NELLA
PRIMA STAGIONE: La
prima stagione si era aperta con il trasferimento a Torino di un giovanissimo
prospetto del mondo investigativo italiano, Alex Fedele. Con lui, c’è anche suo fratello di cinque anni. Il
giovane detective va a vivere(causa praticantato) in un’agenzia investigativa
di un detective già affermato. Il detective che gli viene assegnato, però, è un
ex funzionario di polizia rancoroso, burbero e legato al passato, che sta
vivendo un periodo di appannamento sociale e professionale per la recente
perdita della moglie.
La scomparsa della donna però, è
talmente contorta e poco messa in luce dall’uomo, che essa è sconosciuta in
modo integrale anche dai propri figli.
Dopo aver mostrato le sue
incredibili capacità deduttive all’uomo, Alex comincia pian piano ad
affezionarsi ai vari componenti della famiglia. In particolare, si dimostra
molto legato a Bianca, che
identifica in lui l’unica persona abbastanza giusta e inflessibile da poter
tenere testa a suo padre. Bianca e Fabio,
fratello della ragazza, confessano ad Alex che ancora non sanno niente della
morte della loro madre e che i pochi dialoghi del padre riguardo la questione
sono stati fatti in modo frammentario e poco chiaro.
Un giorno Flavio, il detective dell’agenzia, sparisce nel nulla. Alex,
Bianca, Fabio e Andrea ne seguono le
tracce e lo scovano a Cuneo, in un cimitero, a pregare sulla tomba di sua
moglie. Lo stesso giorno infatti, coglieva l’anniversario della morte della
donna. Flavio si arrabbia con Alex in modo veemente e incisivo arrivando
persino a mettergli quasi le mani addosso. Ad intervenire però, è Bianca che
pretende spiegazioni chiare la questione di sua madre.
Flavio spiega solo parzialmente
la dinamica della morte di sua moglie,
puntualizzando che forse questa è dovuta ad un sua operazione(miseramente
fallita) dei tempi in cui era in polizia e che non ne ha mai parlato ai figli
solo perché credeva lo incolpassero di qualcosa. L’uomo però, tanto si sente
affranto, non se la sente di raccontare tutto ai suoi figli, promettendo però,
di farlo in un prossimo futuro.
Andando avanti nella risoluzione
di vari casi, si arriva in un momento in cui Bianca e Alex vincono su internet
un concorso che mette in palio una crociera riservata solo a chi risolverà un
complesso gioco di logica. La crociera però si rivela essere il bieco pretesto
di un assassino per uccidere uno ad uno tutti i vincitori del concorso. Dopo
mille vicissitudini Alex riesce a scoprire il nome del colpevole. L’assassina dichiara di essere un membro del
clan mafioso terroristico chiamato Fuoco
Re e che il numero IP di Bianca è stato confuso con quello di un altro
obbiettivo. Inoltre dice che, in quanto smascherata, stando alle regole imposte
dal clan, deve suicidarsi. Alex cerca di salvarla disperatamente, ma non c’è
niente da fare e la donna muore in una esplosione causata da lei stessa.
In un posto molto lontano
intanto, due loschi figuri parlano
di Alex. Non ci viene presentato molto di loro, ma comunque sappiamo che
considerano Alex solo una «macchietta
microscopica».
Il ragazzo,visto che non è riuscito ad evitare
il suicidio della donna, è ovviamente demotivato, mentre Flavio, appreso il
nome del clan di cui la donna faceva parte, impallidisce.
Qualche tempo dopo Alex riceve
una mail di sua madre, una nota
giornalista che lavora in Giappone, che lo avvisa di una imminente visita. Alex
e sua madre però hanno un rapporto molto particolare. Dalla morte di suo padre, infatti, il ragazzo
non riconosce più nella madre quella donna così forte e così stoica che era
sempre stata. La situazione peggiora quando Federica(la madre di Alex per
l’appunto), rivela a suo figlio il vero modo in cui è morto suo padre. Essendo
uno sporadico collaboratore della polizia, fu catturato dai membri del Fuoco Re
e fatto prigioniero per giorni. Poco tempo dopo venne ritrovato cadavere. Il
ragazzo, che aveva sempre creduto in una morte dovuta ad un incidente stradale,
non la prende affatto bene e scappa di casa. A ritrovarlo è però Bianca, che lo
convince quantomeno a provare a perdonare sua madre. Il perdono non sarà
affatto facile, ma alla fine comunque arriverà e madre e figlio si
riconcilieranno.
Dopo aver spiegato tutto ad
Andrea, suo fratello minore, Alex trova nell’ufficio di Flavio un articolo di
giornale che parla della morte di Giulia,
la moglie di quest’ultimo. Il pezzo parla di un omicidio premeditato e
attuato dal Fuoco Re, proprio lo stesso clan che ha ucciso il padre del
ragazzo. Flavio sorprende Alex mentre legge l’articolo e cerca di
rimproverarlo, ma è proprio il giovane detective a rinfacciargli tutto
prendendosela perché l’uomo sapeva fin dall’inizio che il FR era stata la causa
principale del male nelle vite di entrambi.
Intanto, un uomo anziano e stanco residente in una villa agreste, spara dei
colpi di pistola alle foto di Alex e Flavio. Chi sarà mai?
UN
RAPIMENTO CRUDELE
CAPITOLO
I – La triste verità
«Voglio una dannata spiegazione!».
La mia voce tremava a causa dell’enorme frustrazione che mi si era insediata e
per la rabbia dovuta ancora una volta ad un enorme bugia. Flavio, per quanto
riguardava la morte di sua moglie, non aveva accennato a più niente dal giorno
dell’anniversario, ma sentire il nome del clan che aveva ucciso mio padre mi
faceva ribollire il sangue nelle vene. Ora che avevo letto che Flavio in
passato aveva avuto contatti diretti con quegli spietati criminali, i miei
occhi si erano iniettati di sangue, la mia testa scoppiava e avevo digrignato i
denti in una fulgida espressione quasi incosciente.
«Non urlare così! Attirerai
Bianca e Fabio, non urlare!».
«Ma io urlo eccome! Cavoli,
perché ti ostini a negare? Dimmi, qual è il tuo problema? Non si dovrebbe
sempre assicurare la verità? E adesso con che faccia tu … ».
«Con la faccia di un padre
disperato e di un detective con vent’anni di carriera! Dannazione, non sono un
pivello, Alex!».
«Lo so, sei solo un bugiardo!».
«Come osi dire a me queste
cose?».
Le nostre urla attirarono Fabio,
Bianca, Sergio e Andrea.
«Papà, ma che succede? Che cos’è
questa confusione? Siete del tutto usciti di senno?» Bianca era comparsa sulla
soglia della porta e dietro di lei c’erano gli altri abitanti di casa Moggelli.
Flavio diede un colpo
violentissimo ad una delle sedie che troneggiavano di fronte alla sua scrivania
e quella si rovesciò così velocemente da far sembrare le evoluzioni della WWE
uno spettacolo per dilettanti.
«Il fatto è che vostro padre ha
ancora qualcosa da dirvi. E anche a me a quanto pare!» affermai con veemenza.
«Vuoi stare zitto? Adesso ti
spacco la faccia!». Non avevo mai visto Flavio in quello stato. Sudava freddo e
nonostante le verità che gli venissero letteralmente sbattute in faccia,
restava impietrito, senza la minima volontà, né capacità di reazione.
Bianca, Fabio, Andrea e Sergio
rimanevano a loro volta inermi di fronte ad uno spettacolo poco consono agli
occhi di chiunque.
«Volete che vi dica tutto?» disse
urlando all’inverosimile «e allora d’accordo, vi dirò tutto! Così la smetterete
di rompermi le scatole e di continuare a farmi sentire in colpa! E tu, piccolo
saputello» disse guardandomi con aria di disprezzo «sei solo una putrida
macchia nella mia vita. Volevi assicurare la verità per farti bello? E ti
accontento, traditore!».
«Innanzitutto» dissi
ricomponendomi «io non ho tradito nessuno. Secondariamente» continuai alzando
il tono della voce «io non voglio a tutti i costi sapere la verità, ma non
posso tollerare che la nasconda ai tuoi stessi figli!». Presi il ritaglio e
glielo porsi. Me lo strappò dalle mani. «E poi» aggiunsi imperterrito «mi pare
che abbiamo dei punti in comune».
«Dei punti in comune? Abbiamo lo
stesso denominatore comune Alex? E’ questo che stai cercando di dirmi?»
pronunciò queste parole quasi in totale visibilio negativo. Sembrava quasi una
marionetta pilotata dai suoi sentimenti.
«Adesso basta papà. Io e Bianca
esigiamo una spiegazione». La voce dura e calda di Fabio squarciò l’atmosfera.
Flavio abbassò il capo e con gli
occhi già colmi di lacrime, cominciò a parlare.
«D’accordo. Ma sappiate che ho
tenuto nascosto … delle cose … solo per evitare di esporvi ad un pericolo
inutile. Per me questo argomento è tabù e … ».
Lo interruppe Sergio. «Flavio,
forse è meglio che io vada … sai …».
«No» affermò appoggiandosi alla
scrivania. «No» ripeté concedendosi una gomma da masticare. «Voglio che
sappiate la verità. Voglio che la sappiate tutti. Il gioco finisce qui».
Queste sue parole mi conferirono
una espressione che mi rimase sul viso per almeno una settimana. Era quello di
un ragazzo triste, in quanto vedeva un uomo di una certa caratura moralmente a
terra, ma contemporaneamente era felice per aver ridato aria ad una questione
che Bianca e Fabio, solo loro, avevano assolutamente diritto a conoscere.
«E’ iniziato tutto cinque anni fa»
iniziò tranquillamente. Teneva lo sguardo basso e si era appena accomodato
sulla morbida sedia della scrivania. Bianca e Fabio sedevano di fronte. Sergio
sul divano. Il sottoscritto, per evitare che qualcuno cogliesse l’occhio
lucido, guardava fuori da una delle numerose finestre dello studio.
«Il Fuoco Re … è un clan mafioso
terroristico di espansione pressoché mondiale. Si contano tra le sue fila
migliaia di uomini di fiducia che fanno da tramite in tutto il mondo. Non
conoscono freni e sono spietati. In ogni città del mondo, anche nella più
piccola, c’è almeno un loro esponente che assicura all’organizzazione del
denaro sporco. Coloro che stanno a capo di questo clan … sono molto abili,
tant’è che il Fuoco Re è raramente nominato nei tg o sui giornali, proprio
perché riesce a commettere illeciti senza dare nell’occhio». Si fermò un
attimo. Deglutì e poi si strofinò gli occhi.
Prese fiato e continuò «Io … ero
ispettore al tempo … e lavoravo a fianco di Ducato. Stavamo organizzando
un’operazione poliziesca nella quale un agente doveva fingersi un infiltrato.
Per rendere necessario una minima via di contatto la polizia lavorò con
appostamenti per circa quattro anni. L’agente incaricato … l’agente incaricato
però si ammalò pochi giorni prima. Una polmonite acuta. Così … così decisi di
prendere il suo posto. Andò tutto bene … ma durò solo pochi giorni …». Buttò
nel cestino la gomma da masticare e si girò con la sedia verso l’enorme vetrata
alle sue spalle.
Bianca ascoltava meticolosamente
ogni parola ed ebbi l’impressione che cercasse di analizzare ogni sensazione
provocata da ogni singola frase, ogni emozione, negativa e positiva, che si
propagasse nel suo cuore. Fabio aveva lo sguardo perso nel vuoto. Forse
immaginava le situazioni descritte dal padre. Sergio invece teneva la testa
bassa. Non avrebbe voluto esserci in quel momento, ma Flavio, il suo idolo e
modello, nonché suo datore di lavoro, gli aveva chiesto di rimanere. Il
sottoscritto aveva assunto un’espressione severa, anche se onestamente non
saprei spiegarvi il perché. Mi veniva naturale, ecco tutto.
«Cosa accadde?» domandò Bianca.
Era l’unica che fosse riuscita ad entrare appieno nella conversazione.
«Accadde che … scoprirono che
avevo un microfono addosso. Così quella sera, in una sporca capanna in
campagna, mi misero sottotorchio. Mi picchiarono a lungo, fu un calvario che
durò quasi un’ora. Ma poi riuscì a fuggire. Mi finsi morto a terra e così
iniziai una fuga disperata per le campagne. Mi nascosi varie volte. Fu una
notte d’inferno».
Gli occhi diventavano sempre più
lucidi. Le ferite erano ancora aperte e non accennavano a rimarginarsi.
«Poi un giorno vengono a sapere
in qualche modo che sono vivo e poco tempo dopo… ricevo una chiamata sul posto
di lavoro … dove mi informano che Giulia, vostra madre» disse con voce rotta
rivolgendosi a Bianca e Fabio «era stata ferita a fuoco. Il resto della storia,
è trascritto nell’articolo».
Calò un intenso silenzio. Un
assordante silenzio. Non avrei mai voluto esserci in quel silenzio. Sembrava
talmente cattivo e talmente vuoto da poter inghiottire il mondo intero.
«Come mai in questi anni non
hanno mai cercato di uccidere anche te?». Avevo trovato spontaneamente la forza
per fargli questa domanda. Adesso io guardavo lui e lui guardava me.
«Si sono accontentati di avermi tolto
l’amore più grande della mia vita … forse non mi hanno mai considerato un pericolo»
rispose distrattamente. Alla parola “amore” ebbe quasi un sussulto, un’emozione
gelida che gli balenò dentro.
«E non c’è modo di fermare questi
criminali?» la voce di Sergio era evidentemente rotta dall’emozione. La
glottide si era gonfiata, anche se solo apparentemente ed era venuto fuori un
lato di lui che pensavo non esistesse. Un lato quasi drammatico.
«Provateci voi» disse stoicamente
Flavio. «Io ci ho già provato e mi sono scottato abbastanza. Il Fuoco Re ha
un’espansione mondiale, ha contatti con persone e aziende insospettabili.
Commercia droga, perfino clandestini, armi, effettua omicidi, attua un racket
completo e riesce ad avere enormi guadagni anche con ricatti alla polizie di
tutto il mondo. Si dice che alcuni agenti siano corrotti, sapete?».
«Davvero?» domandò Fabio.
«Certo. Oltre a loro ci sono
anche giudici, avvocati, dottori, docenti universitari … tutti sono sotto il
loro controllo. E’ dagli anni ’60 che spadroneggiano a destra e a manca».
«Dagli anni ’60?» chiesi
incredulo.
«Già. In primis erano due capi.
Mauro Diaschi e Eric Berletti, ma successivamente il secondo fu ucciso in un
conflitto a fuoco con la polizia e il comando fu preso solo dal primo. Il fatto
è che nel clan ci sono esponenti di entrambe le famiglie, senza contare le
varie collaborazioni e il loro speciale gruppo di sicari».
«Il loro gruppo … di cosa?»
«Di sicari, Alex! Hanno una
speciale squadra chiamata “Enforcers” che comandano a bacchetta. Sono agenti
dai compiti e poteri decisionali». Fece una pausa di qualche secondo. «Ora che
vi ho detto tutto … spero mi lascerete in pace».
«Non scusarti mi raccomando! Non
scusarti!» la voce di Bianca era ritornata prepotente come un tuono.
Flavio era impallidito e anche se
non proferì alcuna parola, riuscimmo perfettamente a capire la sua emozione.
«Nascondi una verità … delle
verità per cinque anni, le racconti e pretendi anche di essere capito? Per
cinque anni quando io e Fabio chiedevamo per quale ragione la mamma non ci
fosse più, tu sviavi, parlavi di malattie, di incidenti e quando invece
insistevamo ancora ci riempivi di ceffoni!».
«Bianca … credevo che … ».
«Cosa? Credevi cosa?! Che ce la
saremmo presa con te? Non lo sai che così è peggio? Non lo sai?». Bianca
scoppiò in lacrime. In un pianto tragico e dolce allo stesso tempo. Suo padre
l’afferrò di forza e l’abbracciò in un contatto quasi infinito. La ragazza
cercava di dimenarsi, ma era palese il fatto che in realtà attendesse
quell’abbraccio da chissà quanto tempo. Flavio non dava l’impressione di essere
un tipo molto “caldo” sotto il piano dell’affetto.
«Mi dispiace» sussurrò.
Bianca smise di piangere. Baciò
suo padre sulla guancia e disse: «Ti prego, dimmi sempre la verità … da adesso
in poi, basta bugie. Se c’è qualcos’altro … ».
«No, non c’è nulla … non c’è più
nulla, lo giuro sulla tomba di tua madre» la rassicurò mentre gli scendeva una
lacrima sulla guancia.
Il male umano è infinito. E’
incredibile come le persone possano fare del male alle altre in modo
estremamente permanente. Il Fuoco Re in quel momento era il male, il
denominatore comune. Il mio denominatore comune e a quanto pare, anche quello
di Flavio.
Bianca e Fabio uscirono
repentinamente dall’ufficio. Fabio guardò negli occhi suo padre e uscì quasi in
lacrime. Sergio, inerme di fronte a quelle parole così crude, se ne andò invece
pochi minuti prima, giusto per mostrare del rispetto.
In ufficio eravamo rimasti solo
io e Flavio. Uniti dallo stesso destino. La vita a volte, è proprio vero, ti
assicura un legame con delle persone anche se non lo vuoi.
Le enormi finestre dell’ufficio
avevano fatto filtrare in esso la luce solare. Ma non eravamo affatto beati
come si potrebbe pensare. Eravamo rimasti da soli, io e Flavio.
«Senti, non volevo … ».
«No» mi stoppò subito. Si portò
una mano all’ispida barba e girandosi di spalle affermò: «E’ colpa mia. Se
racconti bugie uccidi due volte. La prima, quando menti agli altri, la seconda
quando menti a te stesso».
Quelle parole mi raggelarono il
sangue. Ragionai. Io e Flavio avevamo subìto due torti diversi, ma con dei
punti in comune palesi. Quel clan, il Fuoco Re, o come si chiamasse, aveva
tolto una parte dei nostri cuori e l’aveva buttata in mare. Quanto poteva
essere forte? Quanto? Tanto quanto un uomo che aveva subito per anni e che si
era tenuto dentro sensazioni estranee? Tanto quanto polizie di tutto il mondo
sguinzagliate per catturarlo?
«Pensavo una cosa … » iniziai
timidamente.
«Che cosa?».
«Per noi … la giustizia è tutto,
no? Possiamo scegliere di essere il diavolo o l’acquasanta nella vita e abbiamo
fatto una scelta».
«Dove vuoi arrivare?» mi chiese
voltandosi. I suoi occhi fissavano i miei. I raggi solari penetravano nella
stanza sbattendo sui nostri visi in modo prepotente.
«Perché non provare a
combattere?».
Rimase per un attimo zitto. Poi
si sedette alla scrivania, incrociò le gambe e cominciò a parlare.
«Non puoi combattere una guerra
senza avere delle armi a portata di mano. Il fatto è che dagli anni ’60 ad oggi
ci hanno provato eroi, ispettori, poliziotti, agenti della scientifica, agenti
segreti, servizi speciali, persone comuni … indovina un po’? O sono morti o
sono impazziti. Chi è riuscito fortuitamente a salvarsi adesso è rinchiuso in
ospedali psichiatrici, oppure vive una vita del tutto opposta a quella
immaginata. Il fatto è, Alex» continuò accendendosi una sigaretta «che non puoi
fare affidamento su nessuno quando combatti con loro, poiché ogni singolo uomo
onesto può essere loro complice. Come ti ho detto prima, agiscono sul
territorio mondiale, non scherzano affatto. Non è solo una cosa italiana, non è
mafia, o camorra o ‘ndrangheta. Comandano mafie di altri paesi, gestiscono la
criminalità di alcuni piccoli stati e di grandissimi metropoli. E tu vorresti
combatterli da solo?».
Le parole di Flavio erano tutte
indiscutibilmente vere. Solo chi aveva provato sulla propria pelle il dolore,
poteva provare solamente a capire il senso di queste parole.
«Non … non bisogna arrendersi …»
dissi spiazzato. «Spesso l’insetto batte la belva e … ».
«E falla finita ragazzo!» si era
alzato dalla scrivania in modo veemente e decisamente poco elegante. «Credere
alle favole non è il mio forte. Non puoi andare lì e dir loro di finirla. Né
puoi combatterli usando la forza. Finiresti sotto terra, come c’è finita mia
moglie e come c’è finito anche tuo padre!».
Uscì dalla stanza, freddo e più
arrabbiato di prima. Le sue parole colpirono il mio cuore con la stessa
intensità di una pallottola. Non posso negarlo, ero rimasto segnato dalla
verità, anche se cercavo di non far trasparire emozioni. Che stupido, non è
vero? Quando trattieni le emozioni, prima o poi esplodi e devi per forza
tirarle fuori. Ed è lì che arriva la parte più difficile. Tirarle fuori … e che
cavolo.
CAPITOLO
II – Il bambino scomparso
Quella sera a cena, l’atmosfera
non era esattamente delle più distensive. Il silenzio era il padrone del tempo.
Nel senso che in una cena di un’ora furono scambiate circa tre parole.
C’era però una cosa che avevo
notato. Andrea era stato nascosto dietro la porta e aveva assistito a tutto il
dialogo avvenuto poche ore prima. Aveva ascoltato tutto e non mi aveva fatto
nemmeno una domanda. Strano per un curiosone come lui.
Lo vidi imbronciato, mentre
giocava con l’acqua nel bicchiere. Si divertiva a farla tintinnare e a
rispecchiarsi nel profondo brivido che probabilmente acquisiva da quello
strambo giochino.
«Cosa c’è piccolo? » gli chiesi
carezzandogli la testa. Era accanto a me, eppure non mi aveva neppure rivolto
la parola. Non l’aveva rivolta a nessuno, a dir la verità.
«Cosa c’è? Non ti piace la cena?»
gli dissi gesticolando verso il suo hamburger.
«No … » mi rispose indifferente.
«”No” come “non mi piace” o “no”
come “mi piace”?».
«La cena mi piace» sbottò
sbattendo delicatamente la forchetta sulla tovaglia «è il resto che fa schifo»
concluse la sua vocina.
«E perché mai?».
«Non ne voglio parlare» disse
alzandosi dalla tavola e dirigendosi in camera sua. Mi lascio esterrefatto.
Lo rincorsi, ma arrivai da lui
che era già entrato in camera e faceva penzolare le sue piccole gambe dal
letto. Mi avvicinai repentinamente a lui e mi sedetti sul letto. Guardando il
cielo scuro fuori dalla finestra scrutai come l’espressione di Andrea fosse
ancor più cupa.
«Da uomo a uomo» iniziai con un
risolino «qual è il problema?».
«Fratellone» cominciò a parlare
dopo un attimo di pausa «hai mai perso un amico?».
No. Non l’avevo mai perso. Ma
potevo solo immaginare quanto fosse brutto. Perdere un amico deve essere
devastante. Il cuore diventa una nocciolina e il cervello un oggetto non identificato.
Ti senti male, rivedi il suo volto ovunque e ogni volta che ti specchi ti
chiedi perché non è successo a te, perché se tra lui e te, Dio avesse scelto
lui da portare al suo fianco. Sono pensieri e sensazioni che non ho mai avuto
modo di fare e vivamente, spero di non poterli fare mai.
Può succedere però e a volte
nella vita devi metterti al riparo da tutto e tutti. Devi riuscire ad accettare
ciò che la vita ti ha prefissato. E se non lo fai … vieni schiacciato.
«No … mai. Quindi il problema è
un amico?».
«Sì … ».
«E che problema è? Forse posso
aiutarti, no?».
«Forse … ».
«Dimmi allora».
«Il mio amico Cristian non viene
a scuola da tre giorni. E’ stato rapito».
«Come puoi dire che è stato
rapito? Forse ha la febbre, oppure ha avuto degli impegni famigliari … non
credi?».
«No. Ho telefonato a sua madre e
lei mi ha detto che non lo vede da tre giorni …».
«Dannazione!» esclamai colpendo
in pieno il materasso. «Dovevi dirmelo prima Andrea! Allora è davvero qualcosa
di grave!».
«Non lo so fratellone!» affermò
tentando ansiosamente di giustificarsi. «Non lo so, telefoniamo alla signora,
su!» incitò. Presi il cordless che stava nell’ingresso e mi sedetti di nuovo
sul letto del mio fratellino.
Il telefono di casa Falsopiega,
questo il cognome del bambino, squillava. Dopo pochi, pochissimi squilli, una
voce ansiosa, tipicamente femminile, rispose.
«P-pronto?» sussurrò in maniera
incerta.
«Signora, sono il fratello
maggiore di Andrea, il ragazzino che va a scuola con suo figlio. Mi chiamo
Alex».
«Che cosa vuole da me?». Ora il
suo tono aveva assunto un qualcosa di ostile.
«Nulla, solo aiutarla. Venga
domani pomeriggio all’ufficio del detective Moggelli. Vediamoci … verso le
quattro, le va?».
«Ma perché? Cosa vuole da me? Mi
lasci in pace!». Ebbi la sensazione che stette per riattaccare, ma provai a
fermarla usando il dono della loquacità.
«Ascolti signora Falsopiega, non
deve preoccuparsi di nulla. Venga dove le ho detto domani pomeriggio e vedrà
che i problemi saranno risolti».
Il pomeriggio dopo, alle quattro
in punto, una donna sulla cinquantina con lunghissimi capelli neri corvini, un
trucco leggero ed una borsa firmata era ferma davanti al cancelletto che legava
casa e agenzia.
Il suo viso era letteralmente
spezzato dalla preoccupazione, ma i suoi occhi lasciavano intravedere un
bagliore di speranza. Le pupille, vispe e dal movimento rapido, davano
l’impressione di una gioventù vissuta al massimo delle proprie possibilità, con
feste, ragazzi e amiche. Chissà …
Pochi minuti dopo, superata
l’incertezza iniziale, la donna dai lunghi capelli corvini, complice anche la
presenza di Andrea, si convinse che non eravamo rapitori. Un paradosso.
Mio fratello si era portato dietro
anche una bimbetta. Si chiamava Chiara Miretti ed era uno scricciolo
carinissimo. I capelli biondissimi, pettinati con una treccia, le conferivano
un aspetto timido e innocente. Gli occhi azzurri completavano il quadro di una
ragazzina in verità vispa e davvero molto, molto sciolta. Aveva una parlantina
terribile. In cinque minuti mi aveva già raccontato di essere figlia di famosi
industriali, di aver avuto una bambola come regalo a Natale e di avere un cane
di razza Beagle che si chiamasse Johnny.
Con mio fratello si erano
conosciuti all’asilo e facevano i fidanzatini tutto il tempo. Non lo ammetterebbero
mai, ma sono sicuro che ci fosse del tenero. Bambini.
«Chi siete?» disse la donna
rivolgendosi a Flavio.
«Signora, il ragazzo mi ha
accennato che suo figlio è stato rapito. Non lo vede da tre giorni, giusto?».
«Le ho fatto una domanda».
«E questa è la risposta» rispose
sfacciatamente Flavio.
«Calmiamoci … ok?» dissi cercando
di stemperare i toni.
«Se la signora non vuole
collaborare» cominciò Flavio con aria indisponente «può dirlo subito e andare
via».
«La signora vuole sicuramente
collaborare. Figuriamoci, c’è in ballo la vita di suo figlio». Successivamente
mi voltai verso la donna e le misi una mano sulla spalla. «Signora, noi siamo
detective. Andrea, che è compagno di scuola di Cristian, ha detto che sono tre
giorni che suo figlio non si vede a scuola e sospetta un suo rapimento». Feci
una pausa di qualche secondo. «E in quanto a lei» continuai imperterrito «Mi
pare abbia confermato la tesi. Era nervosa al telefono e non si sarebbe mai
recata a casa di due sconosciuti senza essere disperata».
La signora teneva gli occhi bassi
e fissava il pavimento. Cercò di non farsi vedere, ma il suo viso era già
pervaso dalle lacrime. Lacrime pesanti dovute alla scomparsa del suo bambino.
«Allora signora … vuole
collaborare con noi, sì o no?».
La donna scoppiò in lacrime.
«Certo, ma non so … non so nulla!».
«Come non sa nulla?».
«Il mio bambino è andato a scuola
e non è più tornato! Non ci sono tracce, nessuno ha visto niente ed io … io
sono disperata!»
«Quindi lei non è a conoscenza di
nessun indizio?».
«Le ho detto di no!» rispose
quasi adirata.
«Ok. Allora non credo che sia il
caso di accettare l’incarico … » affermò Flavio.
«Cosa? Ma ti sei bevuto il
cervello?» interruppi.
«Per niente. I detective sono dei
finalizzatori. Con gli indizi devono riuscire a far quadrare la versione dei
fatti più attendibile. In questo caso non ci sono indizi. La signora perde solo
tempo e … ».
«Non gli dia ascolto. Ci porti a
casa sua» sussurrai alla donna.
«Ehi, se credi che io possa solo
venire lì e seguirti in questa … ».
«E piantala di fare tante
chiacchiere! Lo so bene che dopo pochi secondi morirai dalla voglia di
seguirci. Quindi mettiti la giacca, infilati il cappello o quello che è e vieni
con noi».
Poco dopo eravamo all’interno di
un appartamento al terzo piano di una zona di periferia. La donna apriva le
persiane per far respirare la casa, mentre io e Flavio ci guardavamo attorno
per trovare tutti gli indizi possibili. Bianca aveva insistito per venire con
noi. Non aveva voluto restare a casa con Fabio e Martina. Diceva che Martina,
la ragazza di Fabio, le stava antipatica e che piuttosto che stare nella stessa
stanza con lei avrebbe preferito «scalare il K2 con alle costole un orso
bruno». Tipici modi di dire.
Anche Andrea e Chiara erano
venuti con noi. Non ne avevano voluto sapere di stare a casa. Volevano il loro
amichetto.
«Bene, ora che siamo qui …
possiamo andarcene?» chiese Flavio in modo ironico.
«La vuoi finire? Pensa agli
indizi piuttosto».
«Gli indizi? Ce ne fossero!».
«Signora» affermai rivolgendomi
alla signora Falsopiega «dov’è la camera del bambino?».
«Perché vuole vederla?».
«Curiosità … intanto vediamo come
ha lasciato la cameretta».
«Ok, seguitemi».
La donna ci condusse per pochi
metri. Poi aprì una porta che diede su una stanza pitturata interamente di
color blu cobalto. La luce del sole risplendeva all’interno della stanza
accarezzando il piccolo lettino di Cristian.
Cominciai a perlustrare la stanza
del piccolo sotto lo sguardo attento e penetrante della signora Falsopiega. I
suoi occhi lasciavano intravedere e fuoriuscire tutto l’odio e il risentimento
che aveva provato in quei tre maledettissimi giorni di fuoco.
«Eccolo, eccolo!» Chiara aveva
cominciato ad urlare. Teneva tra le mani un piccolo diario di colore verde. Su
di esso era disegnato un mostriciattolo con matita nera.
«Andrea, non disturbate»
rimproverò Flavio.
Mi avvicinai e domandai cosa
fosse quel diario e perché urlassero.
«Questo è il diario segreto di
Cristian. Non lo ha mai lasciato aprire a nessuno» disse Chiara.
«Davvero?». Forse in quel diario
c’era qualche indizio. Lo strappai dalle mani della bambina e mi misi ad
esaminarlo.
«Fratellone, che cosa fai col
diario di Cristian?».
«Già, “fratellone”» aggiunse
Bianca con spirito dandomi una pacca leggera sulla spalla «che cosa fai con
quel diario?».
«Cerco indizi» risposi con
diffidenza.
«E cosa ti fa pensare che siano
proprio lì?» mi chiese Flavio avvicinandosi.
«Be’, i bambini hanno detto che a
scuola non lo faceva toccare a nessuno, quindi è probabile che scrivesse qui
delle cose molto personali, come ad esempio tutto quello che gli succedeva in
giornata … perciò dovremmo … eccolo!» esultai strappando un sorriso.
«Che cosa ha trovato?» domandò la
signora Falsopiega.
«Forse qualcosa di interessante».
«Ovvero?» chiese Flavio
spazientito. Si era seduto sul lettino del bambino e faceva quasi tenerezza a
vederlo.
CAPITOLO
III – Il diario parlante
«Vi leggo: “19 Settembre. Oggi
sono andato a scuola e dopo che la maestra mi ha rimproverato sono scoppiato in
lacrime. Pensavo fosse stata cattiva con me, ma
poi mi sono reso conto di aver sbagliato. Nel pomeriggio, vicino al
supermarket con il mostriciattolo, ho incontrato un signore con la barba lunga
e con dei bellissimi occhiali da sole. Mi ha offerto delle gomme e delle
caramelle”.» Mi fermai un attimo, poi passai alla data del 21 Settembre.
«”… Anche oggi ho incontrato quel
simpatico signore. Eravamo vicino al mostriciattolo e mi ha dato una penna blu
che scrive benissimo!». Balzai alla data precedente alla sparizione.
«”25 Settembre. Oggi quel signore
mi è sembrato un po’ arrabbiato. Gli ho chiesto se avesse dei cioccolatini, ma
mi ha risposto male. Forse l’ho fatto arrabbiare».
«E’ lampante di come c’entri
qualcosa quest’uomo con lunga barba e occhiali da sole» sussurrò Flavio.
«Ma cosa significherà “il
mostriciattolo”?» domandò Bianca.
«Credo di saperlo» intervenne la
signora Falsopiega. «Guardate sul retro del diario, è dipinto un mostro verde.
E’ un personaggio dei cartoni che piace molto a mio figlio. Questo diario è un
omaggio di un supermercato specializzato in prodotti alimentari per bambini e …
».
Intervenni nella conversazione.
«Dove si trova questo supermercato?» chiesi agitato.
«E’ a circa tre isolati da qui …
ma cosa le importa? Non vedo come … ».
«Importa eccome invece!
Dannazione, se il nostro uomo tiene in ostaggio il bambino, per mantenerlo
buono acquista prodotti con quel mostriciattolo, in modo da non farlo
lamentare, capisce ora?» dissi mentre già correvo per le scale.
Flavio mi aveva seguito alla
velocità di un ghepardo raffreddato, ma poco importava. Circa mezz’ora dopo,
causa traffico, eravamo di fronte al supermercato. Andrea e Chiara giocavano
per i fatti loro, mentre Bianca si era portata un libro di Charles Dickens
nella borsa. In quanto alla donna, era nervosa, tremava e quando sfiorai
involontariamente la sua mano mi accorsi quanto fosse gelida.
«Cosa facciamo ora, genio del
male?» mi chiese ironicamente Flavio.
Lo guardai con diffidenza. Poi
presi fiato e gli risposi: «Attendiamo. Se è come penso il nostro uomo non si
farà attendere per molto».
«Se lo dici tu … ».
Fu così. Alle diciotto in punto
un uomo vestito con un lunghissimo impermeabile grigio si avvicinò al
supermercato. Corrispondeva perfettamente alla descrizione che c’era sul diario
di Cristian. Aveva una lunghissima barba incolta e degli occhiali da sole
spessi e davvero molto vistosi.
Lo vedemmo entrare nel
supermarket e uscirne poco dopo con una bustina di plastica dall’aspetto
avvilente e sgonfio.
«Cos’avrà comprato?» chiese
Flavio.
«Domandati per chi lo ha comprato»
risposi a tono.
L’uomo si incamminò verso i
vicoli della città di Torino. Io e Flavio decidemmo di seguirlo come ombre
nella cupa notte. Ogni tanto il nostro uomo si girava, avvertendo forse
presenze estranee, ma non compì mai nessuna azione che potesse metterci in
guardia e quindi, nel giro di dieci minuti, ci condusse di fronte ad una
baracca abbandonata, in una zona di periferia deprimente, scordata dal Padre
Eterno, con gli alberi ricurvi a conferire quasi un aspetto più lugubre del
necessario. L’uomo entrò nello pseudo vialetto e fece il suo ingresso in casa.
Dal canto nostro, ci appostammo
in prossimità di un cespuglio.
«Ho un’idea» sussurrai.
«Oh no … ».
«Grazie per la fiducia».
«Non c’è di che … su spara».
«Vai di nuovo dagli altri.
Riaccompagnali a casa della signora, prendi la macchina e vieni qui. Una volta
arrivato, fingi un guasto al motore. Se quello è un tipo losco, sicuramente ti
aiuterà»-
«Ma cosa cavolo vai dicendo?
Perché mai dovrebbe aiutarmi?!».
«Sveglia! Perché non vuole che tu
rimanga troppo vicino casa sua. E’ indice di chi ha qualcosa da nascondere».
Rimase a fissarmi come un
perfetto imbecille per circa quindici secondi, poi si diresse dove gli avevo
detto e poco dopo tornò con l’auto. Si fermò a venticinque metri dalla casa e
finse un guasto al motore, esattamente come gli avevo detto.
Attendemmo. Chissà. Se avesse
abboccato, metà del lavoro sarebbe già stato ultimato.
E infatti abboccò. Sì, abboccò
senz’amo. Doveva essere un dilettante, o uno spiantato. Un criminale serio non
avrebbe mai abboccato a quella farsa. Forse sarebbe uscito fuori e sarebbe insorto
in minacce e allora Flavio sarebbe dovuto mettersi a spingere l’auto per dieci
isolati pur di uscire dal raggio d’azione della pistola del killer, ma forse
stavo fantasticando, o magari stavo fantasticando troppo.
«C’è qualche problema?» chiese
con tutta la gentilezza del mondo uscendo dal vialetto.
«La calotta dello spinterogeno …
fa i capricci e io non sono un buon meccanico … lei se ne intende di motori?».
«C-come no? Io sono un grande
esperto, lasci fare a me». Era talmente convinto che Marlon Brando gli avrebbe
conferito l’Oscar alla recitazione.
Notai un rigonfiamento
all’altezza del fianco sinistro. Feci segno a Flavio del fatto che l’uomo
avesse una pistola. Svicolai nell’oscurità, mentre il nostro uomo teneva la
testa nel cofano dell’auto, ed arrivai sul retro della casa. Una piccola
finestrella, abbastanza larga per far entrare un adulto. Aveva un vetro
incrinato ed un altro completamente rotto, ma comunque riuscii ad entrare senza
uccidermi.
Vidi Cristian, un bambino dai
folti capelli neri e dal fisico minuto. Dormiva legato e imbavagliato.
Bastardo. Avrebbe pagato tutto, come avrebbero pagato tutti i criminali del
mondo, compreso il Fuoco Re. Sì, un giorno avrebbero pagato, per tutto. Per mio
padre e per la moglie di Flavio. Per i reati e per l’uccisione di vittime
innocenti. Prelevai Cristian. Doveva essere sotto l’effetto di sonniferi, dormiva
pesantemente. La casa era piena di prodotti del mostriciattolo. Forse voleva
tenerselo buono, ma lo avevo fatto addormentare per paura di qualcosa.
Probabilmente aveva cominciato ad urlare o qualcosa del genere.
Uscii dalla finestra in modo
sontuoso, quasi stilistico, ma mentre stavo per incamminarmi il caso volle che
l’uomo si voltasse e scoprisse tutto. Subito impugnò la pistola, ma mi rifugiai
dietro la casa. Flavio andò invece dietro la parte opposta della macchina, ma
sapeva benissimo che quella copertura non sarebbe durata a lungo. L’uomo
cominciò ad urlare all’impazzata e mi stupirei certamente se un giapponese mi
dicesse un giorno di non averlo sentito.
«Cosa diamine fate! Bastardi!
Bastardi!» urlò facendo esplodere tre colpi di pistola nell’aria. Non fece in
tempo però. L’ispettore Ducato e un’intera squadra di poliziotti sbucò dal
nulla e aggredì fisicamente l’uomo. Un poliziotto lo avvolse con un placcaggio
in stile NFL, un altro gli mise le manette.
«Ispettore» disse confuso Flavio
«cosa ci fa qui?».
«Merito di Bianca e Andrea. Hanno
pensato di avvertirci che eravate in una posizione … ecco … un po’ scomoda».
«La mia bambina!» affermò con
fierezza Flavio «tutta suo padre, non è vero?» disse con poca modestia.
«Sì … come no?» riuscì a dire
Ducato senza offenderlo. Aveva una faccia talmente poco convinta che la sua
bugia fu notata da tutto il corpo poliziesco presente all’operazione.
CAPITOLO
IV – La decisione
Tre giorni dopo, Cristian venne a
trovarci con sua madre e fece la nostra conoscenza in circostanze normali. La
signora Falsopiega ci ringraziò all’inverosimile e dispensò abbracci, sorrisi e
addirittura un bacio sulla guancia di Flavio che, per tutta risposta, arrossii
diventando della stessa cromatura di un peperone.
Dopo poco se ne andarono e così
rimanemmo di nuovo soli. Io e Flavio. Flavio ed io.
«Ho visto che sei arrossito … hai
capito … non ti avevo mai visto nelle vesti di latin lover» iniziai.
«Smettila, non fare il
maleducato».
«E dai, sto solo dicendo che in
confronto a te, Clark Gable era un dilettante». Perdonami Clark.
«Finiscila, non sono in vena».
«Su, l’abbiamo capito tutti che
il capello impomatato, il sorriso brillante e l’abito da showman di quart’ordine
servono per far colpo, su, su … » lo provocai facendogli spallucce.
«E la vuoi piantare?! Lo sai bene
che mi vesto sempre così!».
«Ok, se lo dici tu … » affermai
appoggiandomi alla scrivania. «Ascolta, hai pensato a quello che ti ho detto
qualche giorno fa?».
«Credimi figliolo, non ho avuto
nemmeno il tempo di farmi la barba. Puoi vederlo benissimo».
«Già … be’, senti ti rinfresco la
memoria … ».
«A proposito di rinfrescarci …
prendimi una birra dal mini frigo per favore». Già, Flavio aveva fatto
installare di recente un minifrigo. L’aveva posizionato vicino alla porta. Non
era tanto “mini”, visto che era alto circa un metro e venticinque e poteva
contenere almeno settanta litri. Gli presi una “Beck’s”, la sua preferita.
«Favorisci ragazzo?».
«Sai che non bevo» risposi. Mi
sedetti sul divano e riattaccai a parlare, mentre Flavio posava le sue labbra
sul riparto metallico che serviva per bere.
«Allora, quel fatto dell’altro
giorno … quello del Fuoco Re …».
Smise di bere e mi guardò storto.
«Stop. Basta così o me ne vado».
«Aspetta! Che fai? Te ne vai
senza sentirmi?».
«Non ho bisogno di sentirti. Mi
sono già scottato e non voglio farlo ancora, lo ripeto».
«Ma è nostro dovere e poi … ».
«Non è … nostro dovere. E’ solo
una tua stupida convinzione».
«La mia, come la chiami tu,
“stupida convinzione” è motivata dal fatto di aver perso un padre in modo
schifoso. E dovresti sentirti ferito anche tu!».
«Io mi sento ferito!» disse
urlando. «Ma sono anche razionale e sono conscio del fatto che noi due da soli,
non possiamo combattere quel clan! Lo capisci questo?».
«Lo capisco» risposi alzando
lievemente il tono della voce «ma non ti sto chiedendo di andar lì a fare
sparatorie, agguati e appostamenti. Ti chiedo solo di collaborare con la
Giustizia,chiaro? Che so? Raccogliere informazioni, essere a conoscenza di
quello che fanno, cercare di scoprire la verità sul loro clan, aiutare la
polizia e … ».
«E cosa? Vuoi finire arrostito?».
«Diamine, no! Ma è una questione
di principio Flavio! Un giorno verranno catturati e su quella cattura ci dovrà
essere anche la nostra collaborazione! Cavolo, sono inseguiti dalle polizie di
ogni paese del mondo. Hanno ricevuto agguati da corpi polizieschi di piccole e
grandi città. Come puoi dire che sono invincibili? E cosa mi dici di quel
bambino? Sì, Cristian. Quel folle l’ha rapito perché era un pedofilo del
cavolo. Quando ho prelevato quel bambino da quell’abitazione … mi è venuto in
mente il nostro problema. Ho pensato a quello che hanno fatto a mio padre,
quello che hanno fatto a tua moglie. Devono pagare, marciranno in galera e
voglio essere uno di coloro che li assicurerà al loro destino già scritto. Io
non c’ho mai creduto al destino, ma il loro è già scritto ed ha come epilogo la
galera».
Flavio mi fissava con la lattina
in mano e un’aria sorpresa. Poi posò la lattina sulla scrivania e mi mise una
mano sulla spalla.
«E’ questo che vuoi ragazzo? Vuoi
svegliare il clan che dorme?».
«Non era il “can”?».
«L’hai capita, mi auguro».
«Voglio solo Giustizia».
«L’avrai, sono con te».
Quella notte non dormii, un
capitolo della mia vita si era chiuso, ora ne iniziava un altro mirato alla
Giustizia.
ALEX FEDELE EPISODIO 32 - L'OBIETTIVO! Solo qui a partire dal 7/04/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!
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