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sabato 28 gennaio 2012

Alex Fedele: Il parcheggio dei misteri(stagione 1; episodio 24)


IL PARCHEGGIO DEI MISTERI

PROLOGO: Il luogo di un delitto può essere impensato, spesso a tratti anche insospettabile. Stavolta il tutto accade in un parcheggio sotterraneo di un condominio all'apparenza tranquilla. Come scoprire il delitto? Idea ... usiamo ... i fiori! 




CAPITOLO I – Un caso nel buio

Due giorni dopo l’avventura della “Karen” i notiziari nazionali, non parlavano d’altro. Enrico Bascia e Lucas Merota erano stati condannati per direttissima, con quest’ultimo che aveva infangato il nome della polizia italiana. Tuttavia, l’aria di sfiducia che si era diffusa a livello popolare, non era stata ancora soppiantata e onestamente facevo fatica a vedere un livello gradevole di chiarezza in quella spiacevole foschia di Giustizia diradata.
Nei giorni scorsi Flavio mi aveva chiesto sempre più spesso particolari sulle parole che Elisabetta Criota mi aveva rivolto, quasi fosse curioso di ciò che dicono i criminali in punto di morte. Il dialogo era stato sempre iniziato da lui e finito da lui. Non me ne vogliate, ma ebbi la netta impressione che Flavio stesse nascondendomi qualcosa. Avete presente quei presagi che vengono quando sei sicuro di avere ragione? Quelli mi stavano distruggendo, almeno psicologicamente parlando. Era evasivo, schivo, abbastanza infastidito dal discorso quando era lui stesso a voler raccogliere informazioni. Comunque pensai che Flavio fosse strano semplicemente per indole naturale.
Dopo un po’ che vivi insieme a lui, ti abitui a delle intemperanze che non avresti mai potuto vivere con un’altra persona. E’ fatto così, è particolare.
Quel pomeriggio avevamo appena finito di pranzare. Flavio se ne stava appollaiato sulla sua sedia in ufficio in attesa che un caso gli cadesse addosso. Io dal canto mio, davo una sfogliata ai quotidiani della mattina.
Bianca era uscita con Andrea per andare al centro commerciale. Sergio era in ufficio e trascriveva alcune relazioni burocratiche. Com’era solerte quel ragazzo! Aveva una vera e propria adorazione per Flavio, che abbinata alla sua simpatia naturale, lo rendeva abbastanza godibile.
Il telefono dell’ufficio di Flavio, un reperto archeologico risalente ai tempi del buon Marconi, cominciò a suonare violentemente. Altro che sveglia al mattino … era questo quello che ci voleva per alzarmi dal letto.
«Detective Flavio Moggelli, al suo servizio». Ecco, quando risponde così al telefono è tutta scena.
Dall’altro capo del telefono si udiva una voce giovanile, maschile, che farfugliava qualcosa a proposito di un parcheggio.
«Sì, veniamo immediatamente» mormorò Flavio a voce bassa. E poi riagganciò.
«Chi era?» domandai.
«Uno che vende gelati … ma dico, secondo te chi era?».
«Dimmelo tu» dissi ridendo.
«Non prendermi in giro, maleducato!».
«Addirittura? Dai seriamente, chi era?».
«Il portinaio di un condominio situato in periferia ha chiamato per avvisarmi della morte di uno degli inquilini della palazzina. Ha detto di aver già chiamato la polizia, e di aver già chiesto del dipartimento omicidi».
«Niente male» osservai. «Il compare è fan di saghe gialle?».
«Non so ma se l’è cavata bene».
Quindici minuti dopo ci eravamo diretti in un parcheggio sotterraneo situato all’interno di un viottolo che portava ad un condominio a sette piani, completamente dipinto di verde. Il cemento usato per l’edificio era sporcato e segnato dagli anni, il parcheggio era quasi completamente vuoto, fatto eccetto per due auto, una Fiat Punto di vent’anni prima ed una Fiat Uno della stessa epoca.
Un ometto sul metro e sessanta, con baffetti folti e curati e con capelli leggermente ondulati, ci venne incontro agitando vistosamente le mani.
«Eccovi, finalmente!». Doveva essere il portiere che aveva chiamato.
«Mi chiamo Giorgio Barnetti, sono il portiere del condominio. Vi ho chiamato per l’omicidio … » era agitato, quindi Flavio lo stoppò subito.
«Si calmi» gli disse in tono autoritario. «Io, Flavio Moggelli, sono qui a sua disposizione». Tossii per fargli capire di presentarmi, ma nulla. Che gentilezza.
«Chi è la vittima?» domandai.
«E tu cosa vuoi ragazzino?». Un uomo sulla quarantina, con capelli corvini ondulati e tirati in alto, mi aveva rivolto la parola associando al tutto uno sguardo spocchioso e antipatico.
«Ispettore Pesca!» affermò Flavio.
«Flavio Moggelli» disse dopo una pausa di qualche secondo. «Cosa ci fai qui? Ti hanno mandato ad indagare su un furto di polli?».
«No, indago su un omicidio. E tu invece? Hai perso il brillantino all’orecchio e allora lo cerchi qui?». Entrambi si rivolsero dei sorrisi falsamente amichevoli. C’era un’aria sicuramente pesante.
«Veniamo a te ragazzino» continuò l’uomo «non è un posto per te questo. Solo gli autorizzati possono … ».
«Sta con me» disse Flavio.
«Sta con te? Ti porti fuori i poppanti adesso?».
«Il poppante» dissi mentre gli tendevo la mano «si chiama Alex Fedele e fa il detective» gli dissi rivolgendomi a lui e accennando ad un sorriso.
«Tsk! Che tempi. Non dirmi che sei uno di quelli che il ministero ha reclutato sotto raccomandazione dei dipartimenti cittadini?».
«Sì, sono del PSD e le posso assicurare di non aver avuto nessuna raccomandazione. Il commissario Marbelli, di servizio a Fondi, ha avuto modo di collaborare diverse volte con il sottoscritto e si dia il caso che abbia notato in lui un certo senso di intuito. Tutto è rimasto tranquillo finché non è nato il PSD. Siccome lo stato cercava promesse nel settore detective, Marbelli mi ha iscritto al corso di istruzione della professione e successivamente… ».
«E quindi se qui a Torino con Moggelli … non è vero?» disse stizzito. «Fammi capire. Cosa ti hanno fatto fare in quel corso? Prove di intuito? Casi simulati?».
«Niente di tutto questo. Solo cose teoriche poco importanti. Ovvero, “che cos’è il detective”, oppure “come l’ordinamento lo stabilisce e disciplina”. Poi hanno parlato dei vari casi che potremmo trovare nella nostra carriera, ma non ci hanno detto come risolvere il problema. Ce l’hanno solo presentato. Ad esempio casi di omicidio, furto, rapimento».
«In pratica non avete fatto un accidente».
«Esattamente. Onestamente penso che non mi servisse sapere cosa fosse un detective o in quali situazioni avrei potuto trovarmi. Per quelle esistono i film polizieschi».
«Già. Quindi in questo corso nemmeno lezioni del tipo “rigor mortis”, oppure altre nozioni come la decomposizione o i modi per commettere un delitto … ».
«Niente di niente. Solo teoria sulla figura del detective. Le circostanze, per lo più burocratiche che possono presentarsi e infine qualche piccola nozione sulle forze dell’ordine italiane».
«Capisco. Be’, vedi di non intralciarmi il lavoro. Ispettore Arturo Pesca, squadra omicidi del dipartimento di polizia di Torino» affermò con fierezza mentre incrociava le braccia.
Rimasi di sasso. Pesca mi sembrava più un complessato che un tutore dell’ordine. Era sempre scrupoloso in quello che faceva, agiva con la pignoleria di un professore frustrato ed aveva come unica forma di cortesia un sorriso da schiaffi.
«Non farci caso» mi disse Flavio avvicinandosi mentre Pesca ispezionava il corpo. «Ha 37 anni e si atteggia come se ne avesse 90. Crede di essere ad un livello superiore, quando non ha capito che ne ha ancora di strada da fare!».
«Che vuoi dire?».
«Era in servizio anche quando ero ancora in polizia il sottoscritto, ma era un semplice agente, Anche allora però si dava tante arie e non sono mai stai rari i suoi battibecchi con i colleghi. La verità è che è sempre stato un raccomandato e sempre lo sarà».
«E pensare che dava del raccomandato a me fino a pochi secondo fa».
«Già. Forse ha dimenticato che suo padre è uno degli italiani più facoltosi quotati a Wall Street. Il signor Girolamo Pesca, è un imprenditore nel campo televisivo all’estero. E’ produttore di numerose serie tv comiche di successo che vanno in onda anche qui da noi. Praticamente è sfondato di soldi. Sai, Pesca ha voluto entrare in polizia solo sette anni fa. Il suo paparino realizzò il suo sogno immediatamente. Qualcuno dice che ha corrotto il dipartimento nazionale, altri che se lo sia meritato sul campo … ».
«E tu cosa pensi?» gli chiesi lisciandomi i capelli e mandandomeli all’indietro.
«Che Arturo Pesca sia un uomo comune, come tutti gli altri. E’ sicuramente capace, ma se non fosse stato per suo padre a quest’ora lo avremmo trovato disoccupato sul ciglio di un marciapiede di periferia. E non per necessità, ma per scelta. Ha una scarsissima attitudine al lavoro. Ora basta parlare però … occupiamoci del caso».

CAPITOLO II – Il “DAN” del mistero

Ci avvicinammo al corpo. Sul freddo cemento del parcheggio sotterraneo era distesa una donna sulla cinquantina, con lunghi capelli neri e un trucco pesante sul viso. Aveva del sangue che le fuoriusciva dalla bocca. Insieme a Pesca e alla scientifica, c’erano altri cinque figuri che all’arrivo non avevo notato.
«Eccomi di ritorno ispettore». Giuseppe Novato era comparso nel parcheggio, con un referto in mano.
«Novato, ci sei anche tu?» domandò Flavio.
«Detective Moggelli … che piacere! Certo, sono stato incaricato di accompagnare … ».
«La vogliamo finire sì o no? Novato, non perderti in quisquilie e leggi il rapporto! Immediatamente!». Arturo Pesca aveva rimproverato duramente il povero ragazzo, “reo” di aver intrapreso una conversazione di circostanza con Flavio. Al suo confronto un killer sembrava un agnellino.
«Subito ispettore» disse demoralizzato. «La vittima si chiamava Lucrezia Tosta, aveva 49 anni e lavorava presso un ufficio pubblico a circa tre isolati da qui. Sul corpo non sono stati riscontrati segni di colluttazione, eccezion fatta per un piccolo livido rinvenutole sulla guancia sinistra. Il decesso comunque, è da attribuire ad una emorragia interna dovuta ad un forte colpo alla testa che ha ricevuto nell’impatto con il suolo. La vittima è deceduta all’incirca quattro ore fa. Degli interessi personali della vittima sappiamo solo che amava i fiori all’inverosimile. Visitando l’abitazione abbiamo trovato più di quattordici specie diverse di fiori, oltre che centinaia di libri sulla botanica e sulle leggende di fiori e roba del genere».
«Bene Novato» commentò Pesca. Miracolo, qualcosa gli andava bene.
«Chi sono questi signori, Novato?» dissi all’agente indicando i cinque figuri che troneggiavano nel bel mezzo dell’area del parcheggio.
«Abbiamo fatto delle indagini approssimative su chi possa aver avuto un movente e una possibilità per uccidere la donna. Alla fine i sospettati risultano essere quattro. Il primo è Giovanni Tosta. Ha 42 anni ed è anche lui un impiegato. Come potrete intuire, è il marito della vittima. All’ora del decesso afferma di aver fatto una passeggiata, ma nessuno può confermare il suo alibi in quanto era da solo. Era in crisi con sua moglie da tempo tanto che dormivano separati da almeno un anno».
Novato mi mostrò un uomo con capelli biondi, angelici e con degli occhi grigiastri taglienti. Sfogliava una tessera del club degli amici dei fiori. Accanto alla sua foto, c’era l’immagine di un nontiscordardime. Originale.
«Il secondo sospettato è Onorato Besci. Ha 22 anni ed è uno studente universitario presso la facoltà di Giurisprudenza. Aveva rapporti con la vittima, in quanto ha affermato di averle fatto la corte tramite social network, venendo però rifiutato. Al momento del decesso era a casa a dormire, ma non c’è conferma da parte di nessuno». Onorato Besci era il classico nerd. No, non voglio usare il termine in modo negativo. Per carità, i nerd hanno il loro indubbio fascino, la loro indubbia personalità, ma si vedono a prima vista. I grandi occhiali neri, quasi da critico televisivo, incorniciavano un viso giovanile e quasi immaturo, colmato da grossi e violenti riccioli castani che gli cadevano sugli occhi verdi.
«Come hai osato importunare mia moglie? Sono sicuro che sei tu il suo assassino!». Il signor Tosta era balzato in avanti e aveva strattonato in modo confusionario e ingiusto il povero Onorato, che per tutta risposta, si scusava del suo corteggiamento continuando a negare un suo coinvolgimento diretto nel caso.
«Si calmi signor Tosta, non aggravi la sua posizione» sussurrò freddamente Pesca. Queste parole bastarono per attenuare gli animi.
«Il terzo è Stefano Fogani. Ha 71 anni ed è pensionato. In vita ha fatto il ferroviere per lo stato. All’ora del decesso era in casa, al quarto piano, a guardare il programma mattutino di canale quattro, ma purtroppo è vedovo e vive da solo. Sappiamo però che aveva un credito da riscuotere dalla vittima». Stefano Fogani, dall’alto della sua età, doveva essere una persona abbastanza forgiata nel carattere. Le lunghe palpebre cadenti attribuivano all’uomo il peso statico dell’età. I capelli bianchi, complici le tempie innevate, davano un senso di tranquillità a un uomo apparentemente pacifico e decisamente pacato.
«Non ho ucciso io quella donna! Ed ora lasciatemi andare!». Aveva cominciato ad urlare all’impazzata, alzando la voce e ponendosi in una condizione di superiorità. Arturo Pesca cercava di calmarlo, ma non ci riusciva un granché.
«L’ultima sospettata» sospirò Novato quasi per stizza «si chiama  Lorella Cellidio. Ha 30 anni ed è disoccupata. Era la migliore amica della vittima, ma la loro amicizia viveva di continui conflitti. Al momento del decesso era in un negozio di articoli sportivi, ma il proprietario ha detto di non averla notata in mezzo alla confusione, quindi il suo alibi non regge».
«Insomma, chiunque di voi avrebbe potuto commettere l’omicidio, mi pare» osservò Flavio.
«Non si azzardi minimamente!» disse Fogani nonostante la dentiera ingombrante. «Le pare che alla mia età mi metta a fare queste stupidaggini?».
«Signor Fogani … ».
«Signor Fogani, un corno! Sono innocente e voglio andare sul divano di casa mia!».
«Non può finché le indagini non saranno terminate, almeno in modo parziale» commentò ammonendolo Arturo Pesca.
«E’ assurdo ispettore!» affermò Onorato. «Non ho ucciso quella donna, dannazione!»
«Finché la sua innocenza non sarà provata, signor Besci, può disperarsi quanto vuole, ma non uscirà da questo parcheggio. Se qualcuno di voi è colpevole, vi avverto, è meglio confessare adesso!».
Silenzio assoluto. Classico.
Ad un tratto notai nelle mani di un agente della scientifica, impacchettato in una sottile carta trasparente,un cellulare.
«Mi scusi» dissi attirando l’attenzione dell’agente.
«Dimmi ragazzo».
«Quel cellulare che ha lì, nel pacchetto … è della vittima?».
«Sì, perché me lo chiedi?».
«Posso vederlo?».
«Non so se puoi ragazzo … ho capito che sei insieme al detective Moggelli, ma non mi pare il caso di … ».
«Suvvia, solo una sbirciata» gli dissi facendogli gomito.
«Ehm … ».
«Andiamo, non toccherò nulla, lo prometto».
«E va bene … ma solo per pochi secondi d’accordo?». Che agente rompiscatole.
Presi in mano il pacchetto, calcai un bottone a caso e … una scritta che recitava “DAN” fece la sua comparsa.
Rimasi per un attimo a guardare lo schermo, assumendo l’espressione di un perfetto idiota. Poi mi subii il richiamo di Pesca, che con la sua voce adulta e graffiante, urlò:
«Inquini le prove, sciagurato!». Così dicendo mi strappò il telefono tra le mani. L’impiastro stava quasi per farlo cadere, ma mi gettai a terra come il migliore dei giocatori di baseball e lo presi al volo, esibendomi in una caduta degna delle migliori comiche.
«Hai visto cosa stavi per combinare ragazzino?».
«Io? Guardi che è lei che … ».
«Non voglio sentire scuse! Sei fuori dall’indagine!».
«Intanto ho trovato ciò che voi cercate da ore» dissi girandomi di spalle.
«Ah sì?» rispose Pesca in tono sfottente «e cosa sarebbe?».
«Un indizio» affermai voltandomi di scatto e guardandolo negli occhi.
«Ah davvero? E saresti così gentile da mostrarcelo,Sherlock Holmes?».
«Così mi lusinga» dissi col mio sorrisino abbinato alla faccia da schiaffi. «Guardi sullo schermo del cellulare. Pigiando un tasto a caso ho scoperto che la signora stava inviando un sms al momento del decesso».
«”DAN”» disse leggendo a voce alta. «”DAN”» ripeté tre volte. «Non può essere che i tasti si siano premuti nella tasca involontariamente?».
«Non credo. Vede, il fatto è che questo cellulare ha la combinazione per il blocca tasti piuttosto complessa. Lo so perché questo tipo di cellulare ce l’aveva anche un mio compagno di scuola. Bisogna calcare due tasti contemporaneamente. Certo, è possibile che sia stato un caso, ma il fatto che sia stato inserito il block mi fa pensare che la signora mentre stava per inviare il suo messaggio, sia stata distratta da qualcosa, o da qualcuno. Così facendo ha immediatamente inserito il block».
«Ipotesi possibile, ma non certa. A giudicare da come parli sembra quasi tu abbia assistito al caso» ammonì Flavio.
«Io? Ma no!» mi difesi giustamente. Cos’era, volevano incolpare me?
«Il “DAN” però è sospetto. Indubbiamente può significare qualcosa» aggiunse Pesca.
«Ma che cosa?» subentrò il marito della vittima. «Cosa sta a significare quella parola?».
«E’ da escludere che sia una parola di una lingua straniera. Non conosco nulla del genere» disse Flavio.
«Forse è il diminutivo di qualche suo conoscente. Forse la vittima voleva comunicarci il nome del suo assassino!» disse energicamente l’agente Giuseppe Novato.
«Dici Novato?» domandò Pesca. Il ragazzo annuì. «Bene, può essere che tu abbia ragione. Scientifica, vi chiederò un piccolo supplemento di indagini. Indagate sulle conoscenze della vittima e comunicatemi se c’è qualcuno con il nome “DAN”. Novato, tu andrai con loro».
I poliziotti scattarono sull’attenti e andarono subito dove l’ispettore Pesca aveva richiesto loro. C’era una invidiabile voglia di scoprire la verità nonostante le divergenze di carattere. Tutto ciò era ammirevole. Significa che c’è molta professionalità. Quando c’è collaborazione tra persone diverse che però hanno lo stesso obiettivo, quest’ultimo non può non essere raggiunto.
Ma non mi convinceva. La signora Tosta, non voleva comunicare il nome del suo assassino. Chiamatelo sesto senso, chiamatelo intuito, chiamatelo semplicemente senso di diffidenza, ma non credetti ad una sola parola di ciò che Novato aveva detto. Era un peccato aver perso quella donna. Da come l’avevano descritta distrattamente gli inquilini, capii subito che si trattava di una donna piena di energia, piena di passioni, piena di convinzioni. Una donna che aveva dedicato tutta la sua vita ai fiori, alle piante. Alzai lo sguardo al cielo. Vidi i potenti fari a lampadario che illuminavano l’umido parcheggio sotterraneo. I fiori! Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima? Che stupido! Mi ricordai di una vecchia favoletta narratomi da mia madre. “DAN”, non era una persona!

CAPITOLO III – Quando l’odio sovrasta l’amore

Aspettai che l’agente Novato tornasse. Poi mi preparai per lo show di deduzioni. Mi avvicinai ad una delle poche macchine parcheggiate e mi sedetti sul parabrezza con aria fintamente spensierata.
«I fiori sono bellissimi» annunciai ai presenti. Lo sguardo delle persone virava esclusivamente su di me. Mi credevano un’idiota, un perfetto idiota. Bene, benissimo, era ciò che volevo.
«Che cosa fai?» chiese Onorato Besci. «Quella macchina è mia! Scendi!».
«Mi dia un attimo signor Besci» gli dissi giungendo le mani. «La vittima amava all’inverosimile i fiori. Aveva ragione, il linguaggio dei fiori è spesso imprevedibile. Dovrebbe essere insegnato nelle scuole … no! Dovrebbe essere insegnato nelle università!».
«Dove vuoi arrivare? Ti sei bevuto il cervello?» chiese Arturo Pesca.
«Oh, per niente. Dicevo che spesso con il linguaggio dei fiori … si possono dire tante cose. Tra cui … chi è il colpevole di un omicidio!» conclusi con aria appagata.
«Che cosa?» urlò la folla.
«Eh già signori» annunciai tristemente scendendo dall’auto. Mentre lo feci notai l’aria sollevata di Onorato Besci. Che preoccupazioni poteva avere poi? Quella vecchia Punto era talmente scassata che la 313 di Paperino sarebbe sembrata un fuoristrada al confronto. «Il colpevole dell’omicidio è racchiuso proprio in quel “DAN” lasciato dalla vittima poco prima di essere colpita mortalmente. Quelle tre sillabe contengono un segreto orribile, nascosto a sua volta da un sentimento nobile che stava per rifiorire. In altre parole» dissi toccandomi i capelli «il colpevole è lei signor Tosta! Confessi, è in trappola!».
Calò un silenzio abnorme fatto di paure, sensazioni confuse, poche certezze e mille diverse ipotesi mentali. Lo sguardo di Giovanni Tosti si era fatto di fuoco e le pupille si ingrandivano a dismisura.
«Allora, confessa?» chiesi avvicinandomi.
«Per niente!» disse urlando. «Sei solo un ragazzino ignorante!» mi disse gridandomi in faccia. «Un raccomandato del ca … ».
«Non ho nemmeno bisogno di mostrarle le prove, signor Tosta» dissi a voce bassa, guardando il nudo cemento che pavimentava il parcheggio.
«Ah davvero?».
«Sì» affermai continuando a guardare in basso. «Lei, anche se ha ucciso sua moglie, probabilmente nell’ultima parte del suo cuore ha ancora una piccola fiamma di amore che brucia per lei».
A queste parole i presenti si zittirono. I brusii, vennero coperti dall’assordante rumore del silenzio. Quel silenzio, lo ottieni solo parlando chiaro.
«Sua moglie» dissi con i pugni stretti «voleva mandarle un sms per riconciliarsi con lei, e voleva usare il linguaggio dei fiori per farlo. Era sicura che lei avesse capito. Aveva cominciato a scrivere la parola “DANUBIO”, ma è stata stoppata da lei sul “DAN”».
«Aspetta, come fai a sapere che il messaggino era rivolto al signor Tosti? Il Danubio non è un fiore!» chiese con stanchezza Stefano Fogani.
«Infatti è un fiume». Mi fermai un attimo. «E’ un fiume, come dicevo. La leggenda vuole che due innamorati, passeggiando lungo quel fiume,vennero affascinati dai tantissimi fiori blu che si paravano continuamente sul loro cammino». Mi fermai ancora. Mantenevo lo sguardo basso di chi non poteva guardare negli occhi quel mostro.
«Continua» mi incitò Flavio.
«In quel momento però, il ragazzo venne risucchiato nelle acque. Mentre la corrente lo deturpa e lo porta via, grida alla sua amata la frase “non dimenticarmi mai”. Il fiore, venne ribattezzato “nontiscordardime” ed è ancora oggi tra le specie più romantiche dell’intero panorama botanico. Il messaggio poteva essere rivolto solo ad una persona. Alla persona alla quale voleva più bene, all’unica persona che, condividendo con le la passione per i fiori, avrebbe certamente capito … a suo marito».
Giovanni Tosti si buttò in ginocchio. La sua coscienza era scossa dall’intenzione di sua moglie di riconciliarsi con lui. Non pensava l’avesse mai fatto. Dopo tante liti in casa, dopo tutte le parole taglienti volate e mirate a distruggere l’animo altrui, mai avrebbe pensato che la persona che gli aveva reso la vita un inferno negli ultimi tempi, potesse avere buone intenzioni. La furia aveva divorato la ragione. L’odio, l’amore. Succedeva sempre più spesso.
«Io l’amavo» disse con un fil di voce l’assassino. «Ma non riuscivo a perdonarla per ciò che aveva detto pochi giorni fa. Stava sparlando dei miei genitori morti in un incidente stradale. Diceva che “se l’erano cercata”, che non aveva “nessuna pietà” per loro. Io … non so come abbia potuto farlo» Terminò a fatica la frase. Scoppiò in un violento pianto a dirotto. Le lacrime avevano soppiantato il ghigno odioso di pochi minuti prima.
«Mi dispiace amore!» disse urlando al cadavere. Mi sentii una fitta al cuore. Quell’uomo,in fondo, era ancora innamorato di sua moglie, ma l’orgoglio, l’assenza di dialogo e l’odio, avevano soppiantato quel sentimento tanto puro quanto i fiori appena sbocciati.

ANTICIPAZIONE EPISODIO 25: Un folle decide di far saltare in aria Alex e tutta la famiglia Moggelli. Una bomba direttamente a casa, senza nessun indizio di esserla. La corsa disperata per liberarsene la compie Flavio, mentre Alex e Fabio indagano su chi possa essere il mandante. Ne vedremo delle belle. ALEX FEDELE EPISODIO 25: BOMBA A CASA.
Solo su questo blog a partire dal 4 Febbraio 2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!

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