L’ANNIVERSARIO(2°pt)
PROLOGO: Rancore e paura è il binomio perfetto per creare situazioni spiacevoli. La verità è unica e quando Flavio si ritroverà con le spalle al muro, si troverà costretto a dire la sua. Si scontrano l'alba e il tramonto, si scontrano Alex e Flavio!
PROLOGO: Rancore e paura è il binomio perfetto per creare situazioni spiacevoli. La verità è unica e quando Flavio si ritroverà con le spalle al muro, si troverà costretto a dire la sua. Si scontrano l'alba e il tramonto, si scontrano Alex e Flavio!
COS’E’ SUCCESSO
NELLA PRIMA PARTE?
Domenica mattina,
una volta alzatoci dal letto, veniamo a sapere che Flavio è uscito presto di
casa prendendo l’auto e portando con se un grande mazzo di fiori. Io, Bianca,
Fabio e Andrea andiamo allora a domandare qualcosa nel suo bar preferito dove
ci rispondono che non l’hanno visto. Mentre siamo nel bar, arriva un folle che
mette tutti sott’ostaggio con la sua pistola. L’uomo ha perso moglie e figlia
in un incidente stradale e la polizia non ha fatto nulla al pirata. Per fortuna
è una persona fragile e riusciamo a farlo calmare. Decide così di non fare
nessuna strage e ritorniamo a casa tutti sani e salvi. Ma il problema persiste.
Dov’è Flavio?
CAPITOLO
IV – Ultima chance
Dopo la
scapestrata avventura avuta con l’uomo dal passato tormentato nel bar, io,
Bianca, Fabio e Andrea facemmo di corsa ritorno a casa. Era ormai quasi
mezzogiorno e vuoi per apprensione, vuoi per semplice normalità, sulla nostra
testa erano caduti stranissimi presagi. Flavio era assente dalla mattina presto
e non accennava a tornare. Nessuno nel quartiere lo aveva visto, nessuno gli
aveva parlato, nessuno sapeva che fine aveva fatto. L’auto non era nelle
vicinanze, quindi quasi sicuramente non era a Torino. Cosa può spingere un uomo
ad un gesto di follia? Me lo sono chiesto parecchie volte. Può essere un attimo
di disperazione, una sorta di cellula malata a livello neurale che può decidere
all’improvviso di staccarsi dalle altre e di lanciare un allarme decisivo. Può
essere per via delle delusioni d’amore, di lavoro, di vita abitudinaria. Se una
persona riflette, l’organismo umano è un qualcosa di così vastamente complesso
e poco conosciuto a livello psicologico che probabilmente servirebbero anni per
comprendere tutto appieno. E nemmeno riusciremmo a farlo. Ma Flavio non era
tipo, o almeno non sembrava,da atti irrazionali. Non era tipo da gesti
inconsulti. Era una persona che sicuramente aveva i suoi problemi, ma che
indubbiamente faceva del dolore un punto di forza. Perché pensare sempre al
brutto? Cosa pensereste se un vostro familiare sparisse per otto ore senza
lasciare indizi, senza aver parlato con nessuno, portandosi la macchina e
sparendo dall’immaginario della gente?
Ritornammo a casa
in fretta in furia. Bianca fece girare la chiave nella toppa ed entrammo
dentro. Provammo dapprima ad ispezionare la casa palmo per palmo, poi decisi di
seguire il consiglio della ragazza, e cioè controllare se c’era per caso
l’agenda nell’ufficio di suo padre.
Entrai lentamente
nell’ufficio ed in punta di piedi mi posi davanti alla scrivania. Bianca accese
la luce e mi riportò alla realtà. Non stavo girando un film di 007.
La scrivania di un
uomo che opera in un settore delicato come quello dei detective, dovrebbe di
solito, essere perfettamente ordinata, pulita, con catalogazione numerale dei
fascicoli, degli articoli, dei casi risolti e di quelli archiviati. In un
ufficio di un detective dovrebbe, e ripeto dovrebbe, essere tutto a posto. Ok,
avete presenti tutti questi aggettivi che vi ho elencati? Se li avete accostati
all’ufficio nel quale ci trovavamo, allora avete nettamente bisogno di
conoscere meglio Flavio. Se avete pensato che Flavio avesse una scrivania piena
di penne sparse, di fogli imbrattati di ghirigori gettati a terra(quando c’era
un comodissimo cestino “all’avanguardia” per essere civili), di fascicoli
azzuffati sui ripiani della libreria in legno. Se pensate anche solo per un
momento che il pavimento fosse da lavare, che il divano spruzzasse oggettini di
tutti i tipi dalle fessure dei cuscini, allora avete preso in pieno. Ok, nella
mia vita avevo visto di peggio, ad esempio la mia cameretta a Fondi, ma questo
ufficio era sicuramente la seconda cosa più disordinata che avevo visto in vita
mia.
«Guarda che
disordine! Ho dato una sistemata appena tre giorni fa!» sbottò Bianca spostando
sedie e quant’altro.
«Già, si vede»
dissi ironizzando. Non l’avessi mai detto. Al suo confronto Hannibal Lecter era
un cucciolo indifeso. Il suo sguardo mi scrutò con diffidenza e mi apostrofò
come “non spiritoso”.
Anche Fabio e
Andrea si erano uniti alla ricerca. Ma non avevo ancora capito chi era più
bimbo dei due. Fabio passava il tempo a leggere quotidiani di calcio vecchi di
almeno due settimane. Andrea si comportava come un normale bambino ed afferrava
tutto ciò che trovava a terra smontando e rimontando i vari pezzi.
In alternativa a
loro, Bianca si era accovacciata sotto la scrivania per riuscire a trovare un
foglio, un indizio, un piccolo raggio solare in mezzo a tanto buio pesto.
Poi l’apoteosi.
Giuro che non avevo mai abbracciato mio fratello tanto forte.
«Che cos’è questa
fratellone?» mi disse porgendomi una strana massa informe con parecchie orme
umane impresse A prima vista doveva essere un oggetto quadrato, forse con delle
pagine all’interno. Praticamente un agendina tascabile. Era calpestata,
ammaccata, sporca, fradicia di un qualche succo strano cadutole sopra. Insomma,
uno schifo. Ma era la nostra agenda,l’agenda che cercavamo a tutti i costi.
Quella che avrebbe permesso, con un po’ di fortuna,di ritrovare Flavio.
Aprii l’agendina e
con Bianca che si era appoggiata con il mento sulla mia spalla, lessi numerosi
impegni risalenti però a parecchio tempo prima. Scorsi le sillabe scritte su
quei fogli bianchi parecchie volte, ma nulla.
«Prova a vedere in
rubrica, forse ha scritto qualcosa lì» mi sussurrò a pochi centimetri
dall’orecchio Bianca.
«Ok».
Andai a vedere
ovunque, scorsi ogni centimetro di quella maledettissima rubrica, ma non trovai
nulla, assolutamente nulla.
«Diamine!» dissi sbattendo
violentemente l’agenda,se così si poteva definire,sulla scrivania.
Probabilmente l’avessi fatto prima sarebbe risultata la cosa giusta per tutti.
Un piccolo foglietto spiegazzato e pieno di piegature, scivolò fuori
dall’agendina depositandosi a terra. Era un segno?
Fabio lo aprì,
leggendo: «Vai a Cuneo, 19:10».
Ora sapevamo
qualcosa in più. Sulla pagina dell’agenda di oggi c’era scritto il nome della
città di Cuneo e l’ora di quel fantomatico appuntamento.. Se non era stato un
caso era stata proprio fortuna!
«Ora sappiamo
dov’è» sussurrò Bianca.
«Ti rifaccio la
domanda Bianca … che tu sappia, c’è qualcosa che sia avvenuto in questa data
nella storia della tua famiglia?».
«Vediamo … » il
suo sguardo si fece di fuoco, il suo viso di bronzo. «No. Non mi pare proprio»
Prendemmo la
macchina di Fabio quel giorno, una Fiat Punto 1.2 16v Sporting. La macchina era
di colore grigio perla. Prendemmo l’auto e Fabio si mise alla guida. Rotta
verso Cuneo. Obiettivo: Scoprire il mistero di Flavio.
CAPITOLO
V – Estenuati
Viaggiammo molto.
Erano già le 17:30 quando ci mettemmo in cammino. Prima di uscire ci eravamo
decisi di fare una doccia calda per resettare le idee e di mettere qualcosa
sotto i denti. Il tramonto cominciava ad affacciarsi al mondo. Il cielo si
dipingeva di un cupo rossastro che a sprazzi diventava violaceo. In strada,
code chilometriche di impiegati di ritorno dal turno quotidiano di lavoro. Era
l’ora di punta. L’ora X nella quale scattava l’addio a tutti gli uffici. Da
Torino a Cuneo ci vogliono in media un’ora e venti minuti, non di più. Fummo fortunati. Quel giorno,
nonostante il traffico, arrivammo in un’ora e quaranta.
Erano le
diciannove e dieci in punto quando ci fermammo in Piazza Tancredi e scendemmo
dall’auto. Mio fratello Andrea era letteralmente distrutto dalla giornata e dal
viaggio in generale. Fabio aveva le occhiaie, mentre solo Bianca mostrava segni
di forza e di andatura combattiva.
«Ok» dissi
guardandomi in giro.«Facciamo così. Dividiamoci. Voi tre andate da quella
parte» dissi indicando a Fabio, Bianca e Andrea una via di periferia. «Io vado
dal lato opposto. Se lo troviamo o avvistiamo la macchina, ci chiamiamo col
cellulare. Nel caso in cui non dovessimo trovarlo … ci ritroviamo qui alle
diciannove e trenta in punto per aggiornamenti, chiaro?».
Annuirono nemmeno
troppo convinti. Si diressero verso la parte che avevo indicato loro e
cominciarono a domandare a destra e manca, interrogando persone che portavano a
spasso i cani, fruttivendoli fuori dalla loro bottega, baristi appoggiati sul
gradino, ragazzini di quindici o sedici anni. A tutti avevano rivolto le stesse
domande, del genere: “Hai visto una Fiat Croma nera da queste parti?”, oppure
“Per caso è passato di qui un uomo sui quarant’anni con barba incolta ed
altezza superiore al metro e ottanta?”.
Io feci le stesse
domande a tutti coloro che incontravano. Mentre svolgevo l’indagine avevo anche
incontrato una coppia di novantenni che mi aveva guardato con diffidenza e mi
aveva risposto con “vai a giocare a nascondino con i tuoi amici lontano da qui,
giovinastro!”… ah, l’età. Dovevo dimostrare di meno dei miei diciotto anni. Non
poteva che essere così.
Pensavo a cosa
fosse venuto a fare a Cuneo Flavio, a cosa avesse fatto. Al perché quella
mattina, quella maledetta mattina, era uscito di casa alle quattro, con un
mazzo di fiori in mano e avesse preso l’auto per intraprendere un viaggio che
non era stato né annunciato, né mai accennato. I pensieri girovagavano nella
mente in un turbinio incontrastato di facili emozioni. Erano le 19:29 e stavo
per far ritorno in Piazza Tancredi. In venti minuti non avevo trovato uno
straccio di indizio e ciò mi deprimeva. Flavio doveva avere qualcosa da
nascondere, non c’erano dubbi. Qualcosa che riguardava sicuramente la signora
Moggelli. Ne avevo parlato con Fabio e Bianca e loro ne sapevano meno di me.
L’unica cosa che avevo scoperto è che era morta … ah, sì e che era sepolta a
Cuneo. Flavio non aveva mai detto le circostanze della morte a nessuno. Lo
faceva soffrire troppo. Ero a circa venti metri dal luogo dove dovevamo
ritrovarci in caso di risultato nullo. Fabio era appoggiato all’auto con la
testa alzata al cielo. Bianca teneva in braccio mio fratello e giocava con lui.
Sono solito pensare e riflettere nelle situazioni più strambe. Fu come uno
shock, un revival di un film, di una cultura musciale, un remake di una
giornata vissuta in agonia, un deja-vù privo di sapore amarognolo.
Invertii
immediatamente la rotta. Cominciai a correre dal verso opposto. Lì vicino avevo
visto un cimitero. Bianca mi urlò: «Alex, cosa fai? Dove vai?». Con un fil di
voce e davvero poco fiato, le risposi usando queste parole: «Prendete l’auto e
seguitemi! Ho avuto un’idea!».
«Ma cosa … ?»
riuscì ad urlare Fabio.
«Cavolo, prendete
la macchina e seguitemi!» urlai a perdifiato mentre continuavo a correre come
un maratoneta che si allena per la famosa “maratona di New York City”.
Ubbidirono con
perplessità. Poco prima che chiudessero gli sportelli dell’auto gli urlai: «Mi
raccomando però, non fatevi vedere. Fermatevi ad almeno dieci metri da me ed
aspettate un mio segnale! Non entrate se non ve lo dico io!». La perplessità
era tutt’una adesso e avevo nettamente rinunciato ad un polmone, causa lo
sforzo di parlare in corsa.
Correvo come non
avevo mai corso in vita mia. I miei polmoni avevano pochissima aria, il mio
cuore pompava più velocemente possibile ed io avevo il latte alle ginocchia da
almeno dieci minuti. Il cimitero che avevo avvistato era leggermente lontano.
Almeno a tre o quattro isolati.
CAPITOLO
VI – Dimmi la verità
«Ti ho portato i
fiori, cara. Volevo darteli, perché oggi è il nostro anniversario». Flavio
stava in un cimitero lugubre, pieno zeppo di terra mal coltivata. In ginocchio,
in giacca e cravatta, con un mazzo di fiori in mano. Baciava la lapide. Una
lapide di pietra dove c’era impressa la scritta: GIULIA MOGGELLI.
Le lacrime
bagnavano il suo viso da uomo duro che si era costruito.
«Allora, Flavio»
dissi asciugandomi il sudore dalla fronte e cercando di ricompormi per la gran
corsa che avevo fatto. «Vogliamo finirla di giocare ai misteri? Vuoi dirmi cosa
c’è dietro tutta questa storia?».
Flavio si voltò di
scatto, alzandosi dalla lapide e lasciando cadere i fiori a terra. I petali si
dispersero nell’aria fresca della sera. Erano le venti e il tramonto inebriava
la sera di Cuneo. Tra poco, il sipario sarebbe stato abbassato per far spazio
al buio, ma a lui non importava.
«A-Alex. Cosa ci
fai qui? Come mi hai trovato?» disse cercando di asciugarsi le lacrime che gli
solcavano il viso. Non ci riuscì.
«Volevo farti la
stessa domanda. Ho ragionato. Ho saputo che Giulia è sepolta a Cuneo. E non
potevi che venire che qui … non è vero?» dissi ancor affannato asciugandomi il
sudore che mi imperlava la fronte, con il gomito.«Secondo te è normale uscire
di casa alle quattro del mattino e non dare notizie di sé per una giornata
intera?» affermai adirandomi.
Mi si avvicinò a
muso duro, con gli occhi di chi non ha nulla da perdere.
«A casa mia faccio
ciò che voglio. Se voglio uscire di casa di mattina presto e non dare notizie
di me per una giornata intera, lo faccio. E tu ragazzino, non sei nessuno per
venirmi a rimproverare».
«Ah davvero? E tu
non sei nessuno per tener nascosta una verità che necessita di essere rivelata».
«A cosa ti
riferisci?».
«Dannazione!»
esclamai distogliendo lo sguardo e alzando le mani in modo plateale. Per
fortuna a quell’ora il cimitero era deserto. Un lungo cartello all’entrata recitava
che avrebbero chiuso i cancelli alle ventuno in punto.
«Hai ancora il
coraggio di chiedermi cosa succede? A cosa mi riferisco secondo te?» continuai.
«Sei strano
ragazzo».
«E tu fai il finto
tonto. Ascolta. Ti faccio solo questa domanda e dopo fai quello che diavolo
vuoi. D’accordo?».
Non rispose. Annuì
con un leggero cenno della testa. Era provato psicologicamente, ma io più di
lui. E qualcuno, Fabio e Bianca in primis, più di noi. Avevo detto loro di
aspettarmi in macchina, ma non mi avevano ascoltato. Il profumo di Bianca
raggiungeva il mio olfatto. Probabilmente erano nascosti dietro gli alberi che
costeggiavano vicino al muretto dell’entrata. Erano degli enormi cipressi
accostati uno all’altro.
Feci la mia
domanda. «Hai fatto due figli no? Sei sposato, ho visto la fede. Dov’è tua
moglie?».
«Non azzardarti
proprio a … » riuscì a dire con un fil di voce. Il suo sguardo basso tradiva la
sua finta freddezza.
«Voglio solo che
tu mi dica dov’è, Flavio».
«Senti, non devi
proprio … ».
«Rispondi dannazione,
rispondi!».
Alzò lo sguardo,
mi sfidò.
«Ok, vuoi sapere
dov’è? E’ morta, ecco dov’è! Diavolo, è in una stupida tomba! E la tomba è
sotto terra ed io sono un grande idiota. Non devo darti spiegazioni, non devo! Non
sono portato a farlo! Chiaro ragazzo!?». Mi urlò tutte queste cose in faccia.
La sua voce fu quasi rotta dal pianto ed ebbi una pena terribile per esserlo
andato a scovare fino a lì. Ma lo facevo per Bianca e per Fabio. Lo facevo
anche per Flavio. Lo facevo anche per la famiglia in totale. Non potevo
rischiare di cadere in equivoci parlando del discorso. E da quando avevo saputo
che Flavio, uomo di giustizia, incorruttibile paladino delle forze armate,
detective brillante, era stato capace di tener nascosto ai figli le cause della
morte della madre, rispondendo con frasi al registratore, mi ero messo in testa
di fare l’unica cosa che un detective dovrebbe fare in ogni circostanza.
Scoprire la verità. Ormai ne facevo una questione personale. Vi dico la verità.
Sono sincero con voi. Se Flavio mi avesse mollato un pugno, non avrei risposto
al colpo. No, non sono uno di quelli che “porgi l’altra guancia”, ma volevo
farlo sfogare,Flavio non voleva tenersi tutto dentro. Era semplicemente una
posizione che aveva preso nel suo subconscio. Non voleva spiegare cosa avesse
spinto alla morte sua moglie per non soffrire e per non far soffrire i suoi
figli. Ma il silenzio a volte, è letale per gli esseri umani. Può distruggere
anche i sentimenti più belli, e non potevo permettere che accadesse con la
famiglia Moggelli.
«Ascoltami Flavio»
cominciai prendendo fiato con gli occhi lucidi «Non è così che si fa. Stai
tenendo nascosta una cosa che non può … ».
«Ma chi sei? Chi
diavolo sei per dirmi cosa devo fare? Volevi sentire che mia moglie è morta?
L’hai sentito, ora vai fuori di qui e lasciami solo!».
«E cosa mi dici di
Fabio e Bianca? E’ normale che dei figli non sappiano niente sulla morte di uno
dei genitori? Dannazione Flavio, non è normale!».
«Ma è stato
normale per più di cinque anni! Sei tu che non sei normale ragazzo! Io non
voglio che i miei figli sappiano tutto perché … ».
In quel momento
Bianca e Fabio, con Andrea al seguito, che guardava la scena imperterrito e con
l’innocenza di un bimbo, uscirono dal loro nascondiglio. I rami dei cipressi si
aprirono e i protagonisti di quella
triste vicenda,spuntarono fuori in lacrime. Fabio non piangeva ancora, ma aveva
gli occhi lucidi. Bianca era un fiume in piena.
Flavio non terminò
la sua frase. Bianca lo interruppe e con la voce rotta dal pianto disperato che
si era innescato da quella conversazione.
«Perché non vuoi
vero? Ci sei solo tu, non è vero papà?» .
Alle parole di sua
figlia, Flavio rimase attonito, con l’aria di chi sa di averla fatta grossa. I
problemi nella vita ci sono e vanno affrontati al momento. Se lasciati maturare
le cose non vanno mai come vorresti. Insieme a te,matura anche il problema. Ma
a differenza tua, quello non invecchia affatto. Cresce e si pone verso di te un
giorno dopo l’altro, sempre più forte. Lo schiaffo di Flavio sarebbe potuto funzionare
con Bianca che aveva dieci anni, al massimo dodici. Ma ora la bambina era
diventata ragazza, giovane donna che conosceva pregi e difetti del suo eroe, di
suo padre. Nelle lunghe conversazioni che avevo intrapreso con Bianca, avevo
notato tante cose. Solo una mi aveva colpito in particolare. Bianca era
gentile, dolce, molto intelligente e decisamente vispa per la sua età in fatto
di ragionamenti e congetture. Ma aveva un sentimento forte, inossidabile, verso
suo padre. Anche quando facevamo qualche battuta su Flavio, lei riusciva sempre
a mettere in evidenza sotto una luce positiva suo padre. Una battuta, una frase
dolce, un complimento velato da una risata falsamente ironica. Insomma, una
figlia che prova amore verso il padre. Lo stesso amore che avevo provato e che
provo tuttora per mio padre, ormai defunto, e che naturalmente provo anche per
mia madre. E Flavio provava lo stesso amore per i suoi figli. Talmente tanto
amore che era stato capace di crearsi una congettura mentale nella quale non potesse
svelare la fine di sua moglie, al solo scopo di proteggerli. Ma ora non
funzionava più. L’amore si era trasformato in una posizione scomoda ed ostinata.
Una posizione della quale un quarantenne voleva liberarsi,ma che al contempo
sapeva di non poterlo fare per questioni che conosceva solo ed esclusivamente
lui stesso.
«Ragazzi, non dite
così … io volevo solo … » tentò di
scusarsi, di motivare quella grande indifferenza.
«Bianca ha ragione,
papà» interruppe alzando il tono Fabio. Abbracciò sua sorella. «Sei egoista».
Ero rimasto lì
davanti, con gli occhi tristi a guardarmi la scena. Flavio mi afferrò al
colletto della camicia e mi sollevò facendo mossa di darmi un violento pugno in
viso. Chiusi gli occhi. Sentii dire queste parole: «Andava così bene, diamine».
«Non va bene per
nulla, lo capisci!?» disse urlando Bianca. Avevo sentito bene allora. «Non va
bene un accidente! Vuoi capirlo sì o no? Al mondo non esisti solo tu! Che fine
ha fatto la mamma? Dimmelo oppure puoi anche non considerarti più mio padre.
Capito signor Moggelli?». Le lacrime che le bagnavano il viso creavano
un’atmosfera elettrica. Poche volte avevo visto quella ragazza così dolce e
all’apparenza spensierata, in quelle condizioni.
Flavio mi mollò.
Mollò la presa dal mio colletto e da me in totale. Presi la mano di mio
fratello. Andrea mi guardava stranito e guardava stranito tutti. Un bambino le
capisce certe cose. Ma non aveva osato nemmeno fare una domanda. Chissà che non
avesse intuito qualcosa. Un giorno o l’altro devo ricordarmi di chiedergli
qualcosa.
Mi incamminai
all’uscita del cimitero. Mio fratello mi seguii.
Bianca, Fabio e
Flavio, rimasero a parlare per un po’. Ci volle un po’ per convincere Bianca a
parlare con suo padre in modo civile. Era accecata dall’ira.
La strada era deserta,
quindi riuscii ad udire la maggior parte dei discorsi. Flavio spese tante
parole quel giorno. Con le lacrime sul viso che gli scendevano quasi
involontariamente, cominciò con «è una storia brutta» e terminò con «questo è
quello che posso dirvi. Vi prego di rispettare vostro padre. Mi fa troppo male
questa storia. Non ve lo nego. C’è ancora qualcosa che non sapete, ma un giorno
vi giuro che ve lo dirò. Lo giuro sulla tomba di vostra madre. Adesso non siamo
nella condizione di continuare a parlare di questa cosa così spiacevole.
Inoltre, il mio cuore non sopporta più l’ascolto di questa storia. Non posso
dirvi tutto, altrimenti …» cercò di terminare, ma scoppiò inevitabilmente in
lacrime. Nel dialogo aveva spiegato che Giulia Moggelli era morta per cause
legate al suo lavoro di poliziotto ed era per questo che non voleva dirlo ai
figli. Pensava che avrebbero potuto incolparlo di essere uno dei principali
artefici di quella triste girandola di emozioni spiacevoli.
Quando proferì
l’ultima frase, l’espressione di rabbia dalla faccia di Bianca scomparve e
Fabio abbracciò suo padre. Aveva detto qualcosa, aveva almeno accennato a delle
verità. Ce n’erano ancora molte, ma aveva chiesto rispetto e attesa per
quell’ultima parte. Aveva chiesto tempo perché gli faceva troppo male ricordare
il tutto in una volta sola. Aveva però giurato sul grande amore della sua vita
ed era sicuro che un giorno avrebbe riagganciato la storia con l’ultima verità.
Tornammo a casa
verso le ventuno. Non cenammo. La stanza era entrata in silenzio e ci sarebbe
voluto minimo il giorno dopo per instaurare un nuovo dialogo.
Stavo per salire
le scale. Una giornata estenuante, con un finale estenuante. Flavio era seduto
sul divano. Ci guardammo per un attimo. Fu davvero un attimo, ma abbassammo lo
sguardo contemporaneamente.
12 Novembre 2011!
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta qui e dimmi che ne pensi!