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sabato 7 gennaio 2012

Alex Fedele: Le punizioni della Karen(episodio 21; stagione 1)


LE PUNIZIONI DELLA KAREN(3°parte)

PROLOGO:Un gioco che mette in palio le vite di altre persone può essere fatto solo da persone non sane di mente. Alex lo capisce ed in una nuova avventura colma di emozioni, sta a lui trovare il filo conduttore degli omicidi in serie. Non finisce qui ... 

Cos’è successo nelle prime due parti?:Bianca vince una crociera risolvendo insieme a me un gioco di logica su internet. La crociera sarà nel Mediterraneo e vede oltre a noi(io, Bianca, Flavio e Andrea), altri 7 passeggeri. Per i primi due giorni va tutto bene, ma la sera del secondo giorno, il capitano della nave si accorge che un passeggero è in mare. Viene ripescato e appuriamo che si tratta di Riccardo Montervino, lo stuntman che era partito con noi. Sembra un incidente, ma sulla testa c’è del sangue coagulato e sotto le unghie ci sono frammenti di pelle umana. NON E’ STATO UN INCIDENTE!La mattina dopo però. Un’altra spiacevole sorpresa ci attende. La signora Lonsi, è ritrovata morta nella sua cabina, con un accendino in mano ed un colpo di pistola alla testa. La cosa strana è che veste solo di una minuta vestaglietta intima. Veniamo inoltre a scoprire che il colpevole ha, con tutta probabilità, gettato l’arma del delitto in mare, e che la vittima trafficava droga per un clan mafioso.


CAPITOLO VI – Presenze nel fuoco

La giornata passò in modo lento e blando. La tensione si tagliava a fette, e il silenzio la faceva da padrone. Le parole erano centellinate, così come i sorrisi, falsi, ironici e a volte oserei dire accennati, ma non portati a termine. La mattina dopo, con l’emozione in gola, gli occhi iniettati dal sangue provocato dall’immane stanchezza, uscimmo dalla cabina. E pensare che avrebbe dovuto essere una vacanza. Bianca ancora dormiva. Mi fermai per un attimo a guardarle il viso,delicato e angelico anche mentre riposava. Le sistemai bene il lenzuolo, la coprii e uscii fuori baciando mio fratello sulla fronte. Alla mia uscita, affacciato alla nave che si muoveva, c’era già Flavio. La solita sigaretta in bocca e l’aria annoiata e distrutta, ne identificavano la presenza.
«Buongiorno» gli dissi avvicinandomi a lui.
«Non è mai un buongiorno quando hai un assassino vicino, impara questo».
«Anche questo è vero» mormorai. «Ti sei fatto qualche idea?».
«Macché» disse con la fronte imperlata di sudore. Poi tirò una boccata alla sigaretta. «E tu detective? Che ne dici?».
«Dico che ci sono pochi indizi. La cosa più naturale che mi viene da pensare è che l’assassino abbia quasi una sorta di sfrontatezza nei nostri confronti».
«Dici che uccide per uccidere, senza nessuna ragione valida?».
«Vedi, ho provato a riflettere varie volte sui due omicidi. Non c’è nulla che li leghi».
«Non possono essere giudicati nemmeno delitti seriali» disse gettando il mozzicone dalla nave «perché sono stati commessi con due tipologie diverse».
«Esatto» commentai.
La mattina si era appena affacciata. Il cielo, da buio profondo, si era disegnato in un aurea sensazione biancastra. Gli orizzonti erano i protagonisti di quel film assicurato dai sentimenti. Cumuli di nebbia si sposavano alla perfezione con fulgidi schizzi di acqua.
«Signor Falonghieri! No! No! No!» la voce del capitano Casolare squarciò tutti i sentimenti positivi che si erano creati alla vista di quell’orizzonte.
Flavio scattò prima di me, ma lo seguii a ruota.
«Casolare! Cosa succede?» urlò a squarciagola risvegliando mezza nave.
«Il signor … il signor Falonghieri è morto!».
Spalancammo interamente la porta della cabina socchiusa. La scena fu macabra. Alberto Falonghieri, il noto imprenditore, era nel suo letto, in una pozza di sangue. Le lenzuola sprigionavano attraverso i pori, quell’odore dolciastro e spiacevole che solo il sangue è capace di offrire.
Flavio si precipitò sul letto. Toccò l’uomo e stabilì che non c’era più nulla da fare. Alberto Falonghieri era morto ufficialmente.
«E’ stato ucciso con un coltellino da cucina» osservai.
«Da cosa lo hai dedotto?» mi chiese Flavio.
«Non l’ho dedotto. C’è alla destra del letto, quasi vicino al comodino, un piccolo coltellino, di quelli che si usano per tagliare verdure e cose varie». L’abilità di un buon detective sta anche nell’osservare.
«Pensi anche tu quello che penso io?».
«Federico Mascella!» urlammo in coro.
Ci dirigemmo subito dal cuoco. Lui era ancora in pigiama, una maglietta grigia ed un pantalone nero.
«Quindi sospettate di me solo perché avete trovato un coltellino da cucina?» si limitò a dire di fronte alle nostre accuse. Possedeva una buona dose di freddezza, utile se avesse voluto intraprendere ad esempio la carriera da serial killer.
«Se non è stato lei, chi può essere stato?» gli chiese Flavio mentre guardavo il mare.
«E’ assurdo detective!» urlò a squarciagola. Ritiro quanto ho detto poche righe fa.
«Abbassi la voce e modifichi il tono. Questo è un indizio più che sufficiente per sbatterla in galera!».
«In galera? E con quale accusa? Fatemi capire, avete trovato un coltellino e quindi volete incolparmi di triplice omicidio? Dov’è la Giustizia che tanto millantate?».
«E’ sempre qui, pronta a condannarla» continuò Flavio con tono minaccioso. «Seguitemi gente» incitò poi «vi mostro la scena del delitto»..
Tutta la poca folla rimasta, seguì Flavio. Anche Bianca e Andrea si erano nel frattempo svegliati. Erano corsi ancora in pigiama nella stanza del signor Mascella, sospettato numero uno per il triplice omicidio.
«Ma si può sapere cosa succede?» mi chiese Bianca con gli occhi ancora arrossati.
«Ricordi Falonghieri? L’uomo con il quale ho avuto una discussione ieri?».
«Cosa gli è successo?» mi chiese col panico negli occhi.
 «E’ morto. Gli hanno reciso le arterie».
Sussultò. Poi socchiuse gli occhi per un attimo, come per trovare un attimo di rifugio. Con voce grave mormorò: «E’ terribile».
La lasciai lì, a guardare ancora una volta il mare. La cosa più bella delle emozioni, è che ti possono stravolgere o farti rimanere felice, ma hanno un potere particolare. Un potere, che probabilmente solo loro possono offrire. Una emozione cattiva non può cancellare mai totalmente un’emozione bella e positiva. Una positiva invece può definitivamente riporre in armadio una negativa. Le emozioni sono la più alta espressione d’arte del nostro tempo. Un bacio, un abbraccio, un gesto d’affetto, è sempre visto come una pietà nei nostri confronti, ma non è vero. La gente è malvagia, ma non tutta. Tutti possono commettere un crimine, ma un crimine, non può essere commesso da tutti.
Nella stanza del signor Falonghieri, si erano radunati tutti i superstiti da quella sciagurata catena di omicidi. Bianca e Andrea ci avevano raggiunti da poco. So che per un bambino cose di questo genere non sono propriamente indicate, ma in primis, mio fratello non si sarebbe impressionato davanti a nulla ed in secundis, le circostanze richiedevano che nessuno si separasse dai loro cari.
«Devo esaminare il cadavere a fondo» sussurrò Flavio. «Dove posso trovare un fazzoletto in questa cabina?»
«Nello scompartimento a destra del comodino» disse Elisabetta. Successivamente li prese e li porse a Flavio.
«Bene, anzi male, malissimo. Gli hanno reciso le arterie. La morte è dovuta ad un dissanguamento. Pur non essendo della scientifica so di poter fare con esattezza questa ipotesi».
Le pedine non andavano al loro posto. I delitti non erano collegati tra loro, e questo era strano. Di solito chi commette delitti in serie, li commetteva per una ragione. E cosa avevano in comune uno stuntman di Hollywood, una professoressa di matematica ed un imprenditore straricco e con il vizietto delle belle donne?
«Elisabetta» disse Bianca «come fai a stare con le maniche lunghe? Fa un caldo!».
«Lo so» affermò timidamente «il fatto è che da qualche giorno ho sempre mal di testa e brividi di freddo. Forse ho l’influenza».
«Stai attenta» disse Andrea con la sua vocina, ricevendo una carezza dalla ragazza.
Inutile dirvi come la giornata arrivò al termine. Fu un crescendo di paure, terrore, delusione, rabbia, frustrazione e sentimenti simili mescolati tra loro. La gente chiedeva di accompagnarla perfino per andare in bagno. Dopo i delitti, eravamo rimasti davvero in pochi, parlando dei passeggeri. Oltre a me, Bianca, Andrea e Flavio, c’erano ancora l’operaio Enrico Bascia, il cuoco Federico Mascella, che continuava a far filtrare occhiatacce verso Flavio, reo di averlo colpevolizzato, Elisabetta, la studentessa universitaria e Lucas Merota, il poliziotto ligure che poco aveva messo nelle indagini, a parte qualche piccola considerazione del tipo: “non è delitto premeditato”. Il colpevole, per forza di cose, doveva essere uno di loro. Allargando con naturalezza la lista sospettati, si scorge anche il nome di Casolare, e quello di Nelboni. C’erano inoltre, i due ragazzi dello staff. Queste ultime quattro persone però, mi sembravano al di fuori da ogni sospetto. Chiamatelo intuito, ma i ragazzi non mi sembravano malintenzionati, né tantomeno il capitano o il suo vice, parevano assassini. Non per altro, ma onestamente, guardavo loro negli occhi e scorgevo sempre una pagliuzza di piccolo senso morale, cosa che, obiettivamente, non avevo notato in nessuno dei passeggeri, nemmeno in Merota.
Quella notte, non andai a dormire con Bianca e company. Decisi una cosa. L’assassino, sfrontato qual’era, avrebbe agito ancora. Ma io non avrei permesso a questo mostro di svolgere i suoi sporchi compiti senza un intralcio che quantomeno provasse ad impedirgli di fare del male. Chiesi una sdraio a Nelboni e mi posizionai in un punto esatto della nave. Nel punto in cui potevo essere visto.
Flavio, col buio che gli accarezzava i lineamenti, mi chiese cosa stessi facendo.
«Si può sapere cosa diamine fai? Ti sei seduto adesso?» mi disse vedendomi seduto sulla sdraio pieghevole.
«Non mi sono seduto mica per comodo!» affermai.
«E allora perché?».
«Stavolta l’assassino non passerà. Ci sarò io a sbarrargli la strada».
«Che idea geniale! Ti sei bevuto il cervello?».
«Mai stato così sobrio».
Mi guardò un attimo, con un’espressione mista allo sbigottito e alla pena. Poi si allontanò un attimo e ritornò con in mano una vecchia e cigolante sedia a sdraio.
«E va bene» disse mentre la piazzava accanto alla mia. «Vuol dire che ti farò compagnia».
«Come mai?» gli chiesi guardandolo stupito.
«Questo è fuori da ogni minimo dubbio. Ma, seppur maggiorenne, ti hanno affidato a me, e quindi se ti succedesse qualcosa, non me lo perdonerei nei confronti dei tuoi genitori».
Le ore passavano. Non avevo più occhi, fisico e volontà di restare lì, ma sapete com’è … l’inerzia. Scherzi a parte, era diventata ormai una questione personale. Le vittime venivano scelte a caso. E se la prossima fosse stata Andrea? Se fosse stata Bianca? No, non potevo permetterlo. E per quanto Flavo etichettava quell’idea di restare da guardiano alla nave tutta la notte stupida, sono sicuro che in fondo, la pensava esattamente come me.
Tutto tranquillo fino alle tre. Poi l’urlo di Elisabetta, un urlo disperato, fuori dal comune, quasi disumano. Accorremmo subito, e la trovammo nel suo lettino, con le lenzuola tutte tirate a sé, a farle da scudo. La faccia pallida, terrorizzata.
«Cosa diavolo succede?» le chiesi «perché hai urlato?».
«L’a-assassino è andato di là! Verso la sala dei macchinisti».
Flavio cominciò a correre in quella direzione, io lo seguii a ruota. I miei capelli si facevano dominare dal vento mentre correvo, senza nessun “ma” o “però” verso la sala che mi aveva indicato Elisabetta.
Entrammo nella sala. Trovammo deserto. Evidentemente, i due ragazzi, che fungevano da macchinisti e da staff completo, erano in pausa.
«Qui non c’è niente» disse Flavio arrabbiato. «Ci prende in giro? Ora vado e gliene dico quattro!».
«No!» urlai a squarciagola. «Spegni subito le apparecchiature Flavio!» gli urlai a gran voce.
«Ma cosa … ?».
«Fallo dannazione! Fallo o non te lo perdonerai mai!».
«Ma mi spieghi cosa … ?».
Mi serviva un modo apparente per mettere fuori uso le macchine, senza che queste si danneggiassero in modo permanente. Spaccai con il pugno nudo la vetrina di emergenza che permette di prendere l’estintore. Cominciai a sanguinare dalla mano destra in modo vistoso,ma mandai fuori uso i congegni per la sala macchinisti spruzzando con l’estintore nella parte superiore del meccanismo di controllo.
«Diamine! Sei matto?».
«Ho visto un viso in quel fuoco!» urlai.
La gente accorse in modo inverosimile. Il capitano Casolare era stato il primo ad arrivare, con gli occhi sbarrati, seguito a ruota da Bianca e Andrea.
«Un viso? Ma che dici?».
«Lo vedrai! Porta dell’acqua presto!».
Spegnemmo il tutto e alla fine avevo ragione. Il cadavere era naturalmente quasi del tutto irriconoscibile. Il viso, che era rimasto fuori dal forte posto infuocato nel quale aveva visto la propria fine il resto del corpo insieme al collo, si notava. Era Federico Mascella in posizione fetale, più simile a quella di un pugile in posizione di difesa a dir la verità. Non mancava nessuno all’appello, tranne Federico ,il sospettato numero uno da Flavio. Non era in nave. Il corpo, non poteva essere che suo.
La gente guardava sbigottita la scena, quasi come fosse uno spettacolo di teatro dalla dubbia fine.
«Elisabetta, sei sicura di ciò che hai visto?» le domandò Flavio.
«Sicurissima!» disse in apprensione. «Una figura andava verso la sala dei macchinisti. Col buio non ho visto molto però … ».
«L’hanno strangolato» sussurrai.
«Cosa?» mi chiese Flavio.
«L’hanno strangolato».
«Eh?».
«Guarda. Ha dei segni sul collo».
«Non sono di una corda … o perlomeno … appartengono ad una corda strana» affermò Flavio indicando quei segni a ghirigori.
«Ma perché è in quella posizione?» chiese Bianca.
«Quando un corpo brucia» iniziai esaminando il corpo «la sua muscolatura diventa più piccola, si rimpicciolisce fino a diventare più piccola dello scheletro che la sorregge. I muscoli si contraggono e la posizione che si viene a creare è questa. Ricorda una posizione fetale, o più precisamente, quella di un pugile in posizione di difesa».
Pensavamo a ciò che era successo, a ciò che stava succedendo e a ciò che sarebbe ancora successo. Non ci spiegavamo chi fosse il mostro, non sapevamo chi sarebbe stata la prossima vittima. Sapevamo solo una cosa, all’apparenza insignificante, ma in realtà determinante. Non potevamo fidarci di nessuno.

ANTICIPAZIONE EPISODIO 22: Il cerchio perfetto disegnato dall'assassino ha delle piccole imperfezioni e non è facile scovarle per un detective normale. Alex però non lo è e riesce a scoprire chi si cela dietro la maschera del sadico che sta terrorizzando la "Karen". E il volto è più improbabile che mai ... 

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