Statistiche del Blog

sabato 31 dicembre 2011

Alex Fedele: Le punizioni della Karen 2°parte(stagione 1;episodio 20)

Matteo Iacobucci e tutto il mondo di AF vi augurano un sereno anno nuovo!

LE PUNIZIONI DELLA KAREN(2pt)

PROLOGO: Chi può commettere un crimine efferato come l'omicidio? Chi sarà il misterioso assassino che ha tolto la vita a Riccardo Montervino? Alex indaga e ... 

Cos’è successo nella 1°parte?: Bianca vince una crociera risolvendo insieme a me un gioco di logica su internet. La crociera sarà nel Mediterraneo e vede oltre a noi(io, Bianca, Flavio e Andrea), altri 7 passeggeri. Per i primi due giorni va tutto bene, ma la sera del secondo giorno, il capitano della nave si accorge che un passeggero è in mare. Viene ripescato e appuriamo che si tratta di Riccardo Montervino, lo stuntman che era partito con noi. Sembra un incidente, ma sulla testa c’è del sangue coagulato e sotto le unghie ci sono frammenti di pelle umana. NON E’ STATO UN INCIDENTE!




CAPITOLO IV – La donna offesa

«E’ inaudito! Mi ritengo insultata!» sbottò Orietta Lonsi. «Una professoressa della mia levatura, della mia personalità, del mio tatto … trattata come un criminale da quattro soldi! Io vado nella mia cabina signori!» e si voltò di scatto. L’aveva fatta davvero arrabbiare. Tutto il resto della folla guardava in basso e restava in silenzio.
«Sarà meglio chiamare qualcuno» ricominciò a parlare Flavio.
«Ho già provato io detective» comunicò Nelboni. «Purtroppo i telefonini non prendono. E qualcuno ha messo fuori uso il comunicatore per le emergenze».
«Che cosa?» urlai a voce abbastanza alta da essere sentito anche a chilometri da distanza.
«Già, hai capito bene ragazzo. Comunque vada, prima di toccare terra dovremmo aspettare altri tre giorni».
«Dannazione!» brontolò Flavio. «L’assassino potrebbe colpire ancora. Non abbiamo tempo e possibilità di chiamare nessuno. Siamo nei guai».
«Già» commentai. «La cosa più logica a questo punto è dire a tutti di rinchiudersi nella propria cabina e di aspettare che faccia giorno. Domattina, faremo chiarezza».
«Hai ragione» disse Flavio a occhi bassi, l’espressione pensante. «Ascoltate signori. Ognuno di voi deve chiudersi nella propria cabina ermeticamente. E quando dico ermeticamente, lo sottolineo. Non dovete uscire per nessuna ragione, siamo d’accordo? Almeno finché non faccia giorno. L’assassino è tra di noi e potrebbe colpire ancora».
La folla rispose con un cenno d’assenso. Meglio che ai agli addestramenti marines.
«In quanto a lei capitano» disse rivolgendosi a Casolare «se dovesse notare qualsiasi cosa di strano, mi avverta immediatamente».
«Sarà fatto detective».
«E comunque si chiuda anche lei con il suo vice e i ragazzi dello staff in un locale qualsiasi. Segua le disposizioni date agli altri passeggeri».
«Sarà fatto».
«Qualcuno avverta la signora Lonsi, Bianca, va ad avvertirla tu per favore» dissi ricordandomi della professoressa.
«Vado subito».
Anche noi ci rinchiudemmo nella cabina. Ma non dormì nessuno. Onestamente, a chi verrebbe in mente di dormire con un assassino a bordo? Sentivo i fruscii delle coperte smuovere il silenzio. I profumi della gente dissolversi nell’aria mentre si cercava di trovare una posizione comoda per dormire quei dieci minuti sufficienti a ricordare il proprio nome il mattino dopo. Ma non ci riuscì nessuno.
Fu una lunga notte. Presi il letto più vicino alla porta. In caso ci fosse stato un allarme, sarei sbalzato subito fuori dal letto e avrei inseguito l’assassino. Ma non si udì nulla, e la mattina venne in tarda attesa. Ma venne comunque.
Uscimmo dalle nostre cabine e decidemmo, dopo una breve doccia, di ritrovarci tutti per fare colazione. Era appena l’alba, ma eravamo già esausti. Che vita.
«Manca solo la signorina Lonsi all’appello» sentenziò Bianca.
Passò qualche secondo. Poi la mia testa cominciò a frullare, i miei occhi a sbarrarsi, il mio cuore a pulsare più velocemente. Il sesto senso è una cosa che può essere bella o brutta per un detective. Ti aiuta nelle indagini, ma non ti soddisfa mai appieno. E’ un po’ come … avete presente quella sorta di smania che hai da piccolo, quando vuoi vedere la tv fino a tardi, ma ti dicono di andare a dormire. Allora tu insisti, pur di rimanere sveglio come fanno i grandi, ma mentre guardi lo schermo, rimani fisso, con gli occhi che appassiscono ad ogni secondo che passa.
Mi sentivo così quando mi alzai di scatto, rovesciai a terra il cappuccino e corsi verso la cabina della signora Lonsi. Avevo quello che si dice “brutto presentimento”. Chiamatemi scemo, idiota, cretino, falso, esagerato, ma ce l’avevo. Che dovevo fare? Non fidarmi dei miei istinti? Corsi vero la cabina della professoressa Lonsi. Non era da lei tardare. Nei giorni che avevano preceduto quell’incubo, era stata sempre la più puntuale, la più precisa, la più riguardosa, in ogni ambito.
La cabina era chiusa, ma non a chiave. Così entrai. Ma qualcosa frenava la mia entrata. La porta non scivolava oltre una certa distanza. Diedi un’occhiata, scrutando ciò che era al di là della porta. La morte delle persone è molto, molto impressionante. La signora Lonsi, non era più tra noi. Il suo corpo giaceva a terra, sparso di sangue, che partiva dalla testa.
Flavio mi aveva seguito di corsa. Mi aveva urlato addosso, chiedendomi se fossi diventato matto o cosa. Ma quando i nostri sguardi si incrociarono, capì anche lui che me n’ero andato per un motivo.
«No … » sussurrò a voce bassa. «Non dirmi che … » continuò.
Feci un breve, rapido e solenne cenno col capo. Uno di quelli che ti svelano la verità come non vorresti mai saperla.
«No!» urlò con rabbia. E diede un pugno violento contro gli oblò della nave. Il capitano Casolare cercava di calmarlo. Ma non c’era niente da fare. Era un fiume in piena. Il sentimento si era mescolato con l’assidua professionalità. Purtroppo è così che accade.
Aprimmo pian piano la porta. Orietta Lonsi era distesa a terra, in un lago di sangue, con i passeggeri che la guardavano, con in faccia un’espressione di pena  mista al terrore. C’era davvero qualcuno che voleva far male ad ognuno di loro. La donna era deceduta da circa quattro ore, con un colpo di testa in piena fronte.
Era distesa a terra contro la porta, in vestaglietta intima.
«E’ deceduta per un colpo di arma da fuoco alla testa» commentò Flavio. «Un’altra vittima, dannazione» si lasciò poi sfuggire.
Mi chinai sul corpo. Notai che nella mano sinistra aveva un accendino. Lo riconoscevo. Era quello che amava manipolare mentre si perdeva nelle nuvole di fumo create dalle sue sigarette.
«Chissà perché poi … quest’accendino» commentai.
«Che domande fai? Fumava no? Probabilmente voleva fumare una sigaretta prima di addormentarsi. Ma l’assassino l’ha sorpresa e non c’è stata nulla da fare» mi rimproverò Flavio in tono coinciso.
«Non credo. Nelle cabine non si può fumare. Bisogna uscire  per forza fuori. E la Lonsi non era così imprudente da uscire fuori con un assassino a bordo».
«Ora che mi ci fai pensare … » affermò Flavio raschiandosi la barba con l’unghia del medio «la porta della cabina era aperta».
«Pensi anche tu quello che penso io?».
«Tu dici che … ».
«La signora Lonsi ha aperto al suo assassino».


CAPITOLO V – Una realtà differente

Chiusa la cabina, la colazione venne normalmente interrotta. Molto triste ritrovarsi in quella situazione. Mascella, il cuoco, e quella studentessa, Elisabetta, si accesero una sigaretta, e si misero a fumare.
«Non sapevo lei fumasse signorina Elisabetta … e nemmeno lei signor Mascella» commentò Flavio.
«E’ una abitudine che ho da poco» rispose la ragazza. «Rettifico. E’ una brutta abitudine che ho da poco» e scoppiò in una mezza risata fragorosa.
«Io fumo da quando avevo tredici anni» borbottò il cuoco.
«E non le da fastidio in cucina? Cioè non le rimane attaccato ai vestiti?».
«Per niente» affermò Mascella. Guardò l’orizzonte. Poi disse «perlomeno, non se ti cambi e ti profumi prima di entrare in cucina».
«Capisco».
Intanto, Alberto Falonghieri, si alzò a fatica dal tavolo. Il peso degli anni doveva essere insostenibile per un rubacuori come lui. «Io dico che è inutile» iniziò con la voce melliflua. «Tanto ci ucciderà tutti, no? Non vale la pena farla finita adesso?». Le parole di quell’uomo mi fecero rabbrividire. Già non mi era simpatico per le occhiate che aveva rivolto a Bianca, ma adesso …
«Mi faccia capire» lo ammonii «Qual è il suo problema?» gli dissi a muso duro.
«Piuttosto, dimmi qual è il tuo ragazzo. Mi pare che tu sia un tantino adirato».
«A lei sembrano  troppe cose. Sa, ho conosciuto un tizio come lei una volta. Si vantava di essere imprenditore, di avere Porsche e Ferrari a destra e manca. Indovini un po’? Due giorni dopo l’hanno arrestato per frode fiscale».
Continuava ad allargare quel sorriso senza nessun ritegno. Che fastidio. Giuro che se avesse avuto la mia stessa età, lo avrei preso a pugni in faccia.
«Siamo nervosetti?».
«Per niente. Ma lei dice che è meglio suicidarsi invece che scoprire la verità. Ha idea di ciò che dice? Dovrebbe vergognarsi».
«Allora è così che imparano voi giovani detective» commentò mentre ero di spalle. Non mi voltai. Mi limitai ad essere tagliente nelle parole.
«Allora è così che preparano vecchi pervertiti imprenditori». Il silenzio ci avvolse. I presenti non si mossero. Flavio mi guardava arrabbiato. Nonostante non fosse legato a me in nessun modo dal punto di vista della parentela, mi riprendeva quasi in modo paterno quando facevo qualcosa di sbagliato. Come quando avevo messo nella sua birra un po’ di salsa di pomodoro. Come quando avevo rovesciato le sue pratiche per sbaglio. Insomma, non l’avevo fatto apposta …  
«Lo perdoni signor Falonghieri … » commentò Bianca. Ma la stoppai subito.
«Non la ascolti Falonghieri. Penso tutto ciò che le ho detto».
«Hai fegato ragazzino» si limitò ad osservare.
«Comunque» dissi cambiando discorso «forse sarebbe meglio mettersi alla ricerca dell’arma. Non credete?».
«Ma che genio!» disse ironicamente Flavio. «Ho già cercato dappertutto. I signori hanno vuotato tutti i loro bagagli mentre eri lì a controllare le tue cose». Inoltre « disse accendendosi anch’esso una sigaretta «ho cercato in tutte le camere con l’aiuto del capitano e del suo vice. Non ci sono tracce di nessun’arma da fuoco. Il colpevole deve averla gettata in mare».
«Cavolo» commentai camminando freneticamente
Bianca mi venne vicina poco dopo. Andrea era rimasto a giocare con un addetto staff della nave.
«Fammi capire» mi disse mentre guardavo il mare. L’alba lo rendeva rossastro,simile a quello delle migliori scenografie da film d’amore. Ma in quel momento non c’era nulla di finto, anche se avrei voluto che ci fosse.
Discostò i suoi capelli dal viso. Mi guardò mentre il mio sguardo era rivolto all’infinito. «Che problema hai?».
«Vediamo» dissi dopo una pausa di qualche secondo. «Due persone sono state uccise. Un idiota pensa che il suicidio sia la miglior carta da giocare. L’arma di un delitto è stata gettata in mare ed io sono uno stupido che non sono riuscito ad evitare tutto questo». Avevo risposto a muso duro.
«Tu non sei Dio, Alex. Non puoi evitare disastri. Tu sei un investigatore. Il tuo compito è trovare indizi e verità, non evitare sciagure».
«Hai ragione» commentai. Poi tornai lasciandola lì, in preda al rosso delle acque.
«Quantomeno espierà i suoi peccati» commentò Elisabetta.
«Cosa vuol dire signorina?» domandò Bianca.
«Be’ … io non dovrei dirlo, ma … ».
«Signorina, se si tratta di qualcosa che può esserci utile … » disse Flavio. Ma non terminò affatto la frase. Elisabetta già parlava. Reggeva poco la pressione.
«Be’, aveva dei traffici illeciti. Me l’aveva detto l’altra sera. Aveva alzato un po’ troppo il gomito … e così ha cominciato a parlare troppo. Commerciava stupefacenti a quanto sosteneva».
«E lei perché non ce l’ha detto subito?» la ammonii
«Non volevo passare per spia».
«Quando si parla di Giustizia, l’omertà è il più grande freno che le si possa porre». Flavio si era portato di spalle alla donna e parlava con la sigaretta tra le labbra, e una mano in tasca.
C’era ancora qualcosa che non capivo. Avevamo zero tracce per scoprire chi fosse il colpevole. Ma c’erano due cose che non mi spiegavo e che mi tormentavo, sempre più conscio di aver in mano non un semplice caso, ma quasi un macabro giochetto a doppio compiacimento. Il primo era quello nel provare gusto nell’uccidere persone. Il compiacimento più macabro, orrendo e fuori da ogni buonsenso che si possa avere. Il secondo, era quello di sapere di essere in pericolo e di aver agito in entrambi i casi con sfrontatezza.
Due cose non erano chiare. Perché la professoressa Lonsi aveva un accendino in mano? Ma soprattutto, perché era in vestaglietta intima davanti a una porta aperta?

ANTICIPAZIONE EPISODIO 21: Un gioco che mette in palio le vite di altre persone può essere fatto solo da persone non sane di mente. Alex lo capisce ed in una nuova avventura colma di emozioni, sta a lui trovare il filo conduttore degli omicidi in serie. Non finisce qui ... ALEX FEDELE EPISODIO 21: Le punizioni della Karen(3°parte) Solo qui, a partire dal 7/12/2011! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!

sabato 24 dicembre 2011

Alex Fedele: Le punizioni della Karen - 1°parte(stagione 1; episodio 19)1; epis

Matteo Iacobucci e tutto il mondo di AF vi augura un serenissimo Buon Natale!


LE PUNIZIONI DELLA KAREN(1pt)

PROLOGO: Una crociera riservata a quelli che risolvono un piccolo giochino di logica. Bianca riesce a far parte di essa anche grazie ad Alex. Sembra il preludio di una settimana scarsa di totale relax ... e invece no ... la vendetta non dimentica ... MAI! 





CAPITOLO I – Gioco per la vittoria

Lo chiamavano piacevole. In televisione, assistevo a tentativi da record su ogni qualsivoglia azione discutibile. C’era l’uomo che mangiava formiche come fossero biscotti, la donna che si lasciava lanciare con un cannone da circo a più di trenta metri di distanza, e chi invece strabuzzava così gli occhi così tanto da farseli sbalzare fuori. Ero incuriosito da quella strana situazione e da quegli strani tentativi e perciò, quella domenica mattina nella quale il dolce riposo era l’unica cosa che mi interessasse, mi ero sdraiato sul divanetto dell’ufficio di Flavio e mi ero goduto quel balzano programma.
Quella mattina Flavio non era a casa. Era uscito piuttosto presto per andar a far visita ad un suo amico in ospedale. Quest’ultimo, svolgeva il lavoro di custode al museo, ma pare che in una colluttazione fisica con un energumeno avesse avuto la peggio riportando fratture multiple e escoriazioni sui gomiti. Siccome conosceva Flavio da circa quindici anni, era entrato di diritto in quella lista di “rispettabili” che Flavio pareva avesse stilato da un po’. Chissà se ne facevo parte anch’io.
Nel frattempo, mio fratello Andrea, se ne stava in camera sua, Fabio era uscita con quella Martina sulla quale mi aveva raccontato qualche particolare scabroso e Bianca se ne stava al computer del padre, nella mia stessa stanza. Aveva una confezione di biscotti in mano, una di quelle con le quali fai colazione per trenta giorni senza stancarti mai. La teneva nella mano sinistra, e con la destra muoveva energicamente il mouse.
Intanto, sbottava e si lamentava.
«Fammi capire. Cos’hai oggi?» dissi spegnendo la tv e andando a posizionarmi vicino a lei davanti al monitor.
«E che ho un problema che non riesco a risolvere».
«Spiegami».
Mi inginocchiai vicino lei, e le sfiorai i capelli con il viso. «Il fatto è» cominciò porgendomi la scatola di biscotti «che sono andata su vari siti e … hai presente quelle pubblicità che ti appaiono sempre su estrazioni e cose varie?».
«Certo, qual è l’intoppo?» domandai pescando un biscotto dal pacco.
«L’intoppo, come lo chiami tu, è che devi risolvere un problema di logica, un codice, o qualsiasi altra cosa nella quale bisogni usare il cervello, al fine di vincere un premio Vengono sorteggiati solo determinati indirizzi IP».
«E il tuo è stato sorteggiato?».
«Certo. Altrimenti perché sarei disperata?» mi chiese guardandomi con sarcasmo.
«Quindi, mi stai dicendo che non sai risolvere il problema che ti hanno dato?».
«Già».
«Che cosa si vince?».
«Sono stati sorteggiati otto indirizzi IP. Coloro che riusciranno a risolvere il problema, vinceranno una crociera nel Mediterraneo. I partecipanti possono portare tutti quelli che vogliono, senza esagerare naturalmente».
«Capisco» dissi portandomi una mano al mento. «Ti dispiace se do un’occhiata al giochino?».
«Fai pure, ma tanto è inutile. E’ un ora che ci ragiono sopra e in testa ho solo una gran confusione» disse girando il monitor interamente verso di me.
Notai un timer sulla parte destra dello schermo. «Cos’è quello?» dissi indicandolo.
«E’ il timer del gioco. Per risolvere questo complesso gioco di logica, abbiamo solo un’ora e dieci minuti … sono stati crudeli» disse assumendo una posa da vittima.
«Be’, dai. Non così ingiusti. Ti regalano una crociera».
«Io parlavo del problema. E’ davvero troppo difficile».
Lessi su di una grafica grigiastra, questo “impossibile” indovinello.

“Tre marinai trovano un mucchio di noci di cocco. Il primo ne prende la metà, più mezza noce
Il secondo prende metà di quello che è rimasto, più mezza noce. Il terzo fa la stessa cosa del secondo.
Rimane una sola noce, che i marinai donano a una scimmia. Quante erano le noci nel mucchio inizialmente?”

Rimasi a fissare lo schermo per un paio di secondi, poi presi il mouse, ma Bianca mise la sua mano sulla mia, impedendomi di muovermi.
«Fermo, abbiamo solo un tentativo».
«Ho risolto l’enigma».
«Davvero? Dimmi».
«Fammi mettere il risultato e poi vedi».
«No, dimmi tutto prima a me».
«Che c’è? Non ti fidi?».
«Non è questo è che … ».
«Non ti fidi» affermai distogliendo lo sguardo dal suo.
Tolse la mano, si imbarazzò. Poi mi alzai, e con l’aria da saccente, dissi:
«La risposta all’enigma è quindici. Sono quindici le noci inizialmente. Infatti, se alla fine resta una sola noce, significa che il marinaio si è trovato di fronte solo tre noci al suo arrivo. Ha preso due noci, ovvero metà del mucchio, cioè una noce e mezza più mezza noce, lasciandone così una. Così facendo, è logico presupporre, che il secondo marinaio abbia avuto a disposizione sette noci, prendendone solo quattro, naturalmente tre e mezzo più l’altra mezza, seguendo la struttura del giochino. Ne ha lasciate così tre per il terzo marinaio. Per concludere, il primo marinaio, poteva disporre di quindici noci. Ne ha prese così otto».
Bianca mi guardò con una espressione che trasudava dubbio da ogni poro.
«Si può sapere come hai fatto ad arrivare a questa soluzione in così pochi secondi?».
«Tutto sta nel tenere allenata la mente. A volte, quando mi annoio, creo da solo questi rompicapo. Mi distraggono e mi aiutano a concentrarmi sui casi».
«Inserisco la tua risposta allora?».
«Come se avessi un’altra possibilità … » le dissi sorridendole con sarcasmo.
«Spiritoso … guarda che con un po’ di ragionamento, ci arriverebbe chiunque, non darti arie da professorino».
«Vero, chiunque può arrivarci, ma a te la risposta serve entro dieci minuti al massimo, giusto?».
«Ehm … giusto» disse passandosi una mano tra i capelli.
«E non hai tempo per metterti a ragionare. Giusto?».
«S-sì … ».
«E allora, inserisci questa risposta che ci andiamo a vedere il Mediterraneo da vicino».
«Sei proprio sicuro di te …  Vorrei averla io questa sicurezza. E se sbagli?».
«Se sbaglio … ti accompagno per un mese di fila a fare shopping, facendoti da portaborse, lo giuro» dissi incrociando le dita.
Un po’ timorosa, Bianca posò la mano sul mouse e si decise ad inserire il referto. Il computer si colorò di verde smeraldo e una pacchiana scritta con su scritto “HAI VINTO!” comparve accompagnata da una musichetta in stile “Rocky”.
«Abbiamo vinto! Abbiamo vinto! Abbiamo vinto! Sei grande Alex!» disse alzandosi in tutta fretta e venendomi ad abbracciare. Non nego che arrossii, e parecchio anche.
«Non vedo l’ora di dirlo a papà! Sarà entusiasta! E poi gli serve una vacanza. Di solito, lavora troppo».
«Già, lo credo anch’io» dissi fingendo di acconsentire.
Al ritorno, Flavio, si limitò a pavoneggiarsi di come anche lui avesse potuto facilmente risolvere quel complicato rompicapo. Aveva cominciato a riavvolgere il nastro dei ricordi e a far viaggiare la mente attraverso quegli anni in cui, stando ai suoi racconti e alle sue parole, “bello e pieno di vita”, si divertiva a risolvere indovinelli su indovinelli, lasciando strabiliati tutti i suoi amici.
«E quando dovremmo partire?» si limitò ad aggiungere successivamente.
«Ho stampato la pagina che ha visualizzato il sito subito dopo l’indovinello. Lo leggo» disse felice come non mai, Bianca.
«”Carissima signorina Moggelli. Siamo lieti di comunicarLe la piena risoluzione del rompicapo ideato da un nostro dirigente con esperienze nel campo matematico e logico applicato. Come promesso dalla nostra azienda, la nave d’epoca costruita nel 1984 e chiamata KAREN, salperà al porto di Roma tra due giorni, alle ore 11.00. La crociera avrà durata di giorni 5. Le auguriamo un buon soggiorno e le ricordiamo che può invitare fino a ben cinque persone ad accompagnarLa. Lo staff La ringrazia per la cortesia dimostrataci e Le auguriamo ancora, una buona crociera. Firmato, Alvin Feretti, introduttore e creatore del premio”».
Io e Flavio avevamo ascoltato il tutto, distesi sul divano. Mio fratello, seduto sulle mie gambe, aveva continuato a fare le bolle di sapone, disinteressandosi di tutto ciò che stava accadendo. Ah, i bambini.
«Non è magnifico?» disse Bianca.
«La cosa meno magnifica è che dovremo raggiungere Roma» commentò Flavio.
«Come sei pessimista! Ti regalano una crociera di quattro giorni, nel Mediterraneo e tu pensi solo alle cose negative? Papà, sei peggiorato con gli anni».
«E’ quello che si chiama vecchiaia. C’è chi l’accusa più e chi l’accusa meno, figliola».
«E tu che ne pensi Alex? E tu Andrea?». Bianca era in eccitazione più totale.
Dal canto nostro, sia io che mio fratello, ci guardammo in faccia, con un’aria perplessa.
«Maschi … siete sempre i soliti insensibili. Siete profondi come una pozzanghera prosciugata … ».

CAPITOLO II – In vacanza

Arrivammo a Roma il giorno dopo verso le 10:45, giusto in tempo per salpare. Il porto troneggiava nell’ambiente dando all’aria una sensazione di gradevole brezza. Il tempo aveva riservato il meglio di sé, mostrandosi assolato come non mai, e le navi erano il fiore all’occhiello di un posto davvero affascinante.
Ci eravamo diretti verso Roma, io, Bianca, Flavio e il mio fratellino. Fabio non era voluto venire. Diceva che non gli interessava la crociera, mentre Sergio disse che avrebbe approfittato della temporanea assenza di Flavio per far visita ad alcuni suoi parenti a Perugia. Bianca aveva provato a convincere Barbara a venire con noi, ma quest’ultima aveva rifiutato, dicendo che lo stesso giorno della partenza sarebbe stato il compleanno di suo cugino e che quindi le sarebbe stato impossibile venire con noi.
La “Karen” era una nave che era stata costruita nel 1984. Il volantino di presentazione che avevano allegato e che ci avevano consegnato non appena arrivati al porto, recitava che a progettarla era stato un certo ingegnere Geronimo Cavalletto. La nave era rimasta attiva fino al 1997, quando in un incidente in Polinesia, fu fatta praticamente a pezzi. Dopo la morte dell’ingegnere, la famiglia ha voluto che la nave riprendesse a viaggiare, e per qualche strano motivo chi tirava i fili dell’organizzazione aveva acconsentito. La “Karen” era di una bellezza imbarazzante.
La possenza di quella nave da crociera era sorprendente. Alla voce delle caratteristiche tecniche, erano elencati numeri su numeri di quella magnifica creatura creata in metallo. Era lunga 269 metri, ne misurava ben 29 in larghezza. Aveva un’altezza dal mare di 52 metri. Aveva una capacità di carico di 4500 passeggeri.
Praticamente un mostro sull’acqua. Ma non era stato quello che mi aveva colpito della “Karen”. Ciò che avevo percepito alla visione di questa nave è un sentimento difficilmente spiegabile con le parole. Diciamo che fui invaso da due sentimenti contrastanti tra loro. Il primo fu un grande segno di rispetto per colui che l’aveva costruita, e per coloro che ci avevano lavorato a bordo per tanti anni. Il secondo, fu una terribile angoscia, che mi pervase tutto il cuore e che mi fece rattristare. Avevo come uno strano presagio. Fantasticherie.
Ci avvicinammo alla nave, e vicino ad essa, notammo altri sette figuri, in piedi, con le valigie in mano, esattamente come noi. I nostri compagni di viaggio. Affianco a loro, altre cinque persone. Due si occupavano probabilmente dell’equipaggio. Erano vestiti con la medesima divisa e se ne stavano eretti come fusi, in una forma di professionalità davvero invidiabile. Poi c’è n’era un altro, diciamo un ragazzo sulla trentina. Aveva barba incolta e capelli biondo ramati. Gli altri due membri che formavano l’allegro quintetto dovevano far parte della direzione. Rispettivamente capitano e vice-capitano, pensai.
Arrivati lì, il tizio biondo, con la barba incolta, estrasse la sua mano dai jeans a vita bassa da lui indossati e ce la porse in segno di benvenuto.
«Salve! Tu devi essere Bianca!» disse salutando la ragazza in modo energico. «Sei il piccolo genio che ha risolto l’indovinello da noi proposto. Sei stata fenomenale, complimenti!».
«Be’ ecco … io non l’ho risolto proprio da sola. Ho avuto una mano da questo mio amico che … » disse indicandomi. Ma non riuscì a terminare la sua frase.
«Ah! Abbiamo un altro genietto a quanto pare! Come ti chiami ragazzo?».
«Alex» dissi con diffidenza.
«Alex! Bel nome! Dico davvero» disse posandomi la sua mano sulla mia spalla. «E fammi capire bene ragazzo» affermò avvicinandosi al mio orecchio «Bianca è la tua fidanzatina?».
Arrossii come non avevo mai fatto prima.
«Ma co-cosa sta dicendo? Che va raccontando?».
«Suvvia Alex» continuò facendomi gomito «è bello che qualcuno aiuti la propria ragazza … perché vergognarsene? Avete sentito signori?» disse rivolgendosi al resto della folla «c’è un timidone qui!». Non commento il mio imbarazzo. Con la folla che mi guardava con fare diffidente.
Bianca non ci vide più. Sapeva essere molto dura a volte e così fece. «Se non la smette immediatamente di raccontare stupidaggini, la riempio di pizzichi finché non sviene!» disse urlando e strepitando.
Flavio, dal canto suo, era piuttosto imbarazzato. Fingeva quasi di non conoscerci. Successivamente ultimammo le presentazioni. Il simpaticone che ci aveva intrattenuto fino ad allora, era Alvin Feretti, il creatore del premio. In seguito venivano i due ragazzi dell’equipaggio, il capitano Casolare e il suo vice Nelboni.
Stringemmo la mano a tutti. Il capitano Casolare era uno di quegli uomini scampati alla seconda guerra mondiale. Uno di quei incorruttibili uomini, tutti d’un pezzo. Fatti da carattere e cuore al 100%.
I suoi baffoni grigi poi, incutevano un aura di timore alla circostanza. Il suo vice, Gerardo Nelboni, era invece più alla mano. Doveva avere almeno vent’anni di meno. Portava i capelli a spazzola e ci guardava tutti consapevole dei gradi a lui assegnati.
Finite le presentazioni con l’equipaggio, iniziarono quelle con i nostri compagni. Alvin aprì le danze. Lo conoscevo da cinque minuti e già avrei voluto buttarlo in mare. In senso buono si intende.
«Allora, chi vuole presentarsi per primo ai nuovi arrivati? Non cercate di nascondervi signori! Tanto dovrete farlo tutti!».
«Allora comincio io» iniziò un uomo sulla sessantina, con capelli bianchi come perle. «Mi chiamo Alberto Falonghieri, ho sessantatré anni e sono un uomo d’affari. Provengo da Venezia». Il viso, solcato da rughe, mostrava ancora il verdetto di qualche anno prima. Il signor Falonghieri mi diede fin da subito l’aspetto di uno sciacallo della finanza. Indossava un doppiopetto nero.
«Ah» esclamò Flavio. «Lei è nel campo della lavorazione edile, non è vero?».
«Esatto, vede che mi conosce». Aveva già fatto il pieno di boria.
«Ok, tocca a me» disse voltandosi un uomo in bermuda verde. «Sono Lucas Meruta. Faccio il poliziotto, ho quarantaquattro anni e sono di Genova».
«Che coincidenza!» commentò ancora una volta Flavio. «Io sono un detective. Siamo quasi colleghi quindi?».
«Eh be’, sì» disse facendo un risolino l’uomo. «Ho sentito parlare di lei e di quel ragazzino alle sue spalle» disse indicandomi. «Si dice che sia un portento con le indagini». Mi limitai ad annuire arrossendo.
«Io sono Elisabetta Criota. Ho ventidue anni e studio giurisprudenza alla facoltà di Palermo. Sono nata però a Ragusa. Felice di conoscervi! Che caldo oggi, non è vero?». La ragazza in questione indossava una minuscola canottiera che poco lasciava all’immaginazione e degli shorts davvero molto provocanti. Al tutto abbinava una borsa con lunga cinta a ghirigori. Essendo di carattere espansivo, assumeva un’aria simpatica per chiunque la guardasse in volto. I capelli riccioluti, di colore castano, che le cadevano sulla fronte, completavano l’opera. Una ragazza davvero carina.
«Tocca a me non è vero?» disse un uomo completamente calvo. «Mi chiamo Federico Mascella e faccio il cuoco in un ristorante di Bergamo. Ho quarant’anni». Poi ebbe un inceppo con la valigia e si distolse dalla conversazione.
«Io sono Riccardo Montervino» annunciò un tizio barbuto. «Faccio lo stuntman per il cinema italiano ed estero. Ho lavorato anche a Hollywood e a Bollywood. Ho trentacinque anni». Montervino possedeva il fisico statuario di un body builder e l’aspetto di un carabiniere.
«Io sono Orietta Lonsi. Insegno matematica in una scuola media di Ragusa. La signorina Elisabetta mi conosce anche di vista, infatti» affermò una donna sulla trentina con capelli rosso fuoco. Teneva in mano una sigaretta. Era già la terza che si accendeva in pochi minuti. Poveri studenti. Entro la fine dell’anno avrebbero dovuto chiamare i pompieri. Quella donna poteva appiccare un incendio per tutta New York con le sigarette che presumibilmente fumava in un solo giorno.
«L’ultimo sono io» disse sorridendo un uomo stempiato. «Mi chiamo Enrico Bascia. Faccio l’operaio a Firenze». Il suo parlare era contrassegnato da quel tipico accento toscano.
I convenevoli durarono ancora per poco. Ci avvicendammo a salire sulla “Karen”. Era davvero imponente. Anche gli interni erano bellissimi. Tutta la pavimentazione era fatta in parquet. Le porte erano state rifinite ed una grossa scritta impreziosita in oro troneggiava su ogni singolo tavolo, su ogni singola porta, su ogni piccolo asciugamano. La scritta riportava ovviamente il nome della nave sulla quale ci eravamo imbarcati.
Partimmo verso mezzogiorno. Ci servirono il pranzo, tutti insieme all’aperto. La nave era immensa. C’erano anche quattro ristoranti, ma per l’occasione avevano apparecchiato vicino a poppa. Secondo il capitano, in quel modo saremmo “riusciti meglio a comprendere cosa significa essere a bordo della Karen”.
Durante il pranzo, parlammo relativamente poco. La ragione è che non ci conoscevamo bene. Insomma, eravamo in viaggio da un’ora dopotutto. Il pranzo comunque fu impeccabile e il servizio anche. Servirono piatti semplici, ma di indubbio gusto. Antipasti di mare, spaghetti con le vongole, sogliola impreziosita da pomodoro e insalata caprese. Niente male no?. Il resto del giorno lo passammo nelle nostre cabine. Uscimmo solo la sera, verso le otto. Nel pomeriggio Andrea aveva passato la giornata ad ammirare il mare dalla finestra. Bianca si era dedicata alla lettura, ma ogni tanto aveva lanciato qualche sguardo fuori. Aveva ammirato il mare con occhi sognanti e un velo di tristezza era sceso nei suoi occhi. Flavio, anch’esso affascinato dal mare, passò la giornata a fumare. Un altro po’ e avremmo dovuto regalargli due polmoni nuovi. Ad un tratto “duettò” anche con il vice capitano della nave. Fumarono due sigari italiani.
La sera, come detto in precedenza, uscimmo per bere un cocktail fresco. La nave era dotata di un piccolo bar e così tutti i passeggeri si erano riuniti, seduti ai tavolini e si erano goduti la fresca brezza della sera. Eravamo tutti a  maniche lunghe, tranne Elisabetta. La ragazza indossava ancora una volta una piccola canottiera ridotta che poco spazio lasciava a papabili e pervertite immaginazioni.
Alberto Falonghieri, l’uomo d’affari che si era presentato per primo, ci guardò con sufficienza, facendo oscillare le sue pupille dal basso verso l’alto.
«Prende qualcosa detective?» chiese a Flavio scostandosi dalla sua posizione abituale.
«No, la ringrazio, al momento non desidero nulla signor Falonghieri».
«Insisto. Sono un suo fan … e anche di quel ragazzino» disse indicandomi e facendomi arrossire.
«Mi confonde signor Falonghieri» gli dissi con una mano al mento. «Non c’è bisogno di … ».
«Oh, ragazzo mio. Certo che c’è bisogno! Si vive una volta sola, perciò insisto. Prendete qualcosa e bevete con me, che ne dite?».
«Io passo, mi spiace. Comunque la ringrazio» affermai gentilmente. Non mi piaceva il modo in cui Falonghieri guardava Bianca. La guardava come un uomo della sua età non avrebbe dovuto guardarla. Presi per un braccio Bianca e la portai lontano con la scusa di farmi vedere il dèpliant del concorso. Flavio invece cominciò a bere un Long Island, uno dei più forti cocktail sulla faccia della terra. Mi domando se avesse retto. Mah …
Insomma, la vita sulla nave era una pacchia. Si passava la mattina a dialogare, a giocare, ad osservare il mare. Il pomeriggio nella propria cabina a fare ciò che più si riteneva opportuno e la sera a bere qualcosa di forte o non ancora una volta tutti insieme. Dopo due giorni avevo già inquadrato già una buona parte della personalità del resto della truppa. Falonghieri era solo un vecchio marpione, un pervertito che continuava a guardare Bianca in modo da me ritenuto molto fastidioso.
Lucas Merota, il poliziotto invece, era un tipo abbastanza onesto e lindo. Si vedeva che avesse un’attitudine particolare al lavoro. Era un tipo quieto  per intenderci. Uno che si preoccupava di stare simpatico un po’ a tutti.
Elisabetta Criota era invece la classica diva di Hollywood. Aveva degli atteggiamenti provocanti, delle occhiatine naif e maliziose che lasciavano intravedere in lei una persona molto poco sicura di se. Vestiva sempre a maniche corte, qualunque fosse la temperatura. Il cuoco, Federico Mascella, e lo stuntman, Riccardo Montervino, erano tipetti abbastanza riservati. Non si erano messi molto in luce. Conversavano abilmente di tutto, mettendosi però sempre in una posizione subalterna, come se occupassero anche in vacanza i loro naturali ruoli lavorativi. Orietta Lonsi invece, la professoressa di matematica, si era dimostrata abbastanza provocatoria. Non sapevo esattamente cosa avesse in mente, ma sembrava quasi ci provasse con ogni membro della nave. Aveva ricoperto di adulazioni il capitano della nave, senza successo. Poi aveva provato col suo vice, ma ci fu lo stesso risultato. Enrico Bascia, invece era il classico brav’uomo della porta  accanto. Un uomo semplice, sincero, onesto, leale, magari un po’ grezzo nei modi, ma con un cuore grande così.
Anche la seconda giornata trascorse in sintonia con la prima. Non ci furono clamorosi ribaltoni dal punto di vista della quiete e della tranquillità … almeno fino a quella sera.

CAPITOLO III – Incidente o delitto?

Verso le undici e trenta della sera, tutti eravamo nella nostra cabina. Era il secondo giorno dei cinque previsti dalla crociera, e il pensiero di non voler più ritornare alla solita vita, si faceva sempre più presente.
Poi un urlo. La voce del capitano Casolare risuonò come un pugnale lanciato a vuoto nell’aria. Uscimmo tutti dalle nostre cabine, ma una porta non si aprì. Quella di Montervino, quella di fronte alla nostra.
«Aiutatemi! Signori, qualcuno di voi è caduto in mare!» Nelboni aveva cominciato ad urlare a squarciagola. Calammo le scialuppe di salvataggio. Nelboni si mise sopra una di esse e si tuffò eroicamente in mare per prendere il corpo. Lo riportò sopra circa cinque minuti dopo accompagnando il tutto con la posa da film e l’espressione da opera drammatica. Non c’era più nulla da fare. Riccardo Montervino era morto. Il cadavere fu portato sulla nave. Flavio diresse le operazioni.
«Prendete delle coperte e copritegli il corpo» ordinò ai marinai dello staff. I ragazzi eseguirono.
Mi avvicinai al corpo e cominciai ad esaminarlo. «Non controllare ragazzo» mi disse Nelboni «non c’è più nulla da fare» continuò.
«Lo so bene. Stavo controllando un’altra cosa».
«Uh? Che cosa?» chiese stupito.
«Guardi meglio. Forse col buio non se n’è accorto, ma adesso con i faretti interni della nave si vede benissimo» affermai indicando la parte superiore della testa della vittima.
«Ma questo … » disse impallidendo.
«Esatto. E’ sangue coagulato».
«Che succede?» chiese Flavio avvicinandosi.
«Succede che c’è del sangue coagulato sulla testa della vittima. Abbiamo un problema».
«Di che genere?».
«Insomma, ragiona» gli dissi tirandolo per la giacca. «Se c’è del sangue coagulato sulla testa della vittima, è probabile che sia stato colpito e … » non terminai la frase. Il capitano Casolare teneva le mani della vittima strette a sé.
«Detective» disse da sotto i baffi «cosa c’è sotto le unghie della vittima?». Bianca e Andrea se ne stavano in disparte. Senza intervenire. Sembravano statue immobili in un film dell’orrore.
«Questo sembra» disse Flavio stringendo le mani di Montervino «No, questi non sembrano … questi sono frammenti pelle umana!».
«Quindi possiamo … » iniziò Federico Mascella.
«No signor Mascella, noi siamo certi che si tratti di omicidio» lo interruppi guardandolo con aria di sfida.
«E’ terribile!» commentò Bianca.
«Sapete cosa c’è di ancora più terribile?» chiesi alla folla che mi guardava con sufficienza. Poi mi avvicinai alla ringhiera della nave. «Che il colpevole è uno di noi!».
«Cosa? Non le permetto certe insinuazioni!» uscì a ripetizioni la professoressa Lonsi.
«Signora Lonsi» intervenne Flavio. «Non c’è altra spiegazione. La nave è questa. Non si è trattato di incidente e non ci sono apparenti motivi per il quale il signor Montervino avrebbe potuto tentare il suicidio. L’ipotesi di omicidio è la più accreditata. E considerando che si tratta di una nave con a bordo solo specifiche persone, il colpevole non può che essere tra noi». Il tono di Flavio era diventato severo e rabbioso. Fa sempre così davanti a un crimine.


ANTICIPAZIONE EPISODIO 20: Chi può commettere un crimine efferato come l'omicidio? Chi sarà il misterioso assassino che ha tolto la vita a Riccardo Montervino? Alex indaga e ... ALEX FEDELE EPISODIO 20: LE PUNIZIONI DELLA KAREN(2°PARTE) Solo qui, a partire dal 31 Gennaio 2011! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE! 



sabato 17 dicembre 2011

Alex Fedele: Confusione e seduzione(stagione 1; episodio 18)


CONFUSIONE E SEDUZIONE

PROLOGO: Le donne possono contare su un arma letale che l'uomo suo malgrado non ha: la sensualità. Alex e Flavio se ne accorgono a spese proprie quando si trovano di fronte un suicidio inspiegabile, viziato da circostanze misteriose. Cosa è successo?




CAPITOLO I – Allarme caso

Adoro passeggiare. Adoro sentire l’aria fresca che ti rivitalizza il viso e adoro quando il vento scompiglia quei ciuffetti di capelli che invece tu cerchi di tenere sempre a posto. Quel pomeriggio, dopo aver svolto le solite cose note, io e Flavio, avevamo deciso di andare a fare una passeggiata in periferia. In realtà, c’era un motivo diverso da quello dello svago. Il fatto è che Flavio, essendo appassionato di golf, comprava ogni mese una rivista specializzata che arrivava da Los Angeles e che commissionava lui stesso al suo edicolante. Di solito, mensilmente, si recava al giornalaio con la sua auto, ma oggi non era andata così. La calotta dello spinterogeno aveva cominciato a fare i capricci e per questo quella mattina, la buon vecchia Croma era andata a farsi “visitare” dalle mani esperte di un meccanico. Perciò, come potrete ben capire, andare in periferia, era una questione di voglia. Se avevi voglia di farti chilometri e chilometri per una rivista, allora potevi andare con Flavio. Altrimenti te ne restavi a casa. Il motivo per il quale lo seguii, fu soltanto per prendere una boccata d’aria. Mi piacevano tutti gli sport, compreso il golf, che avevo praticato in un paio di occasioni, ma non leggevo riviste, piuttosto lo guardavo in tv. In compenso, gli altri, avevano pensato bene di passare il pomeriggio in altra maniera. Avevo invitato Bianca e mio fratello a venire con noi, ma avevano risposto picche. Preferivano la biblioteca. La sera prima, l’avevano trovata chiusa. Fabio era preso dai suoi studi e Sergio aveva preso un giorno di ferie.
«Allora, che ne dici della città? Hai imparato le strade da fare in caso di emergenza?».
«Sì, non è poi così difficile. Ho dato un’occhiata su internet alle varie strade …» risposi distrattamente.
«Sai, penso una cosa di te …».
«Dimmi».
«Sei troppo razionale a volte. Voglio dire, non prenderla come critica … ma ragioni troppo, non ti lasci mai andare».
«Sono un detective!» sbottai.
«Anch’io lo sono! Ma se devo mandare a quel paese un’idiota, lo faccio senza preavviso, dannazione! Tu sei sempre troppo cauto, calmo … ». Flavio si era passata la mano destra sul viso e aveva cominciato a pensare a cosa potesse aggiungere a quella “interessantissima” conversazione.
«E quindi?» domandai già scocciato.
«Quindi se ti lasciassi trasportare di più dai sentimenti … forse raccoglieresti qualcosa in più in ogni campo».
«Per esempio?».
«Be’, anche professionale ad esempio».
«Mah … onestamente non credo di essere troppo razionale … e se anche lo fossi, non sarebbe poi un difetto».
«Ascolta figliolo, e questo non te lo dico da detective ma da uomo, in alcune cose della vita, come ad esempio i sentimenti … bisogna lasciarsi trasportare dagli attimi che vivi».
«Sì, ma chi ti dice che io non lo sappia fare?» risposi dubbioso. Che paternale e soprattutto, si era scritto le parole da dirmi? Flavio e i suoi dannati terzo grado!
«Il fatto è che non ti ci vedo».
«In che senso?».
«Nel senso che sono sicuro che se una ragazza ti chiedesse di uscire, tu rimarresti a fissarla come un perfetto stupido!».
«Ma cosa ne sai della mia vita sentimentale? Che hai un dossier pure di quella?».
«No … ma citandoti … chiamalo intuito».
«Mi sa che hai toppato signor Intuito» dissi ridendo. Per poi aggiungere «Le persone hanno una maschera. E’ un po’ il discorso di Pirandello, sai?».
«Quindi, è un modo filosofico per dirmi che fingi di essere così razionale?».
«Non proprio … è che mi adeguo a ciò che la vita mi presenta».
«E se la vita ti presentasse la circostanza in cui essere impulsivo?».
«Dannazione, ma come ti vengono questi discorsi?».
«Rispondi, sono discorsi normali».
«Assolutamente, ma a me sembra di essere il pregiudicato e tu assomigli a quei poliziotti nelle serie tv americane, dove c’è il corto, il brutto … capisci?».
«Capisco, ma ti ripropongo la domanda. Cosa faresti se la vita ti offrisse l’opportunità di essere impulsivo per una volta?».
«Be’, dovrei prima ragionare sulla circostanza e … » dissi portandomi una mano al mento. Ma Flavio mi interruppe.
«Ecco, lo vedi che sei troppo razionale? Spesso una dote che al detective serve per forza, è proprio l’impulsività. Ci saranno momenti, nei quali non avrai tempo di pensare a cosa fare e dovrai collegare il cervello a milioni di chilometri di velocità più del normale».
«Sì, lo so, ma per adesso preferisco i miei ragionamenti».
«Fa come vuoi, imparerai da solo. Io la mia lezioncina l’ho fatta».
«E-era una lezione?».
«La tua perspicacia mi sorprende a volte, ragazzo». Che sagoma eh? Che ironia non è vero?
Stavamo discutendo nell’edicola. Stavolta la conversazione era virata sul golf. Flavio si era eretto a “paladino delle buche impossibili” e altre sciocchezze simili. Ma il golf l’avrebbe fatta da padrone ancora per poco. Le persone quando urlano, riescono a trasmettere, anche se indirettamente, tutto quello che hanno dentro, sentimenti positivi o negativi. Un urlo ci fece sobbalzare. Flavio fece cadere la rivista, la sua rivista preferita e corse fuori, seguito a ruota da me. Le urla provenivano da una palazzina a pochi metri.
«Il portone è chiuso a chiave» annunciò Flavio tra lo sguardo stupito dei presenti.
«Non c’è tempo per andare a chiamare il portiere. Chi ha urlato deve averlo fatto per un motivo grave! Muoviamoci!» lo incitai.
Prendemmo una rincorsa di almeno cinque metri e ci infrangemmo contro quel portone color verde scuro. Fortunatamente era solido, ma non troppo, e quindi riuscimmo ad entrare con facilità. I condomini degli altri appartamenti, erano già sul pianerottolo, in procinto di scappare o di non dare allarmi che avrebbero potuto salvare la vita a qualcuno. Si chiama omertà ed è visto dalla legge come “omissione di soccorso”. Ma un po’ colpa mia. Sono troppo diffidente.
Continuammo a salire le scale seguendo le urla e le chiacchiere dei presenti. Alla fine, dovemmo salire tre piani per ritrovarci di fronte una scena a dir poco macabra.
Una donna anziana, diciamo sulla sessantina, con un grembiule indosso ed una scopa in mano, era a terra in preda a dei piccoli urli isterici che non davano tregua alle orecchie dei condomini. Spalancammo la porta d’entrata in legno massiccio che lei aveva appena socchiuso e proseguimmo in un piccolissimo ingresso, peraltro poco illuminato.
La scena che ci trovammo di fronte, nel salone, fu agghiacciante. Il corpo di un uomo, abbastanza giovane per essere ancora considerato single, pendeva da una trave del soffitto. Sul collo di quest’ultimo, una corda spessa e robusta, che simboleggiava la follia umana. Il corpo era quasi completamente nudo, aveva solo una canottiera intima ed un paio di boxer. Aveva le mani legate.
Flavio pensò a tranquillizzare la povera donna che aveva ritrovato il cadavere. In quanto a me, le mie riflessioni in quel momento furono molteplici. Più che riflessioni, lo ammetto, erano domande. Non tolleravo l’omicidio, ma nemmeno il suicidio. Togliersi la vita è una cosa della quale non si può andar fieri, e soprattutto, non è come pensano molti, un effetto collaterale dell’esistenza. E’ solo egoistico e non c’è nulla, non c’è nessuna giustificazione che tenga.
Ma quel cadavere aveva qualcosa di strano. Le mani avevano profondi solchi sui dorsi. Come se fosse stato colpito da qualche oggetto contundente. Cosa poteva essere? Erano distanziati l’un l’altro di pochi centimetri e avevano dei netti segni isterici. Era come se qualcuno avesse colpito a fondo la vittima sulle mani.
«Flavio, guarda qui» lo chiamai.
«Che cosa c’è?».
«Guardagli le mani» gli dissi in tono saccente.
«Come diamine … » si limitò a dire toccando le mani della vittima e posandole delicatamente. Poi si voltò verso qualche condomino troppo curioso e chiese loro di chiamare la polizia e di chiedere dell’ispettore Ducato, della squadra omicidi.

CAPITOLO II – Riflessioni a ritroso

Vincenzo Ducato, seguito a ruota dall’agente Silvio Torchi, fecero il suo ingresso, spingendosi a forza tra la folla di curiosi che si erano creati sul pianerottolo dell’abitazione. Ducato aveva i classici sintomi dell’uomo stressato, del professionista instancabile. I solchi che gli marcavano il viso, erano evidenti e davano la vista su occhi segnati dalla stanchezza, e dal troppo caffè bevuto per rimanere a forza sveglio anche di notte.
«Allora, cosa succede qui?» chiese adirato. Classico.
«La signora … signora, non le ho ancora chiesto qual è il suo nome» disse Flavio voltandosi verso la colf.
«M-mi chiamo Emilia Gacione, sono la donna delle pulizie incaricata di occuparsi di questo appartamento. Stamattina ero venuto per il consueto appuntamento settimanale, ma appena aperta la porta …» scoppiò in lacrime, ponendosi le mani davanti agli occhi. Faceva male vederla così. Sembrava una tranquilla signora.
«Quindi lei ha trovato il cadavere …» si lasciò andare Ducato.
«Sì ispettore» rispose affermativamente la donna.
«Bene, può dirmi se ha notato qualcosa di strano nel comportamento della vittima ultimamente? Definisca il suo rapporto con … ». Ducato non finì la frase che la donna cambiò espressione e atteggiamento.
«Non starà mica sospettando di me!?».
«No di certo signora Gacione, ma come potrà ben capire, l’ispettore» cercò di tranquillizzarla Torchi «deve fare le stesse domande a tutti».
Dopo un attimo di tentennamenti, la signora Gacione, ricominciò a parlare, forte di non essere il sospetto numero uno.
«Io ero in ottimi rapporti con il signor Lescano. Pulivo l’appartamento da almeno due anni, e quando venivo qui, finivamo sempre per chiacchierare. Era tanto un caro ragazzo!» affermò nostalgica. Le tempie imbiancate della signora Gacione, parevano mostrare segni di instabilità. Non la smettevano di tremare.
«Ha notato qualcosa di strano nel comportamento della vittima?» le chiese ancora Ducato.
«Nessun comportamento anomalo. Giusto ieri, avevo confuso il giorno di pulizia dell’appartamento. Sono arrivata qui ed il signor Lescano mi ha comunicato il mio errore. Prima di andar via, abbiamo parlato come sempre e mi è parso perfettamente normale».
«Capisco» intervenne Flavio. «E le ha detto qualcosa di importante? Se avesse litigato qualcuno, per esempio?».
La donna guardò con i suoi occhi grandi Flavio. Poi si leccò le labbra e si schiarì la voce. «Scusi, ma chi è lei che si permette di farmi queste domande?». Che caratterino.
«Detective Flavio Moggelli. Risponda per favore».
«Be’ ecco … effettivamente ieri il signor Lescano era arrabbiato per due liti che aveva avuto nei giorni scorsi, ma non tanto da togliersi la vita!» sbottò.
«Mi sa dire con chi ha litigato il signor Lescano?».
«Mi pare … sì, mi ha detto di aver avuto una violenta discussione con un suo collega … e poi anche con quella Giulia … la sua ragazza».
«Lei conosce queste persone?».
«La signorina Giulia sì. Il suo collega, che ha chiamato Walter, non l’ho mai visto».
«La ringrazio per aver collaborato signora» disse Silvio Torchi.
«Di nulla, ci mancherebbe. Posso andare?».
«Per adesso meglio di no. Non fraintenda, ma è meglio che resti a disposizione per ulteriori chiarimenti» ultimò l’agente Torchi.
«La vittima» disse entrando nella stanza un agente della scientifica «si chiamava Nicola Lescano, aveva trentuno anni e lavorava presso un’agenzia di recupero crediti. Come da disposizione, abbiamo già chiamato i due sospettati, ai quali siamo risaliti grazie ad alcuni appunti di Lescano. Walter Civelli e Giulia Morali, saranno qui a momenti. Secondo i nostri primi esami, il decesso risale a ieri sera, tra le diciannove e le diciannove e trenta».
Nel frattempo, Ducato aveva analizzato il corpo e tutto ciò che derivava da esso. Aspetti importanti e determinanti, come la posizione ad esempio.
«Mi sembra un normale suicidio» sentenziò.
«Non vorrei contraddirla ispettore» dissi intervenendo zelante «ma non c’è nulla di normale in questo apparente suicidio».
«Cosa intendi?».
«Guardi i dorsi delle mani. Ci sono dei solchi di violenza alle mani. Se il nostro uomo fosse stato un autolesionista, la cosa parrebbe normale, ma non credo proprio».
Ducato si fermò a pensare.
«Inoltre» continuò Flavio «perché suicidarsi quasi completamente nudo?».
«Questo è strano davvero» ultimò Ducato.
«Insomma, non volevo dirlo» commentai «ma credo che il nostro uomo sia stato indotto a compiere questo gesto da qualcuno». Rimanemmo a pensare.
«Tu dici che l’hanno minacciato, Alex?»mi domandò Silvio Torchi.
«Forse con un’arma» osservò Flavio.
Trenta minuti dopo, Walter Civelli, un uomo sulla quarantina, con grossi e spessi occhiali da vista neri corvini e capelli ingrigiti dal tempo e Giulia Morali, una ragazza di vent’anni con capelli biondo platino, abbigliata a festa con tacco dodici,misero piede nell’appartamento. Entrambi si dimostrarono sconvolti per il ritrovamento del cadavere. Entrambi versarono lacrime su lacrime.
«Fatemi capire bene» iniziò Civelli sbottando «mi avete fatto venire qui nel mio giorno libero, per vedere un cadavere ed incolparmi di omicidio? Ma siete matti?».
«Nessuno la incolpa di nulla signor Civelli, stia pacato» lo fermò Torchi.
«Condivido con Walter» disse con un’aria snob e naif, Giulia Morali. «Stavo studiando per l’esame di chimica!».
«Ci vorrà solo un attimo» commentò Ducato. «Il tempo di capire e carpire alcune cose di voi e da voi». Poi si lisciò la barba incolta e i baffetti trascurati «Cominciamo da lei signor Civelli. Ho saputo che aveva avuto una grossa lite con il signor Lescano l’altro giorno. Posso sapere il perché?».
«Quindi sospetta di me? Io sono innocente! Vuol sapere perché abbiamo litigato? Il signor Lescano, come lo chiamate voi,» disse ironizzando «non autorizzava mai i miei cambi lavorativi. Stessa cosa ha fatto l’altro giorno. Così mi sono arrabbiato molto e abbiamo litigato. Ma non sarei mai stato capace di ucciderlo, sia chiaro!».
«Passiamo a lei signorina Morali. Lei è la fidanzata della vittima. Ha avuto anche lei un piccolo screzio con Lescano, non è vero?».
«Questo non dimostra nulla ispettore» disse continuando a masticare la gomma in modo poco signorile. Sembrava una capra che masticava l’erba. Un minimo di bohèmièn, voglio dire.
«Non prova nulla» continuò passandosi la gomma dall’altra parte. «Avevamo litigato perché continuava a rinviare le nozze. Era la terza volta che rinviava e così due giorni fa l’ho mandato a quel paese». Che finezza questa donna,  non è vero?
«Avreste dovuto sposarvi quindi?» chiese Flavio.
«Certo. Era da tre anni che stavamo insieme».
Qualcosa non quadrava. C’erano davvero delle cose che non erano andate come dovevano.
«Dobbiamo verificare anche i vostri alibi signori. Signor Civelli, credo tocchi a lei. Il decesso è avvenuto ieri sera, tra le diciannove e le diciannove e trenta. Dov’era?».
«Sul posto di lavoro, ma ero solo. Non c’è nessuno che possa confermare».
«Nemmeno un filmato? Ho saputo che lavora in un’agenzia di recupero crediti, ci sarà una telecamera di sicurezza credo».
«C’è sicuramente».
«Benissimo» disse Ducato con gli occhi abbassati. «Ma non c’è nessuno, fisicamente parlando, che possa confermare quanto lei dice?».
«Purtroppo no, ero solo».
«Mi scusi, ma cosa ci faceva da solo sul posto di lavoro?».
«Uff … avevo dimenticato una cosa lì. Così sono andato, ho riaperto la porta dell’ufficio e ho ripreso quello che dovevo riprendermi. Contento?».
«Per quanto riguarda lei signora Morali» iniziò l’agente Silvio Torchi impugnando penna e bloc notes. «Ha qualche alibi?».
«Ieri sera ero in biblioteca. Prendevo i libri per studiare per l’esame di chimica».
«Capisco».
«C’è qualcuno che può confermare l’alibi signorina?».
«Purtroppo no».
Aveva mentito. Tipico di chi uccide. Ero convinto che il suicidio non fosse stato naturale. Troppe cose non coincidevano. Avevo capito perché la vittima si fosse spogliata e perché le sue mani fossero state legate. Avevo capito anche che la donna aveva mentito, ma mancavano ancora due elementi. Come fosse riuscita a indurre al suicidio quella povera vittima e soprattutto la dinamica generale dei fatti. E i solchi sulle mani? Gli elementi erano tre adesso.
Ispezionai un po’ la casa, mentre i due sospettati discutevano sulla loro innocenza. Uno dei due, la signorina biondo platino, aveva mentito alla grande. La sera prima non poteva esser stata alla biblioteca, visto che Bianca e Andrea alla stessa ora, l’avevano trovata chiusa. I sospetti che lei fosse l’assassina del suo ragazzo crescevano a dismisura dentro di me, ma preferii stare zitto … almeno inizialmente.
Mi diressi dentro lo studio della vittima. Era una piccola stanzetta, ma era stata arredata con un buon gusto. Le pareti, erano state impreziosite con uno spatolato verde smeraldo. Il mobilio era efficace ed elegante allo stesso. La scrivania, perfettamente in ordine, era l’esatto opposto di quella di Flavio.
Mentre camminavo, la fortuna mi arrise. Dalla libreria, colma di storie gialle e thriller, spuntava un fascicolo, una sorta di foglio vecchio e srotolato, che, per amor di giustizia rifiutava la sua naturale collocazione casalinga.
Presi questo foglio lontano da occhi indiscreti e lo distesi sulla scrivania. Era un atto di eredità. Un tale Gastone Lescano lasciava quattro appartamenti e ben due auto d’epoca a suo figlio Nicola. In cambio però, suo figlio avrebbe dovuto intraprendere un viaggio in tutta Europa e scoprire chi fosse la sua madre naturale. Che stranezza. L’ultimo segreto colmo di peccato lussurioso, lasciato dal padre al figlio prima di morire. Aveva un non so che di gotico. Il problema è che probabilmente il colpevole aveva indotto al suicidio la vittima minacciandola con un’arma , ma quest’ultima non era stata trovata, nonostante la scientifica avesse messo a soqquadro l’intero appartamento.
Mi affacciai alla finestra. Il panorama dava sulla strada trafficata. Vidi dei bambini di strada giocare a pallone. Avete presente quei palloni arancioni? Pensate a come è strana la vita a volte e come è strano il mondo. Se ad uno appena sveglio mettessero davanti un arancia probabilmente non la distinguerebbe da uno di quei palloni. Ci vorrebbero almeno una decina di secondi. Che strano.
Mi sentii strano dentro. Forse era quello che stavo cercando. Forse sarei dovuto uscire in strada e offrire ad ognuno di quei bambini un gelato per ringraziarli dello spunto deduttivo che mi avevano assicurato. Ora sapevo come incastrare il colpevole. A noi due.

CAPITOLO III – Sai quello che sto per dirti

Entrai in sala con fare diffidente. Diedi un’ultima occhiata ai sospetti e poi via.
«Sa, signorina Morali. Lei mi affascina molto».
Flavio mi si avvicinò repentinamente e con un blando sorrisetto isterico, mi disse: «Che fai? Sei impazzito?».
«No, sta a guardare» lo rassicurai.
«Ma cosa devo guardare? Stai cercando di rimorchiare la fidanzata della vittima!».
«Che brutto termine! Dovresti saperlo, le cose non sono mai come sembrano».
Flavio Moggelli restò a guardarmi con un’espressione di compassione. Forse pensava fossi uscito di senno.
«Davvero ragazzino? E perché mai?» disse adulata la ragazza alla quale avevo rivolto il complimento.
«Be’, vede … ha la sicurezza della donna forte e imponente. Di quella che non ha nulla da temere. Devo dire che è molto affascinante».
«Ti ringrazio» affermò con occhi ammalianti.
«Non mi ringrazi signorina, davvero». Mi avvicinai a lei e le baciai la mano delicatamente. Era mia. I suoi occhi si appannarono di gioia, mentre i miei sprizzavano secondi fini da ogni parte. Se ci fosse stata Bianca probabilmente sarei finito arrosto. Non le piaceva quando facevo apprezzamenti su altre ragazze. Chissà perché poi.
«Sa cosa non mi piace di lei?».
«C’è qualcosa che non ti piace?» mi disse sfidandomi.
L’ispettore Ducato, Silvio Torchi, Walter Civelli, Flavio e la signora Gacione, guardavano stupiti la scena. Fermi, nella neve, come se avessero visto un film dal finale dolce amaro.
«Odio le bugie».
«E allora?».
Con le labbra ancora poggiate sulla fredda mano di quella donna, pronunciai le seguenti parole:
«Dica la verità signorina … ha ucciso lei il signor Lescano, non è vero?».
Ritrasse immediatamente la mano. Ora la sua espressione aveva assunto un’aria decisamente poco felice. Le sopracciglia si erano aggrottate, la bocca aveva assunto una posizione innaturale e il trucco pesante faceva si che il suo volto si rivelasse una maschera d’odio.
«Ma come ti permetti? Insolente!» mi attaccò duramente, come una pietra lanciata sull’oggetto della lapidazione.
«Lei fa la morale a me?» affermai poggiandomi contro il muro. «Eppure dovrebbe saperlo che le bugie hanno le gambe corte. In particolare, ne ha detta una che mi ha subito ricondotto a lei».
«Quale sarebbe Alex?» chiese Ducato adirato per quella scenetta quasi comica. Che ci volete fare? Mi piace inchiodare le persone poco per volta.
«Lei, mia cara signorina, ha ammesso come alibi, di essere andata in biblioteca ieri sera, per prendere dei libri per lo studio, conferma?».
«Certo che confermo!» disse sprezzante.
«E io invece smonto la sua patetica tesi. Ieri sera la biblioteca era chiusa. Lo so perché mio fratello ed una mia amica, la figlia del detective Moggelli per intenderci, sono andati lì alla stessa ora della signorina e hanno trovato chiuso. Basterà una telefonata per confermare quanto dico».
La signorina Morali aveva ora una espressione colma di rabbia. Guardava in basso, gesto tipico di chi non sa dire la verità.
«E, sfortunatamente per lei, continuai incrociando le braccia, so anche come sono andate le cose nel dettaglio».
«Muoviti allora! Che aspetti a dircelo?». Flavio si era messo in una posizione di attacco verbale e fisico. Tutto il suo corpo si era protratto in avanti.
«Un attimo di pazienza. Sapete, curiosando nello studio del signor Lescano, ho trovato un documento dove lo si attesta come unico erede di suo padre».
«Il mio ragazzo era figlio unico».
«Forse è l’unica cosa sincera che ha detto da quando ci conosciamo, signorina. Per avere quell’eredità, il signor Lescano avrebbe dovuto intraprendere un viaggio in Europa al fine di scoprire l’identità della sua madre naturale».
«Che cosa? Ma stai scherzando o parli sul serio?» chiese Vincenzo Ducato.
«Dico sul serio ispettore. Sospetto che l’omicidio abbia qualcosa a che fare con l’eredità».
«Sono solo sospetti, non li puoi spiegare, diffamatore» mi attaccò la signorina Morali.
«E allora ascolti cosa posso dimostrare» dissi staccandomi dal muro e prendendo posto su una sedia in plastica color bianco. «Lei è arrivata qui e ha finto di voler far pace con la vittima. Dopodiché, l’ha sedotto e lo ha indotto a spogliarsi … ».
«Che prove hai che sia stata io?» disse urlando.
«Suvvia signorina» dissi ridendo «Non crederà che il suo ragazzo si sia spogliato e messo in intimo con un suo collega di lavoro, non è vero? Lei lo ha sedotto,lo ha indotto a spogliarsi e successivamente gli ha legato i polsi alla stessa trave alla quale ha agganciato la corda».
«Questa è bella … che c’entro io con il fatto che i polsi siano stati legati?».
«Non credevo sarebbe arrivata al punto di doverla smascherare anche nella sua sfera sessuale. Mi dica … per caso non voleva provare un gioco erotico con il suo amato?».
Tutti impallidirono.
«T-tu cosa ne sai di queste cose? Sei ancora un ragazzino».
«Essere ragazzino, non equivale ad essere stupido».
«Santo cielo!» esclamò la Gascione.
 Mi alzai dalla sedia e mi affacciai sul balconcino.
«Ricapitoliamo, lei è venuta qui, ha finto di essersi pentita per la vostre lite di qualche tempo prima e poi ha sedotto il suo ragazzo. Le ha proposto un gioco erotico, nel quale l’uomo avrebbe dovuto avere i polsi legati. Le mie successive deduzioni sono queste. Lei ha fatto chiudere gli occhi alla vittima e l’ha colpita con un oggetto contundente, fino a fargli perdere i sensi. Successivamente, ha inferito con una delle due scarpe che indossa adesso».
«Eh? Ma stai delirando? Come può un tacco rivelarsi arma di un delitto?» chiese Flavio perplesso.
«Il tacco della scarpa, se usata male, può divenire molto pericoloso. La signorina lo ha usato come arma contundente per colpire le mani della vittima. Guardate i solchi sulle mani di Lescano».
Laa scientifica fu lesta a controllare.
«E non solo» continuai «Ditemi ragazzi, cosa succede agli occhi appena svegli?».
La gente pensava alle mie parole. Poi Silvio Torchi affermò: «Non consentono una buona visione. In altre parole, si vede appannato per qualche secondo».
«Esattamente agente. Quando ci si sveglia è così, ma quando invece si riprendono i sensi in una circostanza del genere, capita di non vederci bene per più di qualche secondo e … l’apparenza inganna. Un tacco può diventare un’arma se vista sotto un’altra ottica».
«Io non capisco proprio cosa vuoi dire … » disse Flavio.
«Non ci siete ancora arrivati? Il tacco, se puntato contro una persona che ha la vista appannata ed è shockato, può sembrare una pistola!» dissi puntando il dito contro la sospettata.
In compenso la gente presente sfoderò un “oooh!” di sdegno.
«E questo il trucco che ha usato la signorina per indurre al suicidio il suo ragazzo. Probabilmente aveva provato a caricarlo lei stessa sulla sedia e a buttarlo, ma non ci è riuscita e dunque ha ricorso a questo abile trucchetto. La vittima si è svegliata e ha creduto di trovarsi di fronte una pistola. Così ha seguito alla lettera le disposizioni dell’assassina».
La signorina Giulia Morali, cadde in ginocchio, con le mani sugli occhi e le lacrime che uscivano da ogni pertugio lasciato libero dalle mani sul volto. Il volto veniva accarezzato dai capelli, stravolti per quanto succedeva. Il suo crollo equivaleva ad un’ammissione di colpevolezza.
«Perché lo hai ucciso?» chiese incredulo Walter Civelli.
«Dovevamo sposarci da anni» riuscì a dire tra i singhiozzi «Con l’eredità avremmo fatto una bella vita, ma lui si rifiutava di conoscere la sua madre naturale e di conseguenza non voleva ciò che il padre gli aveva promesso. Il suo era un discorso egoista e … ».
Non ci vedetti più.
«Un discorso egoistico il suo? Ma si ascolta quando parla? Una persona che uccide un’altra, non è degna di parlare di sentimenti, nemmeno dell’egoismo che è un sentimento negativo! Lei parla di egoismo quando è stata la prima a non voler accettare la decisione del suo ragazzo di non conoscere la sua madre naturale! E’ evidente che gli provocava troppo dolore e lei non l’ha capito, quindi si astenga da giudizi stupidi. Spero che Il Cielo abbia pietà di lei, perché io, non ce l’ho e spero non ce l’abbia nemmeno la giustizia».
Fui davvero duro. Me ne resi conto da solo. Flavio mi guardava con lo sguardo basso e si lisciava la barba come nel miglior film gangster.
Dopo i soliti convenevoli di saluto, io e Flavio ritornammo a piedi a casa. In strada riprendemmo il discorso dell’impulsività.
«Vedo che hai accettato i miei consigli».
«A cosa ti riferisci?» lo guardai con aria innocente.
«L’impulsività, no?».
«Spiegati meglio».
«E tu saresti un detective? Sei stato impulsivo per ben due volte oggi. La prima quando hai aperto il portone a spallate. La seconda, quando hai rimproverato l’assassina. Sai, il discorso dell’egoismo e affini».
«Ah, ok, capito. Be’ non me ne sono nemmeno accorto».
«Non ti accorgi di tante cose».
«E’ anche questo il bello di essere giovani no?».
«Cosa vorresti dire? Che sono vecchio?» disse adirato Flavio.
«L’hai detto tu, non io».

 ANTICIPAZIONE EPISODIO 19: Una crociera riservata a quelli che risolvono un piccolo giochino di logica. Bianca riesce a far parte di essa anche grazie ad Alex. Sembra il preludio di una settimana scarsa di totale relax ... e invece no ... la vendetta non dimentica ... MAI! 
ALEX FEDELE EPISODIO 19: LE PUNIZIONI DELLA KAREN(1°parte)-IMPORTANTE PER LA TRAMA! Solo qui a partire dal 24/12/2011! Non perdetelo per nessuna ragione!