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sabato 12 novembre 2011

Alex Fedele: Doppio destino(stagione 1; episodio 13) 1°parte


DOPPIO DESTINO(1°Parte)

 PROLOGO: Quando la cronaca ti entra in casa; Non oseresti mai immaginare che il tuo bambino possa scomparire di punto in bianco, non è vero? Purtroppo è ciò che accade a Franco Turbotti, uomo all'apparenza tranquillo e pacifico. Ma le apparenze sono solo false piste che portano ad altrettante false illusioni. Franco Turbotti è davvero così pacato? Alex e Flavio indagano e ... 







CAPITOLO I – Salsa Nova e Rapimenti

La mattina dopo quella incredibile giornata di estenuanti segreti, verità spiegazzate e quant’altro, eravamo tutti un po’ in soggezione. Flavio non fece colazione con noi. Prese il suo caffè e se lo portò in ufficio. In cucina non volava una mosca. Bianca beveva del latte freddo e si preparava per la scuola, mentre Fabio stava per uscire perché doveva andare in biblioteca a consultare alcuni libri di medicina.
Usciti tutti, rimasi da solo in casa. Flavio era nel suo ufficio. Mi ritrovai a pensare a quello che era successo poco prima. Su come Bianca e Fabio avessero, se non distrutto le sofferenze legate ad un’ omertà incondizionata, almeno allentatole.
Pensai molto quella mattina. Mi sedetti sul divano, senza tv, con un quotidiano sportivo tra le mani, ma non lessi nemmeno una riga. Continuavo a ripensare a come avrebbero potuto incrinarsi i rapporti all’interno di quella famiglia e per poco non mi balenò anche il pensiero di ritornare a Fondi. Forse avrei dovuto farmi gli affari miei. O forse no, chissà. Flavio aveva detto che c’era ancora qualcosa che i suoi figli non sapevano, ma che avrebbero scoperto più avanti. Aveva spiccicato parole come “è morta a causa del mio lavoro”, ma non avevo la più pallida idea a cosa si riferisse. Il tempo avrebbe aiutato?
Con una tazza di caffè ristretto ancora in mano divenuto nel frattanto freddo, il campanello, cominciando a suonare all’impazzata come se avesse un tic nervoso, mi segnalò che quella non sarebbe stata per niente giornata.
Andai ad aprire. La pesante porta in mogano si spalancò, e alla mia vista si protrasse un uomo di circa quarant’anni, stempiato, con dei grandi occhialoni di colore  grigio. Indossava una camicia a quadretti rosa ed una giacca marrone a completare il tutto. L’espressione disattenta, la bocca in fremito e gli occhi che  guardavano intorno, completavano un quadro che non mi piaceva affatto.
«Posso esserle utile?» domandai.
«Io …  è questo lo studio del detective Moggelli?» sussurrò nervosamente.
«Sì, è questo. Dica pure».
«Devo assolutamente parlare col detective Moggelli. E’ una causa delicata».
«Intanto entri» dissi scansandomi e facendogli passo. Ricordo che prima di entrare si guardò vorticosamente intorno, come se avesse paura di essere osservato.
«Sono un detective anch’io».
«Davvero? E’ il figlio del detective Moggelli?».
«No, no. Non mi fraintenda. Sono un investigatore lanciato dal PSD … sa, quel corso di preparazione teorica lanciato dal ministero … ».
«Ah sì, ne hanno parlato anche in televisione!».
«Esattamente» dissi sorridendo.
«Cosa vi fanno fare esattamente? Imparano ad investigare?».
«Mio caro signore … nessuno  impara ad investigare a questo mondo. O ce la fai o non ce la fai. Il PSD ti mostra pezzo per pezzo tutti i dettagli del mestiere. Viene fatto un focus sulla figura dell’investigatore. Su quali competenze dovrebbe avere. Si esaminano i casi di giustizia irrisolta degli ultimi anni. Ci si focalizza sulle forze dell’ordine e quant’altro e si risolvono complessi giochi logici per vedere le capacità intellettive ed intuitive dell’individuo».
«Quindi non fa diventare detective» disse abbassando gli occhi. Parve calmarsi mentre intraprendeva quella conversazione con me.
«No assolutamente. Il PSD è solo un corso per verificare le qualità intuitive e deduttive che ogni individuo può o non può possedere. Se la corte docente ti ritiene idoneo, ti manda a fare un periodo di praticantato presso un’agenzia investigativa, altrimenti ti comunicano che hai delle carenze. Ma mi creda, loro non fanno nulla per colmarle. Ti verificano per ciò che mostri di essere al tuo arrivo».
«Ma allora non ti insegnano nulla?».
«Guardi, ti insegnano che approccio deve avere un detective di successo. Ti comunicano i casi che probabilmente in una carriera ti dovrai sopportare e ti forniscono una piccolissima base di appoggio. C’è una piccola parte dedicata alla parte cartacea, burocratica del mestiere, ma se intende lezioni del tipo “come scoprire il colpevole” … be’ quello te lo puoi».
«Capisco».
«Mi dica … come mai ha così tanto interesse?».
«Be’ ecco … mio figlio ha sempre sognato fare l’investigatore e quando al tg, davano la notizia di questo corso era sempre incuriosito».
«Capisco … quanti anni ha suo figlio?».
«Ne ha sei».
«Deve pazientare un po’ allora. Ascolti, abbiamo parlato di me. Ma di lei non so ancora nulla. L’accompagno nello studio di Moggelli,così parliamo meglio, le va?».
«S-sì». Ad un tratto aveva perso tutta la sua lucidità ed aveva riacquisito lo smarrimento.
Si alzò lentamente. Ebbi l’impressione che stesse per cadere da un momento all’altro, così decisi di farlo appoggiare a me. Le mani tremavano e sussurrava parole senza senso tra sé e sé. Entrammo nell’ufficio di Flavio. Lui era sul divanetto e guardava un programma sportivo sull’atletica. Da giovane Flavio era stato un grande corridore a livelli studenteschi. Si dice che ai tempi delle superiori abbia vinto per tre anni di fila la gara di corsa riunita del Piemonte riservato ai ragazzi dai quindici ai diciannove anni.
Inoltre vinse tutte le gare dell’istituto e tutte quella della città per cinque anni fila. C’era infatti, una parte dell’ufficio, un angolino che veniva costantemente spolverato(solo quello) da lui stesso, in cui riponeva medaglie, coppe e nastri al merito. Un vero corridore di successo. Encomiabile.
«Flavio, c’è un cliente» dissi aprendo la porta.
«Ah, fallo accomodare» affermò alzandosi di scatto dal divanetto.
Forse non voleva darlo a vedere, ma probabilmente c’era ancora un po’ di tensione mista a stizza tra di noi. Non ci guardavamo negli occhi quando parlavamo. La sera prima avevamo abbassato lo sguardo in contemporanea, ma dal suo tono capii che ce l’aveva ancora con me per quell’episodio. Infine, mi bastava guardare le sue mani per capire che era ancora nervoso. Di solito Flavio era una persona abbastanza pacata, anche se possessore di un carattere difficile, ma difficilmente lo vedevi in preda a crisi nervose. Le sue dita non stavano ferme un attimo ed aveva sempre qualcosa tra le mani, che fosse quella una vecchia matita, una gomma da cancellare da modellare con le mani e limare con le unghie, che fosse anche un semplice telecomando di plastica della tv. Era nervoso.
Flavio si accomodò sulla poltrona di fronte al divanetto, mentre io e l’uomo di cui ancora non sapevo il nome e che mi aveva fatto raccontare un quarto della mia vita sedevamo sul divanetto di fronte.
«Allora signor … signor …?» iniziò Flavio.
«Oh, che sciocco … non mi sono ancora presentato. Mi chiamo Franco Turbotti, lavoro come agente in una compagnia di assicurazioni».
«Capisco. Signor Turbotti, cosa l’ha spinta fino al mio ufficio?».
«Vede detective … come dicevo a questo ragazzo poco fa» disse indicandomi «io ho un figlio di sei anni. E’ un bambino tenerissimo, si chiama Giosuè».
«Qual è il problema allora?».
«Il fatto è che Giosuè è da ieri mattina che non si vede» disse in aria afflitta congiungendo le mani a sé.
«In che senso non si vede?» domandai.
«Nel senso che è scomparso nel nulla … è come sparito».
«La prego di essere più chiaro signor Turbotti. Manteniamo il sangue freddo. Mi spieghi la dinamica e poi valuteremo, d’accordo?».
«Ok» deglutì come se stesse inghiottendo un cocomero. «Ieri mattina ho portato il piccolo a scuola, come al solito. Mio figlio torna a casa con lo scuolabus, ma ieri non è tornato. Ho provato a contattare la scuola e i compagni di mio figlio, ma nessuno dei bidelli o dei genitori lo aveva visto. Ho domandato anche alla sua maestra e mi ha solo detto che lo ha visto aggirarsi alla fermata dell’autobus come al solito.».
«Capisco … e lei vuole assumermi per ritrovarlo» aggiunse Flavio abbassando gli occhi.
«Esattamente detective».
«E mi dica. E’ possibile che sia uno scherzo di qualche parente?».
«Impossibile detective. Io e mio figlio viviamo da soli. Mia moglie è morta a causa di un incidente stradale un anno fa. I parenti da parte di mia moglie sono originari di Lecce e vivono lì e i miei genitori non farebbero mai una cosa simile, senza contare che sono andato anche da loro».
«Ok. Ha qualche indizio?» dissi a voce abbastanza alta.
«Be’ sì» disse estraendo dalla valigetta in pelle che aveva portato e nascosto fino a quel momento uno zainetto giallo e blu.«Questo è il suo zainetto. Stamattina l’ho trovato a circa un centinaio di metri dalla scuola. Ci sono ancora i suoi quaderni dentro, guardi» disse porgendomelo.
«Interessante».
«Ti dispiacerebbe farlo vedere anche a me pivello?» mi disse Flavio con aria malsana.
Senza dire una parola glielo porsi. Lo ispezionò con grande cura. Alla fine disse:
«Signor Turbotti … lo faremo analizzare dalla scientifica. Sono sicuro che troveremo delle impronte di suo figlio e forse anche del rapitore. Poi ricostruiremo la dinamica e stabiliremo se c’è stata una colluttazione».
«Intanto possiamo stabilire dove è stato portato il bambino» affermai sollevando le ginocchia da seduto in un fare lezioso.
«Cosa? E da cosa lo può dedurre?» disse impaziente Turbotti. Flavio mi guardò stranito.
«Guardate. Sulla parte interna dello zaino, dove si appoggiano le spalle dell’individuo, c’è una macchia. Lei è un uomo molto ordinato signor Turbotti, lo vedo da come si è posto nei nostri confronti. Ha riposto lo zaino in una valigetta per paura che venisse contaminato da germi e cose varie. Si è perciò dimostrato molto oculato. Non avrebbe mai permesso a suo figlio di girare con una macchiolina sullo zaino, anche se questa fosse stata piccola come quella che stiamo per analizzare. Sono sicuro che la macchia è stata causata nell’incontro col rapitore. Gli agenti non avranno dubbi sull’esito delle indagini e avremo già mezza indagine completa».
«Sorprendente!» esclamò l’uomo rizzandosi in piedi. «Ascolti, come potremmo fare per scoprire da dove proviene quella macchia?».
«Questo lo ha già detto il detective Moggelli e gliel’ho ribadito pochi secondi fa anch’io» dissi sprezzante «la scientifica non si farà scrupoli ed analizzerà anche questa macchia. Sapremo di cosa è fatta e avremo un indizio importante».
La scientifica venne chiamata quasi subito. Passarono dieci minuti, non di più. Gli esami della scientifica di solito richiedono analisi complesse, lunghissime ed elaborate, ma Flavio al telefono chiese espressamente la priorità massima. Era in gioco la vita di un bambino, c’era davvero poco da scherzare.
Circa un’ora e mezza dopo gli esami arrivarono. Un poliziotto della scientifica ce li consegnò di fronte valla porta.
Franco Turbotti si fece consegnare la busta. Poi la diede a me, la riprese e la riconsegnò a Flavio. Della serie, sicurezza al cento per cento.
Flavio aprì la busta senza esitazione, sfilacciò la colla e prese i foglietti che erano riposti ordinatamente nel referto. «Ok, qui dice che la polizia scientifica di Torino ha preso in esame la macchia sullo zaino. Il corpo sottoposto all’esame sarà restituito tra una decina di giorni. Sarà necessario registrarlo come oggetto esaminato negli archivi» disse toccandosi i capelli con la mano. Poi continuò iniziando a leggere testualmente le parole del referto scientifico. «”L’esame a cui è stato sottoposto l’oggetto da voi presentato ha rilevato sulla parte dello schienale una macchia composta da pomodoro, lenticchie e verdure. Si evidenzia presenza di condimento. Il pomodoro è presente per il 45%, le lenticchie per un 21% e le verdure per il restante 34%”».
«Quindi?» chiese ansioso Turbotti.
«Quindi è sicuramente una macchia avvenuta in casa. Non vedo come potrebbe aiutarci».
«Lei cosa pensa?» mi chiese Franco Turbotti mentre mi arrovellavo. Avevo già sentito quegli ingredienti da un’altra parte e sinceramente non credevo fosse fatta in casa.
«Ehm … scusi, dico a lei … » disse mettendomi la mano sulla spalla.
«Oh … mi perdoni, ero sovrappensiero».
«Cosa ne dice?».
«Ho già sentito questi ingredienti da qualche altra parte. Voglio dire, è come se avessi già assaporato questa amalgamazione di sapori. Forse è stato al “Supremo”, tu cosa ne dici Flavio?».
«Ne dubito. Ricordo benissimo cosa mangiammo quella sera e non c’era nulla del genere».
Continuavo a riflettere. Dove avevo visto quegli ingredienti amalgamati tra di loro? Il colore della macchia inoltre mi dicevano sempre di più che c’era qualcosa di familiare in essa.
«Ma certo!» esclamai alzandomi dal divano.
«Ha trovato qualche indizio?» disse Turbotti sgranando gli occhi.
«Forse sì. Quella macchia non può essere fatta da lei signor Turbotti, in quanto gli ingredienti amalgamati danno come risultato una salsa chiamata “Nova”».
«La “Nova”? E allora?» disse Flavio.
«Prova a ragionarci».
«Vediamo … non mi dirai che … ».
«Esatto» dissi aggiungendo un sorriso malizioso. «L’unico locale che prepara questa salsa è … “Bella Vita” ! Il fast food nel quale io e Andrea siamo andati recentemente».
«E’ proprio sicuro che si trovi solo in quel locale detective?» mi chiese Turbotti.
«Le assicuro di sì. Quindi, il punto di partenza per trovare suo figlio è andare in quel fast food. E’ probabile che il bimbo sia stato portato lì».
«Ma … se gli avessero fatto del male? Come fa a sapere che non gli hanno fatto del male subito? Come fa a sapere che prima di quella macchia non sia successa qualche altra cosa?».
«Non dica sciocchezze!» intervenì Flavio. «Se la macchia è veramente di quella salsa … le pare che un criminale possa portare in un fast food la sua vittima mentre tentava di fargli del male? Suo figlio è un bambino, ha sei anni, ed è normale che se qualche persona gli dice: “vieni, ti porto al fast food”, va immediatamente con lui. Semmai dovrebbe preoccuparsi di cosa è avvenuto dopo».
«E perché?»
«Perché» dissi avvicinandomi a Franco «è solo allora che avrebbero potuto fargli del male».
«Oddio, il mio bambino!».
«Si calmi adesso. Faremo del tutto per ritrovarlo, stia tranquillo, dannazione, altrimenti fa agitare anche me!» lo rimproverò Flavio.
«Come mi consiglia di procedere?» Turbotti era un fascio di nervi. Guardava nervosamente negli occhi Flavio e girava i pollici in un fremito senza paragoni.
«Io direi di andare lì e di mettere a soqquadro il locale. Verbalmente parlando intendo. Non fraintenda. Dobbiamo andare lì, e metterlo sotto torchio».
«Io dico di no» dissi alzandomi e andando vicino alla porta-finestra posta alle spalle della scrivania di Flavio Moggelli.
«E perché no genio?».
«Se ci presentassimo lì, con solo un referto della scientifica in mano, facendo baccano, si spaventerebbero soltanto. Bisogna agire con discrezione. Ho un piano».
«Sentiamo» affermò Moggelli accendendosi una sigaretta e poggiando i piedi sul tavolino in legno che stava al centro della stanza.
«Uno di noi tre deve andare lì, ordinare un piatto a base di “Nova” e macchiarsi appositamente. Dopodiché andremo dalla scientifica ancora una volta, faremo analizzare la macchia per la seconda volta, la faremo confrontare con quella dello zaino del bimbo e ci presenteremo lì non con uno, ma con ben due referti della scientifica, di cui uno incluso del confronto tra le due macchie».
«Ma perché tutto questo dilemma? Non possiamo andare lì e fare come ogni normale poliziotto?».
«Rifletti … se ci presentassimo lì e raccontassimo la storia di Franco, probabilmente si spaventerebbero, non parlerebbero e in più sarebbero capaci di mentire sul referto. Negherebbero l’evidenza insomma».
«E cosa ti fa pensare che non lo facciano anche con due referti?».
«Andiamo!» esclamai voltandomi «puoi negare una volta, giustificandoti con un “tutti possono sbagliare”, ma la seconda volta che la macchia viene analizzata e per di più viene attuato un confronto, devi parlare per forza».
«Forse il ragazzo ha ragione» sussurrò Turbotti.
Flavio storse il naso. Per contratto da PSD, non ero io a direzione delle indagini sottoposte, ma si leggeva chiaramente che ogni idea del sottoposto avrebbe dovuto essere analizzata e motivata. Se risultata piacevole e efficace allora sarebbe stata attuata.

CAPITOLO II – Strategia

Ci spostammo quindi in auto. La Fiat Croma di Flavio, posteggiò a circa quindici metri dal locale “Bella Vita”. Era mattina presto, ma avevo un certo languorino, e siccome servivano anche colazioni rustiche, ebbi la tentazione di fermarmi. Ma non lo feci. Maledetta deontologia.
Franco Turbotti era sconvolto dall’accaduto. In macchina non stava zitto un attimo. Ogni scusa era buona per parlarmi di suo figlio, dei suoi progetti futuri. Se avessi assistito ad un monologo di un politico sarebbe stata più o meno la stessa cosa. Era troppo scosso per fare da esca. Per quanto mi riguarda, io ero troppo giovane e Flavio non voleva farmi partecipare all’operazione in quel senso. Così decise di andare lui direttamente. Il suo viso però era già abbastanza noto, sia in città che altrove. Da quando l’agenzia aveva cominciato a riprendere i ritmi floridi, addirittura superiori, per la quale era conosciuta, Flavio Moggelli aveva subìto un inaspettato incremento di popolarità. Per quanto mi riguarda, non mi lamentavo. Indagavo, risolvevo casi, ed anche se non ero intervistato dalle tv di mezzo mondo, non mi importava nulla. Non sono mai stato attratto dal dorato mondo dello showbiz. Forse erroneamente, l’ho sempre considerato una sorta di prigione dorata, un mondo perfetto solo all’apparenza … e credetemi, non avevo alcuna voglia di farne parte. Ero uno dei tanti del PSD, uno di quei ragazzini che giocano a fare gli investigatori, uno di quelli che sarebbe ritornato con la coda tra le gambe. Chissà.
Flavio si vestì con un lungo impermeabile nero. Mise su un paio di baffoni finti ed un paio di occhiali da sole. Al tutto aggiunse un cappello per nascondere la capigliatura.
Posizionammo una piccolissima telecamera sull’impermeabile. Aveva la forma di una spilla a forma di due stelle messe accanto, ma in realtà era – parole del detective Moggelli – una cimice datogli in dotazione da Ducato sette anni prima. La cimice era collegata ad una apparecchiatura decisamente primordiale, sempre  di gentile concessione di Ducato, che impiantammo in auto per ascoltare e visualizzare su uno schermo di circa dieci pollici. C’erano delle enormi cuffie.
Vi dico solo che entrò nel locale con la naturalezza di un rinoceronte raffreddato. Per nascondere il suo modo di fare e di atteggiarsi, aveva cominciato a molleggiare sulle gambe in modo balzano, a lasciarsi andare in modo decisamente imbarazzante. Com’è che si dice? Il cliente ha sempre ragione?
Vedemmo tutto attraverso il monitor.
«Buongiorno signore» iniziò conversando l’abile cameriere. «Desidera?».
«Sono di Roma. Ho sentito parlare della vostra speciale salsa … vorrei assaggiarla».
«Ah, la “Nova” … vedo che lei è un palato fino. Le preparo un tavolino, o mangia vicino al bancone?».
«Mangio al bancone, grazie mille».
«Di nulla, aspetti che arriva subito. Intanto … noi abbiamo tre piatti a base di “Nova”. Il primo è a base di patate. Lo sconsiglierei vista l’ora». Si fecero una sana risata.
«Ho sentito dire che farcite le pizze con quella salsa non è vero?».
«Esatto. Gradisce la pizza allora?».
«Ma sì, lasciamoci andare» disse ridendo ancora Flavio. Non c’ero abituato, ma recitava davvero bene.
Dopo circa quindici minuti, l’ordinazione venne portata a termine. Una pizza bianca, infarinata a dovere e cotta al forno al legno veniva portata al cospetto di Flavio. Era colma di salsa. Anche se lo schermo dal quale io e Turbotti visualizzavamo le immagini aveva il formato cromatico in bianco e nero, ci accorgemmo subito che la consistenza della salsina era identica a quella sullo schienale dello zaino.
«Oh che distratto!» esclamò urlando Flavio mentre si versava parte della salsa sull’impermeabile. «Sono proprio un distratto, un emerito distratto. Perdonatemi, ne è caduta un po’ anche sul pavimento». I camerieri pensavano a non farlo preoccupare e si offrirono addirittura di ripulire la giacca a proprie spese. Non c’è che dire … impeccabili.
Dopo un po’, Flavio uscì dal locale, con l’impermeabile macchiato in mano. Si intrufolò nell’auto, si mise alla guida e portammo il tutto alla scientifica, chiedendo ancora una volta la “massima priorità” e chiedendo un confronto con la macchia sullo zainetto.
Circa due ore dopo, mentre eravamo in ufficio, con Turbotti che si dimenava nel voler scoprire ogni particolare su cosa o non cosa avessero potuto fare a suo figlio i rapitori, arrivava un fax proveniente dall’indirizzo e-mail della polizia scientifica. Il referto confermava l’analisi e attestava la “certa somiglianza delle caratteristiche autentiche mirate alla formazione del composto analizzato”.
Insomma, in poche parole, le due macchie combaciavano. Erano formate dallo stesso composto.
«Signor Turbotti» Flavio gli mise una mano sulla spalla. «Stia tranquillo, ora vada a casa, si rilassi, faccia una doccia e domattina torni qui, chiaro?».
«Ma come faccio a rilassarmi detective? Si rende conto che hanno il mio bambino?».
«Certamente, ma per far sì che lei sia in forze per riprendere la ricerca domattina, deve assicurarsi il totale riposo».
Questo parve affievolire la sua evidente disperazione. Mentre accompagnavamo alla porta il signore, sussurrava ancora frasi come: “vi prego, sono nelle vostre mani” e ancora “sono disponibile a cercare in strada”. Insomma, era un fascio di nervi e sarebbero servite quattro, cinque, dieci docce per calmarlo e metterlo nella condizione rilassata.
«Chi è quel signore?» mi domandò Andrea.
«Un tizio al quale hanno rapito suo figlio».
«Come si chiama suo figlio?».
«Giosuè».
«Ma allora è il mio compagno di classe!» disse mio fratello con la sua proverbiale vocina.
«Cosa?!» lo sollevai di peso portandolo all’altezza della mia testa. «Tu conosci Giosuè?».
«Il bambino conosce il figlio di Turbotti?» chiese Flavio accalorandosi.
«Pare proprio di sì. Allora piccolo, facciamo una cosa. Noi andiamo a cenare, ma tu ci dici tutto quello che sai su Giosuè, siamo intesi?».
«Per cinque caramelle alla fragola».
Rimasi di sasso. Avete presente quando ti senti un idiota?
«C-come hai detto?».
«Vi dico tutto quello che so su Giosuè, per cinque caramelle alla fragola».
«Non è il momento di scherzare!» lo rimproverai. «Ti rendi conto che c’è di mezzo la vita di un bambino?». Nella mia vita mi ero sempre preso cura di mio fratello. Mia madre era sempre stata una giornalista in carriera, mentre mio padre era morto da un po’. Quello che avevo fatto raramente nei confronti di mio fratello, era stato sgridarlo. Mi ero preso cura di lui fin da quando avevo dodici anni, ma era rarissimo che lo rimproverassi. Quel giorno dovevo essere davvero molto, molto arrabbiato, perché all’incrocio del mio sguardo e all’ascolto delle mie parole chinò il capo.
«E dai, lascialo stare!» mi rimproverò a sua volta Bianca. «Dopotutto è un bambino. A volte ti ci comporti anche tu!». Quantomeno, la sincerità era da apprezzare. Non nascondo che rimasi di sasso a queste parole ancora una volta.
«L’ho rimproverato perché deve rendersi conto che potrebbe non rivedere più il suo amico».
«Aspettate un momento, siamo sicuri che il bambino conosca il nostro Giosuè? Forse lo sta confondendo con qualche altro bambino» affermò Flavio.
«Giusto» acconsentii «Ok, piccolo. Puoi dirmi come è fatto Giosuè?».
«No, a te no, perché sei cattivo!» disse voltandosi e mettendosi dietro le gambe di Bianca.
Ci rimasi male. I bambini tendono a minimizzare la cattiveria. Per loro, “cattivo”, è chi gli ruba la merenda, chi gli da uno schiaffetto per spronarli, chi li rimprovera. Ed è una cosa dolce, quanto strana, il fatto che però quando sono proprio i bambini a dirti “cattivo”, tu ti senta ancora più schifo di quello che pensi già di essere. Quando poi, a dirtelo è tuo fratello minore, ti ha praticamente scavato la fossa. Mi lisciai i capelli all’indietro. I miei capelli castani, mi cadevano sulla fronte,mentre scrutavo mio fratello.
«Dai piccolo, non dire così. Rispondi a tuo fratello» lo incitò  Bianca.
Dopo un attimo di tentennamenti vari, finalmente rispose. Nella sua voce c’era un misto di presunzione e quell’aria da piccolo saputello, con la pretesa di aver ragione. Che guaio.
«E’ un bambino biondo, ha gli occhiali e porta sempre un maglioncino viola».
«Corrisponde alla descrizione» affermai.
«Scusa, ma come fai a saperlo?» mi domandò Bianca carezzando la testa di Andrea.
«Nello zaino c’era una piccola fotografia. Prima di portarla alla scientifica, l’ho vista».
«Cosa? E perché non l’hai presa?» urlò un irritato Flavio.
«Be’, perché Turbotti l’ha presa per un momento e l’ha messa nel suo portafogli. Inoltre, credevo tu l’avessi già vista da un pezzo».

CAPITOLO III – Sospetti insospettabili

«Toglietemi una curiosità» affermò Bianca dirigendosi verso il mobiletto che regnava nell’ingresso. «per caso il portafoglio del signor Turbotti, è di colore grigio?».
«Sì, ma come fai a saperlo?» chiedemmo all’unisono Flavio ed io.
«Perché mi sa che è questo qui … » e voltandosi mostrò il portafoglio di Franco Turbotti.
«Ma guarda» disse porgendo la mano Flavio. «Deve averlo dimenticato qui nella fretta. Esco subito, forse riesco a raggiungerlo per ridarglielo».
«No aspetta un attimo» esitai.
«Cosa c’è?».
«Non volevi vedere la foto? Magari c’è ancora».
«Giusto, l’avevo scordato».
Flavio Moggelli aprì il portafoglio a strappo e ne estrasse una piccola fotografia, una di quelle da fototessera insomma. Nella foto era raffigurato un bimbo che corrispondeva alla descrizione fornitoci da mio fratello.
«Ok, è proprio il bambino che conosce Andrea». Flavio fece per richiudere il portafogli, ma una fotografia leggermente più grande scivolò da una tasca esterna dell’accessorio del signor Turbotti.
Si depositò a terra dalla parte opposta allo scenario. La raccolsi. La fotografia ritraeva due uomini. Uno di loro era il signor Turbotti,mentre l’altro era un uomo sulla sessantina, con lunghi capelli bianchi e completamente senza barba. Erano in posa abbracciati e presumibilmente si trovavano in un cantiere. Avevo già visto l’uomo da qualche parte. Non era una faccia nuova. Chissà chi era.
«Fa vedere» Flavio mi strappò la foto dalle mani. «M-ma questo è … Rocco Verani, il noto boss della droga!».
Ora cominciavo a capire dove avevo visto quell’uomo. Rocco Verani era stato anni prima su tutti i tg nazionali per i reati da lui commessi. In pratica era riuscito a portare un carico di cocaina del peso di 12 kg dalla Svizzera all’Italia, usando solo un battello e superando tutti i controlli. Come abbia fatto, non si sa ancora.
«Guardate che è pronto» urlò Sergio dalla cucina. Quella sera si era fermato da noi, ma forse sarebbe stato meglio non fargli sapere nulla della vicenda, visto quanto si “emozionava” ogni volta che sentiva un caso. Tuttavia a cena parlammo principalmente di Turbotti e di quella foto con Verani. Perché un padre di famiglia di mezza età avrebbe dovuto farsi scattare una foto con un noto boss della droga ed in più tenere questa all’interno del suo portafoglio come se fosse un cimelio di cui andare orgogliosi? Non me lo spiegavo io, e non se lo spiegava nessuno a quanto pare. Mio fratello a tavola spiegò che Giosuè si fermava ogni giorno a parlare con il proprietario del fast food. La pista era giusta quindi. Non ci rimaneva che agire.


ANTICIPAZIONE EPISODIO 14: Conoscete davvero Alex? Avete visto com'è, no? Razionale, preciso, quasi pignolo, intelligente, a tratti anche troppo ... ma se il ragazzo sfociasse nell'impulsività? Già, quel sentimento che porta a compiere azioni senza pensare. Ma lui non lo fa per se stesso, ma solo per Giustizia, perchè non ne ne ha mai abbastanza. E alla fine ... gli costerà quasi la vita! ALEX FEDELE EPISODIO 14: DOPPIO DESTINO(2°parte). Solo qui a partire dal 19 Novembre 2011! Non perdetelo per nessuna ragione!!!!

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