LE PUNIZIONI DELLA KAREN(3°parte)
PROLOGO:Un gioco che mette in palio le vite di altre persone può essere fatto solo da persone non sane di mente. Alex lo capisce ed in una nuova avventura colma di emozioni, sta a lui trovare il filo conduttore degli omicidi in serie. Non finisce qui ...
Cos’è successo nelle prime due
parti?:Bianca vince una crociera risolvendo insieme a me un gioco di logica su
internet. La crociera sarà nel Mediterraneo e vede oltre a noi(io, Bianca,
Flavio e Andrea), altri 7 passeggeri. Per i primi due giorni va tutto bene, ma
la sera del secondo giorno, il capitano della nave si accorge che un passeggero
è in mare. Viene ripescato e appuriamo che si tratta di Riccardo Montervino, lo
stuntman che era partito con noi. Sembra un incidente, ma sulla testa c’è del
sangue coagulato e sotto le unghie ci sono frammenti di pelle umana. NON E’
STATO UN INCIDENTE!La mattina dopo però. Un’altra spiacevole sorpresa ci
attende. La signora Lonsi, è ritrovata morta nella sua cabina, con un accendino
in mano ed un colpo di pistola alla testa. La cosa strana è che veste solo di
una minuta vestaglietta intima. Veniamo inoltre a scoprire che il colpevole ha,
con tutta probabilità, gettato l’arma del delitto in mare, e che la vittima
trafficava droga per un clan mafioso.
CAPITOLO
VI – Presenze nel fuoco
La giornata passò in modo lento e
blando. La tensione si tagliava a fette, e il silenzio la faceva da padrone. Le
parole erano centellinate, così come i sorrisi, falsi, ironici e a volte oserei
dire accennati, ma non portati a termine. La mattina dopo, con l’emozione in
gola, gli occhi iniettati dal sangue provocato dall’immane stanchezza, uscimmo
dalla cabina. E pensare che avrebbe dovuto essere una vacanza. Bianca ancora
dormiva. Mi fermai per un attimo a guardarle il viso,delicato e angelico anche
mentre riposava. Le sistemai bene il lenzuolo, la coprii e uscii fuori baciando
mio fratello sulla fronte. Alla mia uscita, affacciato alla nave che si
muoveva, c’era già Flavio. La solita sigaretta in bocca e l’aria annoiata e distrutta,
ne identificavano la presenza.
«Buongiorno» gli dissi
avvicinandomi a lui.
«Non è mai un buongiorno quando
hai un assassino vicino, impara questo».
«Anche questo è vero» mormorai.
«Ti sei fatto qualche idea?».
«Macché» disse con la fronte imperlata
di sudore. Poi tirò una boccata alla sigaretta. «E tu detective? Che ne dici?».
«Dico che ci sono pochi indizi.
La cosa più naturale che mi viene da pensare è che l’assassino abbia quasi una
sorta di sfrontatezza nei nostri confronti».
«Dici che uccide per uccidere,
senza nessuna ragione valida?».
«Vedi, ho provato a riflettere
varie volte sui due omicidi. Non c’è nulla che li leghi».
«Non possono essere giudicati
nemmeno delitti seriali» disse gettando il mozzicone dalla nave «perché sono
stati commessi con due tipologie diverse».
«Esatto» commentai.
La mattina si era appena
affacciata. Il cielo, da buio profondo, si era disegnato in un aurea sensazione
biancastra. Gli orizzonti erano i protagonisti di quel film assicurato dai
sentimenti. Cumuli di nebbia si sposavano alla perfezione con fulgidi schizzi
di acqua.
«Signor Falonghieri! No! No! No!»
la voce del capitano Casolare squarciò tutti i sentimenti positivi che si erano
creati alla vista di quell’orizzonte.
Flavio scattò prima di me, ma lo
seguii a ruota.
«Casolare! Cosa succede?» urlò a
squarciagola risvegliando mezza nave.
«Il signor … il signor
Falonghieri è morto!».
Spalancammo interamente la porta
della cabina socchiusa. La scena fu macabra. Alberto Falonghieri, il noto
imprenditore, era nel suo letto, in una pozza di sangue. Le lenzuola
sprigionavano attraverso i pori, quell’odore dolciastro e spiacevole che solo
il sangue è capace di offrire.
Flavio si precipitò sul letto.
Toccò l’uomo e stabilì che non c’era più nulla da fare. Alberto Falonghieri era
morto ufficialmente.
«E’ stato ucciso con un
coltellino da cucina» osservai.
«Da cosa lo hai dedotto?» mi
chiese Flavio.
«Non l’ho dedotto. C’è alla
destra del letto, quasi vicino al comodino, un piccolo coltellino, di quelli
che si usano per tagliare verdure e cose varie». L’abilità di un buon detective
sta anche nell’osservare.
«Pensi anche tu quello che penso
io?».
«Federico Mascella!» urlammo in
coro.
Ci dirigemmo subito dal cuoco.
Lui era ancora in pigiama, una maglietta grigia ed un pantalone nero.
«Quindi sospettate di me solo
perché avete trovato un coltellino da cucina?» si limitò a dire di fronte alle
nostre accuse. Possedeva una buona dose di freddezza, utile se avesse voluto
intraprendere ad esempio la carriera da serial killer.
«Se non è stato lei, chi può
essere stato?» gli chiese Flavio mentre guardavo il mare.
«E’ assurdo detective!» urlò a
squarciagola. Ritiro quanto ho detto poche righe fa.
«Abbassi la voce e modifichi il
tono. Questo è un indizio più che sufficiente per sbatterla in galera!».
«In galera? E con quale accusa?
Fatemi capire, avete trovato un coltellino e quindi volete incolparmi di
triplice omicidio? Dov’è la Giustizia che tanto millantate?».
«E’ sempre qui, pronta a
condannarla» continuò Flavio con tono minaccioso. «Seguitemi gente» incitò poi
«vi mostro la scena del delitto»..
Tutta la poca folla rimasta,
seguì Flavio. Anche Bianca e Andrea si erano nel frattempo svegliati. Erano
corsi ancora in pigiama nella stanza del signor Mascella, sospettato numero uno
per il triplice omicidio.
«Ma si può sapere cosa succede?»
mi chiese Bianca con gli occhi ancora arrossati.
«Ricordi Falonghieri? L’uomo con
il quale ho avuto una discussione ieri?».
«Cosa gli è successo?» mi chiese
col panico negli occhi.
«E’ morto. Gli hanno reciso le arterie».
Sussultò. Poi socchiuse gli occhi
per un attimo, come per trovare un attimo di rifugio. Con voce grave mormorò:
«E’ terribile».
La lasciai lì, a guardare ancora
una volta il mare. La cosa più bella delle emozioni, è che ti possono
stravolgere o farti rimanere felice, ma hanno un potere particolare. Un potere,
che probabilmente solo loro possono offrire. Una emozione cattiva non può
cancellare mai totalmente un’emozione bella e positiva. Una positiva invece può
definitivamente riporre in armadio una negativa. Le emozioni sono la più alta
espressione d’arte del nostro tempo. Un bacio, un abbraccio, un gesto
d’affetto, è sempre visto come una pietà nei nostri confronti, ma non è vero.
La gente è malvagia, ma non tutta. Tutti possono commettere un crimine, ma un
crimine, non può essere commesso da tutti.
Nella stanza del signor
Falonghieri, si erano radunati tutti i superstiti da quella sciagurata catena
di omicidi. Bianca e Andrea ci avevano raggiunti da poco. So che per un bambino
cose di questo genere non sono propriamente indicate, ma in primis, mio
fratello non si sarebbe impressionato davanti a nulla ed in secundis, le
circostanze richiedevano che nessuno si separasse dai loro cari.
«Devo esaminare il cadavere a
fondo» sussurrò Flavio. «Dove posso trovare un fazzoletto in questa cabina?»
«Nello scompartimento a destra
del comodino» disse Elisabetta. Successivamente li prese e li porse a Flavio.
«Bene, anzi male, malissimo. Gli
hanno reciso le arterie. La morte è dovuta ad un dissanguamento. Pur non
essendo della scientifica so di poter fare con esattezza questa ipotesi».
Le pedine non andavano al loro
posto. I delitti non erano collegati tra loro, e questo era strano. Di solito
chi commette delitti in serie, li commetteva per una ragione. E cosa avevano in
comune uno stuntman di Hollywood, una professoressa di matematica ed un
imprenditore straricco e con il vizietto delle belle donne?
«Elisabetta» disse Bianca «come
fai a stare con le maniche lunghe? Fa un caldo!».
«Lo so» affermò timidamente «il
fatto è che da qualche giorno ho sempre mal di testa e brividi di freddo. Forse
ho l’influenza».
«Stai attenta» disse Andrea con
la sua vocina, ricevendo una carezza dalla ragazza.
Inutile dirvi come la giornata arrivò
al termine. Fu un crescendo di paure, terrore, delusione, rabbia, frustrazione
e sentimenti simili mescolati tra loro. La gente chiedeva di accompagnarla
perfino per andare in bagno. Dopo i delitti, eravamo rimasti davvero in pochi,
parlando dei passeggeri. Oltre a me, Bianca, Andrea e Flavio, c’erano ancora
l’operaio Enrico Bascia, il cuoco Federico Mascella, che continuava a far
filtrare occhiatacce verso Flavio, reo di averlo colpevolizzato, Elisabetta, la
studentessa universitaria e Lucas Merota, il poliziotto ligure che poco aveva
messo nelle indagini, a parte qualche piccola considerazione del tipo: “non è
delitto premeditato”. Il colpevole, per forza di cose, doveva essere uno di
loro. Allargando con naturalezza la lista sospettati, si scorge anche il nome
di Casolare, e quello di Nelboni. C’erano inoltre, i due ragazzi dello staff.
Queste ultime quattro persone però, mi sembravano al di fuori da ogni sospetto.
Chiamatelo intuito, ma i ragazzi non mi sembravano malintenzionati, né
tantomeno il capitano o il suo vice, parevano assassini. Non per altro, ma
onestamente, guardavo loro negli occhi e scorgevo sempre una pagliuzza di
piccolo senso morale, cosa che, obiettivamente, non avevo notato in nessuno dei
passeggeri, nemmeno in Merota.
Quella notte, non andai a dormire
con Bianca e company. Decisi una cosa. L’assassino, sfrontato qual’era, avrebbe
agito ancora. Ma io non avrei permesso a questo mostro di svolgere i suoi
sporchi compiti senza un intralcio che quantomeno provasse ad impedirgli di fare
del male. Chiesi una sdraio a Nelboni e mi posizionai in un punto esatto della
nave. Nel punto in cui potevo essere visto.
Flavio, col buio che gli
accarezzava i lineamenti, mi chiese cosa stessi facendo.
«Si può sapere cosa diamine fai?
Ti sei seduto adesso?» mi disse vedendomi seduto sulla sdraio pieghevole.
«Non mi sono seduto mica per
comodo!» affermai.
«E allora perché?».
«Stavolta l’assassino non
passerà. Ci sarò io a sbarrargli la strada».
«Che idea geniale! Ti sei bevuto
il cervello?».
«Mai stato così sobrio».
Mi guardò un attimo, con
un’espressione mista allo sbigottito e alla pena. Poi si allontanò un attimo e
ritornò con in mano una vecchia e cigolante sedia a sdraio.
«E va bene» disse mentre la
piazzava accanto alla mia. «Vuol dire che ti farò compagnia».
«Come mai?» gli chiesi
guardandolo stupito.
«Questo è fuori da ogni minimo
dubbio. Ma, seppur maggiorenne, ti hanno affidato a me, e quindi se ti
succedesse qualcosa, non me lo perdonerei nei confronti dei tuoi genitori».
Le ore passavano. Non avevo più
occhi, fisico e volontà di restare lì, ma sapete com’è … l’inerzia. Scherzi a
parte, era diventata ormai una questione personale. Le vittime venivano scelte
a caso. E se la prossima fosse stata Andrea? Se fosse stata Bianca? No, non
potevo permetterlo. E per quanto Flavo etichettava quell’idea di restare da
guardiano alla nave tutta la notte stupida, sono sicuro che in fondo, la
pensava esattamente come me.
Tutto tranquillo fino alle tre.
Poi l’urlo di Elisabetta, un urlo disperato, fuori dal comune, quasi disumano.
Accorremmo subito, e la trovammo nel suo lettino, con le lenzuola tutte tirate
a sé, a farle da scudo. La faccia pallida, terrorizzata.
«Cosa diavolo succede?» le chiesi
«perché hai urlato?».
«L’a-assassino è andato di là!
Verso la sala dei macchinisti».
Flavio cominciò a correre in
quella direzione, io lo seguii a ruota. I miei capelli si facevano dominare dal
vento mentre correvo, senza nessun “ma” o “però” verso la sala che mi aveva
indicato Elisabetta.
Entrammo nella sala. Trovammo
deserto. Evidentemente, i due ragazzi, che fungevano da macchinisti e da staff
completo, erano in pausa.
«Qui non c’è niente» disse Flavio
arrabbiato. «Ci prende in giro? Ora vado e gliene dico quattro!».
«No!» urlai a squarciagola.
«Spegni subito le apparecchiature Flavio!» gli urlai a gran voce.
«Ma cosa … ?».
«Fallo dannazione! Fallo o non te
lo perdonerai mai!».
«Ma mi spieghi cosa … ?».
Mi serviva un modo apparente per
mettere fuori uso le macchine, senza che queste si danneggiassero in modo
permanente. Spaccai con il pugno nudo la vetrina di emergenza che permette di
prendere l’estintore. Cominciai a sanguinare dalla mano destra in modo
vistoso,ma mandai fuori uso i congegni per la sala macchinisti spruzzando con
l’estintore nella parte superiore del meccanismo di controllo.
«Diamine! Sei matto?».
«Ho visto un viso in quel fuoco!»
urlai.
La gente accorse in modo
inverosimile. Il capitano Casolare era stato il primo ad arrivare, con gli
occhi sbarrati, seguito a ruota da Bianca e Andrea.
«Un viso? Ma che dici?».
«Lo vedrai! Porta dell’acqua
presto!».
Spegnemmo il tutto e alla fine
avevo ragione. Il cadavere era naturalmente quasi del tutto irriconoscibile. Il
viso, che era rimasto fuori dal forte posto infuocato nel quale aveva visto la
propria fine il resto del corpo insieme al collo, si notava. Era Federico
Mascella in posizione fetale, più simile a quella di un pugile in posizione di
difesa a dir la verità. Non mancava nessuno all’appello, tranne Federico ,il
sospettato numero uno da Flavio. Non era in nave. Il corpo, non poteva essere
che suo.
La gente guardava sbigottita la
scena, quasi come fosse uno spettacolo di teatro dalla dubbia fine.
«Elisabetta, sei sicura di ciò
che hai visto?» le domandò Flavio.
«Sicurissima!» disse in
apprensione. «Una figura andava verso la sala dei macchinisti. Col buio non ho
visto molto però … ».
«L’hanno strangolato» sussurrai.
«Cosa?» mi chiese Flavio.
«L’hanno strangolato».
«Eh?».
«Guarda. Ha dei segni sul collo».
«Non sono di una corda … o
perlomeno … appartengono ad una corda strana» affermò Flavio indicando quei
segni a ghirigori.
«Ma perché è in quella
posizione?» chiese Bianca.
«Quando un corpo brucia» iniziai
esaminando il corpo «la sua muscolatura diventa più piccola, si rimpicciolisce
fino a diventare più piccola dello scheletro che la sorregge. I muscoli si
contraggono e la posizione che si viene a creare è questa. Ricorda una
posizione fetale, o più precisamente, quella di un pugile in posizione di
difesa».
Pensavamo a ciò che era successo,
a ciò che stava succedendo e a ciò che sarebbe ancora successo. Non ci
spiegavamo chi fosse il mostro, non sapevamo chi sarebbe stata la prossima
vittima. Sapevamo solo una cosa, all’apparenza insignificante, ma in realtà
determinante. Non potevamo fidarci di nessuno.
ANTICIPAZIONE EPISODIO 22: Il cerchio perfetto disegnato dall'assassino ha delle piccole imperfezioni e non è facile scovarle per un detective normale. Alex però non lo è e riesce a scoprire chi si cela dietro la maschera del sadico che sta terrorizzando la "Karen". E il volto è più improbabile che mai ...
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