OSTAGGI
AL CENTRO COMMERCIALE
PROLOGO: Una giornata tranquilla sembra possibile per tutti, giusto? Anche per Alex? Forse no. I nostri vanno al centro commerciale e si ritrovano un caso di follia umana senza pari. Servono sangue freddo, coraggio e astuzia!
Sigla di oggi: "The Edge of Glory" by Lady Gaga
CAPITOLO
I –Svaligiamo il centro commerciale
Le donne, si sa, sono amanti
dello shopping. Tutto ciò che si può acquistare, loro lo vogliono e tutto ciò
che non si può comprare, ma che ha l’aspetto da “adorabile”, le rendono
incredibilmente nervose e oserei dire nevrotiche. Quel pomeriggio, Bianca ed io
e mio fratello Andrea avevamo svolto i nostri consueti compiti. Bianca aveva
sbrigato le faccende scolastiche, Andrea aveva sbrigato le sue e in quanto a
me, Flavio mi aveva detto che non c’erano casi all’orizzonte.
Mi ero disteso sul divano, bello
e contento per un giorno in casa, ma poi, quando stai rilassandoti, quando hai
i nervi del collo che si rilassano … arriva qualcuno a romperti le scatole.
Quel qualcuno, per quanto mi riguarda, aveva un nome e cognome: Bianca
Moggelli.
Si era seduta affianco a me
saltellando in modo espansivo e aveva cominciato a chiedermi insistentemente: «mi
accompagni al centro commerciale? Mi ci accompagni?». Io, povero ingenuo, le
avevo chiesto dove fosse finita Barbara, la sua amica del cuore, ma mio
malgrado non avevo tenuto in conto una cosa. Barbara era stata ricoverata in
ospedale da pochi giorni, visto che doveva operarsi all’appendicite e Bianca si
ritrovava senza una compagna che le desse consigli di moda. Così, con suo padre
avente la sensibilità di un bufalo ad una gara clandestina di corsa, l’unica
“vittima” che le era rimasta ero io, visto che suo fratello stava studiando per
gli esami di medicina che avrebbe dovuto sostenere a breve. Così, dopo
interminabili preghiere da rivolgere
piuttosto ai santi e non certamente a me, avevo acconsentito, a patto che
fossimo andati in libreria per dare uno sguardo ai libri gialli e che fossimo
tornati presto. Voi ora direte, poveri illusi, che io sia un po’ troppo duro
con Bianca. Be’, amici miei, toglietevelo dalla testa immediatamente. Il fatto
è che voi non la conoscete affatto. Il sabato pomeriggio, quando la scuola
chiude i portoni fino al lunedì mattina, i pavimenti del centro commerciale si
consumano sotto i decisi passi di questa ragazzina e delle sue amiche. Entrano
ogni settimana, in ogni negozio, per vedere ogni volta le stesse cose. Dalle
scarpe alle borsette, dai lucida labbra ai jeans. Insomma, come dicevo poche
righe fa … tutto ciò che si potesse comprare era a portata di mano. Non avevano
mai speso tanto, ma la cosa più irritante era che una volta rientrate a casa,
restassero a parlare al telefono per ore, scambiandosi confidenze sui vestiti.
Frasi del tipo: «Hai visto quel completino pistacchio, com’era carino?», alla
quale considerazione segue risposta «E perché non l’hai preso?» e così via.
Bianca mi affascinava. Non era la
solita ragazzina di diciassette anni, futile e con poche idee in testa. Non
pensava solo a vestiti e ornamenti insomma. In realtà, sapeva ragionare, amava
la scuola, le piaceva studiare ed era incredibilmente virtuosa.
«Fratellone, ma ci dobbiamo
fermare ad ogni negozio?» mio fratello mi teneva la mano e, guardandomi dal
basso verso l’alto, mi rivolse questa domanda.
«Ah non lo so. So solo che non
sento più le gambe a furia di camminare. Incredibile, è peggio dei giri di
campo a calcio».
Bianca, che camminava pochi metri
avanti a noi e non aveva ancora acquistato niente, rallentò il passo e cominciò
a parlare.
«Come siete lamentosi voi maschi!
Se Barbara non fosse stata ricoverata … ».
«Sei gentile … » dissi
ironizzando.
«Lo so …». Praticamente era una
sagoma.
«Ascolta» le dissi appoggiandole
una mano sulla spalla. «Quanti negozi dobbiamo girare ancora?».
«Uff … sei qui solo da mezz’ora,
abbiamo visto solo due negozi e sei già stanco? Cosa dirai quando ti chiederò
di portarmi le borse?» domandò ridacchiando tra sé e sé.
«Potrei piantarti qui per
esempio».
«Non oseresti … » replicò
indignata.
«Signorina, lei non mi conosce»
cominciai a risponderle passando in tono scherzoso dal “tu” al “lei”. Si
ricordi che le chiavi della macchina ce le ho io» le dissi sorridendo.
«Lo so, ma non lo faresti
comunque» commentò in aria di sfida.
«E perché ne sei così sicura?».
«Semplicemente perché sei una
persona seria».
«Quindi … è su questo che ti basi
per farti piacere un ragazzo?».
Si voltò verso di me, stupita.
«Scusa, ma chi ha mai parlato di ragazzi?».
«Ehm … era solo una curiosità»
dissi imbarazzato.
«Ascolta» continuò - «Posso farti
una domanda personale?».
«Dimmi tutto».
«Nella tua città … a Fondi … avevi
una ragazza?».
«No.Perché?».
«Solo curiosità, nient’altro.
Volevo solo sapere se avevi qualcuno dall’altra parte a prendersi cura di te».
«A prendersi cura di me?» dissi
con la faccia stranita.
«Già».
«Scusa, cosa intendi
esattamente?». Continuai mentre le camminavo affianco.
«Di solito, è la donna che si
prende cura dell’uomo. Lo sappiamo tutte che siete eterni bambinoni».
«Noi eterni bambinoni? Non siamo
mica capricciosi come voi!» dissi adirato.
«Perché ti scaldi tanto? Scusa,
qual è il problema?» mi placò socchiudendo i suoi piccoli occhi.
«Nulla, ma mi dici che siamo
“bambinoni” … ».
«Perché è vero, dai! Prendi mio
padre. Ha più di quarant’anni, eppure non cresce ancora. Gli riordino l’ufficio
ogni settimana e puntualmente gli ripeto di non commettere gli stessi errori.
Indovina che succede? C’è sempre inchiostro a terra, cibo ovunque e pratiche
sparse. Nemmeno Sergio riesce e mettere in ordine quel putiferio».
«Che c’entra Flavio? Lui è un
caso a parte!».
«Cosa vuoi dire?» disse con aria
turbata.
«Nulla,solo che tuo padre è uno
che con l’ordine fa a cazzotti».
«Oh, guarda quelle scarpe!» urlò
in mezzo alla folla distogliendo l’attenzione dal discorso. La sua attenzione
si era posata su un negozietto modesto, chiamato “Hercule” e su un paio di scarpe
da tennis,ornate con delle stelle.
«Che carine!» continuava a
ripetere sotto il mio sguardo perplesso.
«Guarda il prezzo. Non è mica
carino pure quello!» dissi ironizzando.
«Be’, in effetti è un po’ caro …
ma ho dei risparmi da parte. Da quando gli affari vanno meglio, papà ha
aumentato la pecunia» disse sorridendo.
«Pecunia?».
«Ma sì, soldi, stipendio,
paghetta, chiamalo come vuoi, insomma ho più soldi, più disponibilità
finanziarie, chiaro?».
«Limpido».
Per sintetizzarvi, perché
altrimenti non mi basterebbero le parole, quel pomeriggio, dalle sedici alle
diciotto, entrammo in quindici negozi, di cui tre solo di scarpe. Ogni negozio
aveva la musica sparata a palla, che lanciava musica rock, funk, punk, e miscuglio
di suoni accozzati che loro avrebbero poi osato definire musica. Oltre a
perdere l’uso dei timpani, persi anche e soprattutto la pazienza. Avete
presente quei film, nei quali il padre della ragazza va al centro commerciale
con la figlia che deve scegliersi il vestito per il ballo? Ecco, eravamo così.
Non so quante volte Bianca
indossò decine di capi d’abbigliamento diversi per poi non acquistare nemmeno
uno. Si cambiò milioni di volte, cogliete l’iperbole per cortesia, e trovò
difetti ad ogni cosa. Un abito era troppo stretto, l’altro troppo largo, quello
a destra aveva lo spacco troppo vertiginoso, il jeans era troppo vistoso. Ah,
le donne!
La cosa peggiore fu che chiese
sia a me che Andrea di dare un parere. Mio fratello si abbonò al “ti sta bene,
sei bellissima!”, mentre io dissi realmente ciò che pensavo. Be’ … indovinate
un po’? Si arrabbiava quando la criticavo e quando le facevo dei complimenti.
In sintesi, non c’era modo di accontentarlo. Lo ripeto … ah, donne!
CAPITOLO
II –La paura degli ostaggi
In definitiva, erano le diciotto,
non mi sentivo più le gambe, avevo sonno, fame, sete ed una gran voglia di
buttare quelle tre grandi buste che tenevo in mano per pura cavalleria.
«Come va fratellone?» mio
fratello Andrea aveva assistito al tutto e se n’era rimasto impassibile, come
per star a significare di essere impotente di fronte a ciò che stava accadendo.
Credetemi, una donna che fa shopping, è paragonabile ad un piccolo cataclisma.
Mentre stavamo camminando, un
cane, di razza pastore tedesco, al seguito di una anziana signora, lasciò un “regalino”
proprio accanto a noi. Magnifico! Uno viene al centro commerciale per
rilassarsi e cosa si ritrova? Un cane che dispensa i suoi bisogni a destra e a
manca. Davvero rilassante, non è vero? In compenso la signora si stava scusando
con tutti coloro che si erano lamentati. Dalle donne incinte, agli uomini di
mezza età con la puzza sotto il naso(e oserei dire anche dentro il naso ormai …
). Dal canto suo, il pastore tedesco, che scoprimmo chiamarsi Omar, preferiva
abbaiare contro chiunque avesse qualcosa da ridire.
Dopo questo gentile siparietto,
Bianca cominciò a pormi delle domande, in quanto secondo lei, avessi qualcosa
da nascondere.
«Secondo me hai visto qualcosa e
non vuoi dirmelo, Alex» continuava a ripetermi mentre ci apprestavamo
finalmente ad uscire dal centro.
«Non ho nulla» continuavo a
ripetere distrattamente, con lo sguardo rivolto altrove.
In effetti, Bianca non sbagliava.
Era da almeno mezz’ora che avevo notato un tizio sospetto. Questo tale, un uomo
barbuto, con i capelli rossicci e con un giubbotto verde militare indosso
coperto di peli, probabilmente di animale, aveva guardato ogni vetrina e fatto
delle foto ad ognuno di essa. Inoltre portava la borsa a tracollo sulla spalla
sinistra. La deduzione più logica sarebbe che fosse mancino. Indovinate un po’?
Faceva le foto dal cellulare con la mano destra. Inoltre, avevo notato sulla
tasca destra del suo larghissimo giubbotto, c’era una sporgenza che non mi
piaceva affatto.
Quando fece esplodere un colpo
dalla sua pistola, una Beretta 93R, frantumando la vetrina di un negozio
dedicato alle ceramiche, il mio sospetto divenne certezza. Avevo già un piede
fuori dal posto, quando cominciai a correre all’impazzata lasciando la mano a
mio fratello Andrea. Inconsciamente, non calcolai che mi avrebbe seguito
comunque e con lui, per proteggerlo, anche Bianca la quale continuava ad
urlarmi a squarciagola di non immischiarmi.
Il tizio si accorse della mia
violenta corsa alle sue spalle. Il mio obiettivo era quello di saltargli sulle
spalle e disarmarlo.
«Stai fermo moccioso!» mi intimò
puntandomi la Beretta a dieci centimetri dal viso.
Rabbrividii fermandomi di scatto.
Era come se il mondo si fosse fermato.
L’anziana signora urlava a più
non posso e se ne stava abbracciata al cane, che abbaiava in modo feroce
attirando l’attenzione anche dei piani alti. In circa un minuto, l’uomo col
giubbotto verde ricoperto di peli, ebbe un centro commerciale enorme, popolato
da migliaia di persone, totalmente in proprio ostaggio.
«Chiunque si muovi, è finito!»
urlò aprendo un sacchetto di pelle.
Poi scavalcò la vetrina delle
ceramiche e si fece consegnare l’incasso dalla commessa, che più che
terrorizzata, era proprio inerme.
«Anche chi vuol fare l’eroe»
disse guardandomi stizzito «finirà male, quindi attenzione!».
«Dimmi un po’» gli chiesi tenendo
le mani alzate mentre cercavo di
raccogliere tutto il mio coraggio«perché fai la rapina senza passamontagna? Sai
cosa succederebbe se uno di noi sapesse riconoscere il tuo viso?».
Scavalcò di nuovo la vetrina. «E
bravo il moccioso … sai, non che me ne importi più di tanto. E’ la mia ultima
rapina, poi mi ucciderò. Ve lo dico perché ormai non potete più fermarvi. Ma
prima di uccidermi, porterò qualcuno con me all’altro mondo. Per esempio …
questa bella signorina accanto a te … chi è la tua fidanzatina?»domandò ironico
afferrando Bianca con forza scaraventandola a terra con disprezzo.
Poi le puntò la pistola contro.
Lei se ne stava inginocchiata, con le mani giunte, quasi come per pregare, tra
le lacrime. Il tizio caricò la pistola.
«Un solo passo, una sola parola,
ragazzino … e la tua fidanzatina finisce all’altro mondo. Hai capito cretino?».
Annuii carico di rabbia, con gli
occhi infossati e la voglia di fare a botte. Ma non potevo. Aveva una pistola
dalla sua. Se il tizio nel bar di qualche tempo prima ero riuscito a
convincerlo di non fare una strage, questo mi sembrava decisamente più
intenzionato a portare a termine il suo piano.
Continuava a derubare i presenti.
Ripulì l’uomo di mezza età. Si fece consegnare orologi d’oro, gioielli,
anellini, catenine, persino spille dal grande carattere affettivo.
Picchiò anche una ragazza sui
vent’anni. L’aveva minacciata di dargli la sua catenina d’argento. Era una
catenina con incise due lettere, mi parve fossero la G e la N. Alla richiesta
del rapinatore di consegnargliela, la ragazza rispose picche una prima volta,
picche una seconda e picche ancora una volta la terza. La risposta del tizio fu
un sorriso beffardo ed un cazzotto violento con la Beretta nella mano. La
ragazza venne sbalzata a terra. La sua faccia era livida, gonfia, colma di
sangue. Ne perdeva davvero molto. Doveva aver colpito nella parte più dolorosa.
Fatto sta che le strappò la catenina dal collo, buttandola poi a terra e
calpestandola con il piede destro. Che idiota. Inutile dire che la ragazzina
scoppiò in lacrime. Il sangue misto alle lacrime, è una cosa che da quando
avevo cominciato a collaborare qua e là con la polizia nelle vesti di
detective, avevo visto moltissime volte. Ed ogni volta ti sentivi uno schifo.
Perché la gente nasce umana, diventa belva e muore di nuovo umana, ma non per
volere, ma solo perché la vita ti costringe. Strano no? Me ne stavo inerme,
guardando negli occhi Bianca, che non aveva ancora dato segno di vita. Rimaneva
a terra, disperata, sconvolta, con i capelli che le carezzavano gli occhi
umidi. Mio fratello mi stava attaccato alle gambe, in segno di protezione. A
cinque anni, ritrovarsi in quelle situazioni, era davvero sorprendente, oserei
dire disarmante. Tra un po’ mio fratello sarebbe stato più intraprendente di
me.
Il cane abbaiava con forza e
violenza. L’anziana signora veniva minacciata dal rapinatore e l’uomo di mezza età si lasciava cullare dal
pericolo. Era impassibile, ma dentro di lui aveva l’angoscia di chi non sa se
avesse rivisto sua moglie, o i suoi figli.
C’erano altri due personaggi
molto particolari. Un ragazzo sui trent’anni, completamente ricoperto di
tatuaggi di ogni tipo e una donna sulla cinquantina, distinta,abbastanza snob,
con un fare naif, che anche quando ebbe da consegnare i suoi anelli al
rapinatore, non perse la sua aria di supponenza.
Il ragazzo con i tatuaggi, si
carezzava l’ultima garza. Doveva essere l’ultima opera d’arte inflittagli sul
suo corpo. Per il resto, il suo berretto gli nascondeva gli occhi. La donna,
anch’essa con capelli ramati, aveva in controluce, tutti gli occhiali sporchi.
Che avesse pianto? Che avesse avuto un incontro ravvicinato con qualche
dinosauro. So cosa pensate. Sto scherzando in un momento come questo. Purtroppo
è così. Devi avere la forza di dominare la paura. La paura, in alcuni casi, è
la tua amica più fidata, quella da cui si va per ricevere un consiglio, quella
che ti fa regredire da supereroe a uomo, quella che ti colpisce forte, ti
strattona, ti da segnali di scossa.
Intanto nell’aria, continuavano a
volare peli dal giubbotto del tizio. Un paio di persone starnutirono. Dovevano
essere allergiche.
«Ed ora» ricominciò a parlare tra
il silenzio misto alla paura «completiamo l’opera. Finiamola qui. Volete
ragazzi? Allora? Morirò qui! In questo centro commerciale! Ma tre di voi
verranno con me!»concluse con una risata sadica. Era inquietante.
«A cosa diamine è servito allora,
fare la rapina?» chiese l’uomo di mezza età, con i polsini della camicia
sbottonati e l’aria sconvolta.
«Non dirmi quello che devo fare,
idiota! La mia missione era quella di farvi creare un grosso spavento e poi di
portarmi tre di voi con me, all’altro mondo, in modo che non dimentichiate mai
questa giornata!».
CAPITOLO
III – Peli di cane
Una donna, quella di poco prima,
incinta, cominciò a singhiozzare in modo violento.
«Bene, una volontaria già ce
l’abbiamo. Signora, lei sarà la prima a venire con me».
«No!» urlò quest’ultima tra le
lacrime. Ma poco dopo si avvicinò. Lo sguardo del bastardo, valeva più di mille
parole.
«La seconda vittima sarà … sarà …
quella sorta di ritratto umano. Vieni qui Mr. Tatuaggio».
Il ragazzo si avvicinò
lentamente, quasi conscio del destino che stava per giocargli un brutto
scherzo.
«E la terza ce l’abbiamo già qui,
signori e signore. E’ la fidanzatina dell’eroe che voleva sorprendermi alle
spalle, e che ora se la sta facendo sotto dalla paura». Indicò prima Bianca,
pronunciando la parola “vittima”, e poi successivamente guardò imperterrito me,
per il resto del discorso.
«Bianca no! E’ mia amica!» mio
fratello attirò l’attenzione del bruto, che si inginocchiò davanti a lui e gli
disse: «le cose non vanno sempre come vorresti. Ringrazia il cielo che io ti
risparmi bimbetto». La faccia di mio fratello si contorse in una espressione
cattiva, intonsa dagli scrupoli. Se avesse avuto un arma, avrebbe premuto il
grilletto.
Ok, è arrivato il momento.
Precedenza alle signore, quindi … » puntò la pistola verso la donna incinta,
che pensò di ripararsi la pancia con le mani.
«Aspetta!» urlai.
«Cosa diavolo vuoi?».
«Io … avrei una richiesta». Mi
avvicinai lentamente con le mani alzate.
«Sentiamo» disse il bastardo con
aria dipinta da un ghigno benigno.
«Io soffro di cuore. Di attacchi
cardiaci molto forti. Quindi mi chiedevo se potessi … ecco … uccidere me al
posto di queste persone».
«Ah ah! E perché dovrei farlo?».
«Be’ ecco». Crollai a terra, con
la mano che si torceva la parte sinistra del petto, a simulare un attacco
cardiaco.
«Ah!» dissi urlando a più non
posso. Dovevo inventarmi qualcosa. Anche a costo di morire io stesso, non
potevo far uccidere quattro persone, compreso il bambino che stava per nascere.
Così, finsi di avere problemi cardiaci, finsi di contorcermi.
«Vedi … ah!» continuai nella
recita fingendo fortissime fitte. «Fammi fuori, sparami adesso. Tanto non potrò
vivere a lungo. Sparami … in fronte … ah!».
«No Alex!» Bianca si era alzata e
con le lacrime agli occhi si contorceva il viso.
«A-allora? Vuoi farmi fuori, sì o
no?» chiesi al rapinatore.
«Silenzio» chiese il barbuto
rapinatore con violenza. «Vuoi venire tu con me all’altro mondo eroe? Ne sei
sicuro?».
«Certamente … » dissi finendomi
dolorante.
«Dammi una buona ragione per la
quale dovrei farlo, idiota».
«S-sei … ah! … sei sposato no? Ho
visto la fede. Pensa a cosa … a cosa penserebbe tua moglie dopo la tua morte.
Sarebbe incolpata di avere un marito assassino di un quadruplo omicidio. Invece
così … sarà incolpata lo stesso … ma almeno diranno che ha ucciso un povero
malato che voleva un po’ di sollievo dal suo cuore stanco».
Queste parole lo colpirono. E
senza dire una parola, caricò la Beretta R93.
«Ok. Ti piace fare l’eroe … »
disse ironizzando. Potete andare tutti dall’altra parte e assistere
all’esecuzione» concluse in modo quasi trionfante.
Ero a pochi centimetri dalla Beretta
e tra pochi secondi, il buio mi avrebbe avvolto. Ero a pochi centimetri anche
dal cane. Quello che mi serviva per sfuggire dal buio. La signora anziana mi
guardava in modo stupido. Passò neanche un secondo, quando urlai a più non
posso e saltai addosso all’anziana signora. Balzai all’indietro e la colpì con
un placcaggio in stile football, scaraventandola a terra, e cercando di
parargli la testa con le mani. La signora, per forza di cose, dovette lasciare
la presa del cane, che si avventò sul rapitore e cominciò a morderlo ovunque.
Il bastardo urlava a più non posso. Mollò la pistola, che fu subito raccolta da
Mr. Tatuaggio. Gli urlai di lanciarmela e lo fece. Fortunatamente non sparò
nessun colpo.
«Ora sei sotto controllo!» gli
urlai. Poi dissi alla cassiera di lanciare l’allarme.
Il cane non mollava ancora la
presa. Mi scusai con l’anziana signora per il placcaggio, ma le dissi che era
stato necessario. Dal canto suo, la donna, dopo avermi schiaffeggiato per
qualche secondo, mi ringraziò di avergli risparmiato una brutta fine e così
fecero anche gli altri. Bianca, non appena si riprese psicologicamente dallo
shock, venne da me e mi abbracciò forte, dondolandosi al mio collo. Versava
ancora lacrime.
«Oddio! Ho temuto davvero il
peggio!» continuava a ripetere.
«Su, è passato. Non piangere,
sennò mi commuovo anch’io e faccio la figura dello stupido» le dissi
carezzandole la testa e stringendola forte a me.
Mio fratello riabbracciò Bianca.
Quindici minuti dopo, la polizia arrivò al centro commerciale e arrestò il
rapinatore barbuto. Il suo nome era Federico Montanari, aveva quarantaquattro
anni, una figlia di tre anni, sposato da cinque e ricercato da venti per
spaccio di droga. Voleva suicidarsi perché aveva fallito una missione per il
suo capo, e quest’ultimo, gli aveva promesso che lo avrebbe fatto fuori non
appena si fosse distratto. Stando alla sua confessione, non ce la faceva più a
convivere con quel peso addosso.
Tornammo a casa in macchina.
Andrea si addormentò sul sedile posteriore.
Ascoltammo i Bon Jovi in auto.
Flavio ne era un fan accanito. E piacevano anche a me. Sulle note di “Livin’ on
a Prayer”, Bianca cominciò a parale, con la paura che le attanagliava la gola e
che l’avrebbe fatto per almeno una settimana, o più.
«Dimmi un po’ … hai fatto agire
il cane perché lo hai visto feroce, non è vero?».
«Nient’affatto» dissi
bisbigliando.
«E allora … ?».
«Non l’hai notato? Eppure era
vicino a te. Il rapinatore ha sicuramente un cane a casa. Di grossa taglia».
«Ma … come fai ad esserne così sicuro?»
chiese stupita.
«Un cane normale, anche il più
feroce, avrebbe abbassato la guardia ad un certo punto. Ma il comportamento di
Omar, quel pastore tedesco, mi aveva insospettito. Continuava ad abbaiare. Il
fatto è che i cani, quando annusano il pelo di un esemplare più grande di loro,
entrano subito in competizione con quest’ultimo. Abbaiano, reagiscono male e
diventano intrattabili. Il nostro rapitore aveva continuato a subìre le ire del
cane nonostante le minacce … e la conclusione più ovvia è stata che avesse dei
peli di cane sulla giacca. La signora lo teneva stretto, per paura che
commettesse qualche sciocchezza, ma non aveva capito che proprio quel cane,
fino a quel momento malvisto da mezzo centro commerciale, avrebbe potuto salvarci
la vita fin dall’inizio».
«Sorprendente!» esclamò «Ma
perché hai finto quell’attacco di cuore?».
«Se non ci si ingegna, è finita»
commentai ridendo «Tutti hanno un cuore, anche i criminali. Ed ho provato a
toccarlo su ciò che pensavo avesse più importanza per lui … la sua famiglia,
naturalmente».
«Capisco … Be’ bravo … » cercò di
dire in tono serio. Ma si vedeva un miglio che i suoi occhi provavano gioia e
commozione in modo totale.
«Ti ringrazio».
«Figuriamoci! Adesso non te la
credere troppo. Ho notato che sei leggermente presuntuoso!» disse ridendo.
«Presuntuoso io?» domandai
incredulo.
«Già, non l’avevi notato?».
E continuammo per un po’. Si
chiamano punzecchiamenti, e mi piacciono molto. I punzecchiamenti reciproci
sono straordinari. Non come l’angoscia. La stessa angoscia che aveva quasi
fatto commettere un omicidio ad un criminale, padre di famiglia.
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