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sabato 5 novembre 2011

Alex Fedele: L'anniversario(stagione 1;episodio 12) 2°parte

L’ANNIVERSARIO(2°pt)


PROLOGO: Rancore e paura è il binomio perfetto per creare situazioni spiacevoli. La verità è unica e quando Flavio si ritroverà con le spalle al muro, si troverà costretto a dire la sua. Si scontrano l'alba e il tramonto, si scontrano Alex e Flavio!


COS’E’ SUCCESSO NELLA PRIMA PARTE?
Domenica mattina, una volta alzatoci dal letto, veniamo a sapere che Flavio è uscito presto di casa prendendo l’auto e portando con se un grande mazzo di fiori. Io, Bianca, Fabio e Andrea andiamo allora a domandare qualcosa nel suo bar preferito dove ci rispondono che non l’hanno visto. Mentre siamo nel bar, arriva un folle che mette tutti sott’ostaggio con la sua pistola. L’uomo ha perso moglie e figlia in un incidente stradale e la polizia non ha fatto nulla al pirata. Per fortuna è una persona fragile e riusciamo a farlo calmare. Decide così di non fare nessuna strage e ritorniamo a casa tutti sani e salvi. Ma il problema persiste. Dov’è Flavio?



CAPITOLO IV – Ultima chance

Dopo la scapestrata avventura avuta con l’uomo dal passato tormentato nel bar, io, Bianca, Fabio e Andrea facemmo di corsa ritorno a casa. Era ormai quasi mezzogiorno e vuoi per apprensione, vuoi per semplice normalità, sulla nostra testa erano caduti stranissimi presagi. Flavio era assente dalla mattina presto e non accennava a tornare. Nessuno nel quartiere lo aveva visto, nessuno gli aveva parlato, nessuno sapeva che fine aveva fatto. L’auto non era nelle vicinanze, quindi quasi sicuramente non era a Torino. Cosa può spingere un uomo ad un gesto di follia? Me lo sono chiesto parecchie volte. Può essere un attimo di disperazione, una sorta di cellula malata a livello neurale che può decidere all’improvviso di staccarsi dalle altre e di lanciare un allarme decisivo. Può essere per via delle delusioni d’amore, di lavoro, di vita abitudinaria. Se una persona riflette, l’organismo umano è un qualcosa di così vastamente complesso e poco conosciuto a livello psicologico che probabilmente servirebbero anni per comprendere tutto appieno. E nemmeno riusciremmo a farlo. Ma Flavio non era tipo, o almeno non sembrava,da atti irrazionali. Non era tipo da gesti inconsulti. Era una persona che sicuramente aveva i suoi problemi, ma che indubbiamente faceva del dolore un punto di forza. Perché pensare sempre al brutto? Cosa pensereste se un vostro familiare sparisse per otto ore senza lasciare indizi, senza aver parlato con nessuno, portandosi la macchina e sparendo dall’immaginario della gente?
Ritornammo a casa in fretta in furia. Bianca fece girare la chiave nella toppa ed entrammo dentro. Provammo dapprima ad ispezionare la casa palmo per palmo, poi decisi di seguire il consiglio della ragazza, e cioè controllare se c’era per caso l’agenda nell’ufficio di suo padre.
Entrai lentamente nell’ufficio ed in punta di piedi mi posi davanti alla scrivania. Bianca accese la luce e mi riportò alla realtà. Non stavo girando un film di 007.
La scrivania di un uomo che opera in un settore delicato come quello dei detective, dovrebbe di solito, essere perfettamente ordinata, pulita, con catalogazione numerale dei fascicoli, degli articoli, dei casi risolti e di quelli archiviati. In un ufficio di un detective dovrebbe, e ripeto dovrebbe, essere tutto a posto. Ok, avete presenti tutti questi aggettivi che vi ho elencati? Se li avete accostati all’ufficio nel quale ci trovavamo, allora avete nettamente bisogno di conoscere meglio Flavio. Se avete pensato che Flavio avesse una scrivania piena di penne sparse, di fogli imbrattati di ghirigori gettati a terra(quando c’era un comodissimo cestino “all’avanguardia” per essere civili), di fascicoli azzuffati sui ripiani della libreria in legno. Se pensate anche solo per un momento che il pavimento fosse da lavare, che il divano spruzzasse oggettini di tutti i tipi dalle fessure dei cuscini, allora avete preso in pieno. Ok, nella mia vita avevo visto di peggio, ad esempio la mia cameretta a Fondi, ma questo ufficio era sicuramente la seconda cosa più disordinata che avevo visto in vita mia.
«Guarda che disordine! Ho dato una sistemata appena tre giorni fa!» sbottò Bianca spostando sedie e quant’altro.
«Già, si vede» dissi ironizzando. Non l’avessi mai detto. Al suo confronto Hannibal Lecter era un cucciolo indifeso. Il suo sguardo mi scrutò con diffidenza e mi apostrofò come “non spiritoso”.
Anche Fabio e Andrea si erano uniti alla ricerca. Ma non avevo ancora capito chi era più bimbo dei due. Fabio passava il tempo a leggere quotidiani di calcio vecchi di almeno due settimane. Andrea si comportava come un normale bambino ed afferrava tutto ciò che trovava a terra smontando e rimontando i vari pezzi.
In alternativa a loro, Bianca si era accovacciata sotto la scrivania per riuscire a trovare un foglio, un indizio, un piccolo raggio solare in mezzo a tanto buio pesto.
Poi l’apoteosi. Giuro che non avevo mai abbracciato mio fratello tanto forte.
«Che cos’è questa fratellone?» mi disse porgendomi una strana massa informe con parecchie orme umane impresse A prima vista doveva essere un oggetto quadrato, forse con delle pagine all’interno. Praticamente un agendina tascabile. Era calpestata, ammaccata, sporca, fradicia di un qualche succo strano cadutole sopra. Insomma, uno schifo. Ma era la nostra agenda,l’agenda che cercavamo a tutti i costi. Quella che avrebbe permesso, con un po’ di fortuna,di ritrovare Flavio.
Aprii l’agendina e con Bianca che si era appoggiata con il mento sulla mia spalla, lessi numerosi impegni risalenti però a parecchio tempo prima. Scorsi le sillabe scritte su quei fogli bianchi parecchie volte, ma nulla.
«Prova a vedere in rubrica, forse ha scritto qualcosa lì» mi sussurrò a pochi centimetri dall’orecchio Bianca.
«Ok».
Andai a vedere ovunque, scorsi ogni centimetro di quella maledettissima rubrica, ma non trovai nulla, assolutamente nulla.
«Diamine!» dissi sbattendo violentemente l’agenda,se così si poteva definire,sulla scrivania. Probabilmente l’avessi fatto prima sarebbe risultata la cosa giusta per tutti. Un piccolo foglietto spiegazzato e pieno di piegature, scivolò fuori dall’agendina depositandosi a terra. Era un segno?
Fabio lo aprì, leggendo: «Vai a Cuneo, 19:10».
Ora sapevamo qualcosa in più. Sulla pagina dell’agenda di oggi c’era scritto il nome della città di Cuneo e l’ora di quel fantomatico appuntamento.. Se non era stato un caso era stata proprio fortuna!
«Ora sappiamo dov’è» sussurrò Bianca.
«Ti rifaccio la domanda Bianca … che tu sappia, c’è qualcosa che sia avvenuto in questa data nella storia della tua famiglia?».
«Vediamo … » il suo sguardo si fece di fuoco, il suo viso di bronzo. «No. Non mi pare proprio»
Prendemmo la macchina di Fabio quel giorno, una Fiat Punto 1.2 16v Sporting. La macchina era di colore grigio perla. Prendemmo l’auto e Fabio si mise alla guida. Rotta verso Cuneo. Obiettivo: Scoprire il mistero di Flavio.

CAPITOLO V – Estenuati

Viaggiammo molto. Erano già le 17:30 quando ci mettemmo in cammino. Prima di uscire ci eravamo decisi di fare una doccia calda per resettare le idee e di mettere qualcosa sotto i denti. Il tramonto cominciava ad affacciarsi al mondo. Il cielo si dipingeva di un cupo rossastro che a sprazzi diventava violaceo. In strada, code chilometriche di impiegati di ritorno dal turno quotidiano di lavoro. Era l’ora di punta. L’ora X nella quale scattava l’addio a tutti gli uffici. Da Torino a Cuneo ci vogliono in media un’ora e venti minuti,  non di più. Fummo fortunati. Quel giorno, nonostante il traffico, arrivammo in un’ora e quaranta.
Erano le diciannove e dieci in punto quando ci fermammo in Piazza Tancredi e scendemmo dall’auto. Mio fratello Andrea era letteralmente distrutto dalla giornata e dal viaggio in generale. Fabio aveva le occhiaie, mentre solo Bianca mostrava segni di forza e di andatura combattiva.
«Ok» dissi guardandomi in giro.«Facciamo così. Dividiamoci. Voi tre andate da quella parte» dissi indicando a Fabio, Bianca e Andrea una via di periferia. «Io vado dal lato opposto. Se lo troviamo o avvistiamo la macchina, ci chiamiamo col cellulare. Nel caso in cui non dovessimo trovarlo … ci ritroviamo qui alle diciannove e trenta in punto per aggiornamenti, chiaro?».
Annuirono nemmeno troppo convinti. Si diressero verso la parte che avevo indicato loro e cominciarono a domandare a destra e manca, interrogando persone che portavano a spasso i cani, fruttivendoli fuori dalla loro bottega, baristi appoggiati sul gradino, ragazzini di quindici o sedici anni. A tutti avevano rivolto le stesse domande, del genere: “Hai visto una Fiat Croma nera da queste parti?”, oppure “Per caso è passato di qui un uomo sui quarant’anni con barba incolta ed altezza superiore al metro e ottanta?”.
Io feci le stesse domande a tutti coloro che incontravano. Mentre svolgevo l’indagine avevo anche incontrato una coppia di novantenni che mi aveva guardato con diffidenza e mi aveva risposto con “vai a giocare a nascondino con i tuoi amici lontano da qui, giovinastro!”… ah, l’età. Dovevo dimostrare di meno dei miei diciotto anni. Non poteva che essere così.
Pensavo a cosa fosse venuto a fare a Cuneo Flavio, a cosa avesse fatto. Al perché quella mattina, quella maledetta mattina, era uscito di casa alle quattro, con un mazzo di fiori in mano e avesse preso l’auto per intraprendere un viaggio che non era stato né annunciato, né mai accennato. I pensieri girovagavano nella mente in un turbinio incontrastato di facili emozioni. Erano le 19:29 e stavo per far ritorno in Piazza Tancredi. In venti minuti non avevo trovato uno straccio di indizio e ciò mi deprimeva. Flavio doveva avere qualcosa da nascondere, non c’erano dubbi. Qualcosa che riguardava sicuramente la signora Moggelli. Ne avevo parlato con Fabio e Bianca e loro ne sapevano meno di me. L’unica cosa che avevo scoperto è che era morta … ah, sì e che era sepolta a Cuneo. Flavio non aveva mai detto le circostanze della morte a nessuno. Lo faceva soffrire troppo. Ero a circa venti metri dal luogo dove dovevamo ritrovarci in caso di risultato nullo. Fabio era appoggiato all’auto con la testa alzata al cielo. Bianca teneva in braccio mio fratello e giocava con lui. Sono solito pensare e riflettere nelle situazioni più strambe. Fu come uno shock, un revival di un film, di una cultura musciale, un remake di una giornata vissuta in agonia, un deja-vù privo di sapore amarognolo.
Invertii immediatamente la rotta. Cominciai a correre dal verso opposto. Lì vicino avevo visto un cimitero. Bianca mi urlò: «Alex, cosa fai? Dove vai?». Con un fil di voce e davvero poco fiato, le risposi usando queste parole: «Prendete l’auto e seguitemi! Ho avuto un’idea!».
«Ma cosa … ?» riuscì ad urlare Fabio.
«Cavolo, prendete la macchina e seguitemi!» urlai a perdifiato mentre continuavo a correre come un maratoneta che si allena per la famosa “maratona di New York City”.
Ubbidirono con perplessità. Poco prima che chiudessero gli sportelli dell’auto gli urlai: «Mi raccomando però, non fatevi vedere. Fermatevi ad almeno dieci metri da me ed aspettate un mio segnale! Non entrate se non ve lo dico io!». La perplessità era tutt’una adesso e avevo nettamente rinunciato ad un polmone, causa lo sforzo di parlare in corsa.
Correvo come non avevo mai corso in vita mia. I miei polmoni avevano pochissima aria, il mio cuore pompava più velocemente possibile ed io avevo il latte alle ginocchia da almeno dieci minuti. Il cimitero che avevo avvistato era leggermente lontano. Almeno a tre o quattro isolati.

CAPITOLO VI – Dimmi la verità

«Ti ho portato i fiori, cara. Volevo darteli, perché oggi è il nostro anniversario». Flavio stava in un cimitero lugubre, pieno zeppo di terra mal coltivata. In ginocchio, in giacca e cravatta, con un mazzo di fiori in mano. Baciava la lapide. Una lapide di pietra dove c’era impressa la scritta: GIULIA MOGGELLI.
Le lacrime bagnavano il suo viso da uomo duro che si era costruito.

«Allora, Flavio» dissi asciugandomi il sudore dalla fronte e cercando di ricompormi per la gran corsa che avevo fatto. «Vogliamo finirla di giocare ai misteri? Vuoi dirmi cosa c’è dietro tutta questa storia?».
Flavio si voltò di scatto, alzandosi dalla lapide e lasciando cadere i fiori a terra. I petali si dispersero nell’aria fresca della sera. Erano le venti e il tramonto inebriava la sera di Cuneo. Tra poco, il sipario sarebbe stato abbassato per far spazio al buio, ma a lui non importava.
«A-Alex. Cosa ci fai qui? Come mi hai trovato?» disse cercando di asciugarsi le lacrime che gli solcavano il viso. Non ci riuscì.
«Volevo farti la stessa domanda. Ho ragionato. Ho saputo che Giulia è sepolta a Cuneo. E non potevi che venire che qui … non è vero?» dissi ancor affannato asciugandomi il sudore che mi imperlava la fronte, con il gomito.«Secondo te è normale uscire di casa alle quattro del mattino e non dare notizie di sé per una giornata intera?» affermai adirandomi.
Mi si avvicinò a muso duro, con gli occhi di chi non ha nulla da perdere.
«A casa mia faccio ciò che voglio. Se voglio uscire di casa di mattina presto e non dare notizie di me per una giornata intera, lo faccio. E tu ragazzino, non sei nessuno per venirmi a rimproverare».
«Ah davvero? E tu non sei nessuno per tener nascosta una verità che necessita di essere rivelata».
«A cosa ti riferisci?».
«Dannazione!» esclamai distogliendo lo sguardo e alzando le mani in modo plateale. Per fortuna a quell’ora il cimitero era deserto. Un lungo cartello all’entrata recitava che avrebbero chiuso i cancelli alle ventuno in punto.
«Hai ancora il coraggio di chiedermi cosa succede? A cosa mi riferisco secondo te?» continuai.
«Sei strano ragazzo».
«E tu fai il finto tonto. Ascolta. Ti faccio solo questa domanda e dopo fai quello che diavolo vuoi. D’accordo?».
Non rispose. Annuì con un leggero cenno della testa. Era provato psicologicamente, ma io più di lui. E qualcuno, Fabio e Bianca in primis, più di noi. Avevo detto loro di aspettarmi in macchina, ma non mi avevano ascoltato. Il profumo di Bianca raggiungeva il mio olfatto. Probabilmente erano nascosti dietro gli alberi che costeggiavano vicino al muretto dell’entrata. Erano degli enormi cipressi accostati uno all’altro.
Feci la mia domanda. «Hai fatto due figli no? Sei sposato, ho visto la fede. Dov’è tua moglie?».
«Non azzardarti proprio a … » riuscì a dire con un fil di voce. Il suo sguardo basso tradiva la sua finta freddezza.
«Voglio solo che tu mi dica dov’è, Flavio».
«Senti, non devi proprio … ».
«Rispondi dannazione, rispondi!».
Alzò lo sguardo, mi sfidò.
«Ok, vuoi sapere dov’è? E’ morta, ecco dov’è! Diavolo, è in una stupida tomba! E la tomba è sotto terra ed io sono un grande idiota. Non devo darti spiegazioni, non devo! Non sono portato a farlo! Chiaro ragazzo!?». Mi urlò tutte queste cose in faccia. La sua voce fu quasi rotta dal pianto ed ebbi una pena terribile per esserlo andato a scovare fino a lì. Ma lo facevo per Bianca e per Fabio. Lo facevo anche per Flavio. Lo facevo anche per la famiglia in totale. Non potevo rischiare di cadere in equivoci parlando del discorso. E da quando avevo saputo che Flavio, uomo di giustizia, incorruttibile paladino delle forze armate, detective brillante, era stato capace di tener nascosto ai figli le cause della morte della madre, rispondendo con frasi al registratore, mi ero messo in testa di fare l’unica cosa che un detective dovrebbe fare in ogni circostanza. Scoprire la verità. Ormai ne facevo una questione personale. Vi dico la verità. Sono sincero con voi. Se Flavio mi avesse mollato un pugno, non avrei risposto al colpo. No, non sono uno di quelli che “porgi l’altra guancia”, ma volevo farlo sfogare,Flavio non voleva tenersi tutto dentro. Era semplicemente una posizione che aveva preso nel suo subconscio. Non voleva spiegare cosa avesse spinto alla morte sua moglie per non soffrire e per non far soffrire i suoi figli. Ma il silenzio a volte, è letale per gli esseri umani. Può distruggere anche i sentimenti più belli, e non potevo permettere che accadesse con la famiglia Moggelli.
«Ascoltami Flavio» cominciai prendendo fiato con gli occhi lucidi «Non è così che si fa. Stai tenendo nascosta una cosa che non può … ».
«Ma chi sei? Chi diavolo sei per dirmi cosa devo fare? Volevi sentire che mia moglie è morta? L’hai sentito, ora vai fuori di qui e lasciami solo!».
«E cosa mi dici di Fabio e Bianca? E’ normale che dei figli non sappiano niente sulla morte di uno dei genitori? Dannazione Flavio, non è normale!».
«Ma è stato normale per più di cinque anni! Sei tu che non sei normale ragazzo! Io non voglio che i miei figli sappiano tutto perché … ».
In quel momento Bianca e Fabio, con Andrea al seguito, che guardava la scena imperterrito e con l’innocenza di un bimbo, uscirono dal loro nascondiglio. I rami dei cipressi si aprirono e  i protagonisti di quella triste vicenda,spuntarono fuori in lacrime. Fabio non piangeva ancora, ma aveva gli occhi lucidi. Bianca era un fiume in piena.
Flavio non terminò la sua frase. Bianca lo interruppe e con la voce rotta dal pianto disperato che si era innescato da quella conversazione.
«Perché non vuoi vero? Ci sei solo tu, non è vero papà?» .
Alle parole di sua figlia, Flavio rimase attonito, con l’aria di chi sa di averla fatta grossa. I problemi nella vita ci sono e vanno affrontati al momento. Se lasciati maturare le cose non vanno mai come vorresti. Insieme a te,matura anche il problema. Ma a differenza tua, quello non invecchia affatto. Cresce e si pone verso di te un giorno dopo l’altro, sempre più forte. Lo schiaffo di Flavio sarebbe potuto funzionare con Bianca che aveva dieci anni, al massimo dodici. Ma ora la bambina era diventata ragazza, giovane donna che conosceva pregi e difetti del suo eroe, di suo padre. Nelle lunghe conversazioni che avevo intrapreso con Bianca, avevo notato tante cose. Solo una mi aveva colpito in particolare. Bianca era gentile, dolce, molto intelligente e decisamente vispa per la sua età in fatto di ragionamenti e congetture. Ma aveva un sentimento forte, inossidabile, verso suo padre. Anche quando facevamo qualche battuta su Flavio, lei riusciva sempre a mettere in evidenza sotto una luce positiva suo padre. Una battuta, una frase dolce, un complimento velato da una risata falsamente ironica. Insomma, una figlia che prova amore verso il padre. Lo stesso amore che avevo provato e che provo tuttora per mio padre, ormai defunto, e che naturalmente provo anche per mia madre. E Flavio provava lo stesso amore per i suoi figli. Talmente tanto amore che era stato capace di crearsi una congettura mentale nella quale non potesse svelare la fine di sua moglie, al solo scopo di proteggerli. Ma ora non funzionava più. L’amore si era trasformato in una posizione scomoda ed ostinata. Una posizione della quale un quarantenne voleva liberarsi,ma che al contempo sapeva di non poterlo fare per questioni che conosceva solo ed esclusivamente lui stesso.
«Ragazzi, non dite così …  io volevo solo … » tentò di scusarsi, di motivare quella grande indifferenza.
«Bianca ha ragione, papà» interruppe alzando il tono Fabio. Abbracciò sua sorella. «Sei egoista».
Ero rimasto lì davanti, con gli occhi tristi a guardarmi la scena. Flavio mi afferrò al colletto della camicia e mi sollevò facendo mossa di darmi un violento pugno in viso. Chiusi gli occhi. Sentii dire queste parole: «Andava così bene, diamine».
«Non va bene per nulla, lo capisci!?» disse urlando Bianca. Avevo sentito bene allora. «Non va bene un accidente! Vuoi capirlo sì o no? Al mondo non esisti solo tu! Che fine ha fatto la mamma? Dimmelo oppure puoi anche non considerarti più mio padre. Capito signor Moggelli?». Le lacrime che le bagnavano il viso creavano un’atmosfera elettrica. Poche volte avevo visto quella ragazza così dolce e all’apparenza spensierata, in quelle condizioni.
Flavio mi mollò. Mollò la presa dal mio colletto e da me in totale. Presi la mano di mio fratello. Andrea mi guardava stranito e guardava stranito tutti. Un bambino le capisce certe cose. Ma non aveva osato nemmeno fare una domanda. Chissà che non avesse intuito qualcosa. Un giorno o l’altro devo ricordarmi di chiedergli qualcosa.
Mi incamminai all’uscita del cimitero. Mio fratello mi seguii.
Bianca, Fabio e Flavio, rimasero a parlare per un po’. Ci volle un po’ per convincere Bianca a parlare con suo padre in modo civile. Era accecata dall’ira.
La strada era deserta, quindi riuscii ad udire la maggior parte dei discorsi. Flavio spese tante parole quel giorno. Con le lacrime sul viso che gli scendevano quasi involontariamente, cominciò con «è una storia brutta» e terminò con «questo è quello che posso dirvi. Vi prego di rispettare vostro padre. Mi fa troppo male questa storia. Non ve lo nego. C’è ancora qualcosa che non sapete, ma un giorno vi giuro che ve lo dirò. Lo giuro sulla tomba di vostra madre. Adesso non siamo nella condizione di continuare a parlare di questa cosa così spiacevole. Inoltre, il mio cuore non sopporta più l’ascolto di questa storia. Non posso dirvi tutto, altrimenti …» cercò di terminare, ma scoppiò inevitabilmente in lacrime. Nel dialogo aveva spiegato che Giulia Moggelli era morta per cause legate al suo lavoro di poliziotto ed era per questo che non voleva dirlo ai figli. Pensava che avrebbero potuto incolparlo di essere uno dei principali artefici di quella triste girandola di emozioni spiacevoli.
Quando proferì l’ultima frase, l’espressione di rabbia dalla faccia di Bianca scomparve e Fabio abbracciò suo padre. Aveva detto qualcosa, aveva almeno accennato a delle verità. Ce n’erano ancora molte, ma aveva chiesto rispetto e attesa per quell’ultima parte. Aveva chiesto tempo perché gli faceva troppo male ricordare il tutto in una volta sola. Aveva però giurato sul grande amore della sua vita ed era sicuro che un giorno avrebbe riagganciato la storia con l’ultima verità.
Tornammo a casa verso le ventuno. Non cenammo. La stanza era entrata in silenzio e ci sarebbe voluto minimo il giorno dopo per instaurare un nuovo dialogo.
Stavo per salire le scale. Una giornata estenuante, con un finale estenuante. Flavio era seduto sul divano. Ci guardammo per un attimo. Fu davvero un attimo, ma abbassammo lo sguardo contemporaneamente.


ANTICIPAZIONE EPISODIO 13: Quando la cronaca ti entra in casa; Non oseresti mai immaginare che il tuo bambino possa scomparire di punto in bianco, non è vero? Purtroppo è ciò che accade a Franco Turbotti, uomo all'apparenza tranquillo e pacifico. Ma le apparenze sono solo false piste che portano ad altrettante false illusioni. Franco Turbotti è davvero così pacato? Alex e Flavio indagano e ... ALEX FEDELE EPISODIO 13-DOPPIO DESTINO(1°parte) a partire dal
12 Novembre 2011!  NON MANCATE!!!

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