IL
PARCHEGGIO DEI MISTERI
PROLOGO: Il luogo di un delitto può essere impensato, spesso a tratti anche insospettabile. Stavolta il tutto accade in un parcheggio sotterraneo di un condominio all'apparenza tranquilla. Come scoprire il delitto? Idea ... usiamo ... i fiori!
Sigla di oggi: "No fear of heights" by Katie Melua
CAPITOLO
I – Un caso nel buio
Due giorni dopo l’avventura della
“Karen” i notiziari nazionali, non parlavano d’altro. Enrico Bascia e Lucas
Merota erano stati condannati per direttissima, con quest’ultimo che aveva
infangato il nome della polizia italiana. Tuttavia, l’aria di sfiducia che si
era diffusa a livello popolare, non era stata ancora soppiantata e onestamente
facevo fatica a vedere un livello gradevole di chiarezza in quella spiacevole
foschia di Giustizia diradata.
Nei giorni scorsi Flavio mi aveva
chiesto sempre più spesso particolari sulle parole che Elisabetta Criota mi
aveva rivolto, quasi fosse curioso di ciò che dicono i criminali in punto di
morte. Il dialogo era stato sempre iniziato da lui e finito da lui. Non me ne
vogliate, ma ebbi la netta impressione che Flavio stesse nascondendomi
qualcosa. Avete presente quei presagi che vengono quando sei sicuro di avere
ragione? Quelli mi stavano distruggendo, almeno psicologicamente parlando. Era
evasivo, schivo, abbastanza infastidito dal discorso quando era lui stesso a
voler raccogliere informazioni. Comunque pensai che Flavio fosse strano semplicemente
per indole naturale.
Dopo un po’ che vivi insieme a
lui, ti abitui a delle intemperanze che non avresti mai potuto vivere con
un’altra persona. E’ fatto così, è particolare.
Quel pomeriggio avevamo appena
finito di pranzare. Flavio se ne stava appollaiato sulla sua sedia in ufficio in
attesa che un caso gli cadesse addosso. Io dal canto mio, davo una sfogliata ai
quotidiani della mattina.
Bianca era uscita con Andrea per
andare al centro commerciale. Sergio era in ufficio e trascriveva alcune relazioni
burocratiche. Com’era solerte quel ragazzo! Aveva una vera e propria adorazione
per Flavio, che abbinata alla sua simpatia naturale, lo rendeva abbastanza
godibile.
Il telefono dell’ufficio di
Flavio, un reperto archeologico risalente ai tempi del buon Marconi, cominciò a
suonare violentemente. Altro che sveglia al mattino … era questo quello che ci
voleva per alzarmi dal letto.
«Detective Flavio Moggelli, al
suo servizio». Ecco, quando risponde così al telefono è tutta scena.
Dall’altro capo del telefono si
udiva una voce giovanile, maschile, che farfugliava qualcosa a proposito di un
parcheggio.
«Sì, veniamo immediatamente»
mormorò Flavio a voce bassa. E poi riagganciò.
«Chi era?» domandai.
«Uno che vende gelati … ma dico,
secondo te chi era?».
«Dimmelo tu» dissi ridendo.
«Non prendermi in giro,
maleducato!».
«Addirittura? Dai seriamente, chi
era?».
«Il portinaio di un condominio
situato in periferia ha chiamato per avvisarmi della morte di uno degli
inquilini della palazzina. Ha detto di aver già chiamato la polizia, e di aver
già chiesto del dipartimento omicidi».
«Niente male» osservai. «Il
compare è fan di saghe gialle?».
«Non so ma se l’è cavata bene».
Quindici minuti dopo ci eravamo
diretti in un parcheggio sotterraneo situato all’interno di un viottolo che
portava ad un condominio a sette piani, completamente dipinto di verde. Il
cemento usato per l’edificio era sporcato e segnato dagli anni, il parcheggio
era quasi completamente vuoto, fatto eccetto per due auto, una Fiat Punto di
vent’anni prima ed una Fiat Uno della stessa epoca.
Un ometto sul metro e sessanta,
con baffetti folti e curati e con capelli leggermente ondulati, ci venne
incontro agitando vistosamente le mani.
«Eccovi, finalmente!». Doveva
essere il portiere che aveva chiamato.
«Mi chiamo Giorgio Barnetti, sono
il portiere del condominio. Vi ho chiamato per l’omicidio … » era agitato,
quindi Flavio lo stoppò subito.
«Si calmi» gli disse in tono
autoritario. «Io, Flavio Moggelli, sono qui a sua disposizione». Tossii per
fargli capire di presentarmi, ma nulla. Che gentilezza.
«Chi è la vittima?» domandai.
«E tu cosa vuoi ragazzino?». Un
uomo sulla quarantina, con capelli corvini ondulati e tirati in alto, mi aveva
rivolto la parola associando al tutto uno sguardo spocchioso e antipatico.
«Ispettore Pesca!» affermò
Flavio.
«Flavio Moggelli» disse dopo una
pausa di qualche secondo. «Cosa ci fai qui? Ti hanno mandato ad indagare su un
furto di polli?».
«No, indago su un omicidio. E tu
invece? Hai perso il brillantino all’orecchio e allora lo cerchi qui?».
Entrambi si rivolsero dei sorrisi falsamente amichevoli. C’era un’aria
sicuramente pesante.
«Veniamo a te ragazzino» continuò
l’uomo «non è un posto per te questo. Solo gli autorizzati possono … ».
«Sta con me» disse Flavio.
«Sta con te? Ti porti fuori i
poppanti adesso?».
«Il poppante» dissi mentre gli
tendevo la mano «si chiama Alex Fedele e fa il detective» gli dissi
rivolgendomi a lui e accennando ad un sorriso.
«Tsk! Che tempi. Non dirmi che
sei uno di quelli che il ministero ha reclutato sotto raccomandazione dei
dipartimenti cittadini?».
«Sì, sono del PSD e le posso
assicurare di non aver avuto nessuna raccomandazione. Il commissario Marbelli,
di servizio a Fondi, ha avuto modo di collaborare diverse volte con il
sottoscritto e si dia il caso che abbia notato in lui un certo senso di intuito.
Tutto è rimasto tranquillo finché non è nato il PSD. Siccome lo stato cercava
promesse nel settore detective, Marbelli mi ha iscritto al corso di istruzione
della professione e successivamente… ».
«E quindi se qui a Torino con
Moggelli … non è vero?» disse stizzito. «Fammi capire. Cosa ti hanno fatto fare
in quel corso? Prove di intuito? Casi simulati?».
«Niente di tutto questo. Solo
cose teoriche poco importanti. Ovvero, “che cos’è il detective”, oppure “come
l’ordinamento lo stabilisce e disciplina”. Poi hanno parlato dei vari casi che
potremmo trovare nella nostra carriera, ma non ci hanno detto come risolvere il
problema. Ce l’hanno solo presentato. Ad esempio casi di omicidio, furto,
rapimento».
«In pratica non avete fatto un
accidente».
«Esattamente. Onestamente penso
che non mi servisse sapere cosa fosse un detective o in quali situazioni avrei
potuto trovarmi. Per quelle esistono i film polizieschi».
«Già. Quindi in questo corso
nemmeno lezioni del tipo “rigor mortis”, oppure altre nozioni come la
decomposizione o i modi per commettere un delitto … ».
«Niente di niente. Solo teoria
sulla figura del detective. Le circostanze, per lo più burocratiche che possono
presentarsi e infine qualche piccola nozione sulle forze dell’ordine italiane».
«Capisco. Be’, vedi di non
intralciarmi il lavoro. Ispettore Arturo Pesca, squadra omicidi del dipartimento
di polizia di Torino» affermò con fierezza mentre incrociava le braccia.
Rimasi di sasso. Pesca mi
sembrava più un complessato che un tutore dell’ordine. Era sempre scrupoloso in
quello che faceva, agiva con la pignoleria di un professore frustrato ed aveva
come unica forma di cortesia un sorriso da schiaffi.
«Non farci caso» mi disse Flavio
avvicinandosi mentre Pesca ispezionava il corpo. «Ha 37 anni e si atteggia come
se ne avesse 90. Crede di essere ad un livello superiore, quando non ha capito
che ne ha ancora di strada da fare!».
«Che vuoi dire?».
«Era in servizio anche quando ero
ancora in polizia il sottoscritto, ma era un semplice agente, Anche allora però
si dava tante arie e non sono mai stai rari i suoi battibecchi con i colleghi.
La verità è che è sempre stato un raccomandato e sempre lo sarà».
«E pensare che dava del
raccomandato a me fino a pochi secondo fa».
«Già. Forse ha dimenticato che
suo padre è uno degli italiani più facoltosi quotati a Wall Street. Il signor
Girolamo Pesca, è un imprenditore nel campo televisivo all’estero. E’
produttore di numerose serie tv comiche di successo che vanno in onda anche qui
da noi. Praticamente è sfondato di soldi. Sai, Pesca ha voluto entrare in
polizia solo sette anni fa. Il suo paparino realizzò il suo sogno
immediatamente. Qualcuno dice che ha corrotto il dipartimento nazionale, altri
che se lo sia meritato sul campo … ».
«E tu cosa pensi?» gli chiesi
lisciandomi i capelli e mandandomeli all’indietro.
«Che Arturo Pesca sia un uomo
comune, come tutti gli altri. E’ sicuramente capace, ma se non fosse stato per
suo padre a quest’ora lo avremmo trovato disoccupato sul ciglio di un
marciapiede di periferia. E non per necessità, ma per scelta. Ha una
scarsissima attitudine al lavoro. Ora basta parlare però … occupiamoci del
caso».
CAPITOLO
II – Il “DAN” del mistero
Ci avvicinammo al corpo. Sul
freddo cemento del parcheggio sotterraneo era distesa una donna sulla
cinquantina, con lunghi capelli neri e un trucco pesante sul viso. Aveva del
sangue che le fuoriusciva dalla bocca. Insieme a Pesca e alla scientifica,
c’erano altri cinque figuri che all’arrivo non avevo notato.
«Eccomi di ritorno ispettore».
Giuseppe Novato era comparso nel parcheggio, con un referto in mano.
«Novato, ci sei anche tu?»
domandò Flavio.
«Detective Moggelli … che
piacere! Certo, sono stato incaricato di accompagnare … ».
«La vogliamo finire sì o no?
Novato, non perderti in quisquilie e leggi il rapporto! Immediatamente!».
Arturo Pesca aveva rimproverato duramente il povero ragazzo, “reo” di aver
intrapreso una conversazione di circostanza con Flavio. Al suo confronto un
killer sembrava un agnellino.
«Subito ispettore» disse
demoralizzato. «La vittima si chiamava Lucrezia Tosta, aveva 49 anni e lavorava
presso un ufficio pubblico a circa tre isolati da qui. Sul corpo non sono stati
riscontrati segni di colluttazione, eccezion fatta per un piccolo livido
rinvenutole sulla guancia sinistra. Il decesso comunque, è da attribuire ad una
emorragia interna dovuta ad un forte colpo alla testa che ha ricevuto nell’impatto
con il suolo. La vittima è deceduta all’incirca quattro ore fa. Degli interessi
personali della vittima sappiamo solo che amava i fiori all’inverosimile.
Visitando l’abitazione abbiamo trovato più di quattordici specie diverse di
fiori, oltre che centinaia di libri sulla botanica e sulle leggende di fiori e
roba del genere».
«Bene Novato» commentò Pesca.
Miracolo, qualcosa gli andava bene.
«Chi sono questi signori,
Novato?» dissi all’agente indicando i cinque figuri che troneggiavano nel bel
mezzo dell’area del parcheggio.
«Abbiamo fatto delle indagini
approssimative su chi possa aver avuto un movente e una possibilità per
uccidere la donna. Alla fine i sospettati risultano essere quattro. Il primo è
Giovanni Tosta. Ha 42 anni ed è anche lui un impiegato. Come potrete intuire, è
il marito della vittima. All’ora del decesso afferma di aver fatto una
passeggiata, ma nessuno può confermare il suo alibi in quanto era da solo. Era
in crisi con sua moglie da tempo tanto che dormivano separati da almeno un
anno».
Novato mi mostrò un uomo con
capelli biondi, angelici e con degli occhi grigiastri taglienti. Sfogliava una
tessera del club degli amici dei fiori. Accanto alla sua foto, c’era l’immagine
di un nontiscordardime. Originale.
«Il secondo sospettato è Onorato
Besci. Ha 22 anni ed è uno studente universitario presso la facoltà di
Giurisprudenza. Aveva rapporti con la vittima, in quanto ha affermato di averle
fatto la corte tramite social network, venendo però rifiutato. Al momento del
decesso era a casa a dormire, ma non c’è conferma da parte di nessuno». Onorato
Besci era il classico nerd. No, non voglio usare il termine in modo negativo.
Per carità, i nerd hanno il loro indubbio fascino, la loro indubbia
personalità, ma si vedono a prima vista. I grandi occhiali neri, quasi da
critico televisivo, incorniciavano un viso giovanile e quasi immaturo, colmato
da grossi e violenti riccioli castani che gli cadevano sugli occhi verdi.
«Come hai osato importunare mia
moglie? Sono sicuro che sei tu il suo assassino!». Il signor Tosta era balzato
in avanti e aveva strattonato in modo confusionario e ingiusto il povero
Onorato, che per tutta risposta, si scusava del suo corteggiamento continuando
a negare un suo coinvolgimento diretto nel caso.
«Si calmi signor Tosta, non
aggravi la sua posizione» sussurrò freddamente Pesca. Queste parole bastarono
per attenuare gli animi.
«Il terzo è Stefano Fogani. Ha 71
anni ed è pensionato. In vita ha fatto il ferroviere per lo stato. All’ora del
decesso era in casa, al quarto piano, a guardare il programma mattutino di
canale quattro, ma purtroppo è vedovo e vive da solo. Sappiamo però che aveva
un credito da riscuotere dalla vittima». Stefano Fogani, dall’alto della sua
età, doveva essere una persona abbastanza forgiata nel carattere. Le lunghe
palpebre cadenti attribuivano all’uomo il peso statico dell’età. I capelli
bianchi, complici le tempie innevate, davano un senso di tranquillità a un uomo
apparentemente pacifico e decisamente pacato.
«Non ho ucciso io quella donna!
Ed ora lasciatemi andare!». Aveva cominciato ad urlare all’impazzata, alzando
la voce e ponendosi in una condizione di superiorità. Arturo Pesca cercava di
calmarlo, ma non ci riusciva un granché.
«L’ultima sospettata» sospirò
Novato quasi per stizza «si chiama
Lorella Cellidio. Ha 30 anni ed è disoccupata. Era la migliore amica
della vittima, ma la loro amicizia viveva di continui conflitti. Al momento del
decesso era in un negozio di articoli sportivi, ma il proprietario ha detto di
non averla notata in mezzo alla confusione, quindi il suo alibi non regge».
«Insomma, chiunque di voi avrebbe
potuto commettere l’omicidio, mi pare» osservò Flavio.
«Non si azzardi minimamente!»
disse Fogani nonostante la dentiera ingombrante. «Le pare che alla mia età mi
metta a fare queste stupidaggini?».
«Signor Fogani … ».
«Signor Fogani, un corno! Sono
innocente e voglio andare sul divano di casa mia!».
«Non può finché le indagini non
saranno terminate, almeno in modo parziale» commentò ammonendolo Arturo Pesca.
«E’ assurdo ispettore!» affermò
Onorato. «Non ho ucciso quella donna, dannazione!»
«Finché la sua innocenza non sarà
provata, signor Besci, può disperarsi quanto vuole, ma non uscirà da questo
parcheggio. Se qualcuno di voi è colpevole, vi avverto, è meglio confessare
adesso!».
Silenzio assoluto. Classico.
Ad un tratto notai nelle mani di
un agente della scientifica, impacchettato in una sottile carta trasparente,un
cellulare.
«Mi scusi» dissi attirando
l’attenzione dell’agente.
«Dimmi ragazzo».
«Quel cellulare che ha lì, nel
pacchetto … è della vittima?».
«Sì, perché me lo chiedi?».
«Posso vederlo?».
«Non so se puoi ragazzo … ho
capito che sei insieme al detective Moggelli, ma non mi pare il caso di … ».
«Suvvia, solo una sbirciata» gli
dissi facendogli gomito.
«Ehm … ».
«Andiamo, non toccherò nulla, lo
prometto».
«E va bene … ma solo per pochi
secondi d’accordo?». Che agente rompiscatole.
Presi in mano il pacchetto,
calcai un bottone a caso e … una scritta che recitava “DAN” fece la sua
comparsa.
Rimasi per un attimo a guardare
lo schermo, assumendo l’espressione di un perfetto idiota. Poi mi subii il
richiamo di Pesca, che con la sua voce adulta e graffiante, urlò:
«Inquini le prove, sciagurato!».
Così dicendo mi strappò il telefono tra le mani. L’impiastro stava quasi per
farlo cadere, ma mi gettai a terra come il migliore dei giocatori di baseball e
lo presi al volo, esibendomi in una caduta degna delle migliori comiche.
«Hai visto cosa stavi per
combinare ragazzino?».
«Io? Guardi che è lei che … ».
«Non voglio sentire scuse! Sei
fuori dall’indagine!».
«Intanto ho trovato ciò che voi
cercate da ore» dissi girandomi di spalle.
«Ah sì?» rispose Pesca in tono
sfottente «e cosa sarebbe?».
«Un indizio» affermai voltandomi
di scatto e guardandolo negli occhi.
«Ah davvero? E saresti così
gentile da mostrarcelo,Sherlock Holmes?».
«Così mi lusinga» dissi col mio sorrisino
abbinato alla faccia da schiaffi. «Guardi sullo schermo del cellulare. Pigiando
un tasto a caso ho scoperto che la signora stava inviando un sms al momento del
decesso».
«”DAN”» disse leggendo a voce
alta. «”DAN”» ripeté tre volte. «Non può essere che i tasti si siano premuti nella
tasca involontariamente?».
«Non credo. Vede, il fatto è che
questo cellulare ha la combinazione per il blocca tasti piuttosto complessa. Lo
so perché questo tipo di cellulare ce l’aveva anche un mio compagno di scuola. Bisogna
calcare due tasti contemporaneamente. Certo, è possibile che sia stato un caso,
ma il fatto che sia stato inserito il block mi fa pensare che la signora mentre
stava per inviare il suo messaggio, sia stata distratta da qualcosa, o da
qualcuno. Così facendo ha immediatamente inserito il block».
«Ipotesi possibile, ma non certa.
A giudicare da come parli sembra quasi tu abbia assistito al caso» ammonì
Flavio.
«Io? Ma no!» mi difesi
giustamente. Cos’era, volevano incolpare me?
«Il “DAN” però è sospetto.
Indubbiamente può significare qualcosa» aggiunse Pesca.
«Ma che cosa?» subentrò il marito
della vittima. «Cosa sta a significare quella parola?».
«E’ da escludere che sia una
parola di una lingua straniera. Non conosco nulla del genere» disse Flavio.
«Forse è il diminutivo di qualche
suo conoscente. Forse la vittima voleva comunicarci il nome del suo assassino!»
disse energicamente l’agente Giuseppe Novato.
«Dici Novato?» domandò Pesca. Il
ragazzo annuì. «Bene, può essere che tu abbia ragione. Scientifica, vi chiederò
un piccolo supplemento di indagini. Indagate sulle conoscenze della vittima e
comunicatemi se c’è qualcuno con il nome “DAN”. Novato, tu andrai con loro».
I poliziotti scattarono
sull’attenti e andarono subito dove l’ispettore Pesca aveva richiesto loro.
C’era una invidiabile voglia di scoprire la verità nonostante le divergenze di
carattere. Tutto ciò era ammirevole. Significa che c’è molta professionalità.
Quando c’è collaborazione tra persone diverse che però hanno lo stesso
obiettivo, quest’ultimo non può non essere raggiunto.
Ma non mi convinceva. La signora
Tosta, non voleva comunicare il nome del suo assassino. Chiamatelo sesto senso,
chiamatelo intuito, chiamatelo semplicemente senso di diffidenza, ma non credetti
ad una sola parola di ciò che Novato aveva detto. Era un peccato aver perso
quella donna. Da come l’avevano descritta distrattamente gli inquilini, capii
subito che si trattava di una donna piena di energia, piena di passioni, piena
di convinzioni. Una donna che aveva dedicato tutta la sua vita ai fiori, alle
piante. Alzai lo sguardo al cielo. Vidi i potenti fari a lampadario che
illuminavano l’umido parcheggio sotterraneo. I fiori! Ma certo, come ho fatto a
non pensarci prima? Che stupido! Mi ricordai di una vecchia favoletta narratomi
da mia madre. “DAN”, non era una persona!
CAPITOLO
III – Quando l’odio sovrasta l’amore
Aspettai che l’agente Novato
tornasse. Poi mi preparai per lo show di deduzioni. Mi avvicinai ad una delle
poche macchine parcheggiate e mi sedetti sul parabrezza con aria fintamente
spensierata.
«I fiori sono bellissimi»
annunciai ai presenti. Lo sguardo delle persone virava esclusivamente su di me.
Mi credevano un’idiota, un perfetto idiota. Bene, benissimo, era ciò che
volevo.
«Che cosa fai?» chiese Onorato
Besci. «Quella macchina è mia! Scendi!».
«Mi dia un attimo signor Besci»
gli dissi giungendo le mani. «La vittima amava all’inverosimile i fiori. Aveva
ragione, il linguaggio dei fiori è spesso imprevedibile. Dovrebbe essere
insegnato nelle scuole … no! Dovrebbe essere insegnato nelle università!».
«Dove vuoi arrivare? Ti sei
bevuto il cervello?» chiese Arturo Pesca.
«Oh, per niente. Dicevo che spesso
con il linguaggio dei fiori … si possono dire tante cose. Tra cui … chi è il
colpevole di un omicidio!» conclusi con aria appagata.
«Che cosa?» urlò la folla.
«Eh già signori» annunciai
tristemente scendendo dall’auto. Mentre lo feci notai l’aria sollevata di
Onorato Besci. Che preoccupazioni poteva avere poi? Quella vecchia Punto era
talmente scassata che la 313 di Paperino sarebbe sembrata un fuoristrada al
confronto. «Il colpevole dell’omicidio è racchiuso proprio in quel “DAN”
lasciato dalla vittima poco prima di essere colpita mortalmente. Quelle tre
sillabe contengono un segreto orribile, nascosto a sua volta da un sentimento
nobile che stava per rifiorire. In altre parole» dissi toccandomi i capelli «il
colpevole è lei signor Tosta! Confessi, è in trappola!».
Calò un silenzio abnorme fatto di
paure, sensazioni confuse, poche certezze e mille diverse ipotesi mentali. Lo
sguardo di Giovanni Tosti si era fatto di fuoco e le pupille si ingrandivano a
dismisura.
«Allora, confessa?» chiesi
avvicinandomi.
«Per niente!» disse urlando. «Sei
solo un ragazzino ignorante!» mi disse gridandomi in faccia. «Un raccomandato
del ca … ».
«Non ho nemmeno bisogno di
mostrarle le prove, signor Tosta» dissi a voce bassa, guardando il nudo cemento
che pavimentava il parcheggio.
«Ah davvero?».
«Sì» affermai continuando a
guardare in basso. «Lei, anche se ha ucciso sua moglie, probabilmente nell’ultima
parte del suo cuore ha ancora una piccola fiamma di amore che brucia per lei».
A queste parole i presenti si
zittirono. I brusii, vennero coperti dall’assordante rumore del silenzio. Quel
silenzio, lo ottieni solo parlando chiaro.
«Sua moglie» dissi con i pugni
stretti «voleva mandarle un sms per riconciliarsi con lei, e voleva usare il
linguaggio dei fiori per farlo. Era sicura che lei avesse capito. Aveva
cominciato a scrivere la parola “DANUBIO”, ma è stata stoppata da lei sul
“DAN”».
«Aspetta, come fai a sapere che
il messaggino era rivolto al signor Tosti? Il Danubio non è un fiore!» chiese
con stanchezza Stefano Fogani.
«Infatti è un fiume». Mi fermai
un attimo. «E’ un fiume, come dicevo. La leggenda vuole che due innamorati,
passeggiando lungo quel fiume,vennero affascinati dai tantissimi fiori blu che
si paravano continuamente sul loro cammino». Mi fermai ancora. Mantenevo lo
sguardo basso di chi non poteva guardare negli occhi quel mostro.
«Continua» mi incitò Flavio.
«In quel momento però, il ragazzo
venne risucchiato nelle acque. Mentre la corrente lo deturpa e lo porta via,
grida alla sua amata la frase “non dimenticarmi mai”. Il fiore, venne
ribattezzato “nontiscordardime” ed è ancora oggi tra le specie più romantiche
dell’intero panorama botanico. Il messaggio poteva essere rivolto solo ad una
persona. Alla persona alla quale voleva più bene, all’unica persona che,
condividendo con le la passione per i fiori, avrebbe certamente capito … a suo
marito».
Giovanni Tosti si buttò in
ginocchio. La sua coscienza era scossa dall’intenzione di sua moglie di
riconciliarsi con lui. Non pensava l’avesse mai fatto. Dopo tante liti in casa,
dopo tutte le parole taglienti volate e mirate a distruggere l’animo altrui,
mai avrebbe pensato che la persona che gli aveva reso la vita un inferno negli
ultimi tempi, potesse avere buone intenzioni. La furia aveva divorato la
ragione. L’odio, l’amore. Succedeva sempre più spesso.
«Io l’amavo» disse con un fil di
voce l’assassino. «Ma non riuscivo a perdonarla per ciò che aveva detto pochi
giorni fa. Stava sparlando dei miei genitori morti in un incidente stradale.
Diceva che “se l’erano cercata”, che non aveva “nessuna pietà” per loro. Io …
non so come abbia potuto farlo» Terminò a fatica la frase. Scoppiò in un
violento pianto a dirotto. Le lacrime avevano soppiantato il ghigno odioso di
pochi minuti prima.
«Mi dispiace amore!» disse
urlando al cadavere. Mi sentii una fitta al cuore. Quell’uomo,in fondo, era ancora
innamorato di sua moglie, ma l’orgoglio, l’assenza di dialogo e l’odio, avevano
soppiantato quel sentimento tanto puro quanto i fiori appena sbocciati.
ANTICIPAZIONE EPISODIO 25: Un folle decide di far saltare in aria Alex e tutta la famiglia Moggelli. Una bomba direttamente a casa, senza nessun indizio di esserla. La corsa disperata per liberarsene la compie Flavio, mentre Alex e Fabio indagano su chi possa essere il mandante. Ne vedremo delle belle. ALEX FEDELE EPISODIO 25: BOMBA A CASA.
Solo su questo blog a partire dal 4 Febbraio 2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!
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