Statistiche del Blog

sabato 1 ottobre 2011

Alex Fedele: La leggenda del gabbiano nero(stagione 1; episodio 7) 1°parte


LA LEGGENDA DEL GABBIANO NERO(1°parte)




PROLOGO: Una leggenda maledetta aleggia sulla famiglia dei Pelviani. Un rapace crudele, si diverte a strappare alla vita, uno dopo l'altro, tutti i membri della famiglia. L'apparenza inganna, e quando vedi un oasi nel deserto, al 90% è una allucinazione. E' ciò che accade ad Alex in questo episodio. I Pelviani hanno qualche segreto ... ma qual'è? E cosa c'entra con la maledizione che da anni tormenta i membri di questa famiglia?



CAPITOLO I – Una storia poco chiara

L’odore delle sigarette pesanti fumate da Flavio, fluttuava nell’aria. Bianca si era lamentata tante volte di quella insostenibile puzza che avvolgeva l’ufficio in un abbraccio di vapore. Eppure a Flavio, come potrete certamente immaginare, non importava un bel nulla. Era il suo ufficio, faceva quel che voleva e se voleva passare la giornata chiuso a fumare sigarette su sigarette poteva farlo. Flavio era così. In quanto a me, non mi dava molto fastidio la puzza di fumo, ma avevo una sorta di avversione per le sigarette. Non mi erano mai piaciute. Ricordo che quando ero piccolo e mio padre fumava sul balcone di casa, mia madre gli andava dietro e lo rimproverava continuamente. Lo tormentava tanto da costringerlo a buttare la sigaretta che stava fumando. Ma poi finiva in un bacio, in un abbraccio. Mi mancano quei momenti.
Quel pomeriggio non avevamo niente di particolare da fare. Flavio fumava, Bianca leggeva delle riviste in salotto, mio fratello Andrea era in camera sua perché non voleva perdersi la maratona di cartoni animati, mentre Fabio era uscito e Sergio se ne stava in ufficio ad ordinare le pratiche. Nemmeno io avevo niente da fare. Decisi di staccare un po’, di non pensare per almeno qualche ora ai casi da risolvere, al PSD, o a qualunque cosa avesse a che fare con quello che sarebbe poi diventato col tempo il mio lavoro effettivo.
Me ne stavo quindi anch’io in salotto, seduto sulla poltrona opposta a Bianca e leggevo dei quotidiani sportivi. Mi appassionava lo sport, in particolare il calcio, ed ero tifoso della Juventus, una squadra capace di conquistare ben ventinove scudetti con campioni come Del Piero, Platini, Sivori, Scirea e quant’altro.
«Vuoi un po’ di tè freddo Alex?» Bianca si era alzata. Aveva riposto il libro che stava leggendo sul bracciolo della poltrona.
«Sì, grazie. Molto volentieri» risposi sorridendo.
Mentre Bianca andava in cucina, le idee su di lei si moltiplicavano. Ero sempre stato un ragazzo che aveva avuto poco tempo di pensare all’amore. Avevo diciotto anni ed avevo avuto una vita abbastanza piena. Non mi lamentavo, sia chiaro. C’era gente che aveva sofferto di peggio, ma non si può dire che la mia esistenza fosse stata una passeggiata fino ad allora. Da quando ero a casa Moggelli, devo dire che avevo riacquistato una serenità che a Fondi, mi era mancata. E pensare che all’inizio temevo che le cose potessero peggiorare. Passare da Fondi, cittadina di trentacinquemila abitanti a Torino di quasi un milione era all’apparenza incredibile. Eppure era solo questione di abitudine.
«Grazie mille» disse prendendo il bicchiere di tè freddo che mi era stato offerto.
«Nulla» disse Bianca rimettendosi il libro in mano e sorseggiando dal bicchiere.
«Dimmi un po’» inziai «che libro è?».
«E’ la biografia di quel famoso scrittore, Ferdinando Magorni»
«Aspetta … Magorni chi?».
«Hai presente quell’uomo che l’altra sera a quel talk show in seconda serata? Quello con i capelli biondi e la barba incolta»
«Ah Capisco. Non è quello al quale è stato rapito anche un figlio in gioventù?»
«Esatto» disse chiudendo il libro in modo appassionato. «Pensa che rapirono suo figlio Pietro quando aveva solo due anni. Non lo vide per ben tre anni. I rapitori non chiesero nessun riscatto. La polizia riuscì a scoprire la dimora del criminale solo intercettando una sua chiamata»
«Sì, sì. Verissimo. Me lo ricordo questo caso di cronaca. Il padre del bimbo fu ripreso mentre riabbracciava il suo bambino. Ebbe un pianto continuo» dissi annuendo.
«Lo credo bene. Ma poi come si fa a volere del male ad un frugoletto di due anni?»
«Non lo so proprio. Al mondo esistono tante persone malate. Probabilmente il cervello gli si era fulminato»
«Hai proprio ragione»
«Una volta accadde qualcosa di simile anche nella mia città natale»
«Davvero?»
«Sì, certo. Un figlio di un assessore comunale fu rapito mentre suo padre e sua madre erano a lavoro»
«Lo ritrovarono?»
«Be’ Bianca, ci vollero ben cinque anni. Il bambino era stato portato da Fondi fino a Latina. Dista alcuni chilometri.  Era rinchiuso in una baracca di legno abbandonata in campagna. Al momento del ritrovamento del corpo, il rapitore non c’era. La polizia fece estenuanti appostamenti e dopo ben quattro giorni gli tese una trappola»
«Hanno ri- ritrovato il corpo?»
«Già»
«Vuol dire che è morto?»
«Purtroppo sì. Il criminale ebbe la crudeltà di picchiarlo ed il bambino, avendo solo quattro anni non poté difendersi»
Un velo di lacrime si dipinse negli occhi di Bianca. Quella ragazza aveva una sensibilità incredibile. Alcune sere prima si era commossa per un film romantico. Ok, forse nelle ragazze era normale, ma Bianca aveva un’emotività decisamente anormale. In quel poco che era passato dal mio trasferimento l’avevo vista commuoversi tantissime volte. Suo padre naturalmente, le dava della sciocca, della bambina.
«No, no, adesso non piangere. Non era mia intenzione bianca» dissi avvicinandomi a lei.
Per tutta risposta si asciugò le lacrime con le mani. «Sei uno stupido lo sai?» disse sorridendo nel pianto.
«Ah, bene. Questa sì che è una bella notizia!» dissi ridendo.
Scoppiò in una mezza risata. «Non piangevo per te naturalmente. Piango per quel povero bimbo. Come si può picchiare una creatura indifesa?»
«Non lo so proprio. Devi avere una mente malata»
In quel momento scese Andrea. I suoi piccoli passi sulle scale che portavano al piano di sopra rimbombarono nell’aria.
«Ciao fratellone. Da quando sei tornato?»
«Da circa mezz’ora»
«Hai trovato quella cosa?»
«Certo che sì» dissi porgendogli le figurine che mi aveva chiesto. Mio fratello faceva l’album delle figurine di qualche strano cartone animato di mostri o qualcosa del genere.
«Grazie fratellone» disse abbracciandomi e sedendosi sulle mie ginocchia. Poi si voltò verso Bianca, vide che aveva gli occhi arrossati.
«Bianca, che cos’hai? Chi ti ha fatto piangere?»
«Nulla di grave piccolo. Tuo fratello è proprio un birbante»
«E’ stato mio fratello a ridurti così?»
«Sì, sì. Picchialo su» disse ridendo.
Mi diede un piccolo buffetto sulla guancia sinistra.
«Sta mentendo! Aiuto!» scherzai fingendo dolore.
«Ciao ragazzi, come va?» Fabio entrò dalla porta riponendo sull’appendiabiti il suo giaccone di pelle.
«Tutto ok, tu» rispondemmo in coro.
«Oh, tutto bene. Ho incontrato una ragazza … solo Alex può capirmi!»
«Perché io scusa?» chiesi.
«Dico, ti sei guardato intorno? In questa stanza ci sono quattro persone. Due uomini, che saremmo noi, un bambino ed una ragazza che non appena vedrebbe la mia nuova fiamma la troverebbe inadatta a qualcosa»
«Non è vero!» disse Bianca sorridendo.
«Oh sì che lo è. Non ricordi la mia ex ragazza? Quella che portai a cena poco prima di partire? Era bellissima ma tu la giudicasti subito male»
«Se l’ho fatto è solo per il tuo bene! Non essere ingrato!»
«Sì, come vuoi. Ascolta Alex, posso parlarti un attimo?»
«Intendi me? A proposito di cosa?»
«Non fare troppe domande. Vieni in cucina e parliamo»
«Capisco. C’è qualche problema?»
«Nulla, nulla. Solo qualche consiglio. Niente di grave»
«Sei sicuro?»
«Insomma. Vuoi seguirmi in cucina? Oppure devo rivolgermi a mio padre che mi farà la solita paternale?»
«Ok. Torno subito»
«Ah, ragazzi, un’ultima cosa» disse Bianca richiamando la nostra attenzione.
«Sì?»
«Non vedo uomini qui!» disse scoppiando in una risata.
«Molto spiritosa» disse Fabio in segno di stizza.
Una volta arrivati in cucina, Fabio si sedette sul divanetto ed io feci lo stesso accomodandomi vicino a lui.
«Allora. Di che mi volevi parlare?»
«Si tratta di quella ragazza»
«Ti piace eh? Come si chiama?»
«Il suo nome è Martina. Di cognome fa Tulberi»
«Capisco. L’hai incontrata dove?»
«Be’ecco. Era in biblioteca. Io ero andato lì per consultare alcuni libri della mia facoltà. Trasportava almeno dieci libri in mano e così mi sono offerto di aiutarla»
«E lei?»
«Lei ha rifiutato, ma poi l’ho convinta. Mi ha detto di essere figlia di un noto industriale che lavora all’estero»
«Ok. E quindi?»
«Quindi volevo parlare con te per sapere cosa fare»
«Non vorrei essere indiscreto Fabio» dissi passandomi una mano tra i capelli. «Ma io ho diciotto anni. Tu ne hai ventuno. Se c’è qualcuno che dovrebbe darmi consigli con le donne quello sei tu»
«Non direi, visto i risultati»
«Ma scusa, quali risultati?»
«Quelli che ottieni con il tuo … carattere particolare?»
«Ma di cosa stai parlando?» dissi mentre mi veniva da ridere. «Cos’hai fumato prima di arrivare qui?»
«Mai stato così sobrio amico mio» disse sorridendo e dandomi una pacca sulla spalla.
«Mi dispiace, ma non posso aiutarti. Non ho la minima idea di cosa tu stia parlando»
«O fai finta?»
«Ma finta di cosa? Ma vuoi scherzare?»
«Possibile che tu non te ne sia accorto?»
«Ma di cosa?» chiesi spazientito. «Davvero amico, non di cosa tu stia parlando»
«Ok, sappiamo tutti quali sono i tuoi difetti no? Sei testardo, troppo audace a volte, non stai mai zitto sulle cose che possono darti fastidio ma … »
«Ma?»
«Non so come, ma questi tuoi difetti piacciono alle donne!»
«Ahahah! Ma cosa diamine dici?» dissi ridendo
«Non l’hai notato? Eppure da una mente acuta come la tua, che risolve i casi più difficili con facilità, mi sarei aspettato più brillantezza»
«No, dai sinceramente. E’ uno scherzo?»
«Ti sembro uno che scherzo?»
«Sinceramente?»
«Ok, lascia perdere. Mi aiuti sì o no?»
«Se solo capissi di cosa hai bisogno, molto volentieri»
«Ok. Mi servono i tuoi consigli per conquistare Martina»
«Io non so niente sulle donne! Come devo fartelo capire?»
«Ah no? Quando ad una ragazza cade qualcosa per la strada, tu fai sempre il galante. Attui una tattica particolare. Non è belo volersela tenere tutta per sé lo sai?»
«Oh mio Dio. Io non adotto nessuna tattica! Sono fatto così! Sono solo buone maniere. E adesso se vuoi scusarmi, devo tornare a leggere»
«Altra tattica vero? Hai sondato ed ora stai cercando di raccogliere vero? Non avrai rimproveri da parte mia, sappi che sono per te. Dovrai solo affrontare mio padre. Ma credo ce la farai»
«Cosa?»
«Bianca no?» disse abbassando la voce
«Cosa c’entra Bianca?»
«Lo sai che sei un grande attore?»
«Lo so, mi ha chiamato Brian De Palma e vuole offrirmi una parte in uno dei suoi film. Diamine, che stai dicendo?»
«Sei qui da quando? Da pochissimo no? E hai già fatto colpo su mia sorella! E per questo che sto chiedendoti consigli».
«Ok, ora posso esserne certo»
«Di cosa?»
«Che sei tutto scemo!»
«Non vuoi credermi? Scusa, perché non provi a ragionare? Hai notato che ogni volta che siamo a tavola serve per primo te?»
«Stupidate»
«No, che stupidate? Facciamo un altro esempio ok?»
«D’accordo. Spara»
«In ogni discussione, in ogni diverbio, in ogni piccola esitazione, lei da ragione a te. Anche quando hai a che fare con nostro padre. Ti aiuta sempre e … »
«Alt!» lo fermai prima che potesse continuare a sparate stupidate per tutta la vita «E’ solo una tua immaginazione. E’ gentile anche con te»
«Sì, ma non guarda me come guarda te. Capisci che intendo?»
«Per niente. Ma se il fatto che io comprenda qualcosa del tuo contorto discorso possa aiutarci a concludere questa conversazione qui … allora posso dire che ho capito»
«Non fare lo gnorri con me Alex! Sii sincero. Non ti sei mai accorto che ti guarda in modo diverso?»
«Ma la vuoi finire di farti i film? Chissà quanti ragazzi ha che gli piacciono. Tra scuola, pallavolo e cose varie»
«Sarà … ma non c’è chi sordo di chi non vuol sentire»
«In questo caso il sordo ha l’apparecchio acustico e sente benissimo»
«Sarà. Se lo dici tu … »
Ok. Ammetto che quella conversazione non fu del tutto inutile. E ammetto, anche se solo con voi, che probabilmente fu una delle più interessanti della mia vita. Negli ultimi tempi avevo imparato ad apprezzare Torino. Avevo imparato ad apprezzare Flavio e Fabio. Ero riuscito a trovare dei lati positivi persino nell’ispettore Ducato. Ma se c’era una cosa sulla quale non mi ero sforzato nel trovare cose che fin da subito mi piacessero … quella era Bianca.
La voce di Flavio risuonò nell’aria come un proiettile. Proveniva dal salotto.
«Dov’è quello scansafatiche?» Sicuramente ce l’aveva con me. Gentile non è vero?
La voce di Bianca rispose «E’ in cucina con Fabio»
«Bene. Due scansafatiche in uno. Abbiamo fatto tombola»
Dalla cucina uscimmo sia io che Fabio. Trovammo Flavio con un foglietto di carta in mano. Probabilmente l’aveva strappato alla sua agendina. Lo teneva in mano, lo rigirava, poi lo riguardava e lo rigirava ancora.
«Mi hai chiamato?» chiesi.
«Diciamo di sì. Hai intuito ultimamente»
«Visto?»
Mi sedetti sulla poltrona. Fabio fece lo stesso. Bianca era rimasta esattamente com’era stata lasciata, con la differenza che non aveva più Andrea sulle ginocchia. Mio fratello e i suoi cartoni.
«Allora cosa c’è?» chiesi insistentemente.
«Chiariamoci. Non volevo questo incarico. Ma poi la voce al telefono si è fatta struggente e allora … sai come sono fatto»
«Già. Di cosa si tratta?»
«Non mi ha spiegato chiaramente. C’era una voce da donna dall’altro capo del telefono che dicevano di volere la nostra protezione per una maledizione»
«Una maledizione?» chiese Bianca impaurita.
«Proprio così. La donna ha detto che i membri della sua famiglia credono che una maledizione li perseguitino. Lei ha detto di voler dimostrare che non è vero. Ed ha scelto noi per farlo»
«Quindi» presi a parlare. «Ci ha chiamati una donna per dirci di dover vigilare sulla sua famiglia perché incombe una maledizione?»
«Esatto. Che ne pensi ragazzo?»
«Penso che se hanno chiamato un motivo ci sarà»
«Non andate!» la voce di Bianca risultò essere piuttosto agitata.
Sia io che Flavio che Fabio, ci girammo verso di lei e la guardammo con gli occhi strabuzzati.
«Perché mi guardate così?»
«Figliola, perché non dovremmo andare?»
«E … se la maledizione incombesse poi anche su di noi?»
«Ma non dire sciocchezze! Le maledizioni non esistono. Sono solo raccontini che fanno per spaventare creduloni come te!»
«Non è vero! La magia nera esiste. Le maledizioni pure. Tu cosa ne pensi Alex?»
«Stento a crederlo ma sono d’accordo con Flavio. Le maledizioni non esistono a questo mondo. Tutto ciò che accade è spiegabile con razionalità»
«Ed ecco una delle tue frasi ad effetto. Pensi di essere in un film?» Flavio e i suoi sorrisini stentati.


CAPITOLO II – I Pelviani

La famiglia Pelviani viveva fuori città. In una villetta di campagna insediata in mezzo a tanti alberi secchi e colmi di sterpaglie. Non era esattamente la casa dei miei sogni all’apparenza. Per arrivare all’abitazione bisognava percorrere una lunga strada stretta e attraversare le insenature della campagna. Successivamente bisognava attraversare un ponte, uno di quei ponti vecchio stili, fatti di corde rattoppate centinaia di volte. E’ un miracolo come quel giorno la macchina non cadde nel vuoto mentre la percorrevamo. Successivamente, dovevi attraversare un’altra decina di chilometri nei quali si avvicendavano alberi storpi,erbacce, fiori appassiti e verde poco curato, per arrivare in una sorta di piccolo boschetto. Dopo il boschetto c’era questa villetta color salmone che spadroneggiava con tutta la sua imponenza in quel luogo lugubre e decisamente poco raccomandabile.  In macchina c’eravamo io, Flavio, Bianca,  Andrea e Fabio. Sergio non venne. Rimase in ufficio a svolgere il suo lavoro di riordinare le pratiche.
Non appena arrivammo alla fine del boschetto, trovammo davanti alla soglia della porta, schierata come una squadra di calcio, la famiglia dei Pelviani. Erano tantissimi e ci avevano dato appuntamento verso le sei della sera. Avevano detto di stare attenti perché in quella zona a quell’ora c’era poca visibilità. Non per offendere, ma credo che  la poca visibilità ci sarebbe stata anche se fossimo andati alle sei del mattino.
Parcheggiammo in una piazzola dove erano riposte anche altre macchine. Una Chevrolet, un Maggiolino e vidi anche una Mercèdes. Dovevano passarsela piuttosto bene quei tizi. Scendemmo dalla macchina. Ci stiracchiammo per il viaggio e una donna sulla sessantina, con capelli bianchi e vestiti a dir poco funerari ci venne subito incontro.
«Sono contenta abbiate accettato il mio invito signor Moggelli» esordì. Aveva la voce roca e spezzata dalle fatiche degli anni.
«Di nulla signora, si figuri. Allora … »
«Cominciamo le presentazioni» lo interruppe la signora.
«Mi chiamo Celine Maiori, in Pelviani». Poi continuò a parlare.«Quei due ragazzoni lì di fronte la casa sono i miei figli. Roberto e Franco. Sono arrivati quasi insieme. Roberto qualche ora prima a dir la verità, ma Franco ha portato i biscotti della pasticciera. Sono due cari ragazzi!» disse indicando due uomini. Il primo aveva all’incirca quarant’anni. Me l’accorsi dalle rughe che gli solcavano il viso. Il secondo era nettamente più giovane. Non doveva avere nemmeno trent’anni. Per essere fratelli erano completamente diversi. Roberto, il quarantenne, aveva i capelli castano scuro, abilmente pettinati. Era rasato e sembrava appena uscito da una festa. Franco invece, il secondogenito possedeva un aspetto ben più che trasandato. Aveva lunghi capelli ricci biondi, la barba lunga che definire incolta sarebbe stato usare un gentile eufemismo.
La vecchietta continuò «Poi c’è mio nipote con sua moglie. Si chiamano Nestore e Lucia» disse indicando un uomo della stessa età di Roberto con dei capelli brizzolati ed una donna più giovane con dei capelli rossicci.
«Poi quell’uomo laggiù che vedete vicino alla porta» disse indicando un robusto figuro appoggiato con la spalla contro il cornicione «è mio genero Enrico, il fratello del mio ormai defunto marito. Mentre quei ragazzi dietro Nestore sono la ragazza del mio Franco, Eva, e il migliore amico dei miei figli, Salvo» concluse indicando una ragazza con dei folti capelli neri ed un ragazzo calvo con gli occhiali. Erano molto giovani.
Dopo le dovute presentazioni, ebbe la dignità di chiedere a Flavio: «Chi sono questi ragazzini?»
«Due di loro sono miei figli, mentre quegli altri due sono due nostri amici. Uno di loro è un detective mandato alla mia agenzia per un progetto ministeriale. Ma è una storia lunga signora, non voglio annoiarla» Bella presentazione eh? Ricca di particolari. Devo annotarmi di complimentarmi con lui.
Entrati in casa, la signora Celine ebbe la straordinaria idea di farci cenare.
«Ma signora, sono solo le sei e trenta del pomeriggio»
«Signor Moggelli» fece lei girando il capo verso destra «L’ho ingaggiata per la sua esperienza. Ma questa è casa mia e si fa come dico io. Si cena tra cinque minuti. E’ chiaro?»
«Chiaro» Flavio ingoiò la pillola.
Ci sapeva fare la nonnetta. Niente male. Forse avrebbe avuto successo in politica. Chissà.
Cinque minuti dopo tutta la famiglia Pelviani, noi compresi eravamo accomodati in sala da pranzo, una larga e grossa stanza dipinta di un rosaceo acre e molto pallido. La signora Celine aveva cucinato per tutti. Non so dire bene cosa fosse. Avevo una fame da lupi. Ma probabilmente era stufato di verdure con dei pezzi di pane all’interno. Qualcosa del genere insomma.
«Veniamo al motivo del mio ingaggio signora» chiese Flavio.
«Certo signor Moggelli, certo» fece lei sedendosi. «Prima di cominciare, vorrei dire che io l’ho convocata qui senza il consenso dei miei familiari. Loro erano assolutamente contrari al suo ingaggio»
«Ah davvero? E perché mai?» chiese Flavio guardando la folla.
«Perché non volevano che un estraneo mettesse becco nelle cose di famiglia» rispose l’arzilla signora. «Mi ascolti. Il motivo per il quale ho riunito tutti qui è dovuto alla mia voglia di andare in pensione. Come le ho accennato a telefono, sono la CEO di una grande azienda a livello nazionale che si occupa di catene alimentari. Ho sessant’anni e non ho più il fisico per occuparmi di queste questioni delle quali ormai mi occupo da più di trentacinque anni. Perciò ho convocato tutta la mia famiglia qui per eleggere un nuovo CEO che guidi l’azienda come ho fatto io in tutti questi anni»
«Capisco signora. Ma ignoro ancora il motivo del mio incarico»
«Vede, detective. Sulla nostra famiglia sembra aleggiare una stupida maledizione»
«Non è stupida» Franco, il secondogenito aveva parlato.
«Stai zitto figliolo. Come le stavo dicendo detective, c’è questa leggenda di questa maledizione che dice che ogni dieci anni in una precisa data uno dei componenti della nostra famiglia debba essere ucciso da un gabbiano nero»
«Mi perdoni» dissi «Da un gabbiano nero?»
«Sì figliolo, da un gabbiano nero»
«Mi scusi, ma com’è possibile?»
«E’ una vecchia storia. Dovete sapere che mio marito, quando era in vita era un inguaribile donnaiolo. Un giorno mi tradì con una donna più giovane di me. Stiamo parlando di circa vent’anni fa, quindi è passato molto tempo.»
«E cosa c’entra il gabbiano signora?» chiese Flavio.
«Mi lasci finire detective»
«Oh, certo. Chiedo scusa»
«Mio marito ebbe un rifiuto da quella giovane e abusò di lei in modo piuttosto violento. Alcuni giorni mio marito fu aggredito in un hotel nel quale si trovava per lavoro da un gabbiano nero. Non resistette e morì per tagli alla gola, recisioni di arterie e cose varie nelle quali voi investigatori privati sguazzate»
«Ok, ma perché proprio un gabbiano?»
«La stampa cominciò a dire che mio marito aveva sulla gola dei segni simili a dei piccoli artigli. Così si formò la leggenda del gabbiano nero. Si dice che quella donna si sia reincarnato in quel volatile»
Gli sguardi di tutti i presenti si abbassarono. Bianca rabbrividì. Me lo accorsi perché eravamo seduti vicino e la sentì deglutire in modo nervoso.
«Poi dieci anni fa fu ucciso anche mio figlio. Il mio primogenito» disse la signora. «Si chiamava Maurizio ed era davvero un bravissimo ragazzo. Anche lui morì in circostanze simili a quelle del padre. Inutile dirvi che la stampa farneticò anche su quello»
«Mi dispiace molto signora» aggiunse Flavio.
«Non deve detective. Le persone sono un po’ come i film. Iniziano, hanno i loro momenti al vertice e poi si concludono»
«Mi scusi, ma perché ha scelto questa data per chiamare il detective?» chiesi candidamente.
«E’ ovvio ragazzo. Voglio dimostrare alla mia famiglia che, pur essendo tutti riuniti, la maledizione è solo una gigantesca panzana fatta per attirare i creduloni».
«Chiaro» Hai capito la nonnetta.
Passammo il resto della serata in modo abbastanza tranquillo. La famiglia Pelviani godeva di un’ottima reputazione alle orecchie altrui, ma era la classica famiglia che si vede nei telefilm. Sincera, piena zeppa di problemi e con dei componenti a dir poco bizzarri. La tensione salì verso la fine della cena. Franco Pelviani, terzogenito di Celine e Enrico, fratello di Rocco Pelviani, capofamiglia ucciso dalla leggenda, ebbero una discussione piuttosto colorita. Tutto nacque quando Enrico sentì dire sottovoce queste parole da suo nipote: “l’azienda sarà mia”. L’uomo cominciò a sbraitare ed ebbe,secondo me, una reazione decisamente eccessiva. Le urla si sentirono anche nel paese affianco, gli sguardi dei due si fecero di fuoco con Enrico che accusava suo nipote di essere interessato solo al lavoro di CEO della famiglia e a null’altro. Dal canto suo, Franco, sosteneva che lo zio era venuto di nuovo in Italia dopo ben cinque anni in America, solo per questioni di interesse. Insomma, se le cantarono per bene. Tutto questo fino a quando Franco decise di smettere di parlare con quello che fino a poco prima considerava un alleato. Si alzò di scatto dalla tavola e urlò fortissimo la frase “vado nella mia stanza”. A ruota lo seguì anche la sua ragazza, Eva, che cercava quantomeno di farlo ragionare.
«Tutti così questi ragazzini. Credono sia tutto pronto per loro». Enrico si diresse a Flavio che rispose con un imbarazzato “sì”. In realtà non era l’unico in quella condizione. Voglio dire … non era l’unico ad essere imbarazzato. Ci si imbarazzava sempre quando si litigava in famiglia, in modo particolare se non era la tua famiglia.
Finita la cena, la signora Celine aveva proposto di discutere del caso del quale dovevamo occuparci, in salotto. Forse pensava di poterci spiegare meglio cosa fare, forse voleva costituirsi una sorta di base per potersi comportare mentre eravamo lì. Chi lo sa. L’unica cosa che so è che quella sera, alle sette spaccate, non avvenne nulla di tutto questo. Un urlo femminile lacerò il cielo e si digrigno tra le nostre sensazioni. Non era un urlo di gioia o meglio, di euforia. Era un urlo di terrore e proveniva dal piano di sopra, dov’erano situate le camere da letto. Tutta la famiglia, compresi noi, accorse subito. Trovammo la porta della camera che era stata assegnata a Franco completamente spalancata e, la bella Eva, sdraiata con le mani insanguinate accanto al suo corpo.
«Chiamate subito la polizia!» urlò Flavio.
Mi avvicinai al corpo per vedere se respirasse ancora. Purtroppo non ci fu nulla da fare. Eva teneva la testa del suo amato tra le mani e piangeva su di essa come se questo potesse aiutare Franco. In realtà avrebbe sicuramente aiutato sé stessa. Piangere in queste circostanze fa bene. Davvero.
La cosa che mi stupì di quella famiglia è che tutti si commossero. Chi scoppiò in lacrime, chi si lasciò andare ad imprecazioni al cielo, chi si allontanò dalla stanza. Solo, Celine, la madre di Franco era riuscita a rimanere impassibile, quasi come fosse di ghiaccio. Non una lacrima, non una imprecazione, non un sussulto. Sembrava che per lei fosse tutto normale. Strano. Guardava fisso il cadavere di suo figlio.
Flavio si avvicinò al corpo. Io pensai a trascinare Eva. Non poteva stare lì, ci sarebbe stata solo d’intralcio. Franco era morto per una recisione delle arterie del collo. Vicino la gola, quasi all’altezza dell’inizio del busto, c’era un profondo taglio adunco. Non ci spiegammo subito cosa fosse. Poi si avvicinò Nestore, il cugino della famiglia Pelviani e urlò a squarciagola: «Ha la forma di un becco!».


ANTICIPAZIONE EPISODIO 8: Maledizioni e paure, angosce e tormenti, facoltosi nella seconda parte di questo intricatissimo caso. E' davvero il gabbiano nero, l'autore dei delitti nella famiglia dei Pelviani? Venite a scoprirlo con Alex! ALEX FEDELE-EPISODIO 8: LA LEGGENDA DEL GABBIANO NERO(2°parte).
Solo su questo blog, a partire dall' 8 Ottobre. NON MANCATE!

Nessun commento:

Posta un commento

Commenta qui e dimmi che ne pensi!