CONFUSIONE
E SEDUZIONE
PROLOGO: Le donne possono contare su un arma letale che l'uomo suo malgrado non ha: la sensualità. Alex e Flavio se ne accorgono a spese proprie quando si trovano di fronte un suicidio inspiegabile, viziato da circostanze misteriose. Cosa è successo?
CAPITOLO
I – Allarme caso
Adoro passeggiare. Adoro sentire
l’aria fresca che ti rivitalizza il viso e adoro quando il vento scompiglia
quei ciuffetti di capelli che invece tu cerchi di tenere sempre a posto. Quel
pomeriggio, dopo aver svolto le solite cose note, io e Flavio, avevamo deciso
di andare a fare una passeggiata in periferia. In realtà, c’era un motivo
diverso da quello dello svago. Il fatto è che Flavio, essendo appassionato di
golf, comprava ogni mese una rivista specializzata che arrivava da Los Angeles
e che commissionava lui stesso al suo edicolante. Di solito, mensilmente, si
recava al giornalaio con la sua auto, ma oggi non era andata così. La calotta
dello spinterogeno aveva cominciato a fare i capricci e per questo quella mattina,
la buon vecchia Croma era andata a farsi “visitare” dalle mani esperte di un
meccanico. Perciò, come potrete ben capire, andare in periferia, era una
questione di voglia. Se avevi voglia di farti chilometri e chilometri per una
rivista, allora potevi andare con Flavio. Altrimenti te ne restavi a casa. Il
motivo per il quale lo seguii, fu soltanto per prendere una boccata d’aria. Mi
piacevano tutti gli sport, compreso il golf, che avevo praticato in un paio di
occasioni, ma non leggevo riviste, piuttosto lo guardavo in tv. In compenso,
gli altri, avevano pensato bene di passare il pomeriggio in altra maniera.
Avevo invitato Bianca e mio fratello a venire con noi, ma avevano risposto
picche. Preferivano la biblioteca. La sera prima, l’avevano trovata chiusa.
Fabio era preso dai suoi studi e Sergio aveva preso un giorno di ferie.
«Allora, che ne dici della città?
Hai imparato le strade da fare in caso di emergenza?».
«Sì, non è poi così difficile. Ho
dato un’occhiata su internet alle varie strade …» risposi distrattamente.
«Sai, penso una cosa di te …».
«Dimmi».
«Sei troppo razionale a volte.
Voglio dire, non prenderla come critica … ma ragioni troppo, non ti lasci mai
andare».
«Sono un detective!» sbottai.
«Anch’io lo sono! Ma se devo
mandare a quel paese un’idiota, lo faccio senza preavviso, dannazione! Tu sei
sempre troppo cauto, calmo … ». Flavio si era passata la mano destra sul viso e
aveva cominciato a pensare a cosa potesse aggiungere a quella
“interessantissima” conversazione.
«E quindi?» domandai già
scocciato.
«Quindi se ti lasciassi
trasportare di più dai sentimenti … forse raccoglieresti qualcosa in più in
ogni campo».
«Per esempio?».
«Be’, anche professionale ad
esempio».
«Mah … onestamente non credo di
essere troppo razionale … e se anche lo fossi, non sarebbe poi un difetto».
«Ascolta figliolo, e questo non
te lo dico da detective ma da uomo, in alcune cose della vita, come ad esempio
i sentimenti … bisogna lasciarsi trasportare dagli attimi che vivi».
«Sì, ma chi ti dice che io non lo
sappia fare?» risposi dubbioso. Che paternale e soprattutto, si era scritto le
parole da dirmi? Flavio e i suoi dannati terzo grado!
«Il fatto è che non ti ci vedo».
«In che senso?».
«Nel senso che sono sicuro che se
una ragazza ti chiedesse di uscire, tu rimarresti a fissarla come un perfetto
stupido!».
«Ma cosa ne sai della mia vita
sentimentale? Che hai un dossier pure di quella?».
«No … ma citandoti … chiamalo
intuito».
«Mi sa che hai toppato signor
Intuito» dissi ridendo. Per poi aggiungere «Le persone hanno una maschera. E’
un po’ il discorso di Pirandello, sai?».
«Quindi, è un modo filosofico per
dirmi che fingi di essere così razionale?».
«Non proprio … è che mi adeguo a
ciò che la vita mi presenta».
«E se la vita ti presentasse la
circostanza in cui essere impulsivo?».
«Dannazione, ma come ti vengono
questi discorsi?».
«Rispondi, sono discorsi normali».
«Assolutamente, ma a me sembra di
essere il pregiudicato e tu assomigli a quei poliziotti nelle serie tv
americane, dove c’è il corto, il brutto … capisci?».
«Capisco, ma ti ripropongo la
domanda. Cosa faresti se la vita ti offrisse l’opportunità di essere impulsivo
per una volta?».
«Be’, dovrei prima ragionare
sulla circostanza e … » dissi portandomi una mano al mento. Ma Flavio mi
interruppe.
«Ecco, lo vedi che sei troppo
razionale? Spesso una dote che al detective serve per forza, è proprio
l’impulsività. Ci saranno momenti, nei quali non avrai tempo di pensare a cosa
fare e dovrai collegare il cervello a milioni di chilometri di velocità più del
normale».
«Sì, lo so, ma per adesso
preferisco i miei ragionamenti».
«Fa come vuoi, imparerai da solo.
Io la mia lezioncina l’ho fatta».
«E-era una lezione?».
«La tua perspicacia mi sorprende
a volte, ragazzo». Che sagoma eh? Che ironia non è vero?
Stavamo discutendo nell’edicola.
Stavolta la conversazione era virata sul golf. Flavio si era eretto a “paladino
delle buche impossibili” e altre sciocchezze simili. Ma il golf l’avrebbe fatta
da padrone ancora per poco. Le persone quando urlano, riescono a trasmettere,
anche se indirettamente, tutto quello che hanno dentro, sentimenti positivi o
negativi. Un urlo ci fece sobbalzare. Flavio fece cadere la rivista, la sua
rivista preferita e corse fuori, seguito a ruota da me. Le urla provenivano da
una palazzina a pochi metri.
«Il portone è chiuso a chiave»
annunciò Flavio tra lo sguardo stupito dei presenti.
«Non c’è tempo per andare a
chiamare il portiere. Chi ha urlato deve averlo fatto per un motivo grave!
Muoviamoci!» lo incitai.
Prendemmo una rincorsa di almeno
cinque metri e ci infrangemmo contro quel portone color verde scuro.
Fortunatamente era solido, ma non troppo, e quindi riuscimmo ad entrare con
facilità. I condomini degli altri appartamenti, erano già sul pianerottolo, in
procinto di scappare o di non dare allarmi che avrebbero potuto salvare la vita
a qualcuno. Si chiama omertà ed è visto dalla legge come “omissione di
soccorso”. Ma un po’ colpa mia. Sono troppo diffidente.
Continuammo a salire le scale seguendo
le urla e le chiacchiere dei presenti. Alla fine, dovemmo salire tre piani per
ritrovarci di fronte una scena a dir poco macabra.
Una donna anziana, diciamo sulla
sessantina, con un grembiule indosso ed una scopa in mano, era a terra in preda
a dei piccoli urli isterici che non davano tregua alle orecchie dei condomini.
Spalancammo la porta d’entrata in legno massiccio che lei aveva appena
socchiuso e proseguimmo in un piccolissimo ingresso, peraltro poco illuminato.
La scena che ci trovammo di
fronte, nel salone, fu agghiacciante. Il corpo di un uomo, abbastanza giovane
per essere ancora considerato single, pendeva da una trave del soffitto. Sul
collo di quest’ultimo, una corda spessa e robusta, che simboleggiava la follia
umana. Il corpo era quasi completamente nudo, aveva solo una canottiera intima
ed un paio di boxer. Aveva le mani legate.
Flavio pensò a tranquillizzare la
povera donna che aveva ritrovato il cadavere. In quanto a me, le mie
riflessioni in quel momento furono molteplici. Più che riflessioni, lo ammetto,
erano domande. Non tolleravo l’omicidio, ma nemmeno il suicidio. Togliersi la
vita è una cosa della quale non si può andar fieri, e soprattutto, non è come
pensano molti, un effetto collaterale dell’esistenza. E’ solo egoistico e non
c’è nulla, non c’è nessuna giustificazione che tenga.
Ma quel cadavere aveva qualcosa
di strano. Le mani avevano profondi solchi sui dorsi. Come se fosse stato
colpito da qualche oggetto contundente. Cosa poteva essere? Erano distanziati
l’un l’altro di pochi centimetri e avevano dei netti segni isterici. Era come
se qualcuno avesse colpito a fondo la vittima sulle mani.
«Flavio, guarda qui» lo chiamai.
«Che cosa c’è?».
«Guardagli le mani» gli dissi in
tono saccente.
«Come diamine … » si limitò a
dire toccando le mani della vittima e posandole delicatamente. Poi si voltò
verso qualche condomino troppo curioso e chiese loro di chiamare la polizia e
di chiedere dell’ispettore Ducato, della squadra omicidi.
CAPITOLO
II – Riflessioni a ritroso
Vincenzo Ducato, seguito a ruota
dall’agente Silvio Torchi, fecero il suo ingresso, spingendosi a forza tra la
folla di curiosi che si erano creati sul pianerottolo dell’abitazione. Ducato
aveva i classici sintomi dell’uomo stressato, del professionista instancabile.
I solchi che gli marcavano il viso, erano evidenti e davano la vista su occhi
segnati dalla stanchezza, e dal troppo caffè bevuto per rimanere a forza
sveglio anche di notte.
«Allora, cosa succede qui?»
chiese adirato. Classico.
«La signora … signora, non le ho
ancora chiesto qual è il suo nome» disse Flavio voltandosi verso la colf.
«M-mi chiamo Emilia Gacione, sono
la donna delle pulizie incaricata di occuparsi di questo appartamento.
Stamattina ero venuto per il consueto appuntamento settimanale, ma appena
aperta la porta …» scoppiò in lacrime, ponendosi le mani davanti agli occhi.
Faceva male vederla così. Sembrava una tranquilla signora.
«Quindi lei ha trovato il
cadavere …» si lasciò andare Ducato.
«Sì ispettore» rispose
affermativamente la donna.
«Bene, può dirmi se ha notato
qualcosa di strano nel comportamento della vittima ultimamente? Definisca il
suo rapporto con … ». Ducato non finì la frase che la donna cambiò espressione
e atteggiamento.
«Non starà mica sospettando di
me!?».
«No di certo signora Gacione, ma
come potrà ben capire, l’ispettore» cercò di tranquillizzarla Torchi «deve fare
le stesse domande a tutti».
Dopo un attimo di tentennamenti,
la signora Gacione, ricominciò a parlare, forte di non essere il sospetto
numero uno.
«Io ero in ottimi rapporti con il
signor Lescano. Pulivo l’appartamento da almeno due anni, e quando venivo qui,
finivamo sempre per chiacchierare. Era tanto un caro ragazzo!» affermò
nostalgica. Le tempie imbiancate della signora Gacione, parevano mostrare segni
di instabilità. Non la smettevano di tremare.
«Ha notato qualcosa di strano nel
comportamento della vittima?» le chiese ancora Ducato.
«Nessun comportamento anomalo.
Giusto ieri, avevo confuso il giorno di pulizia dell’appartamento. Sono
arrivata qui ed il signor Lescano mi ha comunicato il mio errore. Prima di
andar via, abbiamo parlato come sempre e mi è parso perfettamente normale».
«Capisco» intervenne Flavio. «E
le ha detto qualcosa di importante? Se avesse litigato qualcuno, per esempio?».
La donna guardò con i suoi occhi
grandi Flavio. Poi si leccò le labbra e si schiarì la voce. «Scusi, ma chi è
lei che si permette di farmi queste domande?». Che caratterino.
«Detective Flavio Moggelli.
Risponda per favore».
«Be’ ecco … effettivamente ieri
il signor Lescano era arrabbiato per due liti che aveva avuto nei giorni
scorsi, ma non tanto da togliersi la vita!» sbottò.
«Mi sa dire con chi ha litigato
il signor Lescano?».
«Mi pare … sì, mi ha detto di
aver avuto una violenta discussione con un suo collega … e poi anche con quella
Giulia … la sua ragazza».
«Lei conosce queste persone?».
«La signorina Giulia sì. Il suo
collega, che ha chiamato Walter, non l’ho mai visto».
«La ringrazio per aver
collaborato signora» disse Silvio Torchi.
«Di nulla, ci mancherebbe. Posso
andare?».
«Per adesso meglio di no. Non
fraintenda, ma è meglio che resti a disposizione per ulteriori chiarimenti»
ultimò l’agente Torchi.
«La vittima» disse entrando nella
stanza un agente della scientifica «si chiamava Nicola Lescano, aveva trentuno
anni e lavorava presso un’agenzia di recupero crediti. Come da disposizione,
abbiamo già chiamato i due sospettati, ai quali siamo risaliti grazie ad alcuni
appunti di Lescano. Walter Civelli e Giulia Morali, saranno qui a momenti.
Secondo i nostri primi esami, il decesso risale a ieri sera, tra le diciannove
e le diciannove e trenta».
Nel frattempo, Ducato aveva analizzato
il corpo e tutto ciò che derivava da esso. Aspetti importanti e determinanti,
come la posizione ad esempio.
«Mi sembra un normale suicidio»
sentenziò.
«Non vorrei contraddirla
ispettore» dissi intervenendo zelante «ma non c’è nulla di normale in questo
apparente suicidio».
«Cosa intendi?».
«Guardi i dorsi delle mani. Ci
sono dei solchi di violenza alle mani. Se il nostro uomo fosse stato un
autolesionista, la cosa parrebbe normale, ma non credo proprio».
Ducato si fermò a pensare.
«Inoltre» continuò Flavio «perché
suicidarsi quasi completamente nudo?».
«Questo è strano davvero» ultimò
Ducato.
«Insomma, non volevo dirlo»
commentai «ma credo che il nostro uomo sia stato indotto a compiere questo
gesto da qualcuno». Rimanemmo a pensare.
«Tu dici che l’hanno minacciato,
Alex?»mi domandò Silvio Torchi.
«Forse con un’arma» osservò
Flavio.
Trenta minuti dopo, Walter
Civelli, un uomo sulla quarantina, con grossi e spessi occhiali da vista neri
corvini e capelli ingrigiti dal tempo e Giulia Morali, una ragazza di vent’anni
con capelli biondo platino, abbigliata a festa con tacco dodici,misero piede
nell’appartamento. Entrambi si dimostrarono sconvolti per il ritrovamento del
cadavere. Entrambi versarono lacrime su lacrime.
«Fatemi capire bene» iniziò
Civelli sbottando «mi avete fatto venire qui nel mio giorno libero, per vedere
un cadavere ed incolparmi di omicidio? Ma siete matti?».
«Nessuno la incolpa di nulla
signor Civelli, stia pacato» lo fermò Torchi.
«Condivido con Walter» disse con
un’aria snob e naif, Giulia Morali. «Stavo studiando per l’esame di chimica!».
«Ci vorrà solo un attimo»
commentò Ducato. «Il tempo di capire e carpire alcune cose di voi e da voi».
Poi si lisciò la barba incolta e i baffetti trascurati «Cominciamo da lei
signor Civelli. Ho saputo che aveva avuto una grossa lite con il signor Lescano
l’altro giorno. Posso sapere il perché?».
«Quindi sospetta di me? Io sono
innocente! Vuol sapere perché abbiamo litigato? Il signor Lescano, come lo
chiamate voi,» disse ironizzando «non autorizzava mai i miei cambi lavorativi.
Stessa cosa ha fatto l’altro giorno. Così mi sono arrabbiato molto e abbiamo
litigato. Ma non sarei mai stato capace di ucciderlo, sia chiaro!».
«Passiamo a lei signorina Morali.
Lei è la fidanzata della vittima. Ha avuto anche lei un piccolo screzio con
Lescano, non è vero?».
«Questo non dimostra nulla
ispettore» disse continuando a masticare la gomma in modo poco signorile.
Sembrava una capra che masticava l’erba. Un minimo di bohèmièn, voglio dire.
«Non prova nulla» continuò
passandosi la gomma dall’altra parte. «Avevamo litigato perché continuava a
rinviare le nozze. Era la terza volta che rinviava e così due giorni fa l’ho
mandato a quel paese». Che finezza questa donna, non è vero?
«Avreste dovuto sposarvi quindi?»
chiese Flavio.
«Certo. Era da tre anni che
stavamo insieme».
Qualcosa non quadrava. C’erano
davvero delle cose che non erano andate come dovevano.
«Dobbiamo verificare anche i
vostri alibi signori. Signor Civelli, credo tocchi a lei. Il decesso è avvenuto
ieri sera, tra le diciannove e le diciannove e trenta. Dov’era?».
«Sul posto di lavoro, ma ero
solo. Non c’è nessuno che possa confermare».
«Nemmeno un filmato? Ho saputo
che lavora in un’agenzia di recupero crediti, ci sarà una telecamera di
sicurezza credo».
«C’è sicuramente».
«Benissimo» disse Ducato con gli
occhi abbassati. «Ma non c’è nessuno, fisicamente parlando, che possa
confermare quanto lei dice?».
«Purtroppo no, ero solo».
«Mi scusi, ma cosa ci faceva da
solo sul posto di lavoro?».
«Uff … avevo dimenticato una cosa
lì. Così sono andato, ho riaperto la porta dell’ufficio e ho ripreso quello che
dovevo riprendermi. Contento?».
«Per quanto riguarda lei signora
Morali» iniziò l’agente Silvio Torchi impugnando penna e bloc notes. «Ha
qualche alibi?».
«Ieri sera ero in biblioteca.
Prendevo i libri per studiare per l’esame di chimica».
«Capisco».
«C’è qualcuno che può confermare
l’alibi signorina?».
«Purtroppo no».
Aveva mentito. Tipico di chi
uccide. Ero convinto che il suicidio non fosse stato naturale. Troppe cose non
coincidevano. Avevo capito perché la vittima si fosse spogliata e perché le sue
mani fossero state legate. Avevo capito anche che la donna aveva mentito, ma
mancavano ancora due elementi. Come fosse riuscita a indurre al suicidio quella
povera vittima e soprattutto la dinamica generale dei fatti. E i solchi sulle
mani? Gli elementi erano tre adesso.
Ispezionai un po’ la casa, mentre
i due sospettati discutevano sulla loro innocenza. Uno dei due, la signorina
biondo platino, aveva mentito alla grande. La sera prima non poteva esser stata
alla biblioteca, visto che Bianca e Andrea alla stessa ora, l’avevano trovata
chiusa. I sospetti che lei fosse l’assassina del suo ragazzo crescevano a dismisura
dentro di me, ma preferii stare zitto … almeno inizialmente.
Mi diressi dentro lo studio della
vittima. Era una piccola stanzetta, ma era stata arredata con un buon gusto. Le
pareti, erano state impreziosite con uno spatolato verde smeraldo. Il mobilio
era efficace ed elegante allo stesso. La scrivania, perfettamente in ordine,
era l’esatto opposto di quella di Flavio.
Mentre camminavo, la fortuna mi
arrise. Dalla libreria, colma di storie gialle e thriller, spuntava un
fascicolo, una sorta di foglio vecchio e srotolato, che, per amor di giustizia rifiutava
la sua naturale collocazione casalinga.
Presi questo foglio lontano da
occhi indiscreti e lo distesi sulla scrivania. Era un atto di eredità. Un tale
Gastone Lescano lasciava quattro appartamenti e ben due auto d’epoca a suo
figlio Nicola. In cambio però, suo figlio avrebbe dovuto intraprendere un
viaggio in tutta Europa e scoprire chi fosse la sua madre naturale. Che
stranezza. L’ultimo segreto colmo di peccato lussurioso, lasciato dal padre al
figlio prima di morire. Aveva un non so che di gotico. Il problema è che
probabilmente il colpevole aveva indotto al suicidio la vittima minacciandola
con un’arma , ma quest’ultima non era stata trovata, nonostante la scientifica
avesse messo a soqquadro l’intero appartamento.
Mi affacciai alla finestra. Il
panorama dava sulla strada trafficata. Vidi dei bambini di strada giocare a
pallone. Avete presente quei palloni arancioni? Pensate a come è strana la vita
a volte e come è strano il mondo. Se ad uno appena sveglio mettessero davanti
un arancia probabilmente non la distinguerebbe da uno di quei palloni. Ci
vorrebbero almeno una decina di secondi. Che strano.
Mi sentii strano dentro. Forse
era quello che stavo cercando. Forse sarei dovuto uscire in strada e offrire ad
ognuno di quei bambini un gelato per ringraziarli dello spunto deduttivo che mi
avevano assicurato. Ora sapevo come incastrare il colpevole. A noi due.
CAPITOLO
III – Sai quello che sto per dirti
Entrai in sala con fare
diffidente. Diedi un’ultima occhiata ai sospetti e poi via.
«Sa, signorina Morali. Lei mi
affascina molto».
Flavio mi si avvicinò
repentinamente e con un blando sorrisetto isterico, mi disse: «Che fai? Sei
impazzito?».
«No, sta a guardare» lo
rassicurai.
«Ma cosa devo guardare? Stai
cercando di rimorchiare la fidanzata della vittima!».
«Che brutto termine! Dovresti
saperlo, le cose non sono mai come sembrano».
Flavio Moggelli restò a guardarmi
con un’espressione di compassione. Forse pensava fossi uscito di senno.
«Davvero ragazzino? E perché
mai?» disse adulata la ragazza alla quale avevo rivolto il complimento.
«Be’, vede … ha la sicurezza
della donna forte e imponente. Di quella che non ha nulla da temere. Devo dire
che è molto affascinante».
«Ti ringrazio» affermò con occhi
ammalianti.
«Non mi ringrazi signorina,
davvero». Mi avvicinai a lei e le baciai la mano delicatamente. Era mia. I suoi
occhi si appannarono di gioia, mentre i miei sprizzavano secondi fini da ogni
parte. Se ci fosse stata Bianca probabilmente sarei finito arrosto. Non le
piaceva quando facevo apprezzamenti su altre ragazze. Chissà perché poi.
«Sa cosa non mi piace di lei?».
«C’è qualcosa che non ti piace?» mi
disse sfidandomi.
L’ispettore Ducato, Silvio
Torchi, Walter Civelli, Flavio e la signora Gacione, guardavano stupiti la
scena. Fermi, nella neve, come se avessero visto un film dal finale dolce
amaro.
«Odio le bugie».
«E allora?».
Con le labbra ancora poggiate
sulla fredda mano di quella donna, pronunciai le seguenti parole:
«Dica la verità signorina … ha
ucciso lei il signor Lescano, non è vero?».
Ritrasse immediatamente la mano.
Ora la sua espressione aveva assunto un’aria decisamente poco felice. Le sopracciglia
si erano aggrottate, la bocca aveva assunto una posizione innaturale e il
trucco pesante faceva si che il suo volto si rivelasse una maschera d’odio.
«Ma come ti permetti? Insolente!»
mi attaccò duramente, come una pietra lanciata sull’oggetto della lapidazione.
«Lei fa la morale a me?» affermai
poggiandomi contro il muro. «Eppure dovrebbe saperlo che le bugie hanno le
gambe corte. In particolare, ne ha detta una che mi ha subito ricondotto a
lei».
«Quale sarebbe Alex?» chiese
Ducato adirato per quella scenetta quasi comica. Che ci volete fare? Mi piace
inchiodare le persone poco per volta.
«Lei, mia cara signorina, ha
ammesso come alibi, di essere andata in biblioteca ieri sera, per prendere dei
libri per lo studio, conferma?».
«Certo che confermo!» disse
sprezzante.
«E io invece smonto la sua
patetica tesi. Ieri sera la biblioteca era chiusa. Lo so perché mio fratello ed
una mia amica, la figlia del detective Moggelli per intenderci, sono andati lì
alla stessa ora della signorina e hanno trovato chiuso. Basterà una telefonata
per confermare quanto dico».
La signorina Morali aveva ora una
espressione colma di rabbia. Guardava in basso, gesto tipico di chi non sa dire
la verità.
«E, sfortunatamente per lei,
continuai incrociando le braccia, so anche come sono andate le cose nel
dettaglio».
«Muoviti allora! Che aspetti a
dircelo?». Flavio si era messo in una posizione di attacco verbale e fisico.
Tutto il suo corpo si era protratto in avanti.
«Un attimo di pazienza. Sapete,
curiosando nello studio del signor Lescano, ho trovato un documento dove lo si
attesta come unico erede di suo padre».
«Il mio ragazzo era figlio
unico».
«Forse è l’unica cosa sincera che
ha detto da quando ci conosciamo, signorina. Per avere quell’eredità, il signor
Lescano avrebbe dovuto intraprendere un viaggio in Europa al fine di scoprire
l’identità della sua madre naturale».
«Che cosa? Ma stai scherzando o
parli sul serio?» chiese Vincenzo Ducato.
«Dico sul serio ispettore.
Sospetto che l’omicidio abbia qualcosa a che fare con l’eredità».
«Sono solo sospetti, non li puoi
spiegare, diffamatore» mi attaccò la signorina Morali.
«E allora ascolti cosa posso
dimostrare» dissi staccandomi dal muro e prendendo posto su una sedia in
plastica color bianco. «Lei è arrivata qui e ha finto di voler far pace con la
vittima. Dopodiché, l’ha sedotto e lo ha indotto a spogliarsi … ».
«Che prove hai che sia stata io?»
disse urlando.
«Suvvia signorina» dissi ridendo
«Non crederà che il suo ragazzo si sia spogliato e messo in intimo con un suo
collega di lavoro, non è vero? Lei lo ha sedotto,lo ha indotto a spogliarsi e
successivamente gli ha legato i polsi alla stessa trave alla quale ha
agganciato la corda».
«Questa è bella … che c’entro io
con il fatto che i polsi siano stati legati?».
«Non credevo sarebbe arrivata al
punto di doverla smascherare anche nella sua sfera sessuale. Mi dica … per caso
non voleva provare un gioco erotico con il suo amato?».
Tutti impallidirono.
«T-tu cosa ne sai di queste cose?
Sei ancora un ragazzino».
«Essere ragazzino, non equivale
ad essere stupido».
«Santo cielo!» esclamò la
Gascione.
Mi alzai dalla sedia e mi affacciai sul
balconcino.
«Ricapitoliamo, lei è venuta qui,
ha finto di essersi pentita per la vostre lite di qualche tempo prima e poi ha
sedotto il suo ragazzo. Le ha proposto un gioco erotico, nel quale l’uomo
avrebbe dovuto avere i polsi legati. Le mie successive deduzioni sono queste.
Lei ha fatto chiudere gli occhi alla vittima e l’ha colpita con un oggetto
contundente, fino a fargli perdere i sensi. Successivamente, ha inferito con
una delle due scarpe che indossa adesso».
«Eh? Ma stai delirando? Come può
un tacco rivelarsi arma di un delitto?» chiese Flavio perplesso.
«Il tacco della scarpa, se usata
male, può divenire molto pericoloso. La signorina lo ha usato come arma
contundente per colpire le mani della vittima. Guardate i solchi sulle mani di
Lescano».
Laa scientifica fu lesta a
controllare.
«E non solo» continuai «Ditemi
ragazzi, cosa succede agli occhi appena svegli?».
La gente pensava alle mie parole.
Poi Silvio Torchi affermò: «Non consentono una buona visione. In altre parole,
si vede appannato per qualche secondo».
«Esattamente agente. Quando ci si
sveglia è così, ma quando invece si riprendono i sensi in una circostanza del
genere, capita di non vederci bene per più di qualche secondo e … l’apparenza
inganna. Un tacco può diventare un’arma se vista sotto un’altra ottica».
«Io non capisco proprio cosa vuoi
dire … » disse Flavio.
«Non ci siete ancora arrivati? Il
tacco, se puntato contro una persona che ha la vista appannata ed è shockato,
può sembrare una pistola!» dissi puntando il dito contro la sospettata.
In compenso la gente presente
sfoderò un “oooh!” di sdegno.
«E questo il trucco che ha usato
la signorina per indurre al suicidio il suo ragazzo. Probabilmente aveva
provato a caricarlo lei stessa sulla sedia e a buttarlo, ma non ci è riuscita e
dunque ha ricorso a questo abile trucchetto. La vittima si è svegliata e ha
creduto di trovarsi di fronte una pistola. Così ha seguito alla lettera le
disposizioni dell’assassina».
La signorina Giulia Morali, cadde
in ginocchio, con le mani sugli occhi e le lacrime che uscivano da ogni
pertugio lasciato libero dalle mani sul volto. Il volto veniva accarezzato dai
capelli, stravolti per quanto succedeva. Il suo crollo equivaleva ad
un’ammissione di colpevolezza.
«Perché lo hai ucciso?» chiese
incredulo Walter Civelli.
«Dovevamo sposarci da anni»
riuscì a dire tra i singhiozzi «Con l’eredità avremmo fatto una bella vita, ma
lui si rifiutava di conoscere la sua madre naturale e di conseguenza non voleva
ciò che il padre gli aveva promesso. Il suo era un discorso egoista e … ».
Non ci vedetti più.
«Un discorso egoistico il suo? Ma
si ascolta quando parla? Una persona che uccide un’altra, non è degna di parlare
di sentimenti, nemmeno dell’egoismo che è un sentimento negativo! Lei parla di
egoismo quando è stata la prima a non voler accettare la decisione del suo
ragazzo di non conoscere la sua madre naturale! E’ evidente che gli provocava
troppo dolore e lei non l’ha capito, quindi si astenga da giudizi stupidi.
Spero che Il Cielo abbia pietà di lei, perché io, non ce l’ho e spero non ce
l’abbia nemmeno la giustizia».
Fui davvero duro. Me ne resi
conto da solo. Flavio mi guardava con lo sguardo basso e si lisciava la barba
come nel miglior film gangster.
Dopo i soliti convenevoli di
saluto, io e Flavio ritornammo a piedi a casa. In strada riprendemmo il
discorso dell’impulsività.
«Vedo che hai accettato i miei
consigli».
«A cosa ti riferisci?» lo guardai
con aria innocente.
«L’impulsività, no?».
«Spiegati meglio».
«E tu saresti un detective? Sei
stato impulsivo per ben due volte oggi. La prima quando hai aperto il portone a
spallate. La seconda, quando hai rimproverato l’assassina. Sai, il discorso
dell’egoismo e affini».
«Ah, ok, capito. Be’ non me ne
sono nemmeno accorto».
«Non ti accorgi di tante cose».
«E’ anche questo il bello di
essere giovani no?».
«Cosa vorresti dire? Che sono
vecchio?» disse adirato Flavio.
«L’hai detto tu, non io».
ALEX FEDELE EPISODIO 19: LE PUNIZIONI DELLA KAREN(1°parte)-IMPORTANTE PER LA TRAMA! Solo qui a partire dal 24/12/2011! Non perdetelo per nessuna ragione!
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