RAGNI
E FOBIE
CAPITOLO
I – Una morte sospetta
Ero appena uscito dalla doccia.
Avevo l’accappatoio intorno alla vita e me ne stavo in casa a torso nudo mentre
leggevo un giallo firmato dal sommo Arthur Conan Doyle. Quella sera non avevo
alcuna voglia di parlare, volevo stare in pace con me stesso, tranquillo come
non lo ero mai stato. Avevo da poco riposto le bende che mi ero procurato nello
scontro con Turbotti e risolto il caso di Leòn, il maestro di ballo che si era
mostrato in realtà un assassino.
«Papà, io esco». La voce di Fabio
arrivò potente alle orecchie di Flavio.
«Dove vai ragazzo?». Flavio aveva
distolto l’attenzione dal suo abitudinario quotidiano, e l’aveva focalizzata
tutta su suo figlio.
«Esco».
«Con chi, se posso chiederlo?».
Flavio nella versione insistente.
«Non sarà quella Martina?»
intervenni.
«Hai centrato il punto!» esclamò sorridendomi.
«Hai capito il mio figliolo … ».
Flavio si alzò dal divano e cinse le spalle di suo figlio con le braccia. «Sembrava
adesso un bambino e invece ora esce con la fidanzatina».
«Non è la mia ragazza» rispose
quasi disturbato.
«Esci con lei, di venerdì sera …
suvvia, c’è qualcosa, non è vero?». Aguzzando lo sguardo, aveva messo in
imbarazzo Fabio che cominciava ad arrossire vistosamente. Senza contare che ci
si era messa anche Bianca, che, udendo il discorso dalla cucina, era uscita
fuori e aveva cominciato a scrutare suo fratello con uno sguardo a metà tra il
malizioso e il pessimista.
«E tu che hai da guardarmi così?»
chiese sfrontato Fabio.
«Oh, nulla, nulla. Stai solo
attento a non balbettare come l’altra volta» disse non riuscendo a trattenere
una risata.
«A cosa ti riferisci?» chiesi a
Bianca.
«Non dirglielo!».
«E dai, è di famiglia ormai»
disse con il sorriso che le si dipingeva in volto. «Circa un paio di anni fa,
Fabio uscì con una ragazza. Si chiamava Greta. Allora, quando dovevano uscire,
lei era arrivata qui … e appena aperta la porta … ahaha!» non riuscì a
terminare la frase e scoppiò in una copiosa risata.
Mi voltai verso Flavio, che, col
sorriso sotto i baffi, mi disse:
«Appena arrivata qui, quella
povera ragazza vide Fabio balbettare di fronte a lei … risultato: schiaffone
sulla guancia e appuntamento alle ortiche».
«Ero più giovane e anche più
imbecille!» comunicò Fabio.
«Ok» disse Bianca sorridendo.
«Buona serata» aggiunse sempre maliziosamente.
Fabio si allontanò con
diffidenza. Poi il campanello suonò. Ci fu un attimo di silenzio.
«Guai a chi parla» avvisò Fabio
con fare minaccioso.
Ci cucimmo la bocca, e una volta
aperta la porta, ci ritrovammo di fronte una ragazza sulla ventina, a dir la
verità, molto avvenente.
«Buonasera a tutti» esordì
timidamente. «Mi chiamo Martina … sono venuta a prendere Fabio».
«Piacere» dicemmo in coro.
Successivamente, ci presentammo uno ad uno.
Martina, che di cognome scoprimmo
fare Tulberi, era una ragazza davvero molto carina. I lunghi capelli biondi,
chiarissimi, quasi platino, erano la cornice di un viso molto ben aggraziato.
Gli occhietti piccoli, di colore nero, le conferivano profondità nello sguardo.
Indossava occhiali neri ed un rossetto leggero, uno di quei lipstick che
mettono le ragazze giovanissime per rendersi più belle. Aveva un neo
piccolissimo, quasi nobile, sotto l’occhio destro. Era magra, ma su una cosa
non aveva lesinato affatto: Sui gioielli. Ne indossava di molti tipi.
Bracciali, collanine, anelli, orecchini, ciondoli preziosi. Fabio ci guardò un
attimo.
«Ok … noi andiamo» disse. «Papà,
non aspettarmi, torniamo tardi».
«Ok, mi raccomando figliolo».
Avrebbero dovuto passare una
lunga serata insieme. Erano soltanto le sette di sera quando varcarono la
soglia della porta, misero in moto e se ne andarono.
Non passarono nemmeno cinque
minuti e sentimmo di nuovo il campanello. Intanto mi ero rivestito. Inconsciamente,
avevo ricevuto Martina in accappatoio. Forse, e ribadisco il “forse” era stato
un po’ imbarazzante.
«Buonasera, posso esserle utile?»
aveva aperto Bianca.
«Sì, è questo lo studio di Flavio
Moggelli?».
«Guardi, per lo studio si passa
dal retro, ma si può accedere anche da qui, si accomodi».
«La ringrazio».
Una donna sulla cinquantina, con
i capelli rossicci aveva fatto il suo ingresso in salotto. Flavio, era
appoggiato con i piedi sul divano e non si era accorto di nulla.
«Papà! C’è una signora che vuole
parlarti!» lo richiamò all’ordine Bianca.
«Al suo servizio milady!» balzò
in piedi con una velocità incredibile e si mise in posizione militaresca.
La donna finse un risolino, ma
credo si fosse già pentita di essersi rivolta a noi.
«Lei è Flavio Moggelli giusto?».
«In persona. Posso esserle
d’aiuto?».
«Effettivamente sì … avrei un
caso da sottoporle, ma forse è tardi, passo un’altra volta?».
«Non è mai troppo tardi per far giustizia
signora, lo ricordi! Andiamo nel mio studio e parliamone, vediamo cosa posso
fare. Alex, vieni» affermò con un cenno della mano.
Ci dirigemmo verso lo studio. Al
suo interno, c’era ancora Sergio, che svolgeva le ultime pratiche burocratiche
prima di andare a casa. Una qualità che avevo notato in Sergio era la dedizione
al lavoro. Mi disse che l’aveva presa da suo padre, minatore. Mi disse anche
che lavorava diciotto ore al giorno per portare a casa un po’ di soldi e che
loro provenivano da una famiglia davvero molto povera. Qualcuno una volta disse
che la povertà è il più grande dono che può farti un genitore. In parte è vero.
Ti fortifica, ti rende duttile e malleabile alle varie circostanze della vita
senza contare che diventi anche più umile di tutti quei figli di papà viziati.
La donna, vestita con una gonna
viola ed una camicetta bianca, si sedette, e si tolse i grandi occhiali da
sole. Io e Flavio sobbalzammo. Bianca era appena entrata, ed ebbe anche lei la
stessa reazione. Stessa cosa Sergio. La donna dai capelli rossicci, aveva sulla
parte sinistra dell’occhio un livido enorme, causatogli da chissà chi.
«Signora, vuole che le vada a
prendere un po’ di ghiaccio? Ha avuto un incidente?».
«No, le spiego più avanti e …».
Non terminò la frase. Scoppiò in lacrime. Sergio si sedette accanto a lei e
mostrò tutte le sue doti di consolatore. Dopo un paio di minuti, i singhiozzi
lasciarono campo alle parole.
«Non mi sono nemmeno presentata,
vengo in casa sua senza nemmeno dirle il mio nome. Mi dispiace detective. Mi
chiamo Rina Miscio, ho cinquantuno anni».
«Ok, in cosa posso aiutarla?».
«Lei conosce Nino Riccione?».
«Nino Riccione … vediamo … non mi
sembra di aver mai sentito quel nome … mi spiace ma … ».
«Io lo conosco» interruppe
Bianca.
«Davvero? E chi è?».
«Non farmi fare brutta figure,
papà. Nino Riccione è uno dei miei autori preferiti. Avete presente la saga
romantica “Cherry”? E’ lui l’autore di tutti i libri».
«Ah, quindi è uno scrittore?» domandai.
«Scrittore e anche autore di
alcuni sceneggiati televisivi. E’ magnifico» mi rispose esultante.
«Sono contenta che ti
piacciano libri di mio marito» osservò
Rina Miscio.
«Oh! Lei è la moglie del signor
Riccione? Che onore! Io ho letto tutti i suoi libri, ricordo ancora il primo,
quando esordì anni fa. Si chiamava “Baci e Rose”. Ho letto anche l’ultimo, “La
vicenda del sentiero”. Può portargli i miei saluti per favore?».
La signora con i capelli rossicci
abbassò lo sguardo. Si rimise gli occhiali da sole, forse per nascondere le lacrime, che parevano essersi impossessate
di lei.
«Non sarà possibile purtroppo».
«Uh? E perché mai?» chiese
Flavio.
Mio marito è morto ieri sera. Non
abbiamo avvisato nessuno, né stampa, né polizia, si solleverebbe un polverone …
».
Bianca fu gelata da quella
parole. Le si riempirono gli occhi pieni di lacrime.
«Mi scusi, ma perché mai non
avvisare la polizia? Capisco la stampa, ma … » Flavio era disarmato.
«Non mi crederebbero mai!» disse
ricominciando a piangere.
«C-cosa vuole dire?».
«Mio marito è morto per un
infarto, stando al medico di famiglia, ma io credo che ci sia tutt’altra storia
sotto».
«E sarebbe?» domandai.
«Mio marito soffriva di problemi
cardiaci da anni, ma ricordate, nessun parere medico è forte quanto il sesto
senso di una donna. Io so che mio marito è stato ucciso! E so anche i nomi dei
suoi probabili assassini!».
«Vuole
dire che conosce chi ha ucciso suo marito? E’ assurdo!» esclamai.
«Ho
solo dei sospetti … ma se mi rivolgessi alla polizia, passerei per matta. Mi
serve discrezione, ed è per questo che sono venuta qui da lei, nel suo studio.
So che lei è il massimo della professionalità, ha esperienza e validi
collaboratori» disse la donna con gli occhi sognanti rivolgendosi a Flavio.
«La
capisco signora» disse Flavio con le mani giunte. «Ma il referto medico parla
chiaro … è infarto. Suo marito soffriva di questi disturbi?».
«Sì,
mio marito prendeva le medicine per il cuore tutti i santi giorni. Ma il mio
sospetto è che … ».
«Il
suo sospetto è che sia stato indotto all’infarto … non è vero?» le dissi
guardandola negli occhi.
«Indotto
all’infarto? Ma cosa stai cianciando?». Flavio parve non credere alle mie
parole, ma si zittì quando Rina Miscio annuì con discreta solennità.
«Quindi
lei crede davvero» disse Flavio alzandosi dalla sedia della scrivania «che suo
marito sia stato ucciso in questo modo?».
«Quel
ragazzo ha centrato il punto» disse guardandomi. Era la seconda volta che
“centravo il punto” in nemmeno mezz’ora. Stavo cominciando a farci l’abitudine.
«Insomma
detective, vuole aiutarmi sì o no? Sappia che la questione economica non è un
problema. Sono disposta a pagarle qualsiasi compenso».
«Signora,
accetto l’incarico!». A volte è più venale di Zio Paperone.
«A
proposito» interruppi «che cos’ha fatto all’occhio?».
«Oh
… è che sono molto distratta … non ho visto un palo della luce e ho sbattuto
prima di arrivare qui».
CAPITOLO II – Le parole della scrittura
Il
condominio della signora Miscio e del signor Riccione, si trovava in Via Maria
Vittoria. Andammo io, Flavio, Sergio e Bianca. Andrea, mio fratello, non era a
casa. La scuola aveva organizzato una sorta di progetto che durava per tre
giorni. Sarebbero andati nelle campagne di Torino a studiare la natura. Salimmo
al quinto piano di un condominio molto antico a dir la verità. I grandi
colonnati la facevano da padrone, ma all’interno dell’abitazione del signor
Riccione e della signora Miscio, regnava la modernità.
Appena
entrati, ci trovammo di fronte un ingresso molto stretto ed un salottino niente
male. Nel corridoio incluso nel salottino, si andava in camera da letto. Nino
Riccione, era stato coperto da sua moglie con il lenzuolo. Rina Miscio, non
riuscì a trattenere le lacrime. Per intuito, la signora mi sembrava una di
quelle donne che ama suo marito all’inverosimile, e l’avrebbe amato comunque. I
suoi occhi sprizzavano odio, dolore e rabbia mentre ci fissavano. La sua bocca non
lasciava mai uscire frasi volgari, ma ne garantiva altre molto forti. Il fatto
di non essersi creata nessun problema, di essere stata comunque una donna …
“con gli attributi”, di essersi presentata da noi e di aver insistito perché
indagassimo su un caso a suo parere strano … la facevano diventare ai miei
occhi, e spero anche ai vostri, una donna da ammirare.
«Mi
dica signora Miscio» iniziò Flavio dando un’occhiata al cadavere. «Chi
sarebbero i nomi da lei sospettati?».
«Sono
due in particolare. Con entrambi mio marito aveva avuto tensioni negli ultimi
tempi. Il primo è Mirko Dattilo. Era il manager di mio marito. Si occupava di
salvaguardare le sue immagini, di cercare gli editori giusti e di organizzare
tutte quelle cose di carattere burocratico e noioso. Avevano avuto una lite
proprio qui in casa. Mirko se n’era andato su tutte le furie».
«E
il secondo signora? Chi sarebbe?».
«Si
chiama Edoardo Sciti, ha la stessa età di mio marito. E’ il suo migliore amico.
Si conoscono dalle scuole medie e da allora sono sempre stati inseparabili. Il
fatto è che circa due giorni prima che accadesse … » Rina Miscio si fermò un
attimo, toccandosi le labbra, come per serrarle, come per soffocare un grido
misto al nervoso e al pianto. «Ha capito insomma» concluse. «Due giorni prima
comunque» riprese a parlare senza esitazione alcuna «erano addirittura arrivati
alle mani».
«E
lei conosce il motivo di queste liti?» chiesi.
«Con
il suo manager ha litigato per un problema di lavoro. Mirko voleva che lui
svolgesse un progetto che a mio marito non aveva mai convinto. Con Edoardo …
be’ … l’impressione è che si trattasse di qualcosa di grosso. Ho udito solo che
parlavano di violenze sulle donne e cose varie».
«Capisco.
Be’ sarà meglio che li faccia venire qui. Se proprio dobbiamo indagare e loro
sono i due soli sospetti … sarà meglio averli qui».
«Ehi,
queste frasi dovrei dirle io!» mi rimproverò Flavio.
«Ehm
… ok … scusami» dissi esibendomi in un sorrisetto ironico.
Venti
minuti dopo, quando le otto si erano affacciate sul grande orologio a pendolo
che spadroneggiava a destra e a manca nel salone, due uomini, più o meno della
stessa corporatura, entrarono dalla porta.
«Cosa
succede Rina? Ti è accaduto qualcosa?». Un uomo sulla cinquantina, con capelli
castani ondulati, era tutto sudato e aveva la voce tremante.
L’altro
figuro, era certamente più giovane. Indossava una camicia e una cravatta e
portava una valigetta piena di pratiche
sbalzanti. Aveva anche una stilografica appoggiata sul taschino della camicia.
«Ecco
signori» annunciò Rina Miscio. «Questi sono i tizi di cui vi parlavo. Il signore
alla mia sinistra è Edoardo Sciti» affermò indicando l’uomo con i capelli
ondulati.
«Questo
ragazzo dai capelli biondo ramato invece, è Mirko Dattilo, il manager di mio
marito».
Entrambi
ci salutarono con un sorriso.
«Io
sono il detective Flavio Moggelli, lui è Alex, un ragazzo che vive con me. Lei invece» disse puntando l’indice verso
Bianca, «è mia figlia». Salutammo tutti con le consuete strette di mano. Poi
dopo un po’ di silenzio, Mirko Dattilo, cominciò a parlare.
«Scusi
signora Miscio, ma perché ci hai detto di venire qui con urgenza? Ho disdetto
un importante appuntamento di lavoro per venire da lei». Il manager di
Riccione, era senza dubbio una persona particolare. Oltre ad essere molto
eccentrico nei colori, mi parve fosse leggermente effeminato. Non conoscevo i
suoi gusti sessuali, né sinceramente avrei voluto conoscerli, ma fatto sta che
la prima sensazione che mi comunicò, fu proprio quella.
«Il
fatto è» dissi stracciando il discorso e mettendo fine al clima di quiete «che
la signora vi incolpa direttamente dell’omicidio di suo marito, il signor Nino
Riccione».
«Alla
faccia della delicatezza!» mi sussurrò Bianca.
«Nino?
Ma Nino è vivo! Cosa dici ragazzo?».
«Mi
dispiace informarvi» disse Flavio con voce rotta dal sentimento «che Nino
Riccione è morto, stando ai medici, per attacco cardiaco».
Edoardo
e Mirko, rabbrividirono. Quest’ultimo, si lasciò andare sul divano del
salottino, mentre Sciti, si voltò di spalle. Voleva raccogliere le idee.
«E
adesso come faremo con i libri?».
«Mio
marito è morto e lei pensa ai libri? Ma ce l’ha un cuore?». La signora Miscio
si era adirata a tal punto che il colorito del suo viso era diventato
rossastro.
Mirko
non rispose. Edoardo andò subito a farfugliare qualcosa a Rina. Sembravano in
ottimi rapporti.
«Scusate»
domandò Edoardo «perché la signora ci incolpa?».
«Perché
siete gli unici, oltre a mio marito ed io che abbiate le chiavi
dell’appartamento!» interruppe Rina.
«Suo
marito soffriva di cuore! Se ne faccia una ragione!» Mirko sbottò sul divano,
rizzandosi in piano.
«Mio
marito stava benissimo da molto tempo. Uno di voi due lo ha ucciso!». La
signora era decisa ad andare fino in fondo.
«Ok,
ora calmiamoci e stemperiamo i toni» disse Flavio accendendosi una sigaretta. «Ascoltate
signori. La signora Miscio o Riccione, come preferite, ci ha detto che avete
avuto una violenta lite con la vittima ultimamente. Corrisponde a verità?».
«Sì»
sussurrò imbarazzato Edoardo. «Due giorni fa, sono venuto qui. Io e Nino
parlavamo di gusti in proposito di donne. Ad un tratto, lui si è lasciato un
po’ andare con l’alcol e … io anche. Alla fine si è arrivati alle mani. Ma
nulla di grave».
«Anch’io»
disse Mirko sistemandosi la valigetta stracolma di pratiche «ho avuto una lite
con il signor Riccione. Eravamo in disaccordo per un affare. Ma questo non fa
di me un assassino, dannazione!». La voce stridula di quell’uomo era
insopportabile. «Io me ne vado».
«Lei
non va da nessuna parte» gli dissi sbarrandomi di fronte la porta.
«Levati
di mezzo ragazzino! Non sei la polizia».
«Provi
ad immaginare cosa accadesse se dovesse arrivare la polizia. Stando ai racconti
della signora, unico e solo tramite con la vittima, i due sospettati sareste
sempre e comunque voi».
«E
allora?».
«E
allora vi manterrebbero sotto controllo per diversi giorni. Finché non
crollereste. Le do un consiglio. Sbrighiamocela qui, ci faccia indagare come ci
ha detto la signora. Se non troviamo nulla, ok. Ma se lei fugge a priori,
significa che ci sta suggerendo un modo per arrivare al colpevole … ».
«Cosa
vorresti dire sbarbatello?». Questa mi mancava.
«Che
forse le indagini non sono necessarie, se si fugge».
«Ok,
rimarrò qui, ma solo per dimostrare a tutti che io non c’entro niente! Il
signor Riccione soffriva da tempo di cuore!».
Placati
gli animi bollenti, Flavio cominciò ad indagare qua e là. Mi tenne fuori dal
suo iniziale processo investigativo, dicendomi che mi avrebbe chiamato solo
quando avrebbe realmente avuto bisogno di me. Ergo, anzi, deduco, che non mi
avrebbe chiamato mai più, anche a costo di stare una vita senza soluzione. Era
fatto così. Non voleva l’aiuto di nessuno. Che tipo.
Diedi
anch’io un’occhiata al cadavere. Nulla di strano. Sul corpo non c’erano segni
di colluttazione. La camera del signor Riccione era davvero grottesca. Mi aveva
seguito Bianca, che era rimasta ad ammirare tutti i libri scritti da Riccione.
Li guardava ammirata, estasiata. Insomma, le dovevano piacere davvero molto.
Poi
si voltò di scatto, mentre esaminavo il cadavere. Guardavo i polsi, il collo,
le circostanze che avevano portato a quella posizione.
«Non
provi mai impressione?».
«Cosa
vuoi dire?».
«Dico
… chissà quanti ne hai visti … nei casi della tua città anche».
«Mi
dispiace, potresti essere più chiara?».
«Sto
parlando di persone morte, di cadaveri. Non provi … ribrezzo?».
«E
perché? Fino a poco fa Riccione respirava come te».
«Capisco»
affermò accennando ad un sorriso «ma è orrendo fare questo lavoro non trovi?».
«Se
la pensassi come te, non sarei qui, non credi?».
«Io
non ho mai sopportato il lavoro di mio padre».
«Davvero?»
dissi alzandomi e voltandomi verso di lei.
«Già.
Troppi pericoli. Troppe lacrime. E’ disumano».
«Io
invece lo amo. Non c’è cosa più bella che fare Giustizia.»
«Sono
d’accordo ma … insomma non è piacevole avere a che fare con … ma ok, chi vi
capisce è bravo!» disse in tono esasperato.
Rimanemmo
un attimo in silenzio, poi riattaccò a parlare.
«Hai
scoperto qualcosa?
«Forse
…».
Ai
bordi del letto e sul letto stesso, avevo notato una poltiglia biancastra
densa. Non l’avevo toccata. Se era quello che pensavo, forse avevamo completato
metà dell’opera.
«Certo
che Riccione era molto eccentrico» disse Bianca guardandosi attorno.
«Cosa
te lo fa pensare?» le chiesi in tono curioso.
«Be’,
tu non lo conoscevi. Ma io che sono una sua fan, sapevo tutto di lui. Si diceva
che fosse un tipo abbastanza paranoico».
«Davvero?»
dissi posandomi una mano sul volto. «Per esempio?».
«Be’,
aveva un sacco di manie, di paure. Si lavava le mani in continuazione. Si
diceva che portasse sempre del disinfettante nella valigetta e che imponesse
questa regola anche a chi facesse affari con lui. Inoltre, non mangiava niente
che non fosse preparato secondo i suoi ordini. Le verdure ad esempio, dovevano
provenire solo dall’Asia. Spendeva un capitale solo per mangiare come voleva».
«Capisco.
Particolare è dire poco. E cosa mi dici delle sue paure? Hai accennato qualcosa
prima».
«Non
so dirti molto» disse roteando gli occhi. «Aveva però un sacco di paure secondo
la stampa. Prima fra tutti, quella del buio. Poi non sopportava i rumori forti.
Anche i ragni lo infastidivano e qualsiasi tipo di insetto o di rettile.
Quest’ultima fobia ce l’aveva fin da piccolo, pensa un po’».
«Ah
sì?» dissi in tono sospetto, aguzzando gli occhi.
«Dimmi
la verità, Alex. Tu sai qualcosa e non vuoi dirmelo non è vero?».
«Mai
sentito parlare di segreto professionale?» accennai un sorriso.
Mi
guardò male. «No. Tu hai mai sentito parlare di buone maniere?».
«E
dai, non c’entra l’educazione con questo!» le dissi sorridendo.
Rimase
impassibile, a guardarmi negli occhi.
Sotto
il letto, c’era un gran cumulo di polvere. Oltre a quello però, trovammo un
grande indizio. Un telefono cellulare. Probabilmente quello della vittima.
«Ma
questo è un cellulare?» chiese Bianca tenendolo per mano. Glielo presi
immediatamente. Forse ci sarebbe stato d’aiuto.
«Già
… e se leviamo il blocca tasti … ci sono dei numeri».
«Mi
fai vedere?».
«Dopo.
Adesso devo andare da tuo padre!» dissi urlando senza che me ne rendessi conto
e scappando.
CAPITOLO III – Il codice rivelatore
Arrivai
nel salottino. Flavio scriveva sul bloc notes tutto ciò che gli sembrava utile.
«Allora?
Trovato qualcosa?».
«Altroché.
Guarda qui» gli dissi mostrandogli il cellulare tenuto con un fazzoletto per
evitare di lasciare impronte.
«Un
cellulare?».
«Già,
l’ho trovato sotto il letto di Riccione».
«E’
quello di mio marito!» confermò la signora.
«E
allora?» chiese Flavio esitante.
«E
allora, guarda cosa succede se tolgo il blocca tasti». Una serie di numeri
apparve sullo schermo.
«Non
mi dirai che … ».
«La
vittima voleva dirci qualcosa nel momento del decesso. Questo rafforza la tesi
della signora. Non è morto in modo naturale. Qualcuno ha forzato questa
reazione».
Successivamente,
io e Flavio, prendemmo due fogli di carta. Bianca ne prese un terzo. Si improvvisò
detective anche lei. Intanto Rina Miscio e Edoardo Sciti, sembravano sempre più
in confidenza tra di loro. Edoardo le accarezzava i capelli e la confortava.
Tutto questo, nonostante fosse stato sospettato dalla donna stessa, di essere
l’autore del delitto di suo marito.
Sui
nostri fogli ricopiammo questa sequenza di numeri:
77772224448444
Ricordo
che ci fu silenzio per almeno dieci minuti buoni. Tutti cercavano di decifrare
il codice. Da buon Sherlock Holmes, provavo a farlo anch’io, con Bianca seduta
di fronte, che faceva varie ipotesi tra sé e sé.
«Potrebbero
essere» iniziò a parlare Bianca «una serie di numeri civici».
«Non
credo» spezzò Flavio. «Per indicare il colpevole, bastava indicarne uno solo. E
poi perché metterli così attaccati tra loro?».
«Già,
hai ragione».
«Che
ne dite di un numero telefonico?» disse la signora Miscio.
«Non
dica sciocchezze! Non vede che il prefisso è completamente sballato?». Flavio
ancora una volta, con molta delicatezza.
«Già
ha ragione, mi scusi tanto» disse affranta la donna.
«Possiamo
escludere anche che si tratti del classico “codice a sostituzione della lettera
singola”. Sostituendo le cifre con le lettere, si ottengono frasi senza senso»
intervenni.
«Già.
E sto provando anche ad invertire le lettere … ma niente. Dannazione, cosa può
essere?» domandò uno sconfortato Flavio.
Bianca
ormai ci aveva rinunciato. Un “bip” si era sentito nell’aria, e lei si era
scusata. Le era arrivato un messaggino.
«E’
di Barbara» annunciò. Non che ce ne importasse tanto, ma era stata così educata
a mettere il silenzioso, che nessuno ebbe il fegato di dir lei ciò che
pensavamo dell’sms in quella circostanza.
«Papà,
devi decidermi a comprarmi un nuovo cellulare … questo ha tutta la tastiera
allentata! Senza T9 per i messaggi c’è il rischio che scriva idiozie».
«Non
adesso, Bianca».
«Ok,
scusami» disse abbassando lo sguardo.
Non
avrebbe mai dovuto scusarsi. Aveva risolto il caso. Ora sapevo come
decodificare il messaggio di Riccione. Balzai in piedi dopo una trentina di
secondi, suscitando gli sguardi perplessi dei presenti. Poi guardai negli occhi
Edoardo e Mirko.
«C’è
un ragno a terra!» urlai a più non posso. «Proprio lì, dietro di lei, signor
Dattilo!».
Mirko
Dattilo lanciò delle urla decisamente anomale per un uomo. Più che urla, potevano
considerarsi gemiti di ansia e gridolini isterici. Saltò sul divano chiedendo
ripetutamente dove fosse il ragno. Invece, Edoardo Sciti, si era accontentato
di calmare Rina, anch’essa leggermente preoccupata e di localizzare l’animale.
«Era
uno scherzo!» dissi ridendo di gusto.
«Oh!
Ma sei idiota ragazzino? Mi hai fatto prendere un colpo!» mi rimproverò Mirko.
«Il
signore ha ragione. Come ti salta in mente di spaventare tutti?» rincarò la
dose Edoardo.
«Adesso
io ti … » avevo già lo schiaffo di Flavio sulla nuca, ma ad un tratto dissi:
«Mi
dispiace, ma anche Flavio sa che sono un gran giocherellone. Diglielo Flavio»
dissi facendogli gomito.
«Ma
cosa … ?!».
«E
diglielo!» insistetti guardandolo storto.
«Eh
già … eh eh eh … dovete scusarlo. E’ solo un po’ vispo … » disse fingendo una
risata. Poi mi guardò e mi tirò a sé. «Cosa stai cercando di dirmi ragazzo?».
«Che
sto risolvendo il caso» gli dissi a denti stretti.
«E
come?».
«Lo
vedrai, porta pazienza».
«Non
mi dirai che hai già risolto il codice?».
«Già,
ma è merito di Bianca».
«Bianca?
Mia figlia?».
«Certo,
conosci altre che si chiamino Bianca e che siano in questa stanza?». Non colse
l’ironia, e mi diede la pacca lo stesso.
«Dammi
carta bianca» lo incitai.
«Va
bene» disse esitando. «Ma smettila di fare il presuntuoso!».
«Ma
chi io? Ma realmente?».
«Smettila!».
«Ok
… calmino».
Mentre
avevamo dato spettacolo, la gente ci aveva fissato in modo decisamente poco
rassicurante. Non so che pensieri fossero balenati nel cervello della signora
Miscio, o di Edoardo, o di Mirko, o di Bianca … ma secondo me erano sensazioni
inquietanti.
«Sapete
… a volte l’amicizia, o il rapporto lavorativo … può degenerare» cominciai.
«Eccolo
che ricomincia con le ambiguità» la voce di Flavio, scocciato. Che tipo!
Lo
guardai strano, poi decisi di continuare a mettere sotto torchio i sospettati.
«Dicevo,
tutto può sfociare nel crudele e degenerare. La signora Miscio, ha avuto una
brillante intuizione»
dissi
mettendo un braccio sulla spalla della donna. «Ha sospettato fin da subito di
voi e ha sospettato fin da subito che suo marito fosse stato indotto
all’infarto e non che lo avesse avuto in modo naturale».
«Vuole
dire che … ». Mirko Dattilo era balzato in piedi dal bracciolo del divano e si
dimenava a fatica. Era rosso in viso e tutto sudato.
«Esattamente.
Qualcuno ha indotto all’infarto il signor Riccione. Quel qualcuno sapeva
dell’esistenza dei problemi cardiaci della vittima, e ha approfittato di questo
disturbo per eliminarlo». Mi fermai, e girandomi di spalle, soffermai la mia
attenzione su un soprammobile raffigurante un piccolo Buddha.Lo presi in mano,
poi mi voltai di scatto. «Non è vero signor Edoardo? Confessi, lei è
l’omicida!».
«Confessi»
lo incitai guardandolo con aria di sfida. Il sangue freddo di quell’uomo mi colpì.
Si carezzò i capelli, e tirandosi indietro, decise di sfidarmi a sua volta. M
guardò strafottente, mentre in stanza, i cuori della gente palpitavano.
«Edoardo!
Hai fatto questo?» Rina Miscio si adagiò sulla poltroncina color ramato.
«E
chi l’ha detto? Il nostro amico deve ancora provarcelo».
«Ha
detto benissimo. Signora Miscio, il suo amico ha ragione. Io devo ancora
concludere. Ma mi lasci dire una cosa signor Edoardo. Sa, nonostante la mia
giovane età, posso vantarmi di aver risolto innumerevoli casi, prima nella mia
città natale e successivamente qui a Torino».
«Davvero?».
«Già.
Posso anche dire di essere abbastanza curioso per indole. E posso anche
concludere dicendo che amo documentarmi su ogni cosa non mi sia chiara. Lei lo
sa, signor Edoardo, che i ragni possono defecare?».
Mi
guardò stranito. «Certamente. Sono esseri viventi anche loro!».
«Bene.
E lo sa che aspetto hanno le loro feci?».
«Non
ne ho idea».
«Glielo
dico io. Hanno l’aspetto di una poltiglia biancastra, molto densa. E sa cosa ho
trovato nel letto della vittima? Già, proprio così, feci di ragno! La
scientifica non ci metterà molto a confermare la mia teoria».
«Quindi
lei mi sta accusando di un delitto … solo perché ha trovato feci di ragno nel
letto del mio amico?».
«No
di certo. Ma andando per logica, virtù decisiva per il mestiere di detective,
tra lei e il signor Dattilo, chi conosceva meglio la vittima e quindi anche le
sue indubbie paure … è proprio lei, signor Edoardo. E’ lei l’amico d’infanzia
Edoardo. Lei, l’indubbio omicida di questo assassinio così efferato!».
«Stai
correndo un po’ troppo con la fantasia» interruppe Flavio. «A mettere il ragno,
potrebbe essere stato anche il signor Dattilo».
«Caro
Flavio, non hai capito il mio scherzetto di poco fa. Ed io che pensavo il
contrario. Ho finto che ci fosse un ragno, per osservare le reazioni dei
signori. Il signor Dattilo, è salito addirittura sulla poltrona ed è stata una
reazione del tutto naturale. Edoardo invece, è rimasto impassibile e
addirittura ha cercato la bestiola. Mirko non avrebbe mai potuto inserire un
ragno in casa, semplicemente perché ha paura di quegli animali! Non è vero
signor Dattilo?».
«Confermo»
disse stupito.
«Ma
Alex» cominciò a parlare Bianca. «Non ti sembra di correre troppo? Ok, le
deduzioni che hai fatto sono esatte, ma mancano le prove».
«Le
prove? Per questo devo ringraziare te».
«Me?
Ma cosa … ?».
«Vedi,
l’errore è stato non saper decifrare il codice, non avere elasticità mentale.
Ma tu, con la tua lamentela sui telefonini … be’, hai acceso la miccia per il
mio intuito».
«Non
capisco» affermò la signora Miscio. «Cosa c’entra la lamentela della ragazza
con … ?».
«Vede
signora, la verità, non è mai troppo lontana da ciò che viviamo. Per quanto
riguarda il codice, abbiamo ipotizzato che si trattasse di numeri civici,
telefonici e di mille altre cose ancora. Nessuno ha pensato però … ».
«Nessuno
ha pensato al linguaggio SMS!» Flavio urlò all’inverosimile e mi guardò
cercando un cenno d’intesa che arrivò prontamente dopo pochi secondi.
«Esattamente.
Provate ad immaginarvi la tastiera di un comune cellulare. Ora ricordate i
numeri. Erano: 77772224448444. Ora, cercando sempre di tenere a mente la
tastiera del telefonino, provate a pigiare tante volte quanto è ripetuto, il
numero che la sequenza ci propone. Facciamo una prova». Porsi la mano a Bianca,
che mi tese il suo cellulare.
Poi
ripresi a parlare. «Quattro volte il numero 7, corrisponde alla lettera “S”.
Tre volte il 2 è “C”, tre volte il quattro è la “I” , una volta l’8 e la “T”, e
infine … ancora una volta, tre volte quattro è ancora “I”. Ora provate a
leggere».
«Sciti!
Ma è il cognome di Edoardo!» affermò Rina Miscio.
«Proprio
così. E se non fosse abbastanza, caro Edoardo … sappia che sarà messo sotto
torchio dalla polizia per ore, finché lei non possa avere il coraggio di
confessare il suo reato».
Seguì
un attimo di silenzio. Poi, Edoardo Sciti, abbassò lo sguardo, e ridacchiando,
ebbe la faccia tosta di dire: «Non sono pentito. No, non lo sono affatto!».
«Mi
dica la verità … lei ha litigato con il suo amico per qualcosa che va più al di
là della semplice discussione … non è vero?».
«Ha
centrato il punto». E per oggi sono tre. Abitudine fatta.
«Ha
anche un nome e cognome. Rina Miscio … non è vero?».
«Cosa?».
La signora era balzata in piedi e non riusciva ad assumere una espressione
normale.
«E
lei non faccia finta di sapere nulla!» la rimproverai. «Quell’occhio nero …
scommetto che è opera di suo marito. Edoardo l’ha saputo e non ci ha visto più.
Il suo amico, cara signora,è innamorato di lei. E aggiungo, è impossibile che
lei non se ne sia accorta. Da che mondo è mondo, le donne le avvertono queste
cose».
Rina
Miscio abbassò lo sguardo senza esitare. Piuttosto che “centrare il punto”,
avevo colpito nel segno. Onestamente, il sentimento di Edoardo forse, era davvero
nobile. Era il gesto che aveva cercato di avvolgere questo sentimento che non
era stato nobile. Uccidere per amore, è il contrariarsi all’infinito. Non so
come un essere umano riesca a provare amore e poi ad uccidere. Non lo capirò
mai. Che schifo.
Edoardo
Sciti, spiegò ogni cosa, esattamente come le avevo preannunciate. Le sue parole
risuonarono dure come l’acciaio e ebbero un solo effetto. Duro, appunto.
Assistere alla confessione di un omicidio è sempre bruttissimo. Gli assassini
hanno costantemente lo sguardo abbassato, la voce rotta dal sentimento e gli
occhi stupiti,quasi come non riuscissero a capacitarsi del perché fossero stati
inchiodati.
Quindici
minuti dopo, la polizia arrestò Sciti. Il giorno dopo, i giornali riportavano
integralmente la storia e all’ufficio arrivarono i soldi del compenso per il
lavoro svolto. Flavio aprì la busta. Cinquemila euro, in contanti. Niente male.
«Ok
per il caso ragazzo» mi disse voltandomi le spalle.«Ma come hai capito la
storia del movente? Dell’amore di Edoardo per Rina?».
«Intuito
… e un po’ di fortuna. Non hai visto che era sempre premuroso con lei?».
«Non
ci avevo fatto caso». Seguì un silenzio anormale per la circostanza. «Dimmi un
po’ ragazzo … hai diciotto anni da poco. Sei mai stato innamorato di una donna?».
«L’amore
è per i sognatori. Ma per quanto tu logico sia, alla fine ti cattura. Non so
darti una risposta alla domanda».
«Ok,
capisco. Ma c’è qualcuna che ti piace?».
«Sì».
«Sei
riservato riguardo alla tua vita sentimentale eh?» disse facendo un risolino.
«E’ di Fondi? L’hai lasciata lì?».
«No,
no. Figuriamoci. Non so se sarei mai partito».
«E’
di queste parti?».
«Già».
«Hai
capito! Be’, allora datti da fare! Sennò se la prendono!».
«Ok».
Feci un risolino anche io. Era di Torino, era con me, era parte di me.
ANTICIPAZIONE EPISODIO 17: Una giornata tranquilla sembra possibile per tutti, giusto? Anche per Alex? Forse no. I nostri vanno al centro commerciale e si ritrovano un caso di follia umana senza pari. Servono sangue freddo, coraggio e astuzia! ALEX FEDELE EPISODIO 17 - OSTAGGI AL CENTRO COMMERCIALE, Solo qui a partire dal 10/12/2011! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE
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