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sabato 3 dicembre 2011

Alex Fedele: Ragni e fobie(episodio 16; stagione 1)


RAGNI E FOBIE




PROLOGO: Una persona malata di cuore deve stare lontana da ogni agitazione. Non si può farla arrabbiare o peggio, farla convivere con le proprie fobie. Be', non ci crederete, ma è quello che succede ad Alex Fedele, quando, di fronte ad un caso di infarto, arriva alla conclusione che nell'infarto c'è una causale esterna. Ma che cosa sarà? 

CAPITOLO I – Una morte sospetta

Ero appena uscito dalla doccia. Avevo l’accappatoio intorno alla vita e me ne stavo in casa a torso nudo mentre leggevo un giallo firmato dal sommo Arthur Conan Doyle. Quella sera non avevo alcuna voglia di parlare, volevo stare in pace con me stesso, tranquillo come non lo ero mai stato. Avevo da poco riposto le bende che mi ero procurato nello scontro con Turbotti e risolto il caso di Leòn, il maestro di ballo che si era mostrato in realtà un assassino.
«Papà, io esco». La voce di Fabio arrivò potente alle orecchie di Flavio.
«Dove vai ragazzo?». Flavio aveva distolto l’attenzione dal suo abitudinario quotidiano, e l’aveva focalizzata tutta su suo figlio.
«Esco».
«Con chi, se posso chiederlo?». Flavio nella versione insistente.
«Non sarà quella Martina?» intervenni.
«Hai centrato il punto!» esclamò sorridendomi.
«Hai capito il mio figliolo … ». Flavio si alzò dal divano e cinse le spalle di suo figlio con le braccia. «Sembrava adesso un bambino e invece ora esce con la fidanzatina».
«Non è la mia ragazza» rispose quasi disturbato.
«Esci con lei, di venerdì sera … suvvia, c’è qualcosa, non è vero?». Aguzzando lo sguardo, aveva messo in imbarazzo Fabio che cominciava ad arrossire vistosamente. Senza contare che ci si era messa anche Bianca, che, udendo il discorso dalla cucina, era uscita fuori e aveva cominciato a scrutare suo fratello con uno sguardo a metà tra il malizioso e il pessimista.
«E tu che hai da guardarmi così?» chiese sfrontato Fabio.
«Oh, nulla, nulla. Stai solo attento a non balbettare come l’altra volta» disse non riuscendo a trattenere una risata.
«A cosa ti riferisci?» chiesi a Bianca.
«Non dirglielo!».
«E dai, è di famiglia ormai» disse con il sorriso che le si dipingeva in volto. «Circa un paio di anni fa, Fabio uscì con una ragazza. Si chiamava Greta. Allora, quando dovevano uscire, lei era arrivata qui … e appena aperta la porta … ahaha!» non riuscì a terminare la frase e scoppiò in una copiosa risata.
Mi voltai verso Flavio, che, col sorriso sotto i baffi, mi disse:
«Appena arrivata qui, quella povera ragazza vide Fabio balbettare di fronte a lei … risultato: schiaffone sulla guancia e appuntamento alle ortiche».
«Ero più giovane e anche più imbecille!» comunicò Fabio.
«Ok» disse Bianca sorridendo. «Buona serata» aggiunse sempre maliziosamente.
Fabio si allontanò con diffidenza. Poi il campanello suonò. Ci fu un attimo di silenzio.
«Guai a chi parla» avvisò Fabio con fare minaccioso.
Ci cucimmo la bocca, e una volta aperta la porta, ci ritrovammo di fronte una ragazza sulla ventina, a dir la verità, molto avvenente.
«Buonasera a tutti» esordì timidamente. «Mi chiamo Martina … sono venuta a prendere Fabio».
«Piacere» dicemmo in coro. Successivamente, ci presentammo uno ad uno.
Martina, che di cognome scoprimmo fare Tulberi, era una ragazza davvero molto carina. I lunghi capelli biondi, chiarissimi, quasi platino, erano la cornice di un viso molto ben aggraziato. Gli occhietti piccoli, di colore nero, le conferivano profondità nello sguardo. Indossava occhiali neri ed un rossetto leggero, uno di quei lipstick che mettono le ragazze giovanissime per rendersi più belle. Aveva un neo piccolissimo, quasi nobile, sotto l’occhio destro. Era magra, ma su una cosa non aveva lesinato affatto: Sui gioielli. Ne indossava di molti tipi. Bracciali, collanine, anelli, orecchini, ciondoli preziosi. Fabio ci guardò un attimo.
«Ok … noi andiamo» disse. «Papà, non aspettarmi, torniamo tardi».
«Ok, mi raccomando figliolo».
Avrebbero dovuto passare una lunga serata insieme. Erano soltanto le sette di sera quando varcarono la soglia della porta, misero in moto e se ne andarono.
Non passarono nemmeno cinque minuti e sentimmo di nuovo il campanello. Intanto mi ero rivestito. Inconsciamente, avevo ricevuto Martina in accappatoio. Forse, e ribadisco il “forse” era stato un po’ imbarazzante.
«Buonasera, posso esserle utile?» aveva aperto Bianca.
«Sì, è questo lo studio di Flavio Moggelli?».
«Guardi, per lo studio si passa dal retro, ma si può accedere anche da qui, si accomodi».
«La ringrazio».
Una donna sulla cinquantina, con i capelli rossicci aveva fatto il suo ingresso in salotto. Flavio, era appoggiato con i piedi sul divano e non si era accorto di nulla.
«Papà! C’è una signora che vuole parlarti!» lo richiamò all’ordine Bianca.
«Al suo servizio milady!» balzò in piedi con una velocità incredibile e si mise in posizione militaresca.
La donna finse un risolino, ma credo si fosse già pentita di essersi rivolta a noi.
«Lei è Flavio Moggelli giusto?».
«In persona. Posso esserle d’aiuto?».
«Effettivamente sì … avrei un caso da sottoporle, ma forse è tardi, passo un’altra volta?».
«Non è mai troppo tardi per far giustizia signora, lo ricordi! Andiamo nel mio studio e parliamone, vediamo cosa posso fare. Alex, vieni» affermò con un cenno della mano.
Ci dirigemmo verso lo studio. Al suo interno, c’era ancora Sergio, che svolgeva le ultime pratiche burocratiche prima di andare a casa. Una qualità che avevo notato in Sergio era la dedizione al lavoro. Mi disse che l’aveva presa da suo padre, minatore. Mi disse anche che lavorava diciotto ore al giorno per portare a casa un po’ di soldi e che loro provenivano da una famiglia davvero molto povera. Qualcuno una volta disse che la povertà è il più grande dono che può farti un genitore. In parte è vero. Ti fortifica, ti rende duttile e malleabile alle varie circostanze della vita senza contare che diventi anche più umile di tutti quei figli di papà viziati.
La donna, vestita con una gonna viola ed una camicetta bianca, si sedette, e si tolse i grandi occhiali da sole. Io e Flavio sobbalzammo. Bianca era appena entrata, ed ebbe anche lei la stessa reazione. Stessa cosa Sergio. La donna dai capelli rossicci, aveva sulla parte sinistra dell’occhio un livido enorme, causatogli da chissà chi.
«Signora, vuole che le vada a prendere un po’ di ghiaccio? Ha avuto un incidente?».
«No, le spiego più avanti e …». Non terminò la frase. Scoppiò in lacrime. Sergio si sedette accanto a lei e mostrò tutte le sue doti di consolatore. Dopo un paio di minuti, i singhiozzi lasciarono campo alle parole.
«Non mi sono nemmeno presentata, vengo in casa sua senza nemmeno dirle il mio nome. Mi dispiace detective. Mi chiamo Rina Miscio, ho cinquantuno anni».
«Ok, in cosa posso aiutarla?».
«Lei conosce Nino Riccione?».
«Nino Riccione … vediamo … non mi sembra di aver mai sentito quel nome … mi spiace ma … ».
«Io lo conosco» interruppe Bianca.
«Davvero? E chi è?».
«Non farmi fare brutta figure, papà. Nino Riccione è uno dei miei autori preferiti. Avete presente la saga romantica “Cherry”? E’ lui l’autore di tutti i libri».
«Ah, quindi è uno scrittore?» domandai.
«Scrittore e anche autore di alcuni sceneggiati televisivi. E’ magnifico» mi rispose esultante.
«Sono contenta che ti piacciano  libri di mio marito» osservò Rina Miscio.
«Oh! Lei è la moglie del signor Riccione? Che onore! Io ho letto tutti i suoi libri, ricordo ancora il primo, quando esordì anni fa. Si chiamava “Baci e Rose”. Ho letto anche l’ultimo, “La vicenda del sentiero”. Può portargli i miei saluti per favore?».
La signora con i capelli rossicci abbassò lo sguardo. Si rimise gli occhiali da sole, forse per nascondere  le lacrime, che parevano essersi impossessate di lei.
«Non sarà possibile purtroppo».
«Uh? E perché mai?» chiese Flavio.
Mio marito è morto ieri sera. Non abbiamo avvisato nessuno, né stampa, né polizia, si solleverebbe un polverone … ».
Bianca fu gelata da quella parole. Le si riempirono gli occhi pieni di lacrime.
«Mi scusi, ma perché mai non avvisare la polizia? Capisco la stampa, ma … » Flavio era disarmato.
«Non mi crederebbero mai!» disse ricominciando a piangere.
«C-cosa vuole dire?».
«Mio marito è morto per un infarto, stando al medico di famiglia, ma io credo che ci sia tutt’altra storia sotto».
«E sarebbe?» domandai.
«Mio marito soffriva di problemi cardiaci da anni, ma ricordate, nessun parere medico è forte quanto il sesto senso di una donna. Io so che mio marito è stato ucciso! E so anche i nomi dei suoi probabili assassini!».
«Vuole dire che conosce chi ha ucciso suo marito? E’ assurdo!» esclamai.
«Ho solo dei sospetti … ma se mi rivolgessi alla polizia, passerei per matta. Mi serve discrezione, ed è per questo che sono venuta qui da lei, nel suo studio. So che lei è il massimo della professionalità, ha esperienza e validi collaboratori» disse la donna con gli occhi sognanti rivolgendosi a Flavio.
«La capisco signora» disse Flavio con le mani giunte. «Ma il referto medico parla chiaro … è infarto. Suo marito soffriva di questi disturbi?».
«Sì, mio marito prendeva le medicine per il cuore tutti i santi giorni. Ma il mio sospetto è che … ».
«Il suo sospetto è che sia stato indotto all’infarto … non è vero?» le dissi guardandola negli occhi.
«Indotto all’infarto? Ma cosa stai cianciando?». Flavio parve non credere alle mie parole, ma si zittì quando Rina Miscio annuì con discreta solennità.
«Quindi lei crede davvero» disse Flavio alzandosi dalla sedia della scrivania «che suo marito sia stato ucciso in questo modo?».
«Quel ragazzo ha centrato il punto» disse guardandomi. Era la seconda volta che “centravo il punto” in nemmeno mezz’ora. Stavo cominciando a farci l’abitudine.
«Insomma detective, vuole aiutarmi sì o no? Sappia che la questione economica non è un problema. Sono disposta a pagarle qualsiasi compenso».
«Signora, accetto l’incarico!». A volte è più venale di Zio Paperone.
«A proposito» interruppi «che cos’ha fatto all’occhio?».
«Oh … è che sono molto distratta … non ho visto un palo della luce e ho sbattuto prima di arrivare qui».

CAPITOLO II – Le parole della scrittura

Il condominio della signora Miscio e del signor Riccione, si trovava in Via Maria Vittoria. Andammo io, Flavio, Sergio e Bianca. Andrea, mio fratello, non era a casa. La scuola aveva organizzato una sorta di progetto che durava per tre giorni. Sarebbero andati nelle campagne di Torino a studiare la natura. Salimmo al quinto piano di un condominio molto antico a dir la verità. I grandi colonnati la facevano da padrone, ma all’interno dell’abitazione del signor Riccione e della signora Miscio, regnava la modernità.
Appena entrati, ci trovammo di fronte un ingresso molto stretto ed un salottino niente male. Nel corridoio incluso nel salottino, si andava in camera da letto. Nino Riccione, era stato coperto da sua moglie con il lenzuolo. Rina Miscio, non riuscì a trattenere le lacrime. Per intuito, la signora mi sembrava una di quelle donne che ama suo marito all’inverosimile, e l’avrebbe amato comunque. I suoi occhi sprizzavano odio, dolore e rabbia mentre ci fissavano. La sua bocca non lasciava mai uscire frasi volgari, ma ne garantiva altre molto forti. Il fatto di non essersi creata nessun problema, di essere stata comunque una donna … “con gli attributi”, di essersi presentata da noi e di aver insistito perché indagassimo su un caso a suo parere strano … la facevano diventare ai miei occhi, e spero anche ai vostri, una donna da ammirare.
«Mi dica signora Miscio» iniziò Flavio dando un’occhiata al cadavere. «Chi sarebbero i nomi da lei sospettati?».
«Sono due in particolare. Con entrambi mio marito aveva avuto tensioni negli ultimi tempi. Il primo è Mirko Dattilo. Era il manager di mio marito. Si occupava di salvaguardare le sue immagini, di cercare gli editori giusti e di organizzare tutte quelle cose di carattere burocratico e noioso. Avevano avuto una lite proprio qui in casa. Mirko se n’era andato su tutte le furie».
«E il secondo signora? Chi sarebbe?».
«Si chiama Edoardo Sciti, ha la stessa età di mio marito. E’ il suo migliore amico. Si conoscono dalle scuole medie e da allora sono sempre stati inseparabili. Il fatto è che circa due giorni prima che accadesse … » Rina Miscio si fermò un attimo, toccandosi le labbra, come per serrarle, come per soffocare un grido misto al nervoso e al pianto. «Ha capito insomma» concluse. «Due giorni prima comunque» riprese a parlare senza esitazione alcuna «erano addirittura arrivati alle mani».
«E lei conosce il motivo di queste liti?» chiesi.
«Con il suo manager ha litigato per un problema di lavoro. Mirko voleva che lui svolgesse un progetto che a mio marito non aveva mai convinto. Con Edoardo … be’ … l’impressione è che si trattasse di qualcosa di grosso. Ho udito solo che parlavano di violenze sulle donne e cose varie».
«Capisco. Be’ sarà meglio che li faccia venire qui. Se proprio dobbiamo indagare e loro sono i due soli sospetti … sarà meglio averli qui».
«Ehi, queste frasi dovrei dirle io!» mi rimproverò Flavio.
«Ehm … ok … scusami» dissi esibendomi in un sorrisetto ironico.
Venti minuti dopo, quando le otto si erano affacciate sul grande orologio a pendolo che spadroneggiava a destra e a manca nel salone, due uomini, più o meno della stessa corporatura, entrarono dalla porta.
«Cosa succede Rina? Ti è accaduto qualcosa?». Un uomo sulla cinquantina, con capelli castani ondulati, era tutto sudato e aveva la voce tremante.
L’altro figuro, era certamente più giovane. Indossava una camicia e una cravatta e portava una  valigetta piena di pratiche sbalzanti. Aveva anche una stilografica appoggiata sul taschino della camicia.
«Ecco signori» annunciò Rina Miscio. «Questi sono i tizi di cui vi parlavo. Il signore alla mia sinistra è Edoardo Sciti» affermò indicando l’uomo con i capelli ondulati.
«Questo ragazzo dai capelli biondo ramato invece, è Mirko Dattilo, il manager di mio marito».
Entrambi ci salutarono con un sorriso.
«Io sono il detective Flavio Moggelli, lui è Alex, un ragazzo che vive con me.  Lei invece» disse puntando l’indice verso Bianca, «è mia figlia». Salutammo tutti con le consuete strette di mano. Poi dopo un po’ di silenzio, Mirko Dattilo, cominciò a parlare.
«Scusi signora Miscio, ma perché ci hai detto di venire qui con urgenza? Ho disdetto un importante appuntamento di lavoro per venire da lei». Il manager di Riccione, era senza dubbio una persona particolare. Oltre ad essere molto eccentrico nei colori, mi parve fosse leggermente effeminato. Non conoscevo i suoi gusti sessuali, né sinceramente avrei voluto conoscerli, ma fatto sta che la prima sensazione che mi comunicò, fu proprio quella.
«Il fatto è» dissi stracciando il discorso e mettendo fine al clima di quiete «che la signora vi incolpa direttamente dell’omicidio di suo marito, il signor Nino Riccione».
«Alla faccia della delicatezza!» mi sussurrò Bianca.
«Nino? Ma Nino è vivo! Cosa dici ragazzo?».
«Mi dispiace informarvi» disse Flavio con voce rotta dal sentimento «che Nino Riccione è morto, stando ai medici, per attacco cardiaco».
Edoardo e Mirko, rabbrividirono. Quest’ultimo, si lasciò andare sul divano del salottino, mentre Sciti, si voltò di spalle. Voleva raccogliere le idee.
«E adesso come faremo con i libri?».
«Mio marito è morto e lei pensa ai libri? Ma ce l’ha un cuore?». La signora Miscio si era adirata a tal punto che il colorito del suo viso era diventato rossastro.
Mirko non rispose. Edoardo andò subito a farfugliare qualcosa a Rina. Sembravano in ottimi rapporti.
«Scusate» domandò Edoardo «perché la signora ci incolpa?».
«Perché siete gli unici, oltre a mio marito ed io che abbiate le chiavi dell’appartamento!» interruppe Rina.
«Suo marito soffriva di cuore! Se ne faccia una ragione!» Mirko sbottò sul divano, rizzandosi in piano.
«Mio marito stava benissimo da molto tempo. Uno di voi due lo ha ucciso!». La signora era decisa ad andare fino in fondo.
«Ok, ora calmiamoci e stemperiamo i toni» disse Flavio accendendosi una sigaretta. «Ascoltate signori. La signora Miscio o Riccione, come preferite, ci ha detto che avete avuto una violenta lite con la vittima ultimamente. Corrisponde a verità?».
«Sì» sussurrò imbarazzato Edoardo. «Due giorni fa, sono venuto qui. Io e Nino parlavamo di gusti in proposito di donne. Ad un tratto, lui si è lasciato un po’ andare con l’alcol e … io anche. Alla fine si è arrivati alle mani. Ma nulla di grave».
«Anch’io» disse Mirko sistemandosi la valigetta stracolma di pratiche «ho avuto una lite con il signor Riccione. Eravamo in disaccordo per un affare. Ma questo non fa di me un assassino, dannazione!». La voce stridula di quell’uomo era insopportabile. «Io me ne vado».
«Lei non va da nessuna parte» gli dissi sbarrandomi di fronte la porta.
«Levati di mezzo ragazzino! Non sei la polizia».
«Provi ad immaginare cosa accadesse se dovesse arrivare la polizia. Stando ai racconti della signora, unico e solo tramite con la vittima, i due sospettati sareste sempre e comunque voi».
«E allora?».
«E allora vi manterrebbero sotto controllo per diversi giorni. Finché non crollereste. Le do un consiglio. Sbrighiamocela qui, ci faccia indagare come ci ha detto la signora. Se non troviamo nulla, ok. Ma se lei fugge a priori, significa che ci sta suggerendo un modo per arrivare al colpevole … ».
«Cosa vorresti dire sbarbatello?». Questa mi mancava.
«Che forse le indagini non sono necessarie, se si fugge».
«Ok, rimarrò qui, ma solo per dimostrare a tutti che io non c’entro niente! Il signor Riccione soffriva da tempo di cuore!».
Placati gli animi bollenti, Flavio cominciò ad indagare qua e là. Mi tenne fuori dal suo iniziale processo investigativo, dicendomi che mi avrebbe chiamato solo quando avrebbe realmente avuto bisogno di me. Ergo, anzi, deduco, che non mi avrebbe chiamato mai più, anche a costo di stare una vita senza soluzione. Era fatto così. Non voleva l’aiuto di nessuno. Che tipo.
Diedi anch’io un’occhiata al cadavere. Nulla di strano. Sul corpo non c’erano segni di colluttazione. La camera del signor Riccione era davvero grottesca. Mi aveva seguito Bianca, che era rimasta ad ammirare tutti i libri scritti da Riccione. Li guardava ammirata, estasiata. Insomma, le dovevano piacere davvero molto.
Poi si voltò di scatto, mentre esaminavo il cadavere. Guardavo i polsi, il collo, le circostanze che avevano portato a quella posizione.
«Non provi mai impressione?».
«Cosa vuoi dire?».
«Dico … chissà quanti ne hai visti … nei casi della tua città anche».
«Mi dispiace, potresti essere più chiara?».
«Sto parlando di persone morte, di cadaveri. Non provi … ribrezzo?».
«E perché? Fino a poco fa Riccione respirava come te».
«Capisco» affermò accennando ad un sorriso «ma è orrendo fare questo lavoro non trovi?».
«Se la pensassi come te, non sarei qui, non credi?».
«Io non ho mai sopportato il lavoro di mio padre».
«Davvero?» dissi alzandomi e voltandomi verso di lei.
«Già. Troppi pericoli. Troppe lacrime. E’ disumano».
«Io invece lo amo. Non c’è cosa più bella che fare Giustizia.»
«Sono d’accordo ma … insomma non è piacevole avere a che fare con … ma ok, chi vi capisce è bravo!» disse in tono esasperato.
Rimanemmo un attimo in silenzio, poi riattaccò a parlare.
«Hai scoperto qualcosa?
«Forse …».
Ai bordi del letto e sul letto stesso, avevo notato una poltiglia biancastra densa. Non l’avevo toccata. Se era quello che pensavo, forse avevamo completato metà dell’opera.
«Certo che Riccione era molto eccentrico» disse Bianca guardandosi attorno.
«Cosa te lo fa pensare?» le chiesi in tono curioso.
«Be’, tu non lo conoscevi. Ma io che sono una sua fan, sapevo tutto di lui. Si diceva che fosse un tipo abbastanza paranoico».
«Davvero?» dissi posandomi una mano sul volto. «Per esempio?».
«Be’, aveva un sacco di manie, di paure. Si lavava le mani in continuazione. Si diceva che portasse sempre del disinfettante nella valigetta e che imponesse questa regola anche a chi facesse affari con lui. Inoltre, non mangiava niente che non fosse preparato secondo i suoi ordini. Le verdure ad esempio, dovevano provenire solo dall’Asia. Spendeva un capitale solo per mangiare come voleva».
«Capisco. Particolare è dire poco. E cosa mi dici delle sue paure? Hai accennato qualcosa prima».
«Non so dirti molto» disse roteando gli occhi. «Aveva però un sacco di paure secondo la stampa. Prima fra tutti, quella del buio. Poi non sopportava i rumori forti. Anche i ragni lo infastidivano e qualsiasi tipo di insetto o di rettile. Quest’ultima fobia ce l’aveva fin da piccolo, pensa un po’».
«Ah sì?» dissi in tono sospetto, aguzzando gli occhi.
«Dimmi la verità, Alex. Tu sai qualcosa e non vuoi dirmelo non è vero?».
«Mai sentito parlare di segreto professionale?» accennai un sorriso.
Mi guardò male. «No. Tu hai mai sentito parlare di buone maniere?».
«E dai, non c’entra l’educazione con questo!» le dissi sorridendo.
Rimase impassibile, a guardarmi negli occhi.
Sotto il letto, c’era un gran cumulo di polvere. Oltre a quello però, trovammo un grande indizio. Un telefono cellulare. Probabilmente quello della vittima.
«Ma questo è un cellulare?» chiese Bianca tenendolo per mano. Glielo presi immediatamente. Forse ci sarebbe stato d’aiuto.
«Già … e se leviamo il blocca tasti … ci sono dei numeri».
«Mi fai vedere?».
«Dopo. Adesso devo andare da tuo padre!» dissi urlando senza che me ne rendessi conto e scappando.


CAPITOLO III – Il codice rivelatore

Arrivai nel salottino. Flavio scriveva sul bloc notes tutto ciò che gli sembrava utile.
«Allora? Trovato qualcosa?».
«Altroché. Guarda qui» gli dissi mostrandogli il cellulare tenuto con un fazzoletto per evitare di lasciare impronte.
«Un cellulare?».
«Già, l’ho trovato sotto il letto di Riccione».
«E’ quello di mio marito!» confermò la signora.
«E allora?» chiese Flavio esitante.
«E allora, guarda cosa succede se tolgo il blocca tasti». Una serie di numeri apparve sullo schermo.
«Non mi dirai che … ».
«La vittima voleva dirci qualcosa nel momento del decesso. Questo rafforza la tesi della signora. Non è morto in modo naturale. Qualcuno ha forzato questa reazione».
Successivamente, io e Flavio, prendemmo due fogli di carta. Bianca ne prese un terzo. Si improvvisò detective anche lei. Intanto Rina Miscio e Edoardo Sciti, sembravano sempre più in confidenza tra di loro. Edoardo le accarezzava i capelli e la confortava. Tutto questo, nonostante fosse stato sospettato dalla donna stessa, di essere l’autore del delitto di suo marito.
Sui nostri fogli ricopiammo questa sequenza di numeri:

77772224448444

Ricordo che ci fu silenzio per almeno dieci minuti buoni. Tutti cercavano di decifrare il codice. Da buon Sherlock Holmes, provavo a farlo anch’io, con Bianca seduta di fronte, che faceva varie ipotesi tra sé e sé.
«Potrebbero essere» iniziò a parlare Bianca «una serie di numeri civici».
«Non credo» spezzò Flavio. «Per indicare il colpevole, bastava indicarne uno solo. E poi perché metterli così attaccati tra loro?».
«Già, hai ragione».
«Che ne dite di un numero telefonico?» disse la signora Miscio.
«Non dica sciocchezze! Non vede che il prefisso è completamente sballato?». Flavio ancora una volta, con molta delicatezza.
«Già ha ragione, mi scusi tanto» disse affranta la donna.
«Possiamo escludere anche che si tratti del classico “codice a sostituzione della lettera singola”. Sostituendo le cifre con le lettere, si ottengono frasi senza senso» intervenni.
«Già. E sto provando anche ad invertire le lettere … ma niente. Dannazione, cosa può essere?» domandò uno sconfortato Flavio.
Bianca ormai ci aveva rinunciato. Un “bip” si era sentito nell’aria, e lei si era scusata. Le era arrivato un messaggino.
«E’ di Barbara» annunciò. Non che ce ne importasse tanto, ma era stata così educata a mettere il silenzioso, che nessuno ebbe il fegato di dir lei ciò che pensavamo dell’sms in quella circostanza.
«Papà, devi decidermi a comprarmi un nuovo cellulare … questo ha tutta la tastiera allentata! Senza T9 per i messaggi c’è il rischio che scriva idiozie».
«Non adesso, Bianca».
«Ok, scusami» disse abbassando lo sguardo.
Non avrebbe mai dovuto scusarsi. Aveva risolto il caso. Ora sapevo come decodificare il messaggio di Riccione. Balzai in piedi dopo una trentina di secondi, suscitando gli sguardi perplessi dei presenti. Poi guardai negli occhi Edoardo e Mirko.
«C’è un ragno a terra!» urlai a più non posso. «Proprio lì, dietro di lei, signor Dattilo!».
Mirko Dattilo lanciò delle urla decisamente anomale per un uomo. Più che urla, potevano considerarsi gemiti di ansia e gridolini isterici. Saltò sul divano chiedendo ripetutamente dove fosse il ragno. Invece, Edoardo Sciti, si era accontentato di calmare Rina, anch’essa leggermente preoccupata e di localizzare l’animale.
«Era uno scherzo!» dissi ridendo di gusto.
«Oh! Ma sei idiota ragazzino? Mi hai fatto prendere un colpo!» mi rimproverò Mirko.
«Il signore ha ragione. Come ti salta in mente di spaventare tutti?» rincarò la dose Edoardo.
«Adesso io ti … » avevo già lo schiaffo di Flavio sulla nuca, ma ad un tratto dissi:
«Mi dispiace, ma anche Flavio sa che sono un gran giocherellone. Diglielo Flavio» dissi facendogli gomito.
«Ma cosa … ?!».
«E diglielo!» insistetti guardandolo storto.
«Eh già … eh eh eh … dovete scusarlo. E’ solo un po’ vispo … » disse fingendo una risata. Poi mi guardò e mi tirò a sé. «Cosa stai cercando di dirmi ragazzo?».
«Che sto risolvendo il caso» gli dissi a denti stretti.
«E come?».
«Lo vedrai, porta pazienza».
«Non mi dirai che hai già risolto il codice?».
«Già, ma è merito di Bianca».
«Bianca? Mia figlia?».
«Certo, conosci altre che si chiamino Bianca e che siano in questa stanza?». Non colse l’ironia, e mi diede la pacca lo stesso.
«Dammi carta bianca» lo incitai.
«Va bene» disse esitando. «Ma smettila di fare il presuntuoso!».
«Ma chi io? Ma realmente?».
«Smettila!».
«Ok … calmino».
Mentre avevamo dato spettacolo, la gente ci aveva fissato in modo decisamente poco rassicurante. Non so che pensieri fossero balenati nel cervello della signora Miscio, o di Edoardo, o di Mirko, o di Bianca … ma secondo me erano sensazioni inquietanti.
«Sapete … a volte l’amicizia, o il rapporto lavorativo … può degenerare» cominciai.
«Eccolo che ricomincia con le ambiguità» la voce di Flavio, scocciato. Che tipo!
Lo guardai strano, poi decisi di continuare a mettere sotto torchio i sospettati.
«Dicevo, tutto può sfociare nel crudele e degenerare. La signora Miscio, ha avuto una brillante intuizione»
dissi mettendo un braccio sulla spalla della donna. «Ha sospettato fin da subito di voi e ha sospettato fin da subito che suo marito fosse stato indotto all’infarto e non che lo avesse avuto in modo naturale».
«Vuole dire che … ». Mirko Dattilo era balzato in piedi dal bracciolo del divano e si dimenava a fatica. Era rosso in viso e tutto sudato.
«Esattamente. Qualcuno ha indotto all’infarto il signor Riccione. Quel qualcuno sapeva dell’esistenza dei problemi cardiaci della vittima, e ha approfittato di questo disturbo per eliminarlo». Mi fermai, e girandomi di spalle, soffermai la mia attenzione su un soprammobile raffigurante un piccolo Buddha.Lo presi in mano, poi mi voltai di scatto. «Non è vero signor Edoardo? Confessi, lei è l’omicida!».

«Confessi» lo incitai guardandolo con aria di sfida. Il sangue freddo di quell’uomo mi colpì. Si carezzò i capelli, e tirandosi indietro, decise di sfidarmi a sua volta. M guardò strafottente, mentre in stanza, i cuori della gente palpitavano.
«Edoardo! Hai fatto questo?» Rina Miscio si adagiò sulla poltroncina color ramato.
«E chi l’ha detto? Il nostro amico deve ancora provarcelo».
«Ha detto benissimo. Signora Miscio, il suo amico ha ragione. Io devo ancora concludere. Ma mi lasci dire una cosa signor Edoardo. Sa, nonostante la mia giovane età, posso vantarmi di aver risolto innumerevoli casi, prima nella mia città natale e successivamente qui a Torino».
«Davvero?».
«Già. Posso anche dire di essere abbastanza curioso per indole. E posso anche concludere dicendo che amo documentarmi su ogni cosa non mi sia chiara. Lei lo sa, signor Edoardo, che i ragni possono defecare?».
Mi guardò stranito. «Certamente. Sono esseri viventi anche loro!».
«Bene. E lo sa che aspetto hanno le loro feci?».
«Non ne ho idea».
«Glielo dico io. Hanno l’aspetto di una poltiglia biancastra, molto densa. E sa cosa ho trovato nel letto della vittima? Già, proprio così, feci di ragno! La scientifica non ci metterà molto a confermare la mia teoria».
«Quindi lei mi sta accusando di un delitto … solo perché ha trovato feci di ragno nel letto del mio amico?».
«No di certo. Ma andando per logica, virtù decisiva per il mestiere di detective, tra lei e il signor Dattilo, chi conosceva meglio la vittima e quindi anche le sue indubbie paure … è proprio lei, signor Edoardo. E’ lei l’amico d’infanzia Edoardo. Lei, l’indubbio omicida di questo assassinio così efferato!».
«Stai correndo un po’ troppo con la fantasia» interruppe Flavio. «A mettere il ragno, potrebbe essere stato anche il signor Dattilo».
«Caro Flavio, non hai capito il mio scherzetto di poco fa. Ed io che pensavo il contrario. Ho finto che ci fosse un ragno, per osservare le reazioni dei signori. Il signor Dattilo, è salito addirittura sulla poltrona ed è stata una reazione del tutto naturale. Edoardo invece, è rimasto impassibile e addirittura ha cercato la bestiola. Mirko non avrebbe mai potuto inserire un ragno in casa, semplicemente perché ha paura di quegli animali! Non è vero signor Dattilo?».
«Confermo» disse stupito.
«Ma Alex» cominciò a parlare Bianca. «Non ti sembra di correre troppo? Ok, le deduzioni che hai fatto sono esatte, ma mancano le prove».
«Le prove? Per questo devo ringraziare te».
«Me? Ma cosa … ?».
«Vedi, l’errore è stato non saper decifrare il codice, non avere elasticità mentale. Ma tu, con la tua lamentela sui telefonini … be’, hai acceso la miccia per il mio intuito».
«Non capisco» affermò la signora Miscio. «Cosa c’entra la lamentela della ragazza con … ?».
«Vede signora, la verità, non è mai troppo lontana da ciò che viviamo. Per quanto riguarda il codice, abbiamo ipotizzato che si trattasse di numeri civici, telefonici e di mille altre cose ancora. Nessuno ha pensato però … ».
«Nessuno ha pensato al linguaggio SMS!» Flavio urlò all’inverosimile e mi guardò cercando un cenno d’intesa che arrivò  prontamente dopo pochi secondi.
«Esattamente. Provate ad immaginarvi la tastiera di un comune cellulare. Ora ricordate i numeri. Erano: 77772224448444. Ora, cercando sempre di tenere a mente la tastiera del telefonino, provate a pigiare tante volte quanto è ripetuto, il numero che la sequenza ci propone. Facciamo una prova». Porsi la mano a Bianca, che mi tese il suo cellulare.
Poi ripresi a parlare. «Quattro volte il numero 7, corrisponde alla lettera “S”. Tre volte il 2 è “C”, tre volte il quattro è la “I” , una volta l’8 e la “T”, e infine … ancora una volta, tre volte quattro è ancora “I”. Ora provate a leggere».
«Sciti! Ma è il cognome di Edoardo!» affermò Rina Miscio.
«Proprio così. E se non fosse abbastanza, caro Edoardo … sappia che sarà messo sotto torchio dalla polizia per ore, finché lei non possa avere il coraggio di confessare il suo reato».
Seguì un attimo di silenzio. Poi, Edoardo Sciti, abbassò lo sguardo, e ridacchiando, ebbe la faccia tosta di dire: «Non sono pentito. No, non lo sono affatto!».
«Mi dica la verità … lei ha litigato con il suo amico per qualcosa che va più al di là della semplice discussione … non è vero?».
«Ha centrato il punto». E per oggi sono tre. Abitudine fatta.
«Ha anche un nome e cognome. Rina Miscio … non è vero?».
«Cosa?». La signora era balzata in piedi e non riusciva ad assumere una espressione normale.
«E lei non faccia finta di sapere nulla!» la rimproverai. «Quell’occhio nero … scommetto che è opera di suo marito. Edoardo l’ha saputo e non ci ha visto più. Il suo amico, cara signora,è innamorato di lei. E aggiungo, è impossibile che lei non se ne sia accorta. Da che mondo è mondo, le donne le avvertono queste cose».
Rina Miscio abbassò lo sguardo senza esitare. Piuttosto che “centrare il punto”, avevo colpito nel segno. Onestamente, il sentimento di Edoardo forse, era davvero nobile. Era il gesto che aveva cercato di avvolgere questo sentimento che non era stato nobile. Uccidere per amore, è il contrariarsi all’infinito. Non so come un essere umano riesca a provare amore e poi ad uccidere. Non lo capirò mai. Che schifo.
Edoardo Sciti, spiegò ogni cosa, esattamente come le avevo preannunciate. Le sue parole risuonarono dure come l’acciaio e ebbero un solo effetto. Duro, appunto. Assistere alla confessione di un omicidio è sempre bruttissimo. Gli assassini hanno costantemente lo sguardo abbassato, la voce rotta dal sentimento e gli occhi stupiti,quasi come non riuscissero a capacitarsi del perché fossero stati inchiodati.
Quindici minuti dopo, la polizia arrestò Sciti. Il giorno dopo, i giornali riportavano integralmente la storia e all’ufficio arrivarono i soldi del compenso per il lavoro svolto. Flavio aprì la busta. Cinquemila euro, in contanti. Niente male.
«Ok per il caso ragazzo» mi disse voltandomi le spalle.«Ma come hai capito la storia del movente? Dell’amore di Edoardo per Rina?».
«Intuito … e un po’ di fortuna. Non hai visto che era sempre premuroso con lei?».
«Non ci avevo fatto caso». Seguì un silenzio anormale per la circostanza. «Dimmi un po’ ragazzo … hai diciotto anni da poco. Sei mai stato innamorato di una donna?».
«L’amore è per i sognatori. Ma per quanto tu logico sia, alla fine ti cattura. Non so darti una risposta alla domanda».
«Ok, capisco. Ma c’è qualcuna che ti piace?».
«Sì».
«Sei riservato riguardo alla tua vita sentimentale eh?» disse facendo un risolino. «E’ di Fondi? L’hai lasciata lì?».
«No, no. Figuriamoci. Non so se sarei mai partito».
«E’ di queste parti?».
«Già».
«Hai capito! Be’, allora datti da fare! Sennò se la prendono!».
«Ok». Feci un risolino anche io. Era di Torino, era con me, era parte di me.

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