LE PUNIZIONI DELLA KAREN(5°parte)
PROLOGO: Via il sipario, ora finalmente sappiamo che Elisabetta è l'assassina, ma con la bomba come la mettiamo e soprattutto, non sappiamo ancora i biechi motivi che hanno spinto la ragazza alla strage. Alex indaga e instaura un dialogo in punto di morte con la ragazza ... quando si dice, il passato che ritorna!
Cos’è successo nelle prime
quattro parti?:Bianca vince una crociera risolvendo insieme a me un gioco di
logica su internet. La crociera sarà nel Mediterraneo e vede oltre a noi(io,
Bianca, Flavio e Andrea), altri 7 passeggeri. Per i primi due giorni va tutto
bene, ma la sera del secondo giorno, il capitano della nave si accorge che un
passeggero è in mare. Viene ripescato e appuriamo che si tratta di Riccardo
Montervino, lo stuntman che era partito con noi. Sembra un incidente, ma sulla
testa c’è del sangue coagulato e sotto le unghie ci sono frammenti di pelle
umana. NON E’ STATO UN INCIDENTE!La mattina dopo però. Un’altra spiacevole
sorpresa ci attende. La signora Lonsi, è ritrovata morta nella sua cabina, con
un accendino in mano ed un colpo di pistola alla testa. La cosa strana è che
veste solo di una minuta vestaglietta intima. Veniamo inoltre a scoprire che il
colpevole ha, con tutta probabilità, gettato l’arma del delitto in mare, e che
la vittima trafficava droga per un clan mafioso. La mattina successiva,
troviamo il corpo di Alberto Falonghieri, il noto imprenditore. Affianco al suo
letto, vi è un coltellino da cucina, così il sospettato numero uno diventa il
cuoco, Federico Mascella. La sera, io e Flavio decidiamo di dormire fuori dalla
cabina e di sorprendere l’omicida. Un urlo però ci fa allontanare dal luogo. E’
quello di Elisabetta, che ci dice di aver visto un losco figuro dirigersi verso
la sala delle caldaie. Andati lì, troviamo il corpo bruciato vivo di Federico
Mascella. La testa però è lasciata fuori dal forno della caldaia nella quale
era chiuso, probabilmente legato, così sul collo, noto che ci sono alcuni segni
di violenza, con un ricamo a ghirigori. L’ASSASSINO E’ ANCORA TRA NOI! Grazie
ad alcuni indizi, riesco a scoprire che l’assassino che ha commesso ben 4
delitti, è l’innocente Elisabetta. Dopo averla inchiodata però, confessa di
aver predisposto una bomba per esplodere a bordo tra soli 7 minuti!
CAPITOLO
IX – Parola d’onore
«Non c’è tempo da perdere!
Dobbiamo evacuare la nave immediatamente!» urlò il vice capitano Nelboni. Il
panico si diffuse tra la gente a bordo, Lucas Merota cominciò ad urlare a
squarciagola come una ragazzina; Enrico Bascia tentava di mantenere il suo
proverbiale sangue freddo, ma era in difficoltà. Bianca fu gelata nel sangue;
Flavio era rimasto con gli occhi socchiusi in attesa di sviluppi e sembrava
propiziare una strategia mentale. Corsi verso Elisabetta. La strattonai
dicendole:
«Dimmi come si disattiva la
bomba! Ti rendi conto che potrebbe accadere una strage ancora più grande di quella
che hai già provocato?».
Inizialmente non mi rispose. Poi
fece ondeggiare la testa e mi sussurrò che non gli importava nulla.
«State calmi signori!» riprese
l’attenzione Casolare «prendete il minimo indispensabile e mettetevi in attesa
sul ponte principale. Abbiamo scialuppe di salvataggio per tutti. Non temete,
ce la faremo!». Poi ordinò a Nelboni e ai due ragazzi dello staff di preparare
le scialuppe. Tutti corsero nelle loro cabine. L’aria era elettrica.
Tre minuti dopo, tutti erano
pronti per abbandonare la nave. Anche per quanto mi riguarda era tutto a posto.
Avevano fatto indossare a tutti dei giubbotti bianchi, di quelli che dovrebbero
gonfiarsi appena toccano una superficie di acqua considerevole, in modo così da
salvare chi non sa nuotare.
Ci stavano caricando sulle
scialuppe. Ne erano state predisposte tre. Una per Casolare, Nelboni e lo
staff. Un’altra per me, Bianca, Flavio e Andrea, e l’ultima per Bascia, Merota
e Elisabetta.
Quindi apparentemente sembrava
non esserci alcun problema. Sia Merota che Bascia erano in salvo, ma … mancava
Elisabetta. Non potei avvistarla da nessuna parte.
«Signor Casolare … » gli domandai
mentre aiutava Bianca a salire sulla scialuppa insieme a Flavio «dov’è finita
Elisabetta?».
«E’ già nella scialuppa ragazzo».
«Non direi signore … guardi»
dissi indicandogli il posto vuoto.
«Dannazione! E allora dov’è
finita?».
Mi fermai un attimo, poi ebbi un
sussulto. «Lo so io!» urlai ad altissima voce. Cominciai a correre come un
forsennato per la nave. Elisabetta voleva togliersi la vita! Non potevo
permetterlo! Un detective non spinge mai al suicidio nessuno, criminali
compresi.
La voce di Flavio mi chiamava a
gran voce ricoprendomi di insulti e cercando di trattenermi.
«Brutto idiota! Dove vai? Vuoi
farti ammazzare?» Poi lo vidi mentre mi seguiva correndo quanto me.
Continuai a correre come un folle,
finché non arrivai sul ponte più esterno della nave. Lì c’era Elisabetta,
girata di spalle.
Con il fiatone, riuscii a
chiamarla usufruendo dell’ultimo filo di voce che mi era rimasto.
«Elisabetta» le dissi esasperato.
«Che cosa vuoi ancora da me? Verme
schifoso!» mi urlò addosso lei.
«Da che pulpito … » dissi
inizialmente. Poi mi ricomposi e risposi «Solo farti ragionare».
Flavio era dietro di me, fermo,
immobile come una statua di cera.
«Senti Alex, è meglio che
andiamo, non … ».
«Un detective deve assicurare
giustizia, non vittime. Per quanto i criminali sbaglino, non hanno alcun
diritto a togliersi la vita. E se un detective permette questo, allora non è
degno di essere considerato tale». Non mi girai nemmeno per dire queste parole.
Ci fu un attimo di silenzio che parve non finire mai.
«Abbi cura di te» mormorò Flavio
da dietro le mie spalle. Poi sentii i suoi passi allontanarsi velocemente. Lo
sentii dialogare tra sé e sé.
«Perché sei venuto qui, verme?»
iniziò Elisabetta.
«Solo per parlare e per farti
ragionare. Te l’ho detto no?».
«Se le cose andassero come ordinato
… a questo punto non mi ritroverei a parlare con te».
«Che cosa vuoi dire?».
«La crociera, gli organizzatori,
il quesito … era tutto finto, non l’hai capito stupido detective?». Che
gentile, non è vero? Un amore.
«Fin qui c’ero arrivato» dissi
appoggiandomi alla porta della caldaia. «Ma, tu … chi sei? Perché hai fatto
questo?».
«Vuoi sapere chi sono? E va bene
… tanto morirò su questa nave, non come te che farai la tua bella carriera e ti
farai bello con le prime pagine». Poi trasalì «Io faccio parte … sono parte di
un clan terroristico, mafioso, criminale. Ne hai mai sentito parlare? Si chiama
Fuoco Re».
Rimasi immobile.
«Il mio clan aveva rapporti con
tutte le persone che vedi nella nave. Dall’operaio dal cuore buono, al cuoco
che ho bruciato vivo! Tutti erano in rapporto con noi. Tutti per arrotondare
svolgevano compiti criminali per noi!» disse con voce stridula. Le emozioni
cambiano le persone. Non sembrava più la ragazza gentile ed espansiva che
avevamo incontrato solo pochi giorni prima.
«Vuoi dire che i passeggeri … ».
«Sì, i passeggeri lavoravano con
noi un tempo. Lo staff è escluso naturalmente. Ma poi si sono stancati, tutti
loro ci hanno denunciato e hanno messo a repentaglio la nostra incolumità. Così
abbiamo corrotto la famiglia proprietaria della nave, abbiamo instaurato questo
concorso fittizio che metteva in palio una crociera e abbiamo immesso nei
computer di queste persone i dati necessari a partecipare al concorso.
L’indovinello era complesso, ma eravamo sicuri che sarebbero riusciti a
risolverlo».
«Ma cosa c’entra Bianca allora?
Perché è stata contattata anche lei?».
«Bianca … non c’entrava
assolutamente nulla» disse in preda alla follia. «I nostri server hanno errato
alcuni codici di identificazione del linguaggio informatico. Di conseguenza, il
numero IP di Bianca è risultato uguale a quello del nostro uomo».
Il vento della notte ci faceva
trepidare, l’aria fresca assicurava brividi emotivi fuori dal comune. Le onde
rullavano tra loro, dando all’ambiente un aspetto da ultimatum.
«Sbrigati adesso, non vorrai
morire?» le dissi a voce alta per paura di essere coperto dal rumore delle
onde.
«Tu credi che io voglia
salvarmi?» mi domandò guardandomi con occhi stanchi.
«Ne sono sicuro. Non vuoi morire, nessuno lo
vuole».
Diedi un’occhiata al timer della
bomba. Mancavano 2 minuti e 35 secondi.
«Io invece lo voglio».
«Ma perché?» le chiesi nervoso.
«Ho fallito una missione … il
clan mi ucciderà. Tu non sai niente di me, del mio passato … non sai che sarò
soggetta a torture fisiche e psicologiche per mesi se dovessi tornare senza un
nulla di fatto» disse piangendo. Poi riprese a parlare «La mia sfortuna è stata
che tu capitassi per sbaglio su questa nave. Se non ci fossi stato tu … io
avrei abbandonato la nave prima e avrei completato l’opera uccidendo tutti … io
… ».
«Ma ti ascolti quando parli?» la
rimproverai a muso duro. «Sei dispiaciuta per non aver ucciso, mentre dovresti
esserla per averlo fatto! L’omicidio è imperdonabile! Hai fatto una strage di
poveri innocenti! Avrebbero pagato le loro colpe in prigione!».
«Tu parli da detective! Non sai
nulla!».
«Ne so abbastanza per dirti che
hai già commesso una sciocchezza enorme. Ora non commetterne un’altra. Vieni
con me! Il timer segna un minuto preciso. Non fare la stupida, vieni con me,
non ha senso farsi saltare in aria adesso».
«Io non vado in galera» mormorò.
«Ti costruirai una nuova vita una
volta espiate le tue colpe! Per quanto riguarda la vendetta del clan, chiederai
la protezione alle forze dell’ordine, cambierai identità! Insomma, avrai
l’opportunità di diventare una persona nuova, dopo la galera!».
«No, non posso».
«Ma perché?!» chiesi irritato.
Guardai il timer. Meno 30 secondi all’esplosione.
«Per un discorso d’onore. I
membri minori del clan, quando falliscono una missione, devono uccidersi …
significa non essere riusciti a soddisfare quello che il loro sovrano gli
diceva di fare!».
«L’unico Sovrano sta in cielo» le
dissi sorridendo maliziosamente «Lascia stare. L’onore non è per i criminali,
altrimenti non avresti ucciso nessuno» ultimai deluso, con lo sguardo basso.
I miei compagni di viaggio erano sulle
scialuppe di salvataggio a metri di distanza, ma i loro occhi mi si attaccavano
addosso come in uno stadio gremito di gente, come se avessi io l’unica possibilità
di salvare il mondo e questo francamente non mi piaceva affatto.
Elisabetta Criota si allontanò
ulteriormente da me, prese il dispositivo e se lo mise addosso. Senza paura,
con lo stesso sprezzo del pericolo di chi aveva ucciso quattro vittime.
«No!» gli urlai con gli occhi
rossi dell’agitazione. Poi mi mostrò il timer e con l’indice fece segno al
tempo. Meno 5 secondi. Lanciai un ultimo urlo, poi corsi verso il ponte con
tanta disperazione, a gareggiare con la
morte. Un salto lungo, profondo, impotente …
e poi il mare. Il botto, una nave in fiamme, Elisabetta Criota scomparsa
tra l’inferno provocato dalla bomba. Il mio volto taciturno per non essere
riuscito a trattenerla da quel folle gesto. Le urla di Flavio e di Bianca che
mi richiamavano a salire sulla scialuppa di salvataggio.
Ero riuscito a salvare la mia vita,
ma non quella di un altro essere umano. Era stato tremendo.
CAPITOLO
X – Ritorno alla base
Giorni dopo, ero ancora provato
per l’esperienza sulla nave. Nei giorni precedenti Flavio aveva provato a
tranquillizzarmi in ogni modo possibile. Devo dire che fu anche più gentile del
solito, ma non funzionò molto. Digiunai quasi in quei giorni. Vivevo le me
giornate in casa, con la testa sui libri gialli, o il volto diretto a fissare
il vuoto, come fosse una sorta di spettacolo imperdibile. Sapevo di avere la
coscienza pulita, ma sapevo anche che non è compito di detective far perdere la
vita a qualcuno. Insomma, ci ero rimasto male di non aver evitato il suicidio
di Elisabetta Criota. Ogni tanto guardavo all’indietro, per vedere poi mio
fratello Andrea scrutarmi preoccupato come nel peggior film drammatico. Di
fronte a lui cercavo di essere leggermente più allegro, ma non serviva a molto
per convincerlo. Mio fratello sapeva e covava dentro di sé quei sentimenti
negativi.
Nemmeno le cure affettuose di
Bianca riuscivano a distogliermi dal pensiero di Elisabetta. In questa
circostanza, ebbi l’aiuto di una persona che fino a quel momento avevo
considerato in modo minore rispetto a quello che effettivamente vale.
«Ancora depresso?» Fabio si
sedette vicino a me sul divano nero di pelle del salotto di casa Moggelli.
«Un po’ … ».
«Ti va di fare una partita a
carte? Un bel poker tra amici?». Sul suo viso era dipinta un’espressione
bonaria.
«No grazie … non sono in vena».
Seguì un attimo di silenzio.
«Alex ascolta … non è così che si
combattono le difficoltà».
«Lo so» mormorai a testa bassa.
«Non mi pare» disse Fabio
appoggiandomi una mano sulla spalla. «Ascolta» affermò mentre impugnava una
salda una copia di “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie «in questi giorni
hai letto e riletto gli stessi libri, hai fissato il vuoto a ripetizione e hai
guardato tv fino a scoppiare … cosa ti succede?».
«Lascia stare».
«Ma un bel niente!» disse
spazientito. «Accetto che tu non voglia parlarne con Bianca o con tuo fratello.
Passo sopra anche al fatto che tu non voglia dire quello che pensi e quello che
provi a mio padre … ma almeno sfogati con me. Insomma, abbiamo su per giù la
stessa età. Potrei essere tuo fratello».
«Ok» gli dissi a voce bassa,
mantenendo lo sguardo distaccato. «C’è un po’ di tristezza per l’esito finale
del caso della nave e … ».
«Sei dispiaciuto per non esser
riuscito a salvare dal suicidio Elisabetta Criota, non è vero? Comunque ho
sentito che sia Bascia che Merota sono stati arrestati per associazione
mafiosa».
«Già».
«E non sei contento? Insomma, è
anche merito tuo!».
«In un caso non ci sono eroi o
antagonisti. C’è solo un detective che deve far di tutto per far regnare
Giustizia ed equilibrio. E stavolta non … ».
«Stavolta un bel nulla! Tu hai
provato a salvare quella donna dal suicidio! Ma lei non ti ha ascoltato e si è
ammazzata con le sue mani. Alex, credimi, non hai nessuna colpa, ma è normale
che tu ti senta uno straccio. Ora però devi reagire».
«Reagire» ripetei a voce bassa.
«Reagire non è facile».
«Lo so bene Alex … ma hai
diciotto anni, una mente brillante, un’intelligenza acuta, la vita davanti e
una carriera che può davvero assicurare Giustizia dove non c’è … non buttarti
giù per non esser riuscito a convincere un criminale a non togliersi la vita.
Avresti dovuto crucciartene se non ci avessi nemmeno provato, ma tu sei stato
sopra quella nave fino a cinque secondi prima dell’esplosione … hai rischiato
la tua vita, hai rischiato di saltare in aria, solo perché volevi salvare una
vita umana. La tua coscienza è a posto!».
«Forse hai ragione» ripetei a
basso tono.
«Sicuramente è così, dammi retta!».
Quella sera abbracciai forte
Fabio. Qualcuno una volta disse che l’uomo indossa delle maschere per tutta la
vita. Sì, è vero. Tutti indossiamo delle maschere, ma la cosa più bella è che
quando te la togli, a volte, hai un
animo ancora più nobile di quello che volevi mostrare. Fabio, che si era
dimostrato svogliato, a tratti futile su argomenti seri, giocherellone, burlone
e scostante su problemi di vera rilevanza, quella sera con le sue parole era
riuscito a farmi cambiare idea. E non potrò mai ringraziarlo abbastanza.
«Ehi! Siamo in vena di abbracci?»
Flavio era entrato dalla porta, con la sua consueta camminata.
«No, no» affermò Fabio
«finalmente ha capito» aggiunse con un sorriso di soddisfazione.
«Ne sono felice» continuò Flavio.
«Sai ragazzo … non era piacevole vederti in colpa» disse appoggiandomi una mano
sulla spalla.
«Non lo era nemmeno per me».
«Lo so bene».
«Vabbè» iniziò Fabio «io esco. Ho
appuntamento con Martina al cinema».
«Buona serata Fabio e … grazie»
gli dissi sorridendogli quasi in modo sofferente.
Non rispose, ma mi fece
l’occhiolino. Passammo qualche minuto in silenzio.
«Sempre gialli eh? Sai, anche a
me alla tua età piacevano tanto … ma non ero fissato come te» disse Flavio
prendendo l’opera della Christie.
«Eh già … e pensa che l’ho
riletto già una decina di volte … ormai so i nomi di tutti i protagonisti a
memoria».
Ci fu ancora silenzio.
«Dimmi un po’ … se hai voglia di
parlarne naturalmente … cosa ti stava dicendo Elisabetta Criota nel vostro
scontro sulla nave?».
«Sì tranquillo … nulla, mi ha
detto che il concorso era una farsa e che eravamo capitati lì per un errore di
un server … I loro uomini … Sai che tutti erano traditori e … ».
«Non ho ben capito … ma avevano
tradito lei?».
«No, il clan per il quale
lavoravano».
«Il clan?».
«Sì, pareva che c’entrasse
qualcosa col fuoco … mi pare si chiamasse Fuoco Re o qualcosa del genere … ».
Flavio trasalì senza alcuna
espressione negli occhi e il vuoto per un momento lo avvolse. Per un attimo impallidì. Poi si
alzò ed uscì dalla stanza. Cosa stava succedendo? Rimasi di sasso.
Mentre a casa Moggelli il dialogo
era ormai sfociato nel mistero, tanto più lontano due figuri parlavano della
questione “Karen”. Stavolta Alex non era presente, per nulla, ma il suo essere
risiedeva nell’aria e fluttuava nelle parole di persone a dir poco losche.
«Criota ha fallito l’assalto a
quanto vedo». Una voce stanca, segnata dalla vecchiaia, strideva nell’aria come
il suono di un coltello su uno specchio. Una televisione illuminava una stanza
buia e le conferiva un aspetto decisamente poco allegro. La stanza era
stazionata all’ultimo piano di un vecchio albergo sconclusionato. Era fuori
città, a circa un quattrocento metri dalla campagna.
«Già» sussurrò una voce più
giovanile, decisamente da quarantenne. «Succede» aggiunse tranquillo mentre
fumava una sigaretta.
I volti dei due figuri erano
nascosti dal buio e nessuno di loro era ben delineato alla luce del sole. Il
più anziano dei due gettò la sigaretta a terra e la calpestò con la suola.
«E’ un problema quel ragazzo»
aggiunse il vecchio.
«E’ solo una macchietta microscopica»
commentò il quarantenne con poca esitazione.
«Già, hai ragione figliolo».
ANTICIPAZIONE EPISODIO 24: Il luogo di un delitto può essere impensato, spesso a tratti anche insospettabile. Stavolta il tutto accade in un parcheggio sotterraneo di un condominio all'apparenza tranquilla. Come scoprire il delitto? Idea ... usiamo ... i fiori! ALEX FEDELE EPISODIO 24: IL PARCHEGGIO DEI MISTERI! Solo qui, a partire dal 28/01/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta qui e dimmi che ne pensi!