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sabato 31 marzo 2012

Alex Fedele: Un rapimento crudele #31 (stagione 2)


NELLA PRIMA STAGIONE: La prima stagione si era aperta con il trasferimento a Torino di un giovanissimo prospetto del mondo investigativo italiano, Alex Fedele. Con lui, c’è anche suo fratello di cinque anni. Il giovane detective va a vivere(causa praticantato) in un’agenzia investigativa di un detective già affermato. Il detective che gli viene assegnato, però, è un ex funzionario di polizia rancoroso, burbero e legato al passato, che sta vivendo un periodo di appannamento sociale e professionale per la recente perdita della moglie.
La scomparsa della donna però, è talmente contorta e poco messa in luce dall’uomo, che essa è sconosciuta in modo integrale anche dai propri figli.

Dopo aver mostrato le sue incredibili capacità deduttive all’uomo, Alex comincia pian piano ad affezionarsi ai vari componenti della famiglia. In particolare, si dimostra molto legato a Bianca, che identifica in lui l’unica persona abbastanza giusta e inflessibile da poter tenere testa a suo padre. Bianca e Fabio, fratello della ragazza, confessano ad Alex che ancora non sanno niente della morte della loro madre e che i pochi dialoghi del padre riguardo la questione sono stati fatti in modo frammentario e poco chiaro.

Un giorno Flavio, il detective dell’agenzia, sparisce nel nulla. Alex, Bianca, Fabio e Andrea ne seguono le tracce e lo scovano a Cuneo, in un cimitero, a pregare sulla tomba di sua moglie. Lo stesso giorno infatti, coglieva l’anniversario della morte della donna. Flavio si arrabbia con Alex in modo veemente e incisivo arrivando persino a mettergli quasi le mani addosso. Ad intervenire però, è Bianca che pretende spiegazioni chiare la questione di sua madre.

Flavio spiega solo parzialmente la dinamica della morte di sua moglie, puntualizzando che forse questa è dovuta ad un sua operazione(miseramente fallita) dei tempi in cui era in polizia e che non ne ha mai parlato ai figli solo perché credeva lo incolpassero di qualcosa. L’uomo però, tanto si sente affranto, non se la sente di raccontare tutto ai suoi figli, promettendo però, di farlo in un prossimo futuro.

Andando avanti nella risoluzione di vari casi, si arriva in un momento in cui Bianca e Alex vincono su internet un concorso che mette in palio una crociera riservata solo a chi risolverà un complesso gioco di logica. La crociera però si rivela essere il bieco pretesto di un assassino per uccidere uno ad uno tutti i vincitori del concorso. Dopo mille vicissitudini Alex riesce a scoprire il nome del colpevole.  L’assassina dichiara di essere un membro del clan mafioso terroristico chiamato Fuoco Re e che il numero IP di Bianca è stato confuso con quello di un altro obbiettivo. Inoltre dice che, in quanto smascherata, stando alle regole imposte dal clan, deve suicidarsi. Alex cerca di salvarla disperatamente, ma non c’è niente da fare e la donna muore in una esplosione causata da lei stessa.
In un posto molto lontano intanto, due loschi figuri parlano di Alex. Non ci viene presentato molto di loro, ma comunque sappiamo che considerano Alex solo una «macchietta microscopica».
Il ragazzo,visto che non è riuscito ad evitare il suicidio della donna, è ovviamente demotivato, mentre Flavio, appreso il nome del clan di cui la donna faceva parte, impallidisce.

Qualche tempo dopo Alex riceve una mail di sua madre, una nota giornalista che lavora in Giappone, che lo avvisa di una imminente visita. Alex e sua madre però hanno un rapporto molto particolare. Dalla morte di suo padre, infatti, il ragazzo non riconosce più nella madre quella donna così forte e così stoica che era sempre stata. La situazione peggiora quando Federica(la madre di Alex per l’appunto), rivela a suo figlio il vero modo in cui è morto suo padre. Essendo uno sporadico collaboratore della polizia, fu catturato dai membri del Fuoco Re e fatto prigioniero per giorni. Poco tempo dopo venne ritrovato cadavere. Il ragazzo, che aveva sempre creduto in una morte dovuta ad un incidente stradale, non la prende affatto bene e scappa di casa. A ritrovarlo è però Bianca, che lo convince quantomeno a provare a perdonare sua madre. Il perdono non sarà affatto facile, ma alla fine comunque arriverà e madre e figlio si riconcilieranno.

Dopo aver spiegato tutto ad Andrea, suo fratello minore, Alex trova nell’ufficio di Flavio un articolo di giornale che parla della morte di Giulia, la moglie di quest’ultimo. Il pezzo parla di un omicidio premeditato e attuato dal Fuoco Re, proprio lo stesso clan che ha ucciso il padre del ragazzo. Flavio sorprende Alex mentre legge l’articolo e cerca di rimproverarlo, ma è proprio il giovane detective a rinfacciargli tutto prendendosela perché l’uomo sapeva fin dall’inizio che il FR era stata la causa principale del male nelle vite di entrambi.

Intanto, un uomo anziano e stanco residente in una villa agreste, spara dei colpi di pistola alle foto di Alex e Flavio. Chi sarà mai?


 PROLOGO:Scontro verbale tra Alex e Flavio! Il ragazzo vuole agire, mentre l’uomo è più attendista, chi avrà la meglio. E poi un nuovo caso con protagonisti le creature più innocenti del mondo, i bambini! In giro c’è un rapitore che …






UN RAPIMENTO CRUDELE

CAPITOLO I – La triste verità

«Voglio una dannata spiegazione!». La mia voce tremava a causa dell’enorme frustrazione che mi si era insediata e per la rabbia dovuta ancora una volta ad un enorme bugia. Flavio, per quanto riguardava la morte di sua moglie, non aveva accennato a più niente dal giorno dell’anniversario, ma sentire il nome del clan che aveva ucciso mio padre mi faceva ribollire il sangue nelle vene. Ora che avevo letto che Flavio in passato aveva avuto contatti diretti con quegli spietati criminali, i miei occhi si erano iniettati di sangue, la mia testa scoppiava e avevo digrignato i denti in una fulgida espressione quasi incosciente.
«Non urlare così! Attirerai Bianca e Fabio, non urlare!».
«Ma io urlo eccome! Cavoli, perché ti ostini a negare? Dimmi, qual è il tuo problema? Non si dovrebbe sempre assicurare la verità? E adesso con che faccia tu … ».
«Con la faccia di un padre disperato e di un detective con vent’anni di carriera! Dannazione, non sono un pivello, Alex!».
«Lo so, sei solo un bugiardo!».
«Come osi dire a me queste cose?».
Le nostre urla attirarono Fabio, Bianca, Sergio e Andrea.
«Papà, ma che succede? Che cos’è questa confusione? Siete del tutto usciti di senno?» Bianca era comparsa sulla soglia della porta e dietro di lei c’erano gli altri abitanti di casa Moggelli.
Flavio diede un colpo violentissimo ad una delle sedie che troneggiavano di fronte alla sua scrivania e quella si rovesciò così velocemente da far sembrare le evoluzioni della WWE uno spettacolo per dilettanti.
«Il fatto è che vostro padre ha ancora qualcosa da dirvi. E anche a me a quanto pare!» affermai con veemenza.
«Vuoi stare zitto? Adesso ti spacco la faccia!». Non avevo mai visto Flavio in quello stato. Sudava freddo e nonostante le verità che gli venissero letteralmente sbattute in faccia, restava impietrito, senza la minima volontà, né capacità di reazione.
Bianca, Fabio, Andrea e Sergio rimanevano a loro volta inermi di fronte ad uno spettacolo poco consono agli occhi di chiunque.
«Volete che vi dica tutto?» disse urlando all’inverosimile «e allora d’accordo, vi dirò tutto! Così la smetterete di rompermi le scatole e di continuare a farmi sentire in colpa! E tu, piccolo saputello» disse guardandomi con aria di disprezzo «sei solo una putrida macchia nella mia vita. Volevi assicurare la verità per farti bello? E ti accontento, traditore!».
«Innanzitutto» dissi ricomponendomi «io non ho tradito nessuno. Secondariamente» continuai alzando il tono della voce «io non voglio a tutti i costi sapere la verità, ma non posso tollerare che la nasconda ai tuoi stessi figli!». Presi il ritaglio e glielo porsi. Me lo strappò dalle mani. «E poi» aggiunsi imperterrito «mi pare che abbiamo dei punti in comune».
«Dei punti in comune? Abbiamo lo stesso denominatore comune Alex? E’ questo che stai cercando di dirmi?» pronunciò queste parole quasi in totale visibilio negativo. Sembrava quasi una marionetta pilotata dai suoi sentimenti.
«Adesso basta papà. Io e Bianca esigiamo una spiegazione». La voce dura e calda di Fabio squarciò l’atmosfera.
Flavio abbassò il capo e con gli occhi già colmi di lacrime, cominciò a parlare.
«D’accordo. Ma sappiate che ho tenuto nascosto … delle cose … solo per evitare di esporvi ad un pericolo inutile. Per me questo argomento è tabù e … ».
Lo interruppe Sergio. «Flavio, forse è meglio che io vada … sai …».
«No» affermò appoggiandosi alla scrivania. «No» ripeté concedendosi una gomma da masticare. «Voglio che sappiate la verità. Voglio che la sappiate tutti. Il gioco finisce qui».
Queste sue parole mi conferirono una espressione che mi rimase sul viso per almeno una settimana. Era quello di un ragazzo triste, in quanto vedeva un uomo di una certa caratura moralmente a terra, ma contemporaneamente era felice per aver ridato aria ad una questione che Bianca e Fabio, solo loro, avevano assolutamente diritto a conoscere.
«E’ iniziato tutto cinque anni fa» iniziò tranquillamente. Teneva lo sguardo basso e si era appena accomodato sulla morbida sedia della scrivania. Bianca e Fabio sedevano di fronte. Sergio sul divano. Il sottoscritto, per evitare che qualcuno cogliesse l’occhio lucido, guardava fuori da una delle numerose finestre dello studio.
«Il Fuoco Re … è un clan mafioso terroristico di espansione pressoché mondiale. Si contano tra le sue fila migliaia di uomini di fiducia che fanno da tramite in tutto il mondo. Non conoscono freni e sono spietati. In ogni città del mondo, anche nella più piccola, c’è almeno un loro esponente che assicura all’organizzazione del denaro sporco. Coloro che stanno a capo di questo clan … sono molto abili, tant’è che il Fuoco Re è raramente nominato nei tg o sui giornali, proprio perché riesce a commettere illeciti senza dare nell’occhio». Si fermò un attimo. Deglutì e poi si strofinò gli occhi.
Prese fiato e continuò «Io … ero ispettore al tempo … e lavoravo a fianco di Ducato. Stavamo organizzando un’operazione poliziesca nella quale un agente doveva fingersi un infiltrato. Per rendere necessario una minima via di contatto la polizia lavorò con appostamenti per circa quattro anni. L’agente incaricato … l’agente incaricato però si ammalò pochi giorni prima. Una polmonite acuta. Così … così decisi di prendere il suo posto. Andò tutto bene … ma durò solo pochi giorni …». Buttò nel cestino la gomma da masticare e si girò con la sedia verso l’enorme vetrata alle sue spalle.
Bianca ascoltava meticolosamente ogni parola ed ebbi l’impressione che cercasse di analizzare ogni sensazione provocata da ogni singola frase, ogni emozione, negativa e positiva, che si propagasse nel suo cuore. Fabio aveva lo sguardo perso nel vuoto. Forse immaginava le situazioni descritte dal padre. Sergio invece teneva la testa bassa. Non avrebbe voluto esserci in quel momento, ma Flavio, il suo idolo e modello, nonché suo datore di lavoro, gli aveva chiesto di rimanere. Il sottoscritto aveva assunto un’espressione severa, anche se onestamente non saprei spiegarvi il perché. Mi veniva naturale, ecco tutto.
«Cosa accadde?» domandò Bianca. Era l’unica che fosse riuscita ad entrare appieno nella conversazione.
«Accadde che … scoprirono che avevo un microfono addosso. Così quella sera, in una sporca capanna in campagna, mi misero sottotorchio. Mi picchiarono a lungo, fu un calvario che durò quasi un’ora. Ma poi riuscì a fuggire. Mi finsi morto a terra e così iniziai una fuga disperata per le campagne. Mi nascosi varie volte. Fu una notte d’inferno».
Gli occhi diventavano sempre più lucidi. Le ferite erano ancora aperte e non accennavano a rimarginarsi.
«Poi un giorno vengono a sapere in qualche modo che sono vivo e poco tempo dopo… ricevo una chiamata sul posto di lavoro … dove mi informano che Giulia, vostra madre» disse con voce rotta rivolgendosi a Bianca e Fabio «era stata ferita a fuoco. Il resto della storia, è trascritto nell’articolo».
Calò un intenso silenzio. Un assordante silenzio. Non avrei mai voluto esserci in quel silenzio. Sembrava talmente cattivo e talmente vuoto da poter inghiottire il mondo intero.
«Come mai in questi anni non hanno mai cercato di uccidere anche te?». Avevo trovato spontaneamente la forza per fargli questa domanda. Adesso io guardavo lui e lui guardava me.
«Si sono accontentati di avermi tolto l’amore più grande della mia vita … forse non mi hanno mai considerato un pericolo» rispose distrattamente. Alla parola “amore” ebbe quasi un sussulto, un’emozione gelida che gli balenò dentro.
«E non c’è modo di fermare questi criminali?» la voce di Sergio era evidentemente rotta dall’emozione. La glottide si era gonfiata, anche se solo apparentemente ed era venuto fuori un lato di lui che pensavo non esistesse. Un lato quasi drammatico.
«Provateci voi» disse stoicamente Flavio. «Io ci ho già provato e mi sono scottato abbastanza. Il Fuoco Re ha un’espansione mondiale, ha contatti con persone e aziende insospettabili. Commercia droga, perfino clandestini, armi, effettua omicidi, attua un racket completo e riesce ad avere enormi guadagni anche con ricatti alla polizie di tutto il mondo. Si dice che alcuni agenti siano corrotti, sapete?».
«Davvero?» domandò Fabio.
«Certo. Oltre a loro ci sono anche giudici, avvocati, dottori, docenti universitari … tutti sono sotto il loro controllo. E’ dagli anni ’60 che spadroneggiano a destra e a manca».
«Dagli anni ’60?» chiesi incredulo.
«Già. In primis erano due capi. Mauro Diaschi e Eric Berletti, ma successivamente il secondo fu ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia e il comando fu preso solo dal primo. Il fatto è che nel clan ci sono esponenti di entrambe le famiglie, senza contare le varie collaborazioni e il loro speciale gruppo di sicari».
«Il loro gruppo … di cosa?»
«Di sicari, Alex! Hanno una speciale squadra chiamata “Enforcers” che comandano a bacchetta. Sono agenti dai compiti e poteri decisionali». Fece una pausa di qualche secondo. «Ora che vi ho detto tutto … spero mi lascerete in pace».
«Non scusarti mi raccomando! Non scusarti!» la voce di Bianca era ritornata prepotente come un tuono.
Flavio era impallidito e anche se non proferì alcuna parola, riuscimmo perfettamente a capire la sua emozione.
«Nascondi una verità … delle verità per cinque anni, le racconti e pretendi anche di essere capito? Per cinque anni quando io e Fabio chiedevamo per quale ragione la mamma non ci fosse più, tu sviavi, parlavi di malattie, di incidenti e quando invece insistevamo ancora ci riempivi di ceffoni!».
«Bianca … credevo che … ».
«Cosa? Credevi cosa?! Che ce la saremmo presa con te? Non lo sai che così è peggio? Non lo sai?». Bianca scoppiò in lacrime. In un pianto tragico e dolce allo stesso tempo. Suo padre l’afferrò di forza e l’abbracciò in un contatto quasi infinito. La ragazza cercava di dimenarsi, ma era palese il fatto che in realtà attendesse quell’abbraccio da chissà quanto tempo. Flavio non dava l’impressione di essere un tipo molto “caldo” sotto il piano dell’affetto.
«Mi dispiace» sussurrò.
Bianca smise di piangere. Baciò suo padre sulla guancia e disse: «Ti prego, dimmi sempre la verità … da adesso in poi, basta bugie. Se c’è qualcos’altro … ».
«No, non c’è nulla … non c’è più nulla, lo giuro sulla tomba di tua madre» la rassicurò mentre gli scendeva una lacrima sulla guancia.
Il male umano è infinito. E’ incredibile come le persone possano fare del male alle altre in modo estremamente permanente. Il Fuoco Re in quel momento era il male, il denominatore comune. Il mio denominatore comune e a quanto pare, anche quello di Flavio.
Bianca e Fabio uscirono repentinamente dall’ufficio. Fabio guardò negli occhi suo padre e uscì quasi in lacrime. Sergio, inerme di fronte a quelle parole così crude, se ne andò invece pochi minuti prima, giusto per mostrare del rispetto.
In ufficio eravamo rimasti solo io e Flavio. Uniti dallo stesso destino. La vita a volte, è proprio vero, ti assicura un legame con delle persone anche se  non lo vuoi.
Le enormi finestre dell’ufficio avevano fatto filtrare in esso la luce solare. Ma non eravamo affatto beati come si potrebbe pensare. Eravamo rimasti da soli, io e Flavio.
«Senti, non volevo … ».
«No» mi stoppò subito. Si portò una mano all’ispida barba e girandosi di spalle affermò: «E’ colpa mia. Se racconti bugie uccidi due volte. La prima, quando menti agli altri, la seconda quando menti a te stesso».
Quelle parole mi raggelarono il sangue. Ragionai. Io e Flavio avevamo subìto due torti diversi, ma con dei punti in comune palesi. Quel clan, il Fuoco Re, o come si chiamasse, aveva tolto una parte dei nostri cuori e l’aveva buttata in mare. Quanto poteva essere forte? Quanto? Tanto quanto un uomo che aveva subito per anni e che si era tenuto dentro sensazioni estranee? Tanto quanto polizie di tutto il mondo sguinzagliate per catturarlo?
«Pensavo una cosa … » iniziai timidamente.
«Che cosa?».
«Per noi … la giustizia è tutto, no? Possiamo scegliere di essere il diavolo o l’acquasanta nella vita e abbiamo fatto una scelta».
«Dove vuoi arrivare?» mi chiese voltandosi. I suoi occhi fissavano i miei. I raggi solari penetravano nella stanza sbattendo sui nostri visi in modo prepotente.
«Perché non provare a combattere?».
Rimase per un attimo zitto. Poi si sedette alla scrivania, incrociò le gambe e cominciò a parlare.
«Non puoi combattere una guerra senza avere delle armi a portata di mano. Il fatto è che dagli anni ’60 ad oggi ci hanno provato eroi, ispettori, poliziotti, agenti della scientifica, agenti segreti, servizi speciali, persone comuni … indovina un po’? O sono morti o sono impazziti. Chi è riuscito fortuitamente a salvarsi adesso è rinchiuso in ospedali psichiatrici, oppure vive una vita del tutto opposta a quella immaginata. Il fatto è, Alex» continuò accendendosi una sigaretta «che non puoi fare affidamento su nessuno quando combatti con loro, poiché ogni singolo uomo onesto può essere loro complice. Come ti ho detto prima, agiscono sul territorio mondiale, non scherzano affatto. Non è solo una cosa italiana, non è mafia, o camorra o ‘ndrangheta. Comandano mafie di altri paesi, gestiscono la criminalità di alcuni piccoli stati e di grandissimi metropoli. E tu vorresti combatterli da solo?».
Le parole di Flavio erano tutte indiscutibilmente vere. Solo chi aveva provato sulla propria pelle il dolore, poteva provare solamente a capire il senso di queste parole.
«Non … non bisogna arrendersi …» dissi spiazzato. «Spesso l’insetto batte la belva e … ».
«E falla finita ragazzo!» si era alzato dalla scrivania in modo veemente e decisamente poco elegante. «Credere alle favole non è il mio forte. Non puoi andare lì e dir loro di finirla. Né puoi combatterli usando la forza. Finiresti sotto terra, come c’è finita mia moglie e come c’è finito anche tuo padre!».
Uscì dalla stanza, freddo e più arrabbiato di prima. Le sue parole colpirono il mio cuore con la stessa intensità di una pallottola. Non posso negarlo, ero rimasto segnato dalla verità, anche se cercavo di non far trasparire emozioni. Che stupido, non è vero? Quando trattieni le emozioni, prima o poi esplodi e devi per forza tirarle fuori. Ed è lì che arriva la parte più difficile. Tirarle fuori … e che cavolo.

CAPITOLO II – Il bambino scomparso

Quella sera a cena, l’atmosfera non era esattamente delle più distensive. Il silenzio era il padrone del tempo. Nel senso che in una cena di un’ora furono scambiate circa tre parole.
C’era però una cosa che avevo notato. Andrea era stato nascosto dietro la porta e aveva assistito a tutto il dialogo avvenuto poche ore prima. Aveva ascoltato tutto e non mi aveva fatto nemmeno una domanda. Strano per un curiosone come lui.
Lo vidi imbronciato, mentre giocava con l’acqua nel bicchiere. Si divertiva a farla tintinnare e a rispecchiarsi nel profondo brivido che probabilmente acquisiva da quello strambo giochino.
«Cosa c’è piccolo? » gli chiesi carezzandogli la testa. Era accanto a me, eppure non mi aveva neppure rivolto la parola. Non l’aveva rivolta a nessuno, a dir la verità.
«Cosa c’è? Non ti piace la cena?» gli dissi gesticolando verso il suo hamburger.
«No … » mi rispose indifferente.
«”No” come “non mi piace” o “no” come “mi piace”?».
«La cena mi piace» sbottò sbattendo delicatamente la forchetta sulla tovaglia «è il resto che fa schifo» concluse la sua vocina.
«E perché mai?».
«Non ne voglio parlare» disse alzandosi dalla tavola e dirigendosi in camera sua. Mi lascio esterrefatto.
Lo rincorsi, ma arrivai da lui che era già entrato in camera e faceva penzolare le sue piccole gambe dal letto. Mi avvicinai repentinamente a lui e mi sedetti sul letto. Guardando il cielo scuro fuori dalla finestra scrutai come l’espressione di Andrea fosse ancor più cupa.
«Da uomo a uomo» iniziai con un risolino «qual è il problema?».
«Fratellone» cominciò a parlare dopo un attimo di pausa «hai mai perso un amico?».
No. Non l’avevo mai perso. Ma potevo solo immaginare quanto fosse brutto. Perdere un amico deve essere devastante. Il cuore diventa una nocciolina e il cervello un oggetto non identificato. Ti senti male, rivedi il suo volto ovunque e ogni volta che ti specchi ti chiedi perché non è successo a te, perché se tra lui e te, Dio avesse scelto lui da portare al suo fianco. Sono pensieri e sensazioni che non ho mai avuto modo di fare e vivamente, spero di non poterli fare mai.
Può succedere però e a volte nella vita devi metterti al riparo da tutto e tutti. Devi riuscire ad accettare ciò che la vita ti ha prefissato. E se non lo fai … vieni schiacciato.
«No … mai. Quindi il problema è un amico?».
«Sì … ».
«E che problema è? Forse posso aiutarti, no?».
«Forse … ».
«Dimmi allora».
«Il mio amico Cristian non viene a scuola da tre giorni. E’ stato rapito».
«Come puoi dire che è stato rapito? Forse ha la febbre, oppure ha avuto degli impegni famigliari … non credi?».
«No. Ho telefonato a sua madre e lei mi ha detto che non lo vede da tre giorni …».
«Dannazione!» esclamai colpendo in pieno il materasso. «Dovevi dirmelo prima Andrea! Allora è davvero qualcosa di grave!».
«Non lo so fratellone!» affermò tentando ansiosamente di giustificarsi. «Non lo so, telefoniamo alla signora, su!» incitò. Presi il cordless che stava nell’ingresso e mi sedetti di nuovo sul letto del mio fratellino.
Il telefono di casa Falsopiega, questo il cognome del bambino, squillava. Dopo pochi, pochissimi squilli, una voce ansiosa, tipicamente femminile, rispose.
«P-pronto?» sussurrò in maniera incerta.
«Signora, sono il fratello maggiore di Andrea, il ragazzino che va a scuola con suo figlio. Mi chiamo Alex».
«Che cosa vuole da me?». Ora il suo tono aveva assunto un qualcosa di ostile.
«Nulla, solo aiutarla. Venga domani pomeriggio all’ufficio del detective Moggelli. Vediamoci … verso le quattro, le va?».
«Ma perché? Cosa vuole da me? Mi lasci in pace!». Ebbi la sensazione che stette per riattaccare, ma provai a fermarla usando il dono della loquacità.
«Ascolti signora Falsopiega, non deve preoccuparsi di nulla. Venga dove le ho detto domani pomeriggio e vedrà che i problemi saranno risolti».
Il pomeriggio dopo, alle quattro in punto, una donna sulla cinquantina con lunghissimi capelli neri corvini, un trucco leggero ed una borsa firmata era ferma davanti al cancelletto che legava casa e agenzia.
Il suo viso era letteralmente spezzato dalla preoccupazione, ma i suoi occhi lasciavano intravedere un bagliore di speranza. Le pupille, vispe e dal movimento rapido, davano l’impressione di una gioventù vissuta al massimo delle proprie possibilità, con feste, ragazzi e amiche. Chissà …
Pochi minuti dopo, superata l’incertezza iniziale, la donna dai lunghi capelli corvini, complice anche la presenza di Andrea, si convinse che non eravamo rapitori. Un paradosso.
Mio fratello si era portato dietro anche una bimbetta. Si chiamava Chiara Miretti ed era uno scricciolo carinissimo. I capelli biondissimi, pettinati con una treccia, le conferivano un aspetto timido e innocente. Gli occhi azzurri completavano il quadro di una ragazzina in verità vispa e davvero molto, molto sciolta. Aveva una parlantina terribile. In cinque minuti mi aveva già raccontato di essere figlia di famosi industriali, di aver avuto una bambola come regalo a Natale e di avere un cane di razza Beagle che si chiamasse Johnny.
Con mio fratello si erano conosciuti all’asilo e facevano i fidanzatini tutto il tempo. Non lo ammetterebbero mai, ma sono sicuro che ci fosse del tenero. Bambini.
«Chi siete?» disse la donna rivolgendosi a Flavio.
«Signora, il ragazzo mi ha accennato che suo figlio è stato rapito. Non lo vede da tre giorni, giusto?».
«Le ho fatto una domanda».
«E questa è la risposta» rispose sfacciatamente Flavio.
«Calmiamoci … ok?» dissi cercando di stemperare i toni.
«Se la signora non vuole collaborare» cominciò Flavio con aria indisponente «può dirlo subito e andare via».
«La signora vuole sicuramente collaborare. Figuriamoci, c’è in ballo la vita di suo figlio». Successivamente mi voltai verso la donna e le misi una mano sulla spalla. «Signora, noi siamo detective. Andrea, che è compagno di scuola di Cristian, ha detto che sono tre giorni che suo figlio non si vede a scuola e sospetta un suo rapimento». Feci una pausa di qualche secondo. «E in quanto a lei» continuai imperterrito «Mi pare abbia confermato la tesi. Era nervosa al telefono e non si sarebbe mai recata a casa di due sconosciuti senza essere disperata».
La signora teneva gli occhi bassi e fissava il pavimento. Cercò di non farsi vedere, ma il suo viso era già pervaso dalle lacrime. Lacrime pesanti dovute alla scomparsa del suo bambino.
«Allora signora … vuole collaborare con noi, sì o no?».
La donna scoppiò in lacrime. «Certo, ma non so … non so nulla!».
«Come non sa nulla?».
«Il mio bambino è andato a scuola e non è più tornato! Non ci sono tracce, nessuno ha visto niente ed io … io sono disperata!»
«Quindi lei non è a conoscenza di nessun indizio?».
«Le ho detto di no!» rispose quasi adirata.
«Ok. Allora non credo che sia il caso di accettare l’incarico … » affermò Flavio.
«Cosa? Ma ti sei bevuto il cervello?» interruppi.
«Per niente. I detective sono dei finalizzatori. Con gli indizi devono riuscire a far quadrare la versione dei fatti più attendibile. In questo caso non ci sono indizi. La signora perde solo tempo e … ».
«Non gli dia ascolto. Ci porti a casa sua» sussurrai alla donna.
«Ehi, se credi che io possa solo venire lì e seguirti in questa … ».
«E piantala di fare tante chiacchiere! Lo so bene che dopo pochi secondi morirai dalla voglia di seguirci. Quindi mettiti la giacca, infilati il cappello o quello che è e vieni con noi».
Poco dopo eravamo all’interno di un appartamento al terzo piano di una zona di periferia. La donna apriva le persiane per far respirare la casa, mentre io e Flavio ci guardavamo attorno per trovare tutti gli indizi possibili. Bianca aveva insistito per venire con noi. Non aveva voluto restare a casa con Fabio e Martina. Diceva che Martina, la ragazza di Fabio, le stava antipatica e che piuttosto che stare nella stessa stanza con lei avrebbe preferito «scalare il K2 con alle costole un orso bruno». Tipici modi di dire.
Anche Andrea e Chiara erano venuti con noi. Non ne avevano voluto sapere di stare a casa. Volevano il loro amichetto.
«Bene, ora che siamo qui … possiamo andarcene?» chiese Flavio in modo ironico.
«La vuoi finire? Pensa agli indizi piuttosto».
«Gli indizi? Ce ne fossero!».
«Signora» affermai rivolgendomi alla signora Falsopiega «dov’è la camera del bambino?».
«Perché vuole vederla?».
«Curiosità … intanto vediamo come ha lasciato la cameretta».
«Ok, seguitemi».
La donna ci condusse per pochi metri. Poi aprì una porta che diede su una stanza pitturata interamente di color blu cobalto. La luce del sole risplendeva all’interno della stanza accarezzando il piccolo lettino di Cristian.
Cominciai a perlustrare la stanza del piccolo sotto lo sguardo attento e penetrante della signora Falsopiega. I suoi occhi lasciavano intravedere e fuoriuscire tutto l’odio e il risentimento che aveva provato in quei tre maledettissimi giorni di fuoco.
«Eccolo, eccolo!» Chiara aveva cominciato ad urlare. Teneva tra le mani un piccolo diario di colore verde. Su di esso era disegnato un mostriciattolo con matita nera.
«Andrea, non disturbate» rimproverò Flavio.
Mi avvicinai e domandai cosa fosse quel diario e perché urlassero.
«Questo è il diario segreto di Cristian. Non lo ha mai lasciato aprire a nessuno» disse Chiara.
«Davvero?». Forse in quel diario c’era qualche indizio. Lo strappai dalle mani della bambina e mi misi ad esaminarlo.
«Fratellone, che cosa fai col diario di Cristian?».
«Già, “fratellone”» aggiunse Bianca con spirito dandomi una pacca leggera sulla spalla «che cosa fai con quel diario?».
«Cerco indizi» risposi con diffidenza.
«E cosa ti fa pensare che siano proprio lì?» mi chiese Flavio avvicinandosi.
«Be’, i bambini hanno detto che a scuola non lo faceva toccare a nessuno, quindi è probabile che scrivesse qui delle cose molto personali, come ad esempio tutto quello che gli succedeva in giornata … perciò dovremmo … eccolo!» esultai strappando un sorriso.
«Che cosa ha trovato?» domandò la signora Falsopiega.
«Forse qualcosa di interessante».
«Ovvero?» chiese Flavio spazientito. Si era seduto sul lettino del bambino e faceva quasi tenerezza a vederlo.

CAPITOLO III – Il diario parlante

«Vi leggo: “19 Settembre. Oggi sono andato a scuola e dopo che la maestra mi ha rimproverato sono scoppiato in lacrime. Pensavo fosse stata cattiva con me, ma  poi mi sono reso conto di aver sbagliato. Nel pomeriggio, vicino al supermarket con il mostriciattolo, ho incontrato un signore con la barba lunga e con dei bellissimi occhiali da sole. Mi ha offerto delle gomme e delle caramelle”.» Mi fermai un attimo, poi passai alla data del 21 Settembre.
«”… Anche oggi ho incontrato quel simpatico signore. Eravamo vicino al mostriciattolo e mi ha dato una penna blu che scrive benissimo!». Balzai alla data precedente alla sparizione.
«”25 Settembre. Oggi quel signore mi è sembrato un po’ arrabbiato. Gli ho chiesto se avesse dei cioccolatini, ma mi ha risposto male. Forse l’ho fatto arrabbiare».
«E’ lampante di come c’entri qualcosa quest’uomo con lunga barba e occhiali da sole» sussurrò Flavio.
«Ma cosa significherà “il mostriciattolo”?» domandò Bianca.
«Credo di saperlo» intervenne la signora Falsopiega. «Guardate sul retro del diario, è dipinto un mostro verde. E’ un personaggio dei cartoni che piace molto a mio figlio. Questo diario è un omaggio di un supermercato specializzato in prodotti alimentari per bambini e … ».
Intervenni nella conversazione. «Dove si trova questo supermercato?» chiesi agitato.
«E’ a circa tre isolati da qui … ma cosa le importa? Non vedo come … ».
«Importa eccome invece! Dannazione, se il nostro uomo tiene in ostaggio il bambino, per mantenerlo buono acquista prodotti con quel mostriciattolo, in modo da non farlo lamentare, capisce ora?» dissi mentre già correvo per le scale.
Flavio mi aveva seguito alla velocità di un ghepardo raffreddato, ma poco importava. Circa mezz’ora dopo, causa traffico, eravamo di fronte al supermercato. Andrea e Chiara giocavano per i fatti loro, mentre Bianca si era portata un libro di Charles Dickens nella borsa. In quanto alla donna, era nervosa, tremava e quando sfiorai involontariamente la sua mano mi accorsi quanto fosse gelida.
«Cosa facciamo ora, genio del male?» mi chiese ironicamente Flavio.
Lo guardai con diffidenza. Poi presi fiato e gli risposi: «Attendiamo. Se è come penso il nostro uomo non si farà attendere per molto».
«Se lo dici tu … ».
Fu così. Alle diciotto in punto un uomo vestito con un lunghissimo impermeabile grigio si avvicinò al supermercato. Corrispondeva perfettamente alla descrizione che c’era sul diario di Cristian. Aveva una lunghissima barba incolta e degli occhiali da sole spessi e davvero molto vistosi.
Lo vedemmo entrare nel supermarket e uscirne poco dopo con una bustina di plastica dall’aspetto avvilente e sgonfio.
«Cos’avrà comprato?» chiese Flavio.
«Domandati per chi lo ha comprato» risposi a tono.
L’uomo si incamminò verso i vicoli della città di Torino. Io e Flavio decidemmo di seguirlo come ombre nella cupa notte. Ogni tanto il nostro uomo si girava, avvertendo forse presenze estranee, ma non compì mai nessuna azione che potesse metterci in guardia e quindi, nel giro di dieci minuti, ci condusse di fronte ad una baracca abbandonata, in una zona di periferia deprimente, scordata dal Padre Eterno, con gli alberi ricurvi a conferire quasi un aspetto più lugubre del necessario. L’uomo entrò nello pseudo vialetto e fece il suo ingresso in casa.
Dal canto nostro, ci appostammo in prossimità di un cespuglio.
«Ho un’idea» sussurrai.
«Oh no … ».
«Grazie per la fiducia».
«Non c’è di che … su spara».
«Vai di nuovo dagli altri. Riaccompagnali a casa della signora, prendi la macchina e vieni qui. Una volta arrivato, fingi un guasto al motore. Se quello è un tipo losco, sicuramente ti aiuterà»-
«Ma cosa cavolo vai dicendo? Perché mai dovrebbe aiutarmi?!».
«Sveglia! Perché non vuole che tu rimanga troppo vicino casa sua. E’ indice di chi ha qualcosa da nascondere».
Rimase a fissarmi come un perfetto imbecille per circa quindici secondi, poi si diresse dove gli avevo detto e poco dopo tornò con l’auto. Si fermò a venticinque metri dalla casa e finse un guasto al motore, esattamente come gli avevo detto.
Attendemmo. Chissà. Se avesse abboccato, metà del lavoro sarebbe già stato ultimato.
E infatti abboccò. Sì, abboccò senz’amo. Doveva essere un dilettante, o uno spiantato. Un criminale serio non avrebbe mai abboccato a quella farsa. Forse sarebbe uscito fuori e sarebbe insorto in minacce e allora Flavio sarebbe dovuto mettersi a spingere l’auto per dieci isolati pur di uscire dal raggio d’azione della pistola del killer, ma forse stavo fantasticando, o magari stavo fantasticando troppo.
«C’è qualche problema?» chiese con tutta la gentilezza del mondo uscendo dal vialetto.
«La calotta dello spinterogeno … fa i capricci e io non sono un buon meccanico … lei se ne intende di motori?».
«C-come no? Io sono un grande esperto, lasci fare a me». Era talmente convinto che Marlon Brando gli avrebbe conferito l’Oscar alla recitazione.
Notai un rigonfiamento all’altezza del fianco sinistro. Feci segno a Flavio del fatto che l’uomo avesse una pistola. Svicolai nell’oscurità, mentre il nostro uomo teneva la testa nel cofano dell’auto, ed arrivai sul retro della casa. Una piccola finestrella, abbastanza larga per far entrare un adulto. Aveva un vetro incrinato ed un altro completamente rotto, ma comunque riuscii ad entrare senza uccidermi.
Vidi Cristian, un bambino dai folti capelli neri e dal fisico minuto. Dormiva legato e imbavagliato. Bastardo. Avrebbe pagato tutto, come avrebbero pagato tutti i criminali del mondo, compreso il Fuoco Re. Sì, un giorno avrebbero pagato, per tutto. Per mio padre e per la moglie di Flavio. Per i reati e per l’uccisione di vittime innocenti. Prelevai Cristian. Doveva essere sotto l’effetto di sonniferi, dormiva pesantemente. La casa era piena di prodotti del mostriciattolo. Forse voleva tenerselo buono, ma lo avevo fatto addormentare per paura di qualcosa. Probabilmente aveva cominciato ad urlare o qualcosa del genere.
Uscii dalla finestra in modo sontuoso, quasi stilistico, ma mentre stavo per incamminarmi il caso volle che l’uomo si voltasse e scoprisse tutto. Subito impugnò la pistola, ma mi rifugiai dietro la casa. Flavio andò invece dietro la parte opposta della macchina, ma sapeva benissimo che quella copertura non sarebbe durata a lungo. L’uomo cominciò ad urlare all’impazzata e mi stupirei certamente se un giapponese mi dicesse un giorno di non averlo sentito.
«Cosa diamine fate! Bastardi! Bastardi!» urlò facendo esplodere tre colpi di pistola nell’aria. Non fece in tempo però. L’ispettore Ducato e un’intera squadra di poliziotti sbucò dal nulla e aggredì fisicamente l’uomo. Un poliziotto lo avvolse con un placcaggio in stile NFL, un altro gli mise le manette.
«Ispettore» disse confuso Flavio «cosa ci fa qui?».
«Merito di Bianca e Andrea. Hanno pensato di avvertirci che eravate in una posizione  … ecco … un po’ scomoda».
«La mia bambina!» affermò con fierezza Flavio «tutta suo padre, non è vero?» disse con poca modestia.
«Sì … come no?» riuscì a dire Ducato senza offenderlo. Aveva una faccia talmente poco convinta che la sua bugia fu notata da tutto il corpo poliziesco presente all’operazione.

CAPITOLO IV – La decisione

Tre giorni dopo, Cristian venne a trovarci con sua madre e fece la nostra conoscenza in circostanze normali. La signora Falsopiega ci ringraziò all’inverosimile e dispensò abbracci, sorrisi e addirittura un bacio sulla guancia di Flavio che, per tutta risposta, arrossii diventando della stessa cromatura di un peperone.
Dopo poco se ne andarono e così rimanemmo di nuovo soli. Io e Flavio. Flavio ed io.
«Ho visto che sei arrossito … hai capito … non ti avevo mai visto nelle vesti di latin lover» iniziai.
«Smettila, non fare il maleducato».
«E dai, sto solo dicendo che in confronto a te, Clark Gable era un dilettante». Perdonami Clark.
«Finiscila, non sono in vena».
«Su, l’abbiamo capito tutti che il capello impomatato, il sorriso brillante e l’abito da showman di quart’ordine servono per far colpo, su, su … » lo provocai facendogli spallucce.
«E la vuoi piantare?! Lo sai bene che mi vesto sempre così!».
«Ok, se lo dici tu … » affermai appoggiandomi alla scrivania. «Ascolta, hai pensato a quello che ti ho detto qualche giorno fa?».
«Credimi figliolo, non ho avuto nemmeno il tempo di farmi la barba. Puoi vederlo benissimo».
«Già … be’, senti ti rinfresco la memoria … ».
«A proposito di rinfrescarci … prendimi una birra dal mini frigo per favore». Già, Flavio aveva fatto installare di recente un minifrigo. L’aveva posizionato vicino alla porta. Non era tanto “mini”, visto che era alto circa un metro e venticinque e poteva contenere almeno settanta litri. Gli presi una “Beck’s”, la sua preferita.
«Favorisci ragazzo?».
«Sai che non bevo» risposi. Mi sedetti sul divano e riattaccai a parlare, mentre Flavio posava le sue labbra sul riparto metallico che serviva per bere.
«Allora, quel fatto dell’altro giorno … quello del Fuoco Re …».
Smise di bere e mi guardò storto. «Stop. Basta così o me ne vado».
«Aspetta! Che fai? Te ne vai senza sentirmi?».
«Non ho bisogno di sentirti. Mi sono già scottato e non voglio farlo ancora, lo ripeto».
«Ma è nostro dovere e poi … ».
«Non è … nostro dovere. E’ solo una tua stupida convinzione».
«La mia, come la chiami tu, “stupida convinzione” è motivata dal fatto di aver perso un padre in modo schifoso. E dovresti sentirti ferito anche tu!».
«Io mi sento ferito!» disse urlando. «Ma sono anche razionale e sono conscio del fatto che noi due da soli, non possiamo combattere quel clan! Lo capisci questo?».
«Lo capisco» risposi alzando lievemente il tono della voce «ma non ti sto chiedendo di andar lì a fare sparatorie, agguati e appostamenti. Ti chiedo solo di collaborare con la Giustizia,chiaro? Che so? Raccogliere informazioni, essere a conoscenza di quello che fanno, cercare di scoprire la verità sul loro clan, aiutare la polizia e … ».
«E cosa? Vuoi finire arrostito?».
«Diamine, no! Ma è una questione di principio Flavio! Un giorno verranno catturati e su quella cattura ci dovrà essere anche la nostra collaborazione! Cavolo, sono inseguiti dalle polizie di ogni paese del mondo. Hanno ricevuto agguati da corpi polizieschi di piccole e grandi città. Come puoi dire che sono invincibili? E cosa mi dici di quel bambino? Sì, Cristian. Quel folle l’ha rapito perché era un pedofilo del cavolo. Quando ho prelevato quel bambino da quell’abitazione … mi è venuto in mente il nostro problema. Ho pensato a quello che hanno fatto a mio padre, quello che hanno fatto a tua moglie. Devono pagare, marciranno in galera e voglio essere uno di coloro che li assicurerà al loro destino già scritto. Io non c’ho mai creduto al destino, ma il loro è già scritto ed ha come epilogo la galera».
Flavio mi fissava con la lattina in mano e un’aria sorpresa. Poi posò la lattina sulla scrivania e mi mise una mano sulla spalla.
«E’ questo che vuoi ragazzo? Vuoi svegliare il clan che dorme?».
«Non era il “can”?».
«L’hai capita, mi auguro».
«Voglio solo Giustizia».
«L’avrai, sono con te».
Quella notte non dormii, un capitolo della mia vita si era chiuso, ora ne iniziava un altro mirato alla Giustizia.

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