fede ha preferito accettare e …».
«Aspetta» mi interruppe Flavio «Ma il colpo di pistola si sarebbe udito … oppure qualche urlo della vittima … l’avremmo dovuto sentire, non ti pare?».
«Per quanto riguarda il rumore della pistola, è ovvio ha inserito il silenziatore. E la donna, seppur avesse urlato, chi vuoi che la sentisse in mezzo ad una tormenta, all’aperto, da sola, mentre tutti erano dentro a dormire o a chiacchierare?».
«Giusto, ma … non hai prove …» commentò il senatore.
«Oh senatore … la pistola nella canna è già una grande prova. Ma in particolare ci sono ben due cose che non quadravano. La prima è che poco fa parlando con il suo bodyguard ho notato che ignora la parola “treppiede”. Pensava fosse una bici, non è vero Bianca?».
«Ehm … certo, l’ho … l’ho sentito anch’io».
«Bene, per chi non lo sapesse, il treppiede è la parte che sorregge la struttura del telescopio. Per un amante di questa disciplina, è totalmente impossibile confondere il termine con un altro totalmente differente. E’ evidente che il signor Ficoretti stia ai telescopi come io sto al cinese».
«E l’altra prova quale sarebbe?» domandò il nipote del senatore.
«Questa!» urlai fortissimo e impugnando la pistola feci esplodere due colpi mirando alle gambe di Ficoretti!
L’uomo fece un balzo verso destra e riuscì ad evitare i colpi.
«Ma sei impazzito!? Non farlo mai più!» mi rimproverò duramente Flavio.
Dal canto mio dissi: «Scusi signor Ficoretti … ma se ha la gamba inferma, come può essere che abbia avuto la forza di compiere quel balzo verso destra? Una persona realmente inferma avrebbe subìto il colpo senza avere la minima capacità di spostarsi nemmeno di un centimetro. Vuole spiegarci?».
«Ehi, è vero!» affermò Flavio tra l’incredulità generale.
«Mi pare lampante come il colpevole dei due omicidi, compreso quello di tre anni fa, sia proprio lei signor Ficoretti. Ha usato la sua falsa infermità per riuscire ad uccidere due innocenti. E guardate qui» continuai estraendo dal tubicino di metallo incorporato una piccola lente fracassata.«Se non bastasse, la lente fracassata, quella del tubicino di metallo, è un ulteriore prova. Il colpo di pistola lo ha scalfito e distrutto. Sicuramente aveva un meccanismo che gli permetteva di sparare fingendo di guardare le stelle e il panorama».
«Non erano innocenti …» cominciò a parlare Ficoretti mantenendo gli occhi colmi di lacrime bassi e scuri.
«Come?!» domandò Bonerini.
«Ha capito bene senatore … quelli che all’apparenza potevano essere considerate persone normali … in realtà non lo erano affatto …».
«Spiegati meglio! Cosa vuoi dire!?» domandò ancora Bonerini sconcertato. La voce roca ora risuonava in tutto l’edificio.
Dopo una risatina sadica, Ficoretti cominciò a spiegare: «Ha presente il suo amico Fabrizio? Quel lurido verme era fidanzato con mia cugina ormai da anni. Ma poi … poi l’ha lasciata per un’altra e la mia povera cugina si è tolta la vita!» concluse in tono rabbioso. «E quella sorta di sgualdrina che ho fatto fuori … ormai non so come aveva saputo tutto … e non potevo farla stare viva. Mi ricattava, capite?».
«Questo lo spiegherà alla polizia …» disse un affranto Flavio.
Paolo Ficoretti andò via con la polizia quello stesso pomeriggio. Passò la mattina in totale silenzio. Ogni tanto si toccava il viso, forse per asciugare quelle poche lacrime che gli erano rimaste. Lacrime di un assassino pentito, ma che non potranno mai e poi mai ridare la vita a due esseri umani.
In macchina, sulla via del ritorno, Flavio mi fece ancora una volta la predica sull’aver usato la pistola. Insomma, avrei preferito assistere ad un kolossal muto, in bianco e nero, con un unico protagonista e ambientato in un'unica stanza. Sarei stato meglio, davvero. Ma è così che funziona la vita.

ANTICIPAZIONE: Sul suicidio c'è poco da dire. Una persona si toglie la vita, lo fa di propria volontà. Ma è davvero così? ALEX FEDELE EPISODIO 35 UN SUICIDIO POCO REALISTICO. SOLO QUI A PARTIRE DAL 28/04/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!

sabato 14 aprile 2012

Alex Fedele #33 Giallo sul set (stagione 2)


GIALLO SUL SET

PROLOGO: Ciak, si gira! In un set cinematografico avviene un delitto inspiegabile. I protagonisti hanno tutti qualcosa contro l'un l'altro e la cosa peggiore è che si rifiutano di collaborare. Chi è l'assassino? 



CAPITOLO I – Tutti sul set!

La fortuna è inaspettata, a volte quasi sadica. L’ultima volta che Bianca aveva avuto un colpo di fortuna era stato per errore. La crociera riservata a pochi sulla “Karen” aveva assunto due differenti strade. La prima era consistita nella carneficina e nella strage che quella ragazza, Elisabetta, aveva compiuto uccidendo molteplici poveri innocenti. La seconda era stata invece quella che ormai era diventata il mio tarlo fisso, il mio martello pneumatico, tutto ciò a cui pensavo ogni singolo momento della mia vita. Il Fuoco Re. E’ grazie a quella crociera, è grazie a quelle circostanze che conobbi per la prima volta il nome di quelle persone per me allora anonime, ma che in seguito ho scoperto essere il veleno della mia stessa vita.
Fatto sta che Andrea, che aveva la passione per un certo tipo di merendine, aveva trovato il tagliando che permetteva a chi lo avesse trovato di fare un giro su un vero set cinematografico. Insomma, quel giorno avevamo accompagnato tutti mio fratello e ci eravamo impegnati affinché passasse una giornata strepitosa. Era letteralmente esaltato e a dir la verità lo eravamo un po’ tutti. Non ero mai stato su un set televisivo ed ero curioso di come si comportassero gli addetti alla lavorazione del film.
«I signori Moggelli?» un uomo dalla corporatura robusta e con su un paio di grandi cuffie collegate ad una sorta di auricolare ci venne incontro dicendo questa frase. Aveva la maglietta sporca di una qualche stranissima salsa e la barba incolta.
Flavio guardò Bianca e sussurrò: «Se sono tutti così quelli del cinema, stiamo messi bene». Poi si rivolse all’uomo e lo dribblò con un sorriso «Sì, siamo noi».
Ok, non ero un Moggelli, ma ormai quando andavo nei più svariati luoghi mi etichettavano come membro della famiglia acconsentivo sempre.
Attraversammo lunghissimi corridoi stracolmi di gente indaffarata. C’era chi teneva migliaia di fogli in mano e chi invece parlava freneticamente al telefono; C’erano gli attori che camminavano su e giù per le stanze indignati per chissà quali balzani motivi e c’erano i costumisti che li rincorrevano pregandoli di fare meno capricci e urlando frasi a caso come “cosa ci vuoi fare dolcezza?”. Insomma, non mancava niente. Non sarei stato sorpreso se per caso da una delle porte fosse saltato fuori un tirannosauro. Al limite avrei sbadigliato e l’avrei salutato in francese, così avrei ottenuto l’etichetta di “gentleman”, ma niente di più.
Camminammo non so per quanto e nel tragitto udii le lamentele di Flavio, le solite. Era riuscito a trovare quaranta difetti diversi in meno di trenta secondi. Se avessi chiamato la commissione ufficiale sarebbe stato di sicuro registrato come record mondiale.
Insomma, dopo aver attraversato praticamente la metà di tutti gli studi televisivi, l’uomo con le cuffie alle orecchie, che scoprimmo chiamarsi Vincenzo Misatti e che ci comunicò di essere il tecnico responsabile del funzionamento dell’ambiente, spalancò delle enormi porte in legno in stile saloon. Ci ritrovammo quindi in un enorme spiazzale, a dir la verità leggermente ameno, dove sostavano diversi personaggi televisivi e cinematografici. Non seguivo molto lo showbiz, mentre mi sembrò che Flavio e Bianca sapessero vita, morte e miracoli di ogni singolo personaggio.
«Oh mio Dio! Guarda chi c’è!» cominciò ad urlare esaltata Bianca «quello è Loris Esenti, l’attore protagonista di quella nuovissima fiction, “Cuori su uno scoglio”. Quanto è bello!».
La guardai leggermente con diffidenza. Chissà cosa ci trovava in quel tipo. Un bellimbusto pompato da chissà quante ore di palestra, con un’abbronzatura ridicola e inusuale per la stagione, frutto di chissà quante lampade.
«E guarda lì Bianca» replicò mio fratello «quel signore appare sempre in televisione in quella pubblicità dei detersivi!» ultimò indicando un uomo dalla barba incolta e dai grandi occhiali da sole.
«E’ vero Andrea. E’ Carlo Marchesi, il famoso regista cinematografico! Da lui sono nati film come “Dammi la tua anima”, “Il ciondolo di Monica” e anche il pluripremiato capolavoro “Amore e guerra”».
«Perché dici sono nati?» chiese quasi amletico mio fratello «mica li ha fatti nascere lui?».
«Be’, è come se fosse. Ha fatto tutto lui. Regista, sceneggiatore e anche un cameo».
«Che cos’è un cameo, fratellone?» mi chiese girandosi verso di me.
«Un cameo è quando una persona partecipa per pochi secondi in un film» risposi.
«Ma soprattutto c’è la grande Giorgia Calmelli! Oh cavolo!» esclamò Flavio quasi fuori di sé. «Sono abbastanza elegante? Farò una buona impressione? Ragazzi, come stanno i capelli?».
Tutti noi lo guardammo abbastanza increduli. Non era facile vedere Flavio sulle ali dell’entusiasmo. Nel senso che aveva certamente i suoi miti, ma era raro vederlo esaltato per qualcosa per qualcuno. In fare zelante si presentò subito usando un tono di voce a dir poco inusuale.
«Salve signorina Calmelli, mi chiamo Flavio Moggelli e sono … ».
«Il detective Flavio Moggelli?» interruppe il regista Carlo Marchesi.
«Be’ … sì, perché?» domandò incredulo Flavio.
«Nulla» continuò l’uomo mettendo una mano sulla spalla di Giorgia Calmelli. Dopodiché la baciò appassionatamente, creando un momento quasi all’altezza delle sue migliori pellicole. Un bacio da film insomma, lungo, intenso, passionale, che mi fece arrossire completamente.
«Oh cavolo!» esclamò quasi involontariamente Flavio.
«Ma la prossima volta» disse Marchesi staccandosi dalla Calmelli «si ricordi di usare il suffisso signora. Giorgia è mia moglie da tre mesi ormai, anche se nello spettacolo continua ad usare il suo nome da nubile».
«Oh, mi dispiace! Non lo sapevo, comunque non volevo assolutamente … ».
«Ah ah ah! Mi dica la verità, le ho messo paura eh?! Allora sono un bravo attore oltre che un eccezionale regista!».
Modesto il tipo, non è vero?
Flavio rimase quasi sconcertato, mentre Marchesi sghignazzava e sua moglie, la bellissima Giorgia Calmelli, rimaneva quasi spaesata dalla scena. Pur essendo una celebrità doveva essere molto timida perché si limitava ad annuire e a ridacchiare con fare quasi nobile. I capelli biondi le cadevano sul viso in modo delicato e contrastavano alla perfezione con i suoi bellissimi occhi azzurrini.
«Comunque, per farmi perdonare dallo scherzo di mio marito» cominciò a parlare Giorgia «vi invito a fare colazione con noi. Sbaglio o siete i vincitori del concorso?».
«Sì!» rispose euforico mio fratello.
«Bene, e allora vieni piccolo!» continuò a tono Marchesi.

CAPITOLO II – Rancori delle stelle

Seduti ad un tavolo di legno apparecchiato in stile moderno intorno al quale erano riuniti alcune celebrità molto note, si provava un po’ di soggezione. Bianca mangiò pochissimo. Diceva che non voleva perché doveva dimagrire. Le donne! Era magrissima, eppure andava cercando il modo di perdere altro peso. Un altro po’ e sarebbe diventata trasparente, invisibile. Nell’ordine ci presentarono Vincenzo Misatti, che poi si rivelò essere non altri che il tecnico che ci aveva accompagnati dall’entrata fino al luogo in cui avevamo incontrato Marchesi e Calmelli, Loris Esenti, un attore appena ventenne, giovanissimo e assolutamente in rampa di lancio e infine Paolina Mostrena, una donna di circa sessant’anni che invece aveva preso parte a decine di pellicole famosissime e che con i suoi capelli rossicci era diventata praticamente un’icona pop del secolo precedente. Ricordo che mio zio andava matto per lei. Non aveva perso nemmeno uno dei suoi film. Dopo le solite presentazioni e i convenevoli di rito, tutti ci sedemmo ed iniziammo a degustare una colazione decisamente leggera. C’erano toast, fette biscottate e tantissimo caffè. Ah sì, per chi la voleva, si poteva avere anche una sorta di pizza bianca.
«Allora Carlo» iniziò a parlare Loris Esenti «hai pensato alla mia proposta?».
«A quale ti riferisci?» rispose il regista intento nello spalmare la marmellata sulla sua fetta biscottata.
«Come? L’hai già dimenticata?».
Carlo Marchesi sbatté un violento pugno sul tavolo e fece cadere tutto ciò che aveva nel suo raggio d’azione.
«Se alludi a quello stupidissimo ricatto che hai cercato di impormi ieri, sappi che la risposta è e sarà sempre no!». Ora il regista urlava e si era alzato in piedi. Giorgia Calmelli cercava di sedare i bollenti spiriti di suo marito intervenendo con paroline dolci e piccoli sussurrii, ma ebbi l’impressione che fu del tutto inutile.
«Non c’è bisogno di scaldarsi tanto. D’altronde, è logico che tu faccia i tuoi interessi, fai solo film da fallito. Ormai non ti vedono più neanche al Polo Nord … ».
Quelle parole funsero da input per una rissa immediata che terminò con urla, insulti davvero molto pesanti e accuse al vetriolo. Loris Esenti si carezzò i suoi capelli riccioluti, dopodiché affermò:
«Vado in camerino a riposare … chissà che non mi venga una buona idea per … calmare qualcuno». Nonostante la rissa continuava a pungere. Che faccia tosta. Gli avrei volentieri spaccato la faccia.
«Che scortese quel Loris!» commentò Bianca.
«Ma se fino a dieci minuti fa lo idolatravi!» le risposi.
«Be’? Non si può più cambiare idea?».
«Che maleducato! Sapeva che non avrebbe mai ottenuto quella parte nel tuo film e …» commentò Vincenzo Misatti. Ma fu interrotto Era stato il primo che aveva cercato di calmare i bollenti spiriti ed era stato il primo a scusarsi con noi dichiarandosi «davvero costernato».
«E tu, brutta serpe, non credere che abbocchi alla tua patetica strategia!» Carlo Marchesi si era appena ripreso che già aveva ricominciato ad attaccare. Ora la sua “vittima” era il povero tecnico di studio, amicone di tutti gli attori.
«Ma di cosa stai parlando? Ti ho sempre difeso!».
«Già … credi che sia stupido? L’altro giorno ti ho sentito benissimo quando hai parlato male di me con il nuovo arrivato. Ti credi superiore solo perché ti devo qualche centesimo ed ora sei in rosso? Be’, se mi gira, quei soldi non li rivedrai mai più, idiota!».
«Non trattarlo così male … » bisbigliò Giorgia Calmetti.
«Cosa?! Lo difendi anche? Guarda! Non ho nemmeno un soldo in tasca e mi rinfaccia ogni giorno il fatto che gli devo quei famosi cinquecento euro che mi ha prestato un mese fa!».Marchesi era un fiume in piena, si era svuotato le tasche ed era davvero sul punto di esplodere.
«Finiscila di fare tanta confusione, ti sentiranno anche negli studi affianco!» rimproverò Paolina Mostrena.
«E tu va in pensione, attrice da quattro soldi!» fu la risposta.
«Attrice di quattro soldi a me? Non sono io quello che si è praticamente comprata la commissione che ti ha specializzato come regista!.
«Ah, ricorri ai colpi bassi? Bene, allora vorrai di certo rammentare il tradimento che hai fatto verso tuo marito a pochi giorni dalla sua morte. I tuoi figli non ne sanno nulla, ma sono sicuro che saranno interessati!».
«Ora basta!» urlò decisa la Calmetti. «E’ un giorno di lavoro, ci sono delle persone che hanno vinto un giro su un set televisivo e per di più c’è un bimbo con loro e noi offriamo spettacolo in questo modo? Dovreste vergognarvi … tutti quanti!».
«Cara, non fare così … » tentò di giustificarsi Marchesi.
«Lasciami stare!» continuò urlando. «Oggi è il nostro anniversario e tu ti comporti così?!» E così facendo si alzò dal tavolo e si diresse verso il camerino. Non ne fui certamente sicuro, ma mi pare che in una delle tasche della Calmetti si ebbe un luccichio. Forse era solo una mia impressione.
Pochi secondi l’uscita di scena dell’attrice, Marchesi si scusò con noi per il pessimo spettacolo offertoci, giustificandosi come “possessore di una rabbia repressa covata per anni” o qualcosa del genere e così facendo  andò in camerino. Voleva riappacificarsi con sua moglie. Probabilmente gli sarebbero servite delle ore, ma era stato bello il suo gesto di voler tentare almeno un riavvicinamento.
Passarono pochi minuti, nei quali Flavio si rimpinzò di tartine rustiche e nei quali Bianca e Andrea curiosarono un po’ dappertutto trascinandomi con loro. Non avevo la benché minima voglia di vedere polverose locandine di film datati dell’epoca dei dinosauri e così me ne andai un po’ in giro nelle vicinanze, per conto mio.
Vidi Marchese uscire dal camerino di Giorgia Calmelli. Forse avevano già fatto pace, o forse i buoni propositi del regista erano andati a farsi fottere, chissà. L’unica cosa che potevo evincere da quella discussione è che di sicuro il regista aveva tante persone che avrebbero avuto di sicuro qualche pesante ripercussione su di lui, mentre per quanto riguarda le donne … be’, le donne sono complicate come rebus senza soluzione. Avevo già risolto vari casi a Fondi, la mia città natale, ma le donne non ero proprio ancora riuscito a capirle. Per niente. Il telefono di Marchesi continuava a squillare ad una suoneria altissima, quasi da discoteca. Gli addetti ai lavori rimasero quasi sconvolti. Alla fine rispose e riprese a parlare
Mi allontanai ancor di più dalla piazzola dove troneggiavano i camerini degli attori, dei registi e dei vari addetti ai lavori e così mi ritrovai in un corridoio chiuso. C’era solo una piccola porticina in plastica. Doveva essere per forza un bagno, non c’erano altre spiegazioni. Ad un muro c’era un poster di Sophia Loren, la famosissima attrice italiana, icona di bellezza e di classe immortale.
Le urla di Marchesi ci richiamarono all’ordine.Urla di terrore e di incredulità, urla che ti fanno correre subito. Ed è quello che feci. Prima di me accorse Flavio, più vicino alla scena e non appena notai che Bianca aveva coperto la visuale di mio fratello con il suo corpo, mi accorsi che qualcosa non andava. Il resto della gente che era seduta al tavolo con noi pochi minuti prima, guardava la scena con grande paura e con un’enorme tristezza.
«Cosa succede? Chi ha urlato?» chiesi in trepidazione. Flavio aveva il viso severo, scrutava la scena con grande autorità, come fa sempre quando c’è un caso da risolvere.
La povera Giorgia Calmelli, era distesa al suolo, con una corda al collo e tanta paura negli occhi. Era morta, probabilmente da pochi minuti.
«Chiami la polizia … » sussurrò Flavio a Vincenzo Misatti
«Non vuole che chiami un’ambulanza?» domandò quest’ultimo.
«No … purtroppo non c’è nulla da fare».
Ero già chinato sul corpo della vittima, guardando la scena con gli occhi passivi, di chi sa di dover fare  Giustizia a tutti i costi.
Il processo di rigor mortis non era ancora cominciato. Il decesso si era consumato sicuramente da poco tempo.
«Credo possiamo affermare che si tratti di suicidio, signori» sentenziò Flavio. Aveva le mani in tasca e si era acceso una sigaretta. «Posso fumare qui dentro non è vero? Alla fine siamo in un parcheggio, in uno spiazzale» domandò a Misatti, il quale rispose affermativamente.
«Scusa, come fai a determinare con così poco tempo che si è trattato di suicidio?» gli domandai.
«Guarda bene, testa di rapa. La donna si è messa una corda alla gola e … ».
«E mi spieghi dove si era legata per impiccarsi?».
«Cosa vuoi dire?».
«Non vedi? Il lembo della corda che servirebbe come input per suicidarsi … è a terra. Non è collegato a niente. Non è sospetto?».
«Be’ sì …» ammise con un po’ di soggezione «ma forse legandosi al lampadario, la donna si è lasciata andare troppo violentemente e quindi la fune si è staccata dal punto d’appoggio, non credi?».
«Può essere, ma in questo caso, il lampadario dovrebbe ancora essere in movimento a causa del peso del corpo. Dovrebbe dondolare insomma, considerando che il decesso è avvenuto pochi minuti fa» affermai guardando ancora una volta il corpo.
«Be’, questo è vero».
«C’è un’altra cosa strana papà» interruppe Bianca. «Se la signora Giorgia si è suicidata legandosi la fune al lampadario, perché non c’è nessuna sedia? Insomma, con cosa è salita sopra?».
«Ora che mi ci fate pensare è vero … senza contare che il letto è dall’altra parte della stanza rispetto al lampadario … ma allora … ».
«Già, questo non è un suicidio!» esclamai.

CAPITOLO III – Indizi per la verità

La polizia arrivò in breve tempo. Credo ci misero più o meno una quindicina di minuti. Non male, se si considerava che arrivavano dall’altra parte di Torino.
L’ispettore Vincenzo Ducato e il suo agente di fiducia, Giuseppe Novato, erano entrati in pompa magna nella stanza preannunciando quella che sarebbe stata una mattinata di fuoco.
«Cosa succede qui? Flavio, che piacere ritrovarti».
«Piacere mio ispettore … stavamo giusto … ».
«Ho detto che è un piacere ritrovarti, quindi non farmi rimangiare le parole, è chiaro?».
Giuseppe Novato si avvicinò repentinamente a Flavio e gli sussurrò queste parole:
«Oggi l’ispettore è nervoso perché ha avuto una discussione con sua moglie al telefono e …».
«Novato! Ti ho sentito! Se spifferi ancora qualcosa ti mando a dirigere il traffico al sud!».
«Mi perdoni ispettore!» si scusò.
«Cosa abbiamo qui?» domandò ancora Ducato. Prima che potesse ricevere una risposta, anticipò tutti affermando con stupore: «Ma questa non è la famosa Giorgia Calmelli? E lei è Marchesi, il famoso regista! Come mai siete coinvolti in un crimine?».
«Ma quale crimine?» urlò deciso il regista «si vede lontano un miglio che mia moglie si è suicidata! Non sia ridicolo!».
«E’ impossibile che la sua signora si sia tolta la vita e le abbiamo già spiegato il perché» interruppi. «Non ci sono sedie che attestino che sia salita sul lampadario e ammesso che si sia appeso a questi … perché non dondola? Il processo di rigor mortis non è ancora cominciato quindi il decesso risale a pochi minuti fa».
«E allora spiegamelo tu ragazzino … come sono andate le cose?».
«Semplice» affermai con tutta la calma del mondo «uno di voi quattro è l’assassino della signora Calmelli».
«Ci stai incolpando di omicidio? Ma su quali basi … ?» intervenne Loris Esenti.
«Signor Esenti, me lo dica lei allora come sono andate le cose. A  me pare che non possa trattarsi di suicidio ed è evidente che la signora è stata strangolata con una corda … mi dica, qual è l’ultima opzione rimasta?».
Nessuno rispose.
«Fatto sta» disse ricollegandosi al discorso Paolina Mostrena «che non puoi incolparci di qualcosa che non abbiamo fatto».
«Se abbiate compiuto sì o no questo delitto, non sta a voi affermarlo. Sarà la polizia a determinarlo».
«Ispettore! Gli dica qualcosa! Sta sputando fango sulla memoria di mia moglie!» mi attaccò Marchesi.
«Ma quale fango e fango? Il ragazzo ha pienamente ragione! Uno di voi quattro, visto come si sono messe le cose, è l’omicida della signora Calmelli e la polizia farà di tutto per chiarire. Flavio e tutti gli altri … avete visto qualcuno entrare in questo piazzale oltre ai presenti?».
Tutti rispondemmo con un cenno negativo della testa.
«E da quando siete qui?».
«Be’, da circa quaranta minuti».
«Bene. Novato, ordina di chiudere tutte le uscite della piazzola. L’omicida è tra i quattro e lo troveremo sicuramente!».
Il solerte Novato corse a più non posso percorrendo in una decina di secondi l’enorme superficie dello spiazzale.
«Raccontami la dinamica dei fatti Flavio».
«Be’ ispettore. Siamo venuti qui, abbiamo fatto conoscenza dei signori e poi siamo andati a colazione».
«A colazione?».
«Sì, ha capito bene». Flavio deglutì «Poi ci sono state delle discussioni a tavola e dopo circa venti minuti che ci eravamo divisi è successo il fattaccio».
«Delle discussioni eh?».
«Suvvia» intervenne Marchesi «confessa Vincenzo, l’hai ammazzata tu, non è vero?».
Vincenzo Misatti rabbrividì. Il suo colorito passò dal “pallido” al “cadaverico” e i suoi occhi si riempirono di sangue.
«Ma come puoi incolparmi di una cosa del genere? Ti ha dato di volta il cervello?».
«Per niente amico. Ma lo sanno tutti che avevi già delle cose contro di me. Altrimenti non mi avresti mai parlato dietro con i nuovi arrivati. Mentre tu Loris» disse rivolgendosi a Esenti «volevi quella parte nel mio nuovo film e così hai deciso di eliminare mia moglie eh? Bravo davvero».
«Cosa diamine vai cianciando? Sei impazzito? Non avrei mai potuto … ».
«Già. Già, dite tutti così … oh, dimenticavo il relitto del cinema. Paolina, per quel discorso di tuo marito e del tuo tradimento …».
«Basta! Non azzardarti a nominare Giancarlo!».
«Ora basta lo dico io! Vi incolpate a vicenda, ma il colpevole è uno solo! Detto questo, cominciamo con le deposizioni. Uno ad uno sarete chiamati a raccontare quello che avete fatto negli ultimi venti minuti. Useremo quella stanzetta abbandonata che mi ha mostrato un addetto ai lavori poco fa» affermò Ducato indicando una minuscola stanzina dipinta di grigio.
Che confusione che si era creata. Sapevo chi fosse l’assassino. Già, perché il primo che parla, di solito è colui che ha commesso il crimine più efferato del mondo. Avevo l’impressione che fosse Marchesi l’assassino che stessimo cercando. Marchesi aveva ucciso sua moglie … ma come l’aveva fatto? Come ci era riuscito? La donna era stata ritrovata a terra, con una corda legata intorno al collo ed il lembo opposto molle a terra. Il terrazzino che dava sul panorama era completamente spalancato e la sedia sulla quale presumibilmente era seduta la vittima al momento dell’aggressione, completamente rovesciata.
Ducato aveva già portato i sospettati nell’angusta stanzina, mentre Novato era rimasto in nostra compagnia facendo qualche altra battutina sullo stato sentimentale del suo superiore.
«Alex … Alex … Alex! E’ sempre la stessa storia, quando ha un caso da risolvere si isola dagli altri. Guardalo, è una statua!» si lamentò Bianca rivolgendosi a Novato e osservandomi mentre avevo assunto la mia proverbiale posizione di pensiero. Per chi non lo sapesse, la mia posizione di pensiero preferita è quella nella quale mi siedo su una sedia, un letto o un qualsiasi ripiano e metto la mano destra che mi ricopre interamente la bocca e la mano sinistra chiusa a pugno verso la tempia sinistra. Sembro ridicolo, sembro in posa per un ritratto, ma almeno riesco ad isolarmi dall’esterno e a concentrarmi.
Nel mio cervello frullavano idee di ogni genere. Il lembo della corda che era stato ritrovato a terra era stato spezzato da qualcosa, come se fosse stato tagliato a razzo da qualcosa o da qualcuno.
«Guardate … qui ci sono dei pezzi di corda» osservò Bianca posizionandosi appena sotto la porta di entrata del camerino della vittima.
«Dove?» domandai sovreccitato.
«Ah, allora dobbiamo trovare indizi per parlare con te?» disse ironicamente Bianca.
«Lascia stare» le risposi cercando di farmi largo dietro di lei. Mi chinai sulle ginocchia e guardai attentamente. Dei piccoli filini di corda erano sparsi in modo confuso ma ordinato a terra. Erano paralleli all’asse immaginario che mi ero creato a partire dalla maniglia della porta fino ad arrivare verso in basso.
Forse quel piccolo indizio poteva aiutarmi a capire qualcosa, ma … non c’eravamo per niente! Ero ancora troppo lontano dalla verità.
«Un cellulare!» esclamò Flavio.
«Cosa?».
«Il cellulare della vittima. Forse ha lasciato un messaggio di addio» osservò acutamente.
«Già».
Flavio tolse il block, ma niente di niente. Nessun indizio, nessuna via da seguire.
«Bah! Un altro buco nell’acqua!» disse lanciandomelo al volo. Per poco non lo feci cadere.
Lo esaminai a lungo e la prima cosa che mi venne in mente fu quella di andare a guardare i messaggi. In particolare ce ne fu uno che mi colpii. Aveva la data esatta di quel giorno ed era stato inviato cinque ore prima, quindi verso le sette del mattino ed era indirizzato ad una certa Amy. Era scritto così:

“Amy, non vedo l’ora di dargli il regalo! Alla fine ho scelto un ciondolo con il mio nome tempestato di diamanti. Mi è costato molto, ma per Carlo questo è altro! E’ l’amore della mia vita. Ho deciso però di fare come mi avevi suggerito e cioè di infilarglielo in tasca senza che lui se ne accorga … sai che sorpresa quando lo troverà! Bacioni! P.S. Sono sicura che mi regalerà quella collana vista in centro due settimane fa!”

Ora avevo capito … e mi dispiaceva molto. Sì, davvero molto. L’amore è spesso un sentimento controverso e la vittima era stata tradita con l’amore negli occhi. Era morta con l’amore nel cuore. Con gli occhi bassi per la situazione, posai il telefono sul letto della vittima e mi diressi fuori dal camerino. Trascinai letteralmente Novato con me, nonostante le proteste di quest’ultimo che voleva restare a parlare di golf con Flavio.
«Ascolta Novato» gli dissi mentre mi guardava esterrefatto.
«Dimmi tutto Alex … perché mi hai trascinato fuori con così tanta fretta?».
«Non scopriranno mai la verità con gli interrogatori. Ho capito come si sono svolti i fatti … come faccio però a interrompere gli interrogatori di Ducato senza che lui mi uccida?».
«Eh be’» disse nascondendosi dietro ad una risatina «a questo posso pensarci io … ci faremo aiutare da qualche tecnico del montaggio e cose del genere ok?».
«D’accordo».

CAPITOLO IV – Amore e odio

«Dov’è Alex? Non lo vedo da un po’ … » osservò Flavio. L’uomo aveva assunto la tipica posizione di chi non voleva più aspettare. Aveva le mani in tasca e la sua andatura non lasciava presagire nulla di buono.
«Non so» rispose a tono Bianca «forse è andato a curiosare in giro con Novato».
«Già … c’è un caso da risolvere e lui se ne va in giro! Non ti pare sia un po’ troppo svogliato?».
«E a te non pare di essere eccessivamente duro con lui nei tuoi giudizi?» domandò Bianca innocentemente.
«Per niente! Devo plasmarlo io … devo … hai capito insomma!».
«In verità poco o nulla, ma se sei contento tu papà …».
In quel momento il monitor che troneggiava nel camerino di Calmelli si accese da solo. Flavio si spaventò tanto da cadere a terra. Poi vide la faccia giocosa e allegra di Alex e si rassicurò.

Una volta vistomi in faccia, cominciò come di consueto a ricoprirmi di insulti. Io e Novato ci eravamo stabiliti in una stanzetta del piano superiore utilizzata per il doppiaggio di un vecchio telefilm gangster degli anni settnta. Avevamo deciso, grazie all’aiuto di un tecnico, di stabilire un collegamento tra la videocamera che teneva Novato e il monitor del camerino della vittima. Era l’unico modo per risolvere il caso pur non essendo fisicamente presente lì. O meglio essendolo, ma solo in video. In questo modo avrei ottenuto meno lamentele, Ducato non avrebbe potuto colpirmi (voi non avete mai ricevuto una sua pacca amichevole sulle spalle) e la gente si sarebbe zittita per la semplice scena creata.
«Flavio, Novato è qui con me. Raduna tutti, ho capito come sono andati i fatti!» annunciai.
«Scusa, ma che ti sei fatto il segretario? Queste cose … ».
«E muoviti!».
«Vado, stai calmino!».
Due minuti dopo, Carlo Marchesi, Vincenzo Ducato, Loris Esenti, Paolina Mostrena e Vincenzo Misatti, erano radunati di nuovo tutti insieme nel camerino della vittima. Fino ad allora erano stati sottoposti ad un ferreo interrogatorio di gruppo. Secondo Ducato interrogarli di gruppo era una buona idea in quanto pensava che l’omicida fosse più di uno e che quindi prima o poi uno di loro si sarebbe tradito.
«Alex! Che cos’è questa pagliacciata?!» la voce di Ducato risuonò anche attraverso le cuffie datomi dal tecnico per recepire meglio i suoni all’esterno della sala di doppiaggio.
«Ehm … era per ottenere più attenzione … si calmi ispettore».
«Un corno! Flavio mi ha detto che presumi di aver risolto il caso … muoviti!».
«Ok, ok, non si agiti». “Che modi” pensai facendo un sorrisino sarcastico. «Ricostruiamo la dinamica dei fatti. Dopo aver fatto colazione insieme, io, Flavio, Bianca e Andrea  abbiamo assistito ad una lite furibonda tra tutti i membri del tavolo. La signora Calmelli cercava di stemperare i toni, mentre suo marito, Carlo Marchesi, rincarava la dose ad ogni parola detta dal resto dei presenti. Dopo aver discusso con Marchesi, Giorgia Calmelli si è ritirata nel suo camerino. Circa cinque minuti dopo ho notato Marchesi che entrava nel camerino di sua moglie. Inizialmente pensavo fosse per tentare un riavvicinamento, ma poi ci sono state delle cose che mi hanno indotto a pensare diversamente … ».
«Ad esempio fratellone?» domandò Andrea. Mio fratello era stato muto tutto il tempo. Aveva scrutato con i suoi piccoli occhietti tutte le scene che gli si erano parate davanti senza dire una parola.
«Ad esempio il fatto che Marchesi è uscito quasi subito dalla stanza. Sapete perché è uscito così presto? Perché è lui l’assassino della signora Calmelli!».
«Ah ah ah! Sei spiritoso ragazzino! Ma non hai prove e dovresti andarci piano con le accuse» disse cambiando repentinamente tono di voce e impostazione modulare.
«Lei è entrato nella stanza di sua moglie. Ha tentato di fare la pace, ma la signora ha rifiutato. Poi lei le avrà sicuramente chiesto scusa. Le scuse erano un parte essenziale del piano per farla fuori, non è vero? Dopodiché, guardate cosa ho trovato nella tasca della vittima. Un cellulare. E se andiamo nella cartella “messaggi inviati” ce n’è uno davvero interessante inviato cinque ore fa. Dice cosi: “Amy, non vedo l’ora di dargli il regalo! Alla fine ho scelto un ciondolo con il mio nome tempestato di diamanti. Mi è costato molto, ma per Carlo questo è altro! E’ l’amore della mia vita. Ho deciso però di fare come mi avevi suggerito e cioè di infilarglielo in tasca senza che lui se ne accorga … sai che sorpresa quando lo troverà! Bacioni! P.S. Sono sicura che mi regalerà quella collana vista in centro due settimane fa!”. Capite adesso?».
«Francamente non ancora. Cosa vorresti dimostrare con questo?» domandò Paolina Mostreni.
«Non ci siete ancora arrivati? Ok, vi dirò un’altra cosa. Poco fa, Novato ha trovato dei filini di corda sotto la maniglia della porta del camerino. Inoltre, prima dell’omicidio, la signora Calmelli aveva uno strano oggetto che le brillava in una delle due tasche. E’ tutto chiaro ora?».
«Non è chiaro un bel niente se non ci spieghi! Diamine!» sbottò Ducato.
«Insomma, l’oggetto che luccicava in tasca alla vittima, era il suo regalo di anniversario per Marchesi. Come recita il messaggino, la Calmelli voleva infilargli il regalo in tasca senza che lui se ne accorgesse. Voleva farlo in un momento di intimità e quale miglior momento se non quello delle scuse? Immagino abbia baciato sulle labbra sua moglie signor Marchesi».
Marchesi era livido di rabbia. La sua faccia sprizzava rabbia ovunque. Stava per crollare. Mancava davvero poco.
«Ma il messaggino dice anche un’altra cosa … dov’è il regalo del regista per sua moglie?» osservò Bianca.
«Ottima domanda. E’ lì, sul pavimento. E’ la corda che ha usato per strangolare la vittima!».
«Che cosa?!» esclamò Loris Esenti.
«Ma sì, dai, non avete ancora capito? Non è così difficile. Dopo averla baciata, il signor Marchesi avrà detto a sua moglie di avere con sè il suo regalo. Le avrà fatto chiudere gli occhi e la donna avrà subito immaginato si trattasse della collana che desiderava tanto. Così, avendo già legato un capo della corda alla maniglia della porta, ha infilato il cappio della corda attorno al collo della povera signora Calmelli. Si è allontanato dicendole di non aprire gli occhi. Dopodiché ha lentamente aperto la porta ed è uscito di soppiatto. Così facendo ha sbattuto violentemente la porta e il cappio intorno al collo della donna … si è stretto fino a diventare una morsa inesorabile!».
«Stai dicendo un mucchio di cavolate! Non credi che mia moglie se ne sarebbe accorta se avessi avuto una corda in mano? Non era addormentata».
«Infatti era girata di spalle. Guardate la sedia che era sul terrazzino com’è caduta. Ha lo schienale faccia a terra e anche il corpo è con la schiena rivolta verso il pavimento. Lei ha messo la corda a terra, appena dietro la sedia di sua moglie e … ha fatto quanto ho descritto».
«Ah ah ah! Saresti un ottimo scrittore di romanzi gialli. Ma voglio le prove! Non ce le hai ancora mostrate!».
«Già, è vero Alex … dove sono le prove?» domandò Ducato. Pareva essersi calmato.
«Oh, tranquillo ispettore. Ne basterà una sola. Il colpevole, la prova schiacciante, ce l’ha addosso!».
«Come?! Cos’hai detto?» sobbalzò Vincenzo Misatti.
«Esatto. Controllategli le tasche».
Ducato eseguì. E dopo pochi secondi estrasse una catenina con il nome “Giorgia” tempestata di diamanti.
«E’ la stessa identica catenina che corrisponde alla descrizione nel messaggio. E quando può avercela messa la signora Calmelli? E’ ovvio, in un momento di intimità, ovvero quando stavano baciandosi dopo aver appena fatto la pace! Confessi amico, è stato lei a compiere questo crimine!».
La risatina diabolica di Marchesi scrisse la parola fine a quella lunghissima ed estenuante giornata.
«Che buffo … ho fatto centinaia di film … ma proprio io non sono riuscito a recitare la parte più importante. Sì, l’ho uccisa io. Mi ha costretto a ucciderla … io ero … ero stato legato a sua sorella fino a circa due anni fa. Poi mi sono innamorata di lei, ma una volta, sotto l’effetto dell’alcol … mi disse di aver … mi disse di aver eliminato Marta con del cianuro. Non potevo perdonarglielo. Non era minimamente pentita! Quella sgualdrina meritava la morte!».
«Nessuno merita la morte» sentenziai. «E’ uno sciocco se la pensa così. La signora Calmelli aveva sbagliato indubbiamente, ma doveva rivolgersi alla polizia. Il secondo sbaglio, non pone rimedio al primo».
Nelle deposizioni Marchesi confermò quanto detto da me. Mi piangeva il cuore per quella storia. La Calmelli aveva ucciso sua sorella Marta solo per gelosia o chissà per quale assurda ragione. Marchesi aveva ucciso Giorgia Calmelli per vendetta. Una catena di amori e di emozioni contrastanti. Marchesi innamorato di Marta. Marta uccisa da Giorgia. Giorgia innamorata di Marchesi. Marchesi assassino di Giorgia.
«Uccidere … come si può accostare questo verbo ad … amare?» disse Bianca tra sé e sé mentre eravamo in macchina sul sedile posteriore. Andrea aveva preferito sedersi per una volta davanti e così …
«Non si può infatti … » commentai.
Lei annuì, poi si rivolse a me e mi domandò: «Sei mai stato innamorato?».
«Ehm … che domande sono?! Io non sono … ecco … innam … ecco … ».
«Ok, se non vuoi rispondermi … fa niente, non ti agitare».
Che idiota che sono. Quando parlo di amore divento rosso come un peperone e balbetto.
«Il nostro amico è riservato e tiene la bocca chiusa sull’amore … perché non provi a prendere quest’abitudine per tutto?» commentò Flavio sarcasticamente. Che simpatico.


ANTICIPAZIONE EPISODIO 34: Un caso irrisolto, un nuovo omicidio, intrighi, passioni e misteri che si fondono alle spalle di un noto politico. Tutto accade in un soggiorno in montagna. Si scoprirà quanto è difficile trattenere le bufere dei sentimenti. ALEX FEDELE EPISODIO 34 PERSI NELLA NEVE. Solo qui a partire dal 21/04/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!