LE
PUNIZIONI DELLA KAREN(1pt)
PROLOGO: Una crociera riservata a quelli che risolvono un piccolo giochino di logica. Bianca riesce a far parte di essa anche grazie ad Alex. Sembra il preludio di una settimana scarsa di totale relax ... e invece no ... la vendetta non dimentica ... MAI!
CAPITOLO
I – Gioco per la vittoria
Lo chiamavano piacevole. In
televisione, assistevo a tentativi da record su ogni qualsivoglia azione
discutibile. C’era l’uomo che mangiava formiche come fossero biscotti, la donna
che si lasciava lanciare con un cannone da circo a più di trenta metri di
distanza, e chi invece strabuzzava così gli occhi così tanto da farseli sbalzare
fuori. Ero incuriosito da quella strana situazione e da quegli strani tentativi
e perciò, quella domenica mattina nella quale il dolce riposo era l’unica cosa
che mi interessasse, mi ero sdraiato sul divanetto dell’ufficio di Flavio e mi
ero goduto quel balzano programma.
Quella mattina Flavio non era a
casa. Era uscito piuttosto presto per andar a far visita ad un suo amico in
ospedale. Quest’ultimo, svolgeva il lavoro di custode al museo, ma pare che in
una colluttazione fisica con un energumeno avesse avuto la peggio riportando
fratture multiple e escoriazioni sui gomiti. Siccome conosceva Flavio da circa
quindici anni, era entrato di diritto in quella lista di “rispettabili” che
Flavio pareva avesse stilato da un po’. Chissà se ne facevo parte anch’io.
Nel frattempo, mio fratello
Andrea, se ne stava in camera sua, Fabio era uscita con quella Martina sulla
quale mi aveva raccontato qualche particolare scabroso e Bianca se ne stava al
computer del padre, nella mia stessa stanza. Aveva una confezione di biscotti
in mano, una di quelle con le quali fai colazione per trenta giorni senza
stancarti mai. La teneva nella mano sinistra, e con la destra muoveva
energicamente il mouse.
Intanto, sbottava e si lamentava.
«Fammi capire. Cos’hai oggi?»
dissi spegnendo la tv e andando a posizionarmi vicino a lei davanti al monitor.
«E che ho un problema che non
riesco a risolvere».
«Spiegami».
Mi inginocchiai vicino lei, e le
sfiorai i capelli con il viso. «Il fatto è» cominciò porgendomi la scatola di
biscotti «che sono andata su vari siti e … hai presente quelle pubblicità che
ti appaiono sempre su estrazioni e cose varie?».
«Certo, qual è l’intoppo?»
domandai pescando un biscotto dal pacco.
«L’intoppo, come lo chiami tu, è
che devi risolvere un problema di logica, un codice, o qualsiasi altra cosa
nella quale bisogni usare il cervello, al fine di vincere un premio Vengono
sorteggiati solo determinati indirizzi IP».
«E il tuo è stato sorteggiato?».
«Certo. Altrimenti perché sarei
disperata?» mi chiese guardandomi con sarcasmo.
«Quindi, mi stai dicendo che non
sai risolvere il problema che ti hanno dato?».
«Già».
«Che cosa si vince?».
«Sono stati sorteggiati otto
indirizzi IP. Coloro che riusciranno a risolvere il problema, vinceranno una
crociera nel Mediterraneo. I partecipanti possono portare tutti quelli che
vogliono, senza esagerare naturalmente».
«Capisco» dissi portandomi una
mano al mento. «Ti dispiace se do un’occhiata al giochino?».
«Fai pure, ma tanto è inutile. E’
un ora che ci ragiono sopra e in testa ho solo una gran confusione» disse
girando il monitor interamente verso di me.
Notai un timer sulla parte destra
dello schermo. «Cos’è quello?» dissi indicandolo.
«E’ il timer del gioco. Per
risolvere questo complesso gioco di logica, abbiamo solo un’ora e dieci minuti
… sono stati crudeli» disse assumendo una posa da vittima.
«Be’, dai. Non così ingiusti. Ti
regalano una crociera».
«Io parlavo del problema. E’
davvero troppo difficile».
Lessi su di una grafica
grigiastra, questo “impossibile” indovinello.
“Tre marinai
trovano un mucchio di noci di cocco. Il primo ne prende la metà, più mezza noce
Il
secondo prende metà di quello che è rimasto, più mezza noce. Il terzo fa la
stessa cosa del secondo.
Rimane una sola noce, che i
marinai donano a una scimmia. Quante erano le noci nel mucchio inizialmente?”
Rimasi a fissare lo schermo per
un paio di secondi, poi presi il mouse, ma Bianca mise la sua mano sulla mia,
impedendomi di muovermi.
«Fermo, abbiamo solo un
tentativo».
«Ho risolto l’enigma».
«Davvero? Dimmi».
«Fammi mettere il risultato e poi
vedi».
«No, dimmi tutto prima a me».
«Che c’è? Non ti fidi?».
«Non è questo è che … ».
«Non ti fidi» affermai
distogliendo lo sguardo dal suo.
Tolse la mano, si imbarazzò. Poi
mi alzai, e con l’aria da saccente, dissi:
«La risposta all’enigma è
quindici. Sono quindici le noci inizialmente. Infatti, se alla fine resta una
sola noce, significa che il marinaio si è trovato di fronte solo tre noci al
suo arrivo. Ha preso due noci, ovvero metà del mucchio, cioè una noce e mezza più
mezza noce, lasciandone così una. Così facendo, è logico presupporre, che il
secondo marinaio abbia avuto a disposizione sette noci, prendendone solo
quattro, naturalmente tre e mezzo più l’altra mezza, seguendo la struttura del
giochino. Ne ha lasciate così tre per il terzo marinaio. Per concludere, il
primo marinaio, poteva disporre di quindici noci. Ne ha prese così otto».
Bianca mi guardò con una
espressione che trasudava dubbio da ogni poro.
«Si può sapere come hai fatto ad
arrivare a questa soluzione in così pochi secondi?».
«Tutto sta nel tenere allenata la
mente. A volte, quando mi annoio, creo da solo questi rompicapo. Mi distraggono
e mi aiutano a concentrarmi sui casi».
«Inserisco la tua risposta
allora?».
«Come se avessi un’altra
possibilità … » le dissi sorridendole con sarcasmo.
«Spiritoso … guarda che con un
po’ di ragionamento, ci arriverebbe chiunque, non darti arie da professorino».
«Vero, chiunque può arrivarci, ma
a te la risposta serve entro dieci minuti al massimo, giusto?».
«Ehm … giusto» disse passandosi
una mano tra i capelli.
«E non hai tempo per metterti a
ragionare. Giusto?».
«S-sì … ».
«E allora, inserisci questa
risposta che ci andiamo a vedere il Mediterraneo da vicino».
«Sei proprio sicuro di te … Vorrei averla io questa sicurezza. E se
sbagli?».
«Se sbaglio … ti accompagno per
un mese di fila a fare shopping, facendoti da portaborse, lo giuro» dissi
incrociando le dita.
Un po’ timorosa, Bianca posò la
mano sul mouse e si decise ad inserire il referto. Il computer si colorò di
verde smeraldo e una pacchiana scritta con su scritto “HAI VINTO!” comparve
accompagnata da una musichetta in stile “Rocky”.
«Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!
Abbiamo vinto! Sei grande Alex!» disse alzandosi in tutta fretta e venendomi ad
abbracciare. Non nego che arrossii, e parecchio anche.
«Non vedo l’ora di dirlo a papà!
Sarà entusiasta! E poi gli serve una vacanza. Di solito, lavora troppo».
«Già, lo credo anch’io» dissi
fingendo di acconsentire.
Al ritorno, Flavio, si limitò a
pavoneggiarsi di come anche lui avesse potuto facilmente risolvere quel
complicato rompicapo. Aveva cominciato a riavvolgere il nastro dei ricordi e a
far viaggiare la mente attraverso quegli anni in cui, stando ai suoi racconti e
alle sue parole, “bello e pieno di vita”, si divertiva a risolvere indovinelli
su indovinelli, lasciando strabiliati tutti i suoi amici.
«E quando dovremmo partire?» si
limitò ad aggiungere successivamente.
«Ho stampato la pagina che ha
visualizzato il sito subito dopo l’indovinello. Lo leggo» disse felice come non
mai, Bianca.
«”Carissima signorina Moggelli.
Siamo lieti di comunicarLe la piena risoluzione del rompicapo ideato da un
nostro dirigente con esperienze nel campo matematico e logico applicato. Come
promesso dalla nostra azienda, la nave d’epoca costruita nel 1984 e chiamata
KAREN, salperà al porto di Roma tra due giorni, alle ore 11.00. La crociera
avrà durata di giorni 5. Le auguriamo un buon soggiorno e le ricordiamo che può
invitare fino a ben cinque persone ad accompagnarLa. Lo staff La ringrazia per
la cortesia dimostrataci e Le auguriamo ancora, una buona crociera. Firmato,
Alvin Feretti, introduttore e creatore del premio”».
Io e Flavio avevamo ascoltato il
tutto, distesi sul divano. Mio fratello, seduto sulle mie gambe, aveva
continuato a fare le bolle di sapone, disinteressandosi di tutto ciò che stava
accadendo. Ah, i bambini.
«Non è magnifico?» disse Bianca.
«La cosa meno magnifica è che
dovremo raggiungere Roma» commentò Flavio.
«Come sei pessimista! Ti regalano
una crociera di quattro giorni, nel Mediterraneo e tu pensi solo alle cose
negative? Papà, sei peggiorato con gli anni».
«E’ quello che si chiama
vecchiaia. C’è chi l’accusa più e chi l’accusa meno, figliola».
«E tu che ne pensi Alex? E tu
Andrea?». Bianca era in eccitazione più totale.
Dal canto nostro, sia io che mio
fratello, ci guardammo in faccia, con un’aria perplessa.
«Maschi … siete sempre i soliti
insensibili. Siete profondi come una pozzanghera prosciugata … ».
CAPITOLO
II – In vacanza
Arrivammo a Roma il giorno dopo
verso le 10:45, giusto in tempo per salpare. Il porto troneggiava nell’ambiente
dando all’aria una sensazione di gradevole brezza. Il tempo aveva riservato il
meglio di sé, mostrandosi assolato come non mai, e le navi erano il fiore
all’occhiello di un posto davvero affascinante.
Ci eravamo diretti verso Roma,
io, Bianca, Flavio e il mio fratellino. Fabio non era voluto venire. Diceva che
non gli interessava la crociera, mentre Sergio disse che avrebbe approfittato
della temporanea assenza di Flavio per far visita ad alcuni suoi parenti a
Perugia. Bianca aveva provato a convincere Barbara a venire con noi, ma
quest’ultima aveva rifiutato, dicendo che lo stesso giorno della partenza
sarebbe stato il compleanno di suo cugino e che quindi le sarebbe stato
impossibile venire con noi.
La “Karen” era una nave che era
stata costruita nel 1984. Il volantino di presentazione che avevano allegato e
che ci avevano consegnato non appena arrivati al porto, recitava che a
progettarla era stato un certo ingegnere Geronimo Cavalletto. La nave era
rimasta attiva fino al 1997, quando in un incidente in Polinesia, fu fatta
praticamente a pezzi. Dopo la morte dell’ingegnere, la famiglia ha voluto che
la nave riprendesse a viaggiare, e per qualche strano motivo chi tirava i fili
dell’organizzazione aveva acconsentito. La “Karen” era di una bellezza
imbarazzante.
La possenza di quella nave da
crociera era sorprendente. Alla voce delle caratteristiche tecniche, erano
elencati numeri su numeri di quella magnifica creatura creata in metallo. Era
lunga 269 metri, ne misurava ben 29 in larghezza. Aveva un’altezza dal mare di
52 metri. Aveva una capacità di carico di 4500 passeggeri.
Praticamente un mostro
sull’acqua. Ma non era stato quello che mi aveva colpito della “Karen”. Ciò che
avevo percepito alla visione di questa nave è un sentimento difficilmente
spiegabile con le parole. Diciamo che fui invaso da due sentimenti contrastanti
tra loro. Il primo fu un grande segno di rispetto per colui che l’aveva costruita,
e per coloro che ci avevano lavorato a bordo per tanti anni. Il secondo, fu una
terribile angoscia, che mi pervase tutto il cuore e che mi fece rattristare.
Avevo come uno strano presagio. Fantasticherie.
Ci avvicinammo alla nave, e
vicino ad essa, notammo altri sette figuri, in piedi, con le valigie in mano,
esattamente come noi. I nostri compagni di viaggio. Affianco a loro, altre
cinque persone. Due si occupavano probabilmente dell’equipaggio. Erano vestiti
con la medesima divisa e se ne stavano eretti come fusi, in una forma di
professionalità davvero invidiabile. Poi c’è n’era un altro, diciamo un ragazzo
sulla trentina. Aveva barba incolta e capelli biondo ramati. Gli altri due
membri che formavano l’allegro quintetto dovevano far parte della direzione.
Rispettivamente capitano e vice-capitano, pensai.
Arrivati lì, il tizio biondo, con
la barba incolta, estrasse la sua mano dai jeans a vita bassa da lui indossati
e ce la porse in segno di benvenuto.
«Salve! Tu devi essere Bianca!»
disse salutando la ragazza in modo energico. «Sei il piccolo genio che ha
risolto l’indovinello da noi proposto. Sei stata fenomenale, complimenti!».
«Be’ ecco … io non l’ho risolto
proprio da sola. Ho avuto una mano da questo mio amico che … » disse
indicandomi. Ma non riuscì a terminare la sua frase.
«Ah! Abbiamo un altro genietto a
quanto pare! Come ti chiami ragazzo?».
«Alex» dissi con diffidenza.
«Alex! Bel nome! Dico davvero»
disse posandomi la sua mano sulla mia spalla. «E fammi capire bene ragazzo»
affermò avvicinandosi al mio orecchio «Bianca è la tua fidanzatina?».
Arrossii come non avevo mai fatto
prima.
«Ma co-cosa sta dicendo? Che va
raccontando?».
«Suvvia Alex» continuò facendomi
gomito «è bello che qualcuno aiuti la propria ragazza … perché vergognarsene?
Avete sentito signori?» disse rivolgendosi al resto della folla «c’è un
timidone qui!». Non commento il mio imbarazzo. Con la folla che mi guardava con
fare diffidente.
Bianca non ci vide più. Sapeva
essere molto dura a volte e così fece. «Se non la smette immediatamente di
raccontare stupidaggini, la riempio di pizzichi finché non sviene!» disse
urlando e strepitando.
Flavio, dal canto suo, era
piuttosto imbarazzato. Fingeva quasi di non conoscerci. Successivamente
ultimammo le presentazioni. Il simpaticone che ci aveva intrattenuto fino ad
allora, era Alvin Feretti, il creatore del premio. In seguito venivano i due
ragazzi dell’equipaggio, il capitano Casolare e il suo vice Nelboni.
Stringemmo la mano a tutti. Il
capitano Casolare era uno di quegli uomini scampati alla seconda guerra
mondiale. Uno di quei incorruttibili uomini, tutti d’un pezzo. Fatti da
carattere e cuore al 100%.
I suoi baffoni grigi poi,
incutevano un aura di timore alla circostanza. Il suo vice, Gerardo Nelboni,
era invece più alla mano. Doveva avere almeno vent’anni di meno. Portava i
capelli a spazzola e ci guardava tutti consapevole dei gradi a lui assegnati.
Finite le presentazioni con
l’equipaggio, iniziarono quelle con i nostri compagni. Alvin aprì le danze. Lo
conoscevo da cinque minuti e già avrei voluto buttarlo in mare. In senso buono
si intende.
«Allora, chi vuole presentarsi
per primo ai nuovi arrivati? Non cercate di nascondervi signori! Tanto dovrete
farlo tutti!».
«Allora comincio io» iniziò un
uomo sulla sessantina, con capelli bianchi come perle. «Mi chiamo Alberto
Falonghieri, ho sessantatré anni e sono un uomo d’affari. Provengo da Venezia».
Il viso, solcato da rughe, mostrava ancora il verdetto di qualche anno prima.
Il signor Falonghieri mi diede fin da subito l’aspetto di uno sciacallo della
finanza. Indossava un doppiopetto nero.
«Ah» esclamò Flavio. «Lei è nel
campo della lavorazione edile, non è vero?».
«Esatto, vede che mi conosce».
Aveva già fatto il pieno di boria.
«Ok, tocca a me» disse voltandosi
un uomo in bermuda verde. «Sono Lucas Meruta. Faccio il poliziotto, ho
quarantaquattro anni e sono di Genova».
«Che coincidenza!» commentò
ancora una volta Flavio. «Io sono un detective. Siamo quasi colleghi quindi?».
«Eh be’, sì» disse facendo un
risolino l’uomo. «Ho sentito parlare di lei e di quel ragazzino alle sue
spalle» disse indicandomi. «Si dice che sia un portento con le indagini». Mi
limitai ad annuire arrossendo.
«Io sono Elisabetta Criota. Ho
ventidue anni e studio giurisprudenza alla facoltà di Palermo. Sono nata però a
Ragusa. Felice di conoscervi! Che caldo oggi, non è vero?». La ragazza in
questione indossava una minuscola canottiera che poco lasciava
all’immaginazione e degli shorts davvero molto provocanti. Al tutto abbinava
una borsa con lunga cinta a ghirigori. Essendo di carattere espansivo, assumeva
un’aria simpatica per chiunque la guardasse in volto. I capelli riccioluti, di
colore castano, che le cadevano sulla fronte, completavano l’opera. Una ragazza
davvero carina.
«Tocca a me non è vero?» disse un
uomo completamente calvo. «Mi chiamo Federico Mascella e faccio il cuoco in un
ristorante di Bergamo. Ho quarant’anni». Poi ebbe un inceppo con la valigia e
si distolse dalla conversazione.
«Io sono Riccardo Montervino»
annunciò un tizio barbuto. «Faccio lo stuntman per il cinema italiano ed
estero. Ho lavorato anche a Hollywood e a Bollywood. Ho trentacinque anni».
Montervino possedeva il fisico statuario di un body builder e l’aspetto di un
carabiniere.
«Io sono Orietta Lonsi. Insegno
matematica in una scuola media di Ragusa. La signorina Elisabetta mi conosce
anche di vista, infatti» affermò una donna sulla trentina con capelli rosso
fuoco. Teneva in mano una sigaretta. Era già la terza che si accendeva in pochi
minuti. Poveri studenti. Entro la fine dell’anno avrebbero dovuto chiamare i
pompieri. Quella donna poteva appiccare un incendio per tutta New York con le
sigarette che presumibilmente fumava in un solo giorno.
«L’ultimo sono io» disse
sorridendo un uomo stempiato. «Mi chiamo Enrico Bascia. Faccio l’operaio a
Firenze». Il suo parlare era contrassegnato da quel tipico accento toscano.
I convenevoli durarono ancora per
poco. Ci avvicendammo a salire sulla “Karen”. Era davvero imponente. Anche gli
interni erano bellissimi. Tutta la pavimentazione era fatta in parquet. Le
porte erano state rifinite ed una grossa scritta impreziosita in oro
troneggiava su ogni singolo tavolo, su ogni singola porta, su ogni piccolo
asciugamano. La scritta riportava ovviamente il nome della nave sulla quale ci
eravamo imbarcati.
Partimmo verso mezzogiorno. Ci
servirono il pranzo, tutti insieme all’aperto. La nave era immensa. C’erano
anche quattro ristoranti, ma per l’occasione avevano apparecchiato vicino a
poppa. Secondo il capitano, in quel modo saremmo “riusciti meglio a comprendere
cosa significa essere a bordo della Karen”.
Durante il pranzo, parlammo
relativamente poco. La ragione è che non ci conoscevamo bene. Insomma, eravamo
in viaggio da un’ora dopotutto. Il pranzo comunque fu impeccabile e il servizio
anche. Servirono piatti semplici, ma di indubbio gusto. Antipasti di mare,
spaghetti con le vongole, sogliola impreziosita da pomodoro e insalata caprese.
Niente male no?. Il resto del giorno lo passammo nelle nostre cabine. Uscimmo
solo la sera, verso le otto. Nel pomeriggio Andrea aveva passato la giornata ad
ammirare il mare dalla finestra. Bianca si era dedicata alla lettura, ma ogni
tanto aveva lanciato qualche sguardo fuori. Aveva ammirato il mare con occhi
sognanti e un velo di tristezza era sceso nei suoi occhi. Flavio, anch’esso
affascinato dal mare, passò la giornata a fumare. Un altro po’ e avremmo dovuto
regalargli due polmoni nuovi. Ad un tratto “duettò” anche con il vice capitano della
nave. Fumarono due sigari italiani.
La sera, come detto in precedenza,
uscimmo per bere un cocktail fresco. La nave era dotata di un piccolo bar e
così tutti i passeggeri si erano riuniti, seduti ai tavolini e si erano goduti
la fresca brezza della sera. Eravamo tutti a
maniche lunghe, tranne Elisabetta. La ragazza indossava ancora una volta
una piccola canottiera ridotta che poco spazio lasciava a papabili e pervertite
immaginazioni.
Alberto Falonghieri, l’uomo
d’affari che si era presentato per primo, ci guardò con sufficienza, facendo
oscillare le sue pupille dal basso verso l’alto.
«Prende qualcosa detective?»
chiese a Flavio scostandosi dalla sua posizione abituale.
«No, la ringrazio, al momento non
desidero nulla signor Falonghieri».
«Insisto. Sono un suo fan … e
anche di quel ragazzino» disse indicandomi e facendomi arrossire.
«Mi confonde signor Falonghieri»
gli dissi con una mano al mento. «Non c’è bisogno di … ».
«Oh, ragazzo mio. Certo che c’è
bisogno! Si vive una volta sola, perciò insisto. Prendete qualcosa e bevete con
me, che ne dite?».
«Io passo, mi spiace. Comunque la
ringrazio» affermai gentilmente. Non mi piaceva il modo in cui Falonghieri
guardava Bianca. La guardava come un uomo della sua età non avrebbe dovuto
guardarla. Presi per un braccio Bianca e la portai lontano con la scusa di
farmi vedere il dèpliant del concorso. Flavio invece cominciò a bere un Long
Island, uno dei più forti cocktail sulla faccia della terra. Mi domando se
avesse retto. Mah …
Insomma, la vita sulla nave era
una pacchia. Si passava la mattina a dialogare, a giocare, ad osservare il
mare. Il pomeriggio nella propria cabina a fare ciò che più si riteneva
opportuno e la sera a bere qualcosa di forte o non ancora una volta tutti
insieme. Dopo due giorni avevo già inquadrato già una buona parte della
personalità del resto della truppa. Falonghieri era solo un vecchio marpione,
un pervertito che continuava a guardare Bianca in modo da me ritenuto molto
fastidioso.
Lucas Merota, il poliziotto
invece, era un tipo abbastanza onesto e lindo. Si vedeva che avesse
un’attitudine particolare al lavoro. Era un tipo quieto per intenderci. Uno che si preoccupava di
stare simpatico un po’ a tutti.
Elisabetta Criota era invece la
classica diva di Hollywood. Aveva degli atteggiamenti provocanti, delle
occhiatine naif e maliziose che lasciavano intravedere in lei una persona molto
poco sicura di se. Vestiva sempre a maniche corte, qualunque fosse la
temperatura. Il cuoco, Federico Mascella, e lo stuntman, Riccardo Montervino,
erano tipetti abbastanza riservati. Non si erano messi molto in luce.
Conversavano abilmente di tutto, mettendosi però sempre in una posizione
subalterna, come se occupassero anche in vacanza i loro naturali ruoli
lavorativi. Orietta Lonsi invece, la professoressa di matematica, si era
dimostrata abbastanza provocatoria. Non sapevo esattamente cosa avesse in
mente, ma sembrava quasi ci provasse con ogni membro della nave. Aveva
ricoperto di adulazioni il capitano della nave, senza successo. Poi aveva
provato col suo vice, ma ci fu lo stesso risultato. Enrico Bascia, invece era
il classico brav’uomo della porta accanto. Un uomo semplice, sincero, onesto,
leale, magari un po’ grezzo nei modi, ma con un cuore grande così.
Anche la seconda giornata
trascorse in sintonia con la prima. Non ci furono clamorosi ribaltoni dal punto
di vista della quiete e della tranquillità … almeno fino a quella sera.
CAPITOLO
III – Incidente o delitto?
Verso le undici e trenta della
sera, tutti eravamo nella nostra cabina. Era il secondo giorno dei cinque
previsti dalla crociera, e il pensiero di non voler più ritornare alla solita
vita, si faceva sempre più presente.
Poi un urlo. La voce del capitano
Casolare risuonò come un pugnale lanciato a vuoto nell’aria. Uscimmo tutti
dalle nostre cabine, ma una porta non si aprì. Quella di Montervino, quella di
fronte alla nostra.
«Aiutatemi! Signori, qualcuno di
voi è caduto in mare!» Nelboni aveva cominciato ad urlare a squarciagola.
Calammo le scialuppe di salvataggio. Nelboni si mise sopra una di esse e si
tuffò eroicamente in mare per prendere il corpo. Lo riportò sopra circa cinque
minuti dopo accompagnando il tutto con la posa da film e l’espressione da opera
drammatica. Non c’era più nulla da fare. Riccardo Montervino era morto. Il
cadavere fu portato sulla nave. Flavio diresse le operazioni.
«Prendete delle coperte e copritegli
il corpo» ordinò ai marinai dello staff. I ragazzi eseguirono.
Mi avvicinai al corpo e cominciai
ad esaminarlo. «Non controllare ragazzo» mi disse Nelboni «non c’è più nulla da
fare» continuò.
«Lo so bene. Stavo controllando
un’altra cosa».
«Uh? Che cosa?» chiese stupito.
«Guardi meglio. Forse col buio
non se n’è accorto, ma adesso con i faretti interni della nave si vede
benissimo» affermai indicando la parte superiore della testa della vittima.
«Ma questo … » disse impallidendo.
«Esatto. E’ sangue coagulato».
«Che succede?» chiese Flavio
avvicinandosi.
«Succede che c’è del sangue
coagulato sulla testa della vittima. Abbiamo un problema».
«Di che genere?».
«Insomma, ragiona» gli dissi
tirandolo per la giacca. «Se c’è del sangue coagulato sulla testa della
vittima, è probabile che sia stato colpito e … » non terminai la frase. Il
capitano Casolare teneva le mani della vittima strette a sé.
«Detective» disse da sotto i
baffi «cosa c’è sotto le unghie della vittima?». Bianca e Andrea se ne stavano
in disparte. Senza intervenire. Sembravano statue immobili in un film
dell’orrore.
«Questo sembra» disse Flavio
stringendo le mani di Montervino «No, questi non sembrano … questi sono
frammenti pelle umana!».
«Quindi possiamo … » iniziò
Federico Mascella.
«No signor Mascella, noi siamo
certi che si tratti di omicidio» lo interruppi guardandolo con aria di sfida.
«E’ terribile!» commentò Bianca.
«Sapete cosa c’è di ancora più
terribile?» chiesi alla folla che mi guardava con sufficienza. Poi mi avvicinai
alla ringhiera della nave. «Che il colpevole è uno di noi!».
«Cosa? Non le permetto certe
insinuazioni!» uscì a ripetizioni la professoressa Lonsi.
«Signora Lonsi» intervenne
Flavio. «Non c’è altra spiegazione. La nave è questa. Non si è trattato di
incidente e non ci sono apparenti motivi per il quale il signor Montervino
avrebbe potuto tentare il suicidio. L’ipotesi di omicidio è la più accreditata.
E considerando che si tratta di una nave con a bordo solo specifiche persone,
il colpevole non può che essere tra noi». Il tono di Flavio era diventato
severo e rabbioso. Fa sempre così davanti a un crimine.
ANTICIPAZIONE EPISODIO 20: Chi può commettere un crimine efferato come l'omicidio? Chi sarà il misterioso assassino che ha tolto la vita a Riccardo Montervino? Alex indaga e ... ALEX FEDELE EPISODIO 20: LE PUNIZIONI DELLA KAREN(2°PARTE) Solo qui, a partire dal 31 Gennaio 2011! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!
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