VENDETTA MATRIMONIALE
Sigla di oggi: "Far from here" di Alissa Moreno (live)
Note: Episodio importante per la trama; New entry: Fabio Moggelli
PROLOGO:
L'amore è spesso un sentimento ambiguo. Le persone difficilmente riescono a dire tutto ciò che vogliono quando si ritrovano travolti da questa ondata di sentimenti turbinanti. Può finire bene, un matrimonio, un hotel addobbato per l'occasione, una serie di festeggiamenti vari. Ma ditemi, cosa succede se scoppia la tragedia?
VENDETTA
MATRIMONIALE
CASE
10 – L’invito
Eravamo andati a
pranzo in quella nuova tavola calda che tanto affascinava Bianca. L’aria
rustica del luogo aveva consentito lo svolgersi del pranzo in un’armonia leale,
sincera e pacata. Persino i soliti punzecchiamenti di Flavio mi erano
rimbalzati addosso quasi avessi una sorta di antidolorifico interno prodotto
dal mio organismo. La famiglia che gestiva “Lions”, era abbastanza affidabile.
Il capofamiglia era un uomo sulla sessantina, brizzolato e ad aiutarlo c’erano
moglie e due figli. Avevamo fatto amicizia insomma. Niente male. Sulla via di
casa ci ritrovammo in discorsi sempre più complessi. Si parlava di scuola, di
lavoro, di società. L’unica cosa di cui non si parlava era di cronaca. Di
quella ce n’era già abbastanza.
«Oh diamine!»
esclamò Flavio.
«Cosa c’è papà?»
domandò Bianca.
«Mi sono ricordato
che un mio vecchio amico in questi giorni si è sposato civilmente. Al comune
insomma. E non gli ho dato gli auguri!»
«Sei sempre il
solito sbadato» intervenni.
«Un famoso
investigatore come me ha altro a cui pensare che ad uno stupido matrimonio.
Eppure vivi con noi da tempo ormai ragazzo, dovresti vedere le mansioni che
svolgo quotidianamente. »
Sia chiaro che per
mansioni Flavio intendeva scrivere due stupidaggini sull’agenda e poi
bighellonare per la casa. Prima in cucina, poi in salotto, addirittura nel suo
stesso ufficio.
»Già» acconsentì
falsamente.
«Mi aveva detto
però che mi avrebbe invitato alla cerimonia religiosa. Chissà se il postino è
già passato.»
«E’ probabile»
affermò Bianca. E così facendo aprì la cassetta delle lettere estraendo varie
carte. Una volta arrivati in casa, Flavio si sedette nel suo ufficio, dietro la
sua scrivania di mogano.
Esaminò
minuziosamente la posta.
«Pubblicità,
pubblicità, bollette, bollette, bollette, ancora un depilant e…eccolo qui.»
disse alzando al cielo un biglietto ripiegato in due di colore bianco e
sporcato con degli sprazzi argentei.
«Alla cortese
attenzione della famiglia Moggelli.» disse cominciando a leggere. «Invito
valevole per la partecipazione alle nozze intime dei signori Riccardo Gardonia
e Carla Nurseri che si terranno lunedì alle ore diciotto in punto. La cerimonia
si terrà all’ “Atollo”, piccolo alberghetto situato in via Jordanio numero 33,
che per l’occasione sarà addobbato come chiesa. Si prega di onorare gli sposi
con la propria presenza.» In fondo al biglietto c’erano le firme fotocopiate
dei due sposi. Molto carino come invito.
«Lunedì è domani!»
esclamò Bianca. «Tu gli hai già fatto il regalo vero papà?»
«Be’…ecco io non
ne ho avuto il tempo. Non pensavo che avrebbe avuto il coraggio di invitarmi.»
«Uh? E perché
mai?» dissi guardandolo con sospetto.
«Ehi via, quello
sguardo da agente segreto dalla faccia. Dovete sapere che Riccardo è un ex
poliziotto.»
«Davvero?»
ripetemmo in coro io e Bianca.
«Già. Ed era anche
molto in gamba. Ricordo che quando io arrivai in polizia lui era già lì da
parecchio tempo. Era un semplice poliziotto, ma aveva la stoffa per diventare
ispettore, se non commissario.»
«E perché credevi
che non ti avrebbe invitato?»
«Un giorno in
servizio, io e Riccardo fummo coinvolti in una rissa. Ci scappò un criminale,
un rapinatore e da quel momento siamo rimasti col broncio per tutto il tempo
che lui è rimasto alla polizia. Un giorno venne in questura e comunicò a tutti
che si sarebbe ritirato da poliziotto. Era ancora giovane e nessuno riusciva a
spiegarsi questa decisione. Solo alcuni mesi dopo scoprimmo che era gravemente
malato.»
«Oh. Mi dispiace
molto…» disse Bianca con l’espressione di chi sa di dover piangere.
«Dispiacque anche
a me. Per fortuna è stato abbastanza forte da sconfiggere la malattia,
fidanzarsi e rifarsi una vita nuova. Non è da tutti avere quella forza
caratteriale interiore. Credo sia da ammirare.»
«Puoi dirlo forte
Flavio» sussurrai.
«E tu cosa farai?»
mi chiese Bianca girandomi verso di me.
«In che senso?»
«Che fai? Vieni al
matrimonio?»
«Non so. Ecco…non
conosco questo Riccardo e non voglio essere di troppo.»
«Non posso
lasciarti qui. Verrete con noi, tu e tuo fratello.» interruppe Flavio.
«E perché mai non
potresti lasciarmi a casa?»
«Per il semplice
fatto che anche se sei maggiorenne, qui non sei a casa tua con i tuoi genitori.
Sono stati gentili ad affidarti a me senza alcun sospetto e non posso certo
lasciarti qui con il rischio che ti succeda qualcosa.»
«Non starai
esagerando?»
«Per niente. E’
deciso. Tu e Andrea, mettetevi un vestito elegante e venite con noi.»
Ci fu un attimo di
silenzio.
«Papà!» urlò
Bianca facendoci sobbalzare.
«Che cosa c’è?
Perché urli?» rispose a tono Flavio.
«Il regalo!»
«Gli comprerò
qualcosa stasera.»
«Papà!»
«Gli metterò dei
soldi. Diciamo…cento euro, ok?»
«Papà!»
«Ok, ok.
Duecento.»
Lo sguardo di
Bianca non cambiò espressione. Rimaneva cinico e indignato.
«Un tuo vecchio
amico ti invita al suo matrimonio, dopo che ha combattuto per anni con una
malattia e tu gli dai duecento euro? Non ti vergogni?»
«Per niente!
Duecento euro sono duecento euro, non sono mica spiccioli. Ai miei tempi io
duecento euro non li vedevo tanto spesso.»
«I tempi sono
cambiati! Devi mettergli almeno cinquecento!»
«Cinquecento? Sei
fuori di testa figliola?»
«Per niente! Non
farmi fare brutta figura. O metti cinquecento euro oppure al matrimonio ci vai
da solo! Non è vero Alex?» disse voltandosi verso di me.
Non nascondo che
ero parecchio imbarazzato. Non mi piace essere coinvolto in queste cose.
«Ahem…già»
Flavio si era già
corrucciato in volto.
«E va bene. Vada
per cinquecento euro, ma a mio avviso è uno spreco.»
La mattina dopo,
nella tarda ora, cominciammo a prepararci. Flavio aveva indossato uno splendido
completo smoking. Non c’e che dire, è proprio vero che quel vestito conferisce
a tutti un’aria più elegante a prescindere da chi lo indossi. Per quanto riguarda
Bianca, era davvero splendida. Indossava un vestito senza spalline, lungo fino
in giù. L’abito era di colore grigio ed aveva dei ricami bianchi che lo
impreziosivano in ogni modo possibile. Il fisico esile della ragazza, cadeva a
pennello in quella creazione in stoffa. A tutto questo abbinò un trucco
leggero, una cosa semplice, proprio come lei. Non era niente male. In quanto a
me e mio fratello, il pomeriggio prima ero uscito di fretta in furia per andare
a comprare(gentile concessione della carta di credito) due nuovi abiti adatti
ad un matrimonio. Non me l’ero affatto portato dietro. Sapete come sono i
bambini. Non avrei avuto la lucidità per scegliere se avessi dovuto occuparmi
di lui, così l’avevo lasciato a casa. Comprai per lui un bellissimo vestito
grigio perla, con cravattina. Sembrava un principino mio fratello quel giorno.
Per me invece presi un abito più sobrio. Non indossai lo smoking, ma un
semplice abito con cravatta nera e camicia bianca, contornata da un completo
nero gessato. Non eravamo niente male.
Il matrimonio,
come scritto nell’invito, si sarebbe svolto in un piccolo hotel chiamato
“Atollo” che per l’occasione era stato addobbato come chiesetta. Al nostro
arrivo trovammo pochi invitati. Dovevamo intuirlo. Sullo stesso invito c’era
scritto che si sarebbe trattata di una cerimonia prettamente intima. Oltre a
noi e gli sposi, c’erano altre cinque persone.
Entrammo
nell’hotel domandammo alla reception dove si trovassero gli sposi, ma mentre
l’impiegata dava spiegazioni a Flavio, un uomo sulla cinquantina buona, prese
di spalle Bianca e la sollevò di peso in modo scherzoso.
«Ah-Ah-Ah! La mia
piccola Bianca! Siamo diventate signorine vero?» disse con voce roca l’uomo.
Flavio ed io ci girammo di scatto e ci ritrovammo di fronte un uomo abbastanza
giovanile, con i capelli brizzolati e completamente senza barba. Il suo viso
dava un senso di sicurezza ed al contempo di grande professionalità.
«Riccardo!»
esclamò Flavio sorpreso
«Flavio Moggelli»
disse avvicinandosi a noi. «Flavio Moggelli» ripetè. «Il poliziotto più in
gamba degli ultimi quindici anni! Come va vecchiaccio?» Non c’è che dire, un
tipo alla mano.
«Tutto bene amico»
disse abbracciandolo. «Mi ha fatto piacere ricevere l’invito per il tuo
matrimonio. Ad essere onesto, non me l’aspettavo proprio, ma come è successo
che hai preso al decisione di sposarti?»
«Vedi Flavio. Alla
mia età e dopo ciò che ho passato, le cose ti sembrano futili e poco inclini al
temporeggiamento. Ho incontrato la mia quasi moglie solo due mesi fa, ma
conoscendola mi sono accorta di quanto fosse speciale per me. E così abbiamo
fatto tutto di corsa, ci siamo sposati subito!» disse con entusiasmo pari a
quello di un bambino e con il sorriso di chi ha appena vinto alla lotteria di
quartiere.
«E questi
ragazzini chi sono? Che fai, li porti al matrimonio e non me li presenti?»
«Oh certo, scusami
tanto Riccardo. Il piccoletto si chiama Andrea, mentre il ragazzo più grande si
chiama Alex. Alex è con me perché è uno di quelle reclute del PDS…Non so se ne
hai sentito parlare»
«Si, certo come
no. E’ quel progetto ministeriale che ha deciso di lanciare questi promettenti
investigatori. E lui deve fare tirocinio presso di te?»
«Ecco…non proprio.
In teoria non si tratta di un vero e proprio tirocinio, ma comunque è simile»
Riccardo mi porse
la mano in senso amichevole. «Riccardo Gardonia, piacere di conoscerti ragazzo
mio»
«Il piacere è
tutto mio signor Gardonia. Flavio mi ha parlato di lei. Mi ha detto che era un
agente encomiabile. E’ un onore stringerle la mano, davvero.» dissi ricambiando
la stretta.
«Ah è così? E
pensare che il qui presente detective non ha mai voluto farmi nemmeno un
attestato di stima in servizio» disse sorridendo maliziosamente.
«Mio padre la
stima molto signor Gardonia» disse con ammirazione Bianca.
«Volete stare
zitti? E’già sbruffone abbastanza, figuriamoci se voi incentivate la sua voglia
di mettersi in mostra». Scoppiammo in una risata volontaria. Il signor Gardonia
era davvero una persona gentile. Molto affabile,poco incline a toni formali.
Davvero una gran bella persona.
«Ma cosa ci
facciamo ancora qui? Diamine, fremo dalla voglia di presentarvi la mia amata.
Presto venite, non state lì impalati come tonni!».
Percorremmo tutta
la sala dedicata alla hall. Le pareti erano dipinte di un giallo ocra in evidente
stile spatolato. I quadri, probabilmente imitazioni, di grandi artisti famosi
davano un tocco culturale alla saletta, perfettamente adornata con tappeti
d’alta classe e divanetti molto elegante che consentivano agli ospiti di
sedersi. Riccardo Gardonia, nel tragitto ci confessò di aver affittato per quel
giorno tutto l’hotel e che il ricevimento nuziale si sarebbe tenuto al piano
superiore. Non era certo un tipo che doveva avere problemi economici.
Imboccammo una
porta ad arco sulla parte destra della saletta e, ritrovatoci in un corridoio,
proseguimmo dritti verso una porticina in legno, che aprendosi, diede su un
ulteriore corridoio, stavolta con varie stanze disposte ai lati del muro.
«Ecco, la camera
della mia sposina è la prima a destra» disse Gardonia. «Amore, apri. Sono io,
voglio presentarti dei miei amici.» disse bussando.
Quando la porta si
aprì, devo dire che ebbi un sussulto. La sposa tanto nominata dal signor
Gardonia, era davvero uno schianto. Aveva un’acconciatura a coda di cavallo. La
pelle olivastra e gli occhi azzurro cielo, si intonavano alla perfezioni con i
suoi capelli dorati. Il suo corpo sarebbe caduto alla perfezione nella
maestosità e semplicità di quell’abito da sposa disteso sul divanetto. L’abito
aveva una profonda scollatura, non volgare, ma comunque che lasciava
intravedere un po’ di seno. La sposa in attesa di indossarlo, vestiva con un
vestitino intero di color grigiastro.
«Amore» disse
baciando Riccardo.
«Ciao Carla,
volevo presentarti il signor Flavio Moggelli, mio ex collega in polizia ed ora
investigatore, quindi sua figlia Bianca e due suoi amici Alex e Andrea.»
«Molto piacere»
rispose elegantemente la sposa. «Mi chiamo Carla Nurseri. Volete entrare
ragazzi?»
Entrati nella
camera della sposa, notammo come la camera fosse stata rivoltata come un
calzino per permettere di aggiungere bellezza a quella donna già meravigliosa.
Trucchi erano sparsi ovunque sui ripiani e a terra c’erano decine di calze e
biancheria intima. Devo dire che sia io che Flavio ci ritrovammo arrossiti.
«Oh! Mi dispiace
che troviate la camera in questo stato, ma i preparativi fervono e così c’è
disordine.»
«Lei è bellissima
signorina Nurseri. Quel vestito le calza a pennello» affermò Bianca.
«Grazie cara, che
bel complimento. Vorresti aiutarmi a scegliere il trucco giusto per l’altare?»
«Con piacere!»
Donne.
«Allora Riccardo.
Di cosa ti occupi ora?» chiese Flavio.
«Be’, ho aperto un
piccolo negozio di ferramenta. Mio padre era muratore e così sono cresciuto in
mezzo ad attrezzi e cose varie. Rende abbastanza bene. Carla invece studia
economia all’Università e contemporaneamente lavora come cassiera in un
supermarket.»
«Be’ sono ragazze.
Insomma, quanti anni ha?»
«Carla dici? Be’,
ha ventinove anni. E’ molto più giovane di me, considerando che ne ho cinquantatre.»
«Caspita» disse
Flavio.
«Sai come si dice
amico mio. “La carne è debole”»
Di certo il signor
Gardonia non era un tipo timido. Sicuramente aveva imparato a vivere giorno per
giorno, a non programmarsi le cose come un un servizio prepagato. La malattia
che aveva sconfitto, lo aveva fortificato e al contempo plasmato su una nuova
speciale dimensione nota solo forse alle persone che gli stavano sempre vicino.
Bianca uscì dalla
porta richiudendola alle sue spalle.
«Vedrà signor
Gardonia, Carla sarà perfetta per la cerimonia. A proposito, a che ora ha detto
che si celebreranno le nozze?»
«Alle diciotto
Bianca. C’era scritto sul biglietto d’invito.»
«Certo, che
sbadata, mi scusi.»
CASE
11 – Intimo, forse troppo
Seguì un momento
di intenso silenzio. Forse dovuta al fatto che quell’uomo fosse di carattere
particolare, forse alla tensione che si insediava nel suo cuore, forse
semplicemente al fatto che, essendo primo pomeriggio, nessuno aveva voglia di
chiedere ulteriori informazioni. La cerimonia si sarebbe tenuta tra appena due
ore.
«Venite, vi
presento al resto degli invitati!» disse Riccardo con un sorriso più largo che
mai.
Ripercorremmo la
stessa strada e ci ritrovammo nello stesso salottino di prima, dove c’erano
poche persone, presumibilmente gli invitati.
«Signori, voglio
presentarvi i miei amici. Flavio Moggelli, mio ex collega in polizia ed ora
brillante detective privato; Sua figlia Bianca e due suoi conviventi, Alex e
Andrea» concluse Gardonia indicandoci con un dito.
«Molto piacere» si
avvicinò un uomo sulla sessantina, stempiato, con davvero pochi capelli in
testa e con degli occhi piccoli. «Sono lo zio della sposa, Mario Nurseri e
questa è mia moglie Veronica.» disse indicando una donna leggermente in
sovrappeso della sua stessa età e con dei capelli neri con sfumature
biancastre.
Dopo una risata di
congedo di Riccardo Gardonia, ci avvicinammo al resto degli invitati.
«Vi ho detto che
la cerimonia sarebbe stata molto intima. Oltre agli zii di Carla, ci sono altri
tre nostri amici in comune, di cui due ci faranno da testimoni. Eccolo qui, vi
presento Giorgio Rossetti, si occupa di management in una nota multinazionale»
affermò il quasi sposo stringendo con forza la mano di un ragazzo di circa
trent’anni, con una leggera barbetta e con una postura impeccabile.
«Successivamente,
ecco il mio amico di infanzia, Luca Barberi, uomo d’affari e la migliore amica
della sposa, Maria Civita Voleri, studentessa di giurisprudenza». Luca Barberi
aveva la stessa età di Riccardo. I capelli neri, sicuramente tinti(o almeno
così sembrava) gli conferivano un aspetto molto giovanile. I baffoni invece,
sullo stile dei mustacchi classici, gli davano un tono di severità. Maria Civita
aveva la stessa età della sposa. Non vidi la sua carta d’identità, né parlammo
di anni di nascita, ma la pelle rosea e liscia e gli occhi vivaci davano questa
esatta impressione. Gli occhiali le avevano donato una espressione
intellettuale.
«Molto piacere»
ripetemmo in coro quasi uniforme e con sorriso smagliante a trentadue denti.
Passammo la successiva
ora a discutere e a parlare del più o del meno. Si parlò di lavoro, di
occupazione e di impegni, di società, di politica ed in minor parte anche di
sport. Gli uomini avevano avviato un’accesa discussione sulle squadre di calcio
ed io, essendo tifoso di una squadra che ha vinto ventinove scudetti come la
Juventus, mi ci integrai subito. Per quanto riguarda le ragazze, non udì molto
i loro discorsi, ma devo dire che sembravano a loro agio. Quindi, non so, forse
parlavano di cucina, di make-up, oppure di abiti, di moda in generale. Qualcuno
si allontanò con varie motivazioni, ma c’eravamo integrati con tutti ormai.
«Vado a vedere
come sta Carla» affermò Maria Civita. «Sarà sicuramente bellissima, e voglio
darle il mio regalo prima di chiunque altro.»
«Vai Maria Civita
e dalle un bacione da parte mia» si intromise
Luca.
«Ok. Lo farò.»
Non posso essere
sicuro al cento per cento di ciò che mi accingo a dirvi. Non avevo un
cronometro in mano. Me ne stavo lì a parlare abilmente di sport, ma passò
relativamente poco tempo, forse qualche secondo, da quando Maria Civita se
n’era andata a quando sentimmo l’urlo disperato di una donna in lacrime.
Sobbalzò l’intera sala. Correndo ci eravamo diretti alla camera della sposa, ma
avevamo trovato l’amica della sposa in ginocchio sulla soglia in lacrime, in
preda a delle convulsioni, a delle crisi isteriche. Flavio la spostò di peso
per vedere cos’era successo. Entrai anch’io. Non lo dimenticherò mai. Vicino al
divanetto di colore violaceo posto nella camera d’albergo, c’era la bellissima
Carla, trafitta esanime da un pugnale in pieno petto. L’ultimo ad arrivare fu
lo sposo. Appena vide il cadavere svenne, trascinandosi a terra Bianca che
aveva cercato di trattenerlo.
«Chiamate subito
la polizia, chiedete della squadra omicidi e dell’ispettore Ducato e anche
un’ambulanza per il signor Gardonia…muovetevi!” intimai.
Flavio si era
avvicinato al cadavere tra lo stupore generale. Toccò il polso destro di Carla
per controllare il battito. Controllò accuratamente anche le vene del collo,
per essere sicuro di ciò che stava tristemente per annunciare.
Si girò verso di
noi. Non trovò le parole, ma la sua espressione diceva tutto. Guardò Maria
Civita in pieno volto. Scosse la testa e corrucciò le sopracciglia in segno di
preoccupazione. La ragazza scoppiò in un nuovo violento pianto. Eravamo scossi,
no eravamo quasi morti anche noi.
Polizia e
ambulanza arrivarono dopo circa sette-otto minuti dalla nostra chiamata. Ducato
entrò a spron battuta nella stanza, chiedendo a gran voce cosa fosse successo.
«Allora, cosa
succede qui?» vedendomi mi salutò. «Ragazzo! Cosa ci fai qui?»
«Eravamo invitati
al matrimonio del signor Gardonia, ma poco fa la sua amica ha trovato poco fa
il cadavere della sposa»
«Hai detto
Gardonia? Quel Gardonia? Riccardo?»
«Esattamente
ispettore.» interruppe Flavio. «Riccardo Gardonia. Se lo ricorda vero?»
«Eh, come no. Non
si scorda chi ti ha salvato la vita»
«Le ha salvato la
vita? E quando?»
«Oh, parlo di
circa dodici anni fa. Tu in quel periodo avevi preso le ferie. In una
operazione, si prese una pallottola alla gamba al posto mio. Lo vedo come un
modo di salvarmi la vita.»
«Sicuramente.»
«Ma dov’è ora
Riccardo?»
«Be’ vede…»
risposi. «Non appena ha visto il cadavere è svenuto. E’ per questo che abbiamo
chiamato anche il 118.»
«Oh. Mi dispiace.
Comunque vediamo di occuparci di questo caso dannazione.»
Gli invitati erano
paralizzati sulla soglia.
Flavio li invitò
ad entrare e successivamente comunicò a chi avrebbe dovuto celebrare le nozze
l’impossibilità di farlo causa omicidio. Il prete ebbe un mancamento, poi fu
portato fuori a bere un po’ di acqua e zucchero.
Notai come
l’eleganza degli invitati era svanita nel nulla. Le cravatte degli abiti erano
allentate, le acconciature erano scapestrate, il trucco di Maria Civita
completamente sciolto nel deprimente sapore delle lacrime. Insomma, era un vero
e proprio strazio. Notai solo al momento come l’unico ad avere delle scarpe a
punta tonda degli uomini fosse Luca. Tutti gli altri indossavano scarpe
eleganti a punta quadrata. Ma non era importante. Stavo cercando di capire le
cose che avevano portato al decesso Carla.
«La donna è
deceduta per una pugnalata al petto e presumibilmente è morta dopo un’agonia,
certamente non subito» iniziò così il rapporto dell’agente della scientifica
che era stato vicino al cadavere per almeno una decina di minuti buoni.
«Il decesso risale
a circa quindici minuti fa, la ragazza avrà anche provato a trascinarsi verso
la porta, come dimostrano i peli della moquette rinvenuti sotto le unghie,ma evidentemente
non è servito a nulla»
«Flavio!» richiamò
Ducato.
«Mi dica
ispettore!»
« Che tu sappia,
qualcuno ha messo piede nella camera della sposa negli ultimi minuti?»
«No ispettore.
Circa un’ora e mezza fa abbiamo conosciuto la sposa e quindi Gardonia ci ha
accompagnati qui dentro. La ragazza stava benissimo. Poi Bianca è stata con lei
per altri dieci minuti per scegliere delle cose inerenti al trucco. Insomma,
cose da donne.»
L’ispettore Ducato si voltò di scatto verso Bianca e
avvicinandosi a lei gli sussurrò:
«Bianca, non hai
notato nulla di strano nella sposa?»
«No ispettore.
Abbiamo parlato di trucchi, di abiti. Eravamo così tranquille. Certo, lei era
un po’ emozionata per il fatto di doversi sposare, ma le assicuro che non
mostrava nessun segno di pericolo.»
«Capisco. Be’,
bisognerà interrogare gli invitati. Sono pochi, quindi faremo abbastanza in
fretta. Ma siamo sicuri che non sia un suicidio? »
«Non può essere
ispettore» lo interruppi.
«Ah si? E perché
no? Sentiamo»
«Una persona che
sta per sposarsi non si toglie la vita. Inoltre la stanza era chiusa
dall’interno e sono sicuro che la sposa ha aperto al suo assassino poco prima
di essere brutalmente uccisa»
«Vuoi dire che…»
«Esatto. La
vittima conosceva l’assassino, altrimenti non gli avrebbe mai aperto. Tenderei
ad escludere un intervento esterno. Nell’albergo c’è un’unica entrata e le
posso assicurare che non è entrato proprio nessuno. Insomma, l’assassino è tra
noi!»
Giorgio Rossetti
mi interruppe con un tono molto severo e direi a tratti molto aggressivo.
«Ma come ti
permetti? Come diavolo ti permetti? Come avremmo potuto uccidere la nostra
amica Carla?»
«Mi dispiace
signor Rossetti, ma è l’unica possibilità »
«Il ragazzo ha
ragione» intervenne Luca Barberi.
«Cosa? Ti ha dato
di volta il cervello?»
«No. Non mi
stupirei se fossi stato proprio tu ad ucciderlo, baffone!» disse con tono di
stizza Barberi.
«Cosa?»
«Non è un segreto,
cosa credi che siamo stupidi? Ultimamente avevi detto di aver avuto tensioni
con Riccardo e così ti saresti vendicato su di lei. Non è forse vero?»
«Smettila!» urlo
Maria Civita,la voce rotta dal pianto, gli occhi gonfi di lacrime.
«Anche tu avevi un
buon motivo per ucciderla! Ti aveva sempre rifiutato ed eri gelosa di lei!»
«Ma cosa vai
cianciando? Idiota! Se la metti così, tu avevi litigato con lei varie volte
nelle ultime settimane e lei si era confidata con me telefonicamente!»
«Posso vedere»
iniziai «che tutti e tre avevate un movente per uccidere»
Intanto Flavio
parlava con gli zii della vittima. Anche loro, come Maria Civita erano avviliti
ed erano immersi nelle proprie lacrime.
Flavio li
tranquillizzava con frasi del tipo “faremo giustizia”, “vedrete, vendicheremo
vostra nipote!”, ma era tutto inutile. Purtroppo quando si perde una persona
cara, anche le parole più belle del mondo suonano in un assordante silenzio.
Ducato chiese
attenzione e silenzio. Si mise al centro della stanza.
«Bene signori.
Sono costretto a chiedervi se avete un alibi per l’ora del decesso. Il
detective Moggelli mi ha riferito che eravate tutti nella saletta a parlare, ma
ha detto che qualcuno si è allontanato. Non è vero?»
«Si, io mi sono
allontanata ma solo per pochi minuti. Cercavo il prete per chiedergli consigli
su come si sarebbe svolta la cerimonia.» disse Maria Civita.
«Chiederemo conferma
signorina.»
«Anch’io per
qualche minuto sono stato da solo» disse Barberi. «Ho ricevuto una chiamata d’affari
sul telefonino e mi sono allontanato dal resto del gruppo.»
«Qualcuno può
confermare?»
«Certo. Le do il
numero del mio collaboratore, così le dirà che mi ha chiamato»
«Benissimo. Per
quanto riguarda lei, signor Rossetti…»
«Sono andato in
bagno per circa una decina di minuti.»
«Può confermare
qualcuno?»
«Purtroppo no. Ero
da solo»
«Stando a quanto
detto dal gruppo le uniche persone che non si sono allontanate mai, detective e
sposo escluso, sono gli zii della vittima, quindi sono insospettabili. Tutti
voi, invece siete inevitabilmente nella lista dei sospetti»
Le parole di
Ducato risuonarono pesantemente nell’aria. Era certo che uno di loro tre fosse
l’omicida. Maria Civita era una ragazza che all’apparenza sembrava posata e con
la testa sulle spalle. Era la migliore amica della vittima. Luca Barberi non
sembrava cattivo. Certo, non era esattamente il “simpaticone” del gruppo ed
aveva un non so che di irritante, ma devo dire che non sembrava capace di poter
commettere il delitto. Per quanto riguarda Rossetti, aveva un’aria da maestro
severo, ma difficilmente vedevo in lui un’aria da assassino. Detto questo,
sospettavo di tutti e di nessuno. Spesso il criminale è la persona meno
insospettabile di tutti, quella che non penseresti mai. Chissà se il mio
ragionamento, frutto di zero prove, filava.
Il problema era
proprio quello. Avevamo zero indizi, zero prove. Eravamo ad un punto di
rottura.
«Sul pugnale non
ci sono impronte digitali.» disse Ducato. «Sono presenti però tracce ematiche
della vittima.»
Cominciai a
camminare lievemente per la stanza. Vidi l’abito da sposa che avrebbe dovuto
indossare. Alcune gocce di sangue erano schizzate anche su di esso. Tutti gli
invitati sembravano più o meno tranquilli. Non vedevo segni di nervosismo, o
meglio, li notavo solo in Maria Civita, ma sottoforma di crisi di pianto
continue. Insomma, nessuno apparentemente era nervoso per essere sospettato. Le
cose erano due. O avevamo preso un granchio colossale, oppure uno dei tre era
un attore formidabile, da Oscar.
CASE
12 – La svolta
«Fratellone!
Fratellone!» disse Andrea dal basso scuotendomi la manica della camicia.Mio
fratello era rimasto in silenzio tutto il tempo. Aveva risposto con un sorriso
alle domande degli invitati, si era presentato insieme a tutti, ma nessuno si
era accorto della sua presenza, me compreso. Mio fratello era così. Silenzioso.
«Cosa c’è piccolo?»
«Devo andare in
bagno!» disse ballando su una gamba sola.
«Eh Eh. Ok, vai ma
fai subito e torna presto.» dissi sorridendo.
«Puoi
accompagnarmi?»
«E perché mai? Ci
vai sempre da solo»
«Di solito sono a
casa oppure a scuola. Qui non so dov’è e prima che io domandi facciamo notte!
Ti prego accompagnami! Accompagnami! Accompagnami!»
«Ok, ok, ora
smettila di urlare.»
Mentre stavamo per
uscire dalla porta, Flavio mi avvisò:
«Non chiudere
ragazzo, devo uscire anch’io.»
Dopo aver trovato
un bagno per mio fratello con la cortese assistenza della receptionist, che si
era anche premurata di aspettarlo fuori dalla porta, mi avvicinai all’uscita
dell’albergo. C’era Flavio che fumava una sigaretta, con l’aria stanca e
distorta, una mano sulla testa tra i capelli.
«Dura la vita eh?»
esordì.
«Dimmelo tu. Vai
ad un matrimonio e ti ritrovi un caso su cui indagare, apparentemente senza
soluzione.»
«Già»
«Hai trovato
qualcosa di sospetto?»
«No, ma avrei
un’idea»
«Dimmi»
«Se l’assassino ha
usato un pugnale come arma del delitto, e non ha lasciato impronte… da qualche
parte c’è ancora un qualcosa.»
«Cosa vuoi
dire?Non capisco»
«Un paio di
guanti, uno straccio, un panno utilizzato per impugnare l’arma.»
«Sciocchezze!»
«E perché mai?»
«Sai, a volte hai
intuizioni discrete, ma a volte te ne esci fuori con delle cose fuori
dall’ordinario.»
«Spiegami»
«L’assassino avrà
fatto sparire quel dannato panno o qualunque cosa sia per non lasciare
impronte, da un bel pezzo. Chissà dove lo ha messo, forse lo ha bruciato,o l’ha
nascosto.»
«Già. E non
potrebbe averlo fatto nella spazzatura?»
«E’ improbabile.
Lo troveremmo subito, non credi?»
«Be’ è vero. Ho
imparato però che spesso le cose più facili sono quelle che ti portano alla
risoluzione di un problema»
«Anche questo è
vero. Se ci tieni tanto, dirò ad uno degli agenti la tua teoria, e ti
dimostrerò che è fondata sul niente»
Andrea mi chiamò
da dietro con la sua vocina.
«Fratellone,
vogliamo andare?»
«Certo piccolo. Tu
vieni Flavio?»
«Si, si, un
momento.» disse buttando la cicca di sigaretta e sfregandosi le mani per
pulirle dalla cenere.
Il percorso del
corridoio che portava alla porta della sposa era impreziosita da un tappeto
tanto elegante quanto scomodo. Mio fratello inciampò proprio dinanzi alla
porta, aprendola del tutto.
«Diamine, stai
attento!» lo rimproverai.
«Scusa, ma questo
tappeto è dispettoso!» rispose quasi spazientito e parzialmente dolorante.
La caduta di mio
fratello fu propizia. Si, lo fu. Non avete capito male. Fu grazie a lui che la
porta si spalancò. Fu grazie a lui che mi chinai per aiutarlo a rialzarsi e
notai una piccola macchietta sul bordo della porta in basso.
«Vai dentro» dissi
a mio fratello. Poi presi Flavio da parte. «Flavio, c’è una macchia sulla parte
interna della porta in basso.»
«Una macchia?»
«Si, da così non
la vedi, ma se ti avvicini è visibilissima»
«Flavio
nell’entrare fece finta di perdere l’accendino e diede un’occhiata a ciò che
gli avevo detto.
«Questo è…» mi
disse sottovoce.
«Esatto» risposi
con il mio più brillante sorriso.
Moggelli chiamò
con fare dirigenziale un agente della scientifica che, tra l’incoscienza di
tutti, s’era messo a lavorare inginocchiato di fronte alla porta di tutto
punto.
«Cosa succede?» mi
chiese l’ispettore.
«Si fidi di me
ispettore. L’ho mai delusa?»
Rispose con un
verso sarcastico. «Spiegami ragazzo! E’ un ordine!»
«Se le cose vanno
come dico io, abbiamo già risolto il caso, mi dia retta.»
E’ incredibile
come un segno a forma di “U” rovesciata possa accendere la logica a volte. La
dimostrazione che non esiste il crimine perfetto. Mi ero fatto un’idea di chi
fosse l’omicida, ma mi mancavano le prove, quelle più importanti. Puntare il
dito contro qualcuno è molto facile. Prova ad incastrarlo e vedrai che lo
classificherai come “impresa titanica”.
La prova che
cercavo probabilmente era astratta. Non sapevo nemmeno cosa stessi cercando, ma
mi bastava trovare un piccolo indizio per poter confermare la mia teoria.
Intanto notai qualcosa che non avevo notato. Sul ripiano della stanza dov’erano
riposti tutti i trucchi c’erano anche molti fogli di carta, matite, penne,
gomme da cancellare, tritacarte, vasi di fiori bellissimi appena sbocciati e
accendini. Insomma, cose che non avevo notato al mio primo ingresso in quella
stanza.
Proprio uno di
quegli oggetti mi diede la forza di continuare ad insistere per la mia strada.
Uno di quegli oggetti costituiva un modo per nascondere alla perfezione tutti
gli indizi possibili. Accidenti! Se solo lo avessi notato prima.
«Allora come va
detective?» chiese Bianca
«Diciamo che sono
sulla buona strada. Forse ho risolto il caso»
«M-ma…dici davvero
o mi prendi in giro?»
«No, no dico
seriamente. Stai a guardare. Sai, spesso ci sono cose che ad occhio nudo non si
vedono bene, ma che con il cervello si vedono chiaramente.»
Mi guardava come
se fossi proveniente da Marte, ma dopotutto chi non l’avrebbe fatto? Avevo
detto più perle di saggezza io in un giorno che Bob Marley nella sua vita. Ora
però, anche grazie a loro, sapevo cosa era successo.
C’era una confusione
abbastanza generale. Tutti parlavano, tutti pensavano a discolparsi. La
scientifica cercava di lavorare, mentre Flavio e Ducato si stavano scervellando
sulle più svariate teorie.
L’agente
incaricato dell’indagine straordinaria sulla porta mi tirò per un braccio
sussurrandomi una frase molto eloquente.
«E’ proprio come
pensa lei.»
«Grazie agente.
Ora si può dire come sono andate le cose.»
Non sapevo come
richiamare l’attenzione di tutti, così sollevai mio fratello e gli dissi di
dare un urlo. La sua voce acuta sarebbe di sicuro risuonata nell’aria e lui
trovava la cosa “molto divertente”.
«Ehiii!»
Mio fratello e la
sua voce.
Si ammutolirono
tutti. Ci guardavano tutti e Bianca invece rideva di gusto.
Misi giù Andrea.
«Ho chiesto a mio
fratello di lanciare un urlo, poiché era l’unico modo per richiamare
l’attenzione di tutti. Sapete se fossimo dei criminali, bisognerebbe fare i
complimenti all’omicida. Ha architettato un piano degno di un professionista,
anche se sappiamo che non lo è.»
«Cosa vuoi dire
ragazzo?» chiese Ducato.
«Ispettore.» mi
avvicinai a passo lento al ripiano. «Voglio dire esattamente quello che pensa.
Ho risolto il caso. So chi ha ucciso Carla, so chi è stato, so il perché e so
anche come è avvenuto il fattaccio!»
«Ehi ragazzino.
Non ti sembra di giocare un po’ troppo all’investigatore?» Rossetti e la sua
tagliente ironia.
«No, signor
Rossetti. Ma sarò lieto di rimangiarmi tutto e di porre le mie scuse al mio
sospetto nel caso le mie supposizioni fossero sbagliate.»
«Allora parla chiaro,
forza!» mi incitò Flavio. Probabilmente aveva capito anche lui chi cercavo di
incastrare. Tutto era stato molto più chiaro dopo la macchiolina sulla porta.
CASE
13 – Crudeltà
«Ok. Ricostruiamo
i fatti. La sposa è stata ammazzata evidentemente a circa quarantacinque minuti
dall’inizio della cerimonia. Dopo che Maria Civita è venuta a vedere come
stava, mancava mezz’ora alla cerimonia ed è stato trovato il cadavere. Il
decesso risultava a circa quindici minuti prima, quindi diciamo che l’assassino
ha compiuto il delitto verso le diciassette e quindici, minuto più, minuto
meno.»
«Che storia è
questa? Anche noi lo sapevamo.» disse Maria Civita.
«Lo so benissimo
signorina. Ma mi lasci spiegare. Come sapete tutti voi vi siete allontanati dal
gruppo verso quell’ora e per pochi minuti. Basta con le chiacchiere però.
Voglio spiegarvi come si sono svolti i fatti adesso. Ispettore, con il suo
permesso»
«Certo, dicci
pure.»
«L’assassino si è
allontanato dal gruppo ed ha sfruttato la particolare geometria dell’albergo
per arrivare alla stanza della vittima. Quando Riccardo Gardonia ci ha portato
qui, sia io che Flavio e tutti gli altri abbiamo potuto notare che dopo la
sala, prima di arrivare alle camere in questo corridoio, c’è un ulteriore
corridoio di passaggio. In questo corridoio, tramite quello precedente, vi si
può accedere in due differenti modi. Il primo è quello di passare per
l’archetto aperto in fondo al corridoio di passaggio, sulla sinistra. L’altro
modo invece è sfruttare la porta appena entrati sulla sinistra posta
frontalmente.»
«Ebbene?» si
spazientì Ducato.
«Ebbene il
percorso dell’assassino è molto simile. Il delitto è avvenuto mentre anche
Maria Civita era lontano dal gruppo e posso dire con esattezza che quella
persona… è proprio il signor Barbari! Sì, confessi è stato lei a togliere la
vita a Carla!» Puntai un dito minaccioso.
«Ah-Ah-Ah. Bravo
ragazzino, adesso basta giocare però. Lascia lavorare l’ispettore.»
«Lei è un
bravissimo attore signor Barbari, ma ha trovato pane per i suoi denti di fronte
a lei.» lo sfidai. «Lei ha affermato di essersi intrattenuto telefonicamente
con un suo collaboratore giusto?»
«Esatto. E ha
confermato. Ho un alibi di ferro.»
«Ah davvero?
Ascolti. Lei fa l’uomo d’affari vero?»
«Si, ma cosa
c’entra?»
«C’entra, c’entra
signor Barbari. Mi lasci finire. Lei ha aspettato che la vittima fosse sola in
questa stanza ed ha approfittato del giusto momento. Il suo momento però è
coinciso con quello della signorina Maria Civita di parlare con il prete. Sono
pronto a scommettere che lei signorina era ferma sulla soglia dell’arco del
corridoio di passaggio e il prete era di fronte a lei, quasi girato
completamente di spalle. Non è vero?»
«S-si, ma come fa
a saperlo?»
«Lo chiami intuito
signorina, chiamatelo intuito signori. Ma non è finita qui. Lei è entrato di
soppiatto nel corridoio di comunicazione, ha utilizzato la porticina di legno
appena di fronte per non farsi vedere da Maria Civita e dal prete che gli
avrebbero sicuramente chiesto cosa stesse combinando. Ha chiuso la porta e si è
ritrovato in questo corridoio. Una volta arrivato qui, ha bussato alla porta
della signora Nurseri. Le avrà detto “apri, sono io!”. La signora ha aperto la
porta, lei è entrato, ha fatto qualche chiacchiera di rito e poi una volta che
se l’è trovata di fronte l’ha pugnalata senza pietà! Probabilmente teneva
nascosto il coltello dietro la schiena e lo teneva con un panno, un qualcosa.»
«Ho parlato a
telefono con il mio amico tutto il tempo, domandi all’ispettore. La sua tesi
non sta in piedi.»
«Signor Barberi.
Lei è un uomo d’affari. Di questi tempi, non avrà un solo telefono non è vero?
Metta sul ripiano tutti i telefonini che possiede.»
Luca Barberi si
diresse verso il ripiano e mise su di esso ben tre cellulari. Un samsung, un LG
ed un vecchio Alcatel.
«Soddisfatto?»
«Non ancora»
risposi. «O almeno non completamente. Non appena lei ha terminato la
conversazione, si è auto chiamato con un altro dei suoi due cellulari sul
telefono utilizzato per ricevere la
chiamata del suo amico. Ha finto di intraprendere una conversazione,
nascondendo i due telefoni, compreso quello che stava chiamando sé stesso e ha
finto di prolungare la conversazione. Sono sicuro però che se l’ispettore
controllerà i cellulari, troverà nel suo LG, telefonino utilizzato per parlare
con il suo collega, una chiamata in entrata da uno dei suoi restanti due
numeri. Non è vero signor Barbari? Mi dica…ho toppato per caso?»
Lo sguardo di Luca
si fece grave. Le pupille erano diventate più piccole, sudava freddo, era
arrossito e le mani tremavano di nervoso.
«Scommetto che non
ha ancora cancellato i registri delle chiamate. Tuttavia, non è stato questo il
suo errore. Guardate sulla porta di questa stanza, sulla parte interna in
basso. Vedete qualcosa?»
Tutti guardarono e
tutti diedero una risposta secca. “No”.
«Naturale. La
macchia si vede solo se ci si avvicina. Ispettore prego. L’ho già fatta
esaminare da un occhio esperto come l’agente alla vostra destra.»
Ducato si
avvicinò, e chinandosi soffocò un urlo più che lecito considerando le circostanze.
«Questa è una
macchia di sangue!» disse spalancando gli occhi e rialzandosi di scatto.
«Esatto ispettore.
L’agente le confermerà la mia tesi. Ma non soffermiamoci su cos’è. Piuttosto
guardate la forma. Guardi, la prego.»
«Non riesco a
capire dove vuoi arrivare ragazzo. La forma è…»
«La forma della
macchia di sangue ha forma di una “U” rovesciata. Sa cosa significa il fatto
che si trovi a quell’altezza?»
«Cosa significa?»
«Significa» dissi
andando verso il cadavere della Nurseri «che è stata lasciata da una scarpa.
Più precisamente da una scarpa a punta tonda! E guardate le scarpe dei
sospettati. Maria Civita ha i sandali, Giorgio ha le scarpe eleganti a punta
quadrata, mentre Luca Barbari. Be’, ha le scarpe a punta tonda ed è l’unico! »
«Questo non vuol
dire nulla!» replicò Barbari.
«La “U” rovesciata
è il segno del contorno della punta delle sue scarpe che si è evidentemente
sporcate di sangue nel compiere il delitto. Lei però nell’uscire
frettolosamente dalla porta ha impattato la punta delle scarpe, coperta da
sangue fresco della vittima, contro la parte inferiore della porta» Mi presi un
bicchiere d’acqua. Lo bevvi. «Il risultato è quel segno vicino alla porta,
lasciato dai contorni della scarpa a punta tonda e di sicuro del sangue
coagulato sui contorni della scarpa vicino alla punta non notati prima, in
quanto, essendo le sue scarpe marroni, il colore del sangue su di esse non si
notava in modo eccessivo.»
«E questo dovrebbe
rendermi colpevole? Quel segno vago che ricorda una “U” rovesciata, non l’ho
fatto io. E avrei potuto sporcarmi camminando qui no?.»
«Lo vedremo dalle
analisi sulle sue scarpe. Ma sono sicuro che il livello di coagulazione del
sangue presente sulla scarpa coinciderà con quello del petto della vittima,
ergo che sia il delitto, sia la macchia sulla scarpa sono stati fatti a
distanza di pochissimi secondi.»
«E che mi dice del
pugnale? Non ci sono impronte! Avrebbe potuto impugnarlo chiunque!»
«Ha usato un
panno, o meglio qualcosa di fragile e piccolo… diciamo qualcosa che si possa
distruggere senza sospetto con l’ausilio di un tritacarte! Lei ha usato un
foglio di carta per impugnare il pugnale, ha pugnalato Carla e le tracce
ematiche sono state rinvenute sul foglietto. Poi lei ha avuto la “brillante”
idea di distruggere quell’unica prova, sulla quale ci sono le sue impronte,
distruggendole nel tritacarte. Ma sono sicuro che se esamineremo il meccanismo
troveremo tracce di sangue all’interno e se ispezioneremo la spazzatura,
troveremo brandelli di carta con tracce ematiche. Allora, è sufficiente? Vuole
confessare?»
«E va bene» disse
con lo sguardo fisso a guardare il vuoto. «L’ho uccisa io, ma non era perché
aveva deciso di rifiutarmi e sposare quel cretino di Gardonia. L’ho uccisa
perché poco prima delle nozze era rimasta incinta di me. Quella donna è stata
capace di abortire senza dirmi nulla.»
«Cosa diamine
c’entra? Forse il bambino era di Riccardo, anche se ha commesso un grosso
sbaglio ad abortire.»
«No. L’unico
rapporto sessuale che aveva avuto era stato con me, una notte che ci
incontrammo in un bar del centro. La passione ci travolse e tradii Riccardo.
L’altro giorno, quando stavamo parlando a casa mia, mi ha detto con una
naturalezza stravolgente di aver abortito di un bambino che forse avrebbe
potuto essere il mio. Non mi pento di quello che ho fatto. La volevo togliere
di mezzo e l’ho fatto. Ha ucciso mio figlio, ma io ho ucciso lei e sono
soddisfatto!» concluse con il pianto rotto in gola.
Poi si sfogò con
rabbia. Diede dei calci al divano, ai ripiani, buttò il tritacarte e terra, ma
fu fermato da Ducato e da quelli della scientifica. Salutai Ducato e lo stesse
fece Flavio. Ritornammo a casa tra lo stupore generale.
CASE
14 – Il nuovo arrivo
Non era certo
facile parlare di qualcosa in quella situazione. Per me aborto è omicidio. Si,
lo è. Nessuno ha il diritto di togliere la possibilità di vita ad un'altra
persona,nemmeno se questa deve ancora venire al mondo, ma si sta lentamente
formando nel grembo di una donna, in questo caso troppo incosciente, che
dovrebbe amarlo più della sua stessa vita. Ero sconvolto. Eravamo tutti zitti
in macchina. Flavio ruppe il ghiaccio.
«Allora Alex,
sentiamo: Quando lo hai capito?»
«Quando ho visto
la macchia naturalmente.»
«Non raccontarmi
fesserie. Faccio questo mestiere da vent’anni ormai. Non puoi esserti convinto
per una macchietta. Dimmi la verità. L’avevi puntato non è vero?»
«No per niente, ma
forse quando cerchi di risolvere un caso, la persona che pensi sia la più
innocente di tutte è senza dubbio il colpevole. Non credi?»
«Certo certo,
senza dubbio ehi ma…»
Eravamo vicino
casa ormai. Ma i fari dell’auto, illuminando il buio appannante della sera,
aveva evidenziato una figura familiare agli occhi di Flavio.
Frenò l’auto senza
nemmeno parcheggiare bene e sia lui che Bianca scesero di colpo dall’auto.
«Fabio!» urlò
Bianca andandogli addosso e abbracciandolo. «Come stai?» gli chiese sempre più
euforica.
Anche Flavio andò
da lui e lo abbracciò calorosamente. Che Bianca avesse un ragazzo e non lo
sapessi? Avevo messo in conto questa possibilità. Anche Andrea era stranito.
«Fratellone, chi è
quel tizio?»
«Non ne ho idea
piccolo.»
Misi la testa
fuori dal finestrino. «Flavio, la parcheggio io questa?»
«Si, si dopo.
Adesso vieni qui, voglio presentarti mio figlio!»
Doveva essere il
famoso Fabio di cui avevamo parlato. Ora sì che era tutto chiaro.
Scesi dalla
macchina e strinsi la mano a Fabio. Il ragazzo mi disse di avere ventuno anni.
Di lui sapevo già che studiava medicina fuori, ma che adesso si era preso un
periodo sabbatico dagli studi e che sarebbe rimasto a coltivarli a Torino. Era
alto circa un metro e ottanta, magro, con un fisico aitante. Frequentava
sicuramente una palestra. I capelli, biondi lunghi fino a poco dopo le orecchie
e tenuti dietro di esse, gli davano un aspetto molto da ragazzino e poco da
uomo. Non aveva la barba.
«Molto piacere»
disse porgendomi la mano.
«Piacere mio
Fabio. Ho sentito molto parlare di te»
«Davvero? Be’ non
posso dire lo stesso. Con mio padre parlo sì e no trenta minuti a settimana!» e
scoppiammo a ridere. Il resto della serata passò abilmente. Entrati in casa
Fabio si fece una doccia calda come noi tutti e poi mangiammo una pizza in
cucina(grazie,forno a microonde) dopo una giornata decisamente piena di
sorprese. A tavola dialogammo del passato di Fabio. Scoprii che anche se era
studente di medicina e possedeva un’intelligenza molto schietta e sveglia, non
aveva mai avuto voglia di andare a scuola, ma si era diplomato con un buon
voto. Tuttavia il carattere di quel ragazzo mi sorprese. Era diverso da Flavio,
era diverso da Bianca. Affabile e socievole, sapeva ridere, scherzare, anche di
sé stesso. Lo vedevo leggermente ingenuo, ma se potevo attribuirgli questo
difetto io diciottenne in erba a lui, ventunenne
Studente,
figuriamoci cosa avesse pensato lui di me. Parlammo anche di me. Bianca spiegò
a suo fratello tutta la mia storia. Gli spiegò del Promesse Settore Detective e
di tutto il resto. Gli presentò Andrea, insomma ci conoscemmo meglio. Flavio
andò a dormire presto. Disse di avere delle pratiche urgenti da sbrigare.
Stessa cosa consigliai a Bianca e Andrea, dicendo che dei piatti ci saremmo
occupati io e Fabio che accettò senza tentennare.
Approfittai
dell’assenza di tutti per porre una domanda che avrei dovuto già fare se non a
Flavio, almeno a Bianca. E’ proprio vero quel detto che dice che se hai un
problema, è meglio parlarne prima con uno sconosciuto. Nel mio caso non era
proprio uno sconosciuto, e non era un problema, ma piuttosto una curiosità. Con
la luce tenue della cucina regolata ad uno, vicino al lavandino, con Fabio
indaffarato nel lavare i piatti e con me impegnato a riordinare, decisi di
provare a fare dialogo. Fabio mi sembrava più aperto del padre e meno timido
della sorella ed era ciò che faceva al caso mio. Non che volessi impicciarmi,
ma sapete com’è. Fare il detective significa constatare tutto. Ed io una cosa
l’avevo constatata. Dov’era la signora Moggelli? Da quando ero arrivato, avevo
visto solo Bianca e Flavio, ma non avevo osato chieder loro nulla per non
sembrare invadente ed inappropriato. Avrei voluto che il discorso venisse da
se, ma spesso vedevo Flavio sospirare, Bianca triste e non me la sentivo. Così
volevo provare ciò che avrebbe risposto Fabio. Con la tovaglia in mano io, con
i piatti in mano lui, cominciai lentamente a parlare.
«E così studi
medicina eh? »
«Sì, ma è molto
faticoso amico»
«Sì, lo immagino.
Tuttavia un po’ c’entra con il lavoro mio e di tuo padre no?»
«Se alludi a
veleni e cose varie tossiche, la risposta è sì.»
«Senti, ti
sembrerò inappropriato. Ma posso farti una domanda?»
«Spara»
«Ci tengo a
precisare che riguarda anche il resto della tua famiglia e volevo farla anche
prima a loro, ma non ho avuto il coraggio.»
Sorrise «E allora
perché ce l’hai con me?»
«Be’ perché non
sei né un quarantenne, né una ragazza che può metterti in soggezione. Insomma,
sono quasi tuo coetaneo e mi trovo più a mio agio. Inoltre ti conosco da poco,
quindi se vorrai mandarmi a quel paese, ci sarà tempo per intensificare i
rapporti visto che non ne abbiamo ancora uno»
Rise di gusto, poi
si tolse i guanti, venne al tavolo e si sedette.
«No, davvero
dimmi.»
«Non sei obbligato
a rispondermi eh?»
«Stai
tranquillo,dai dimmi»
«Ok. Sono qui da
un po’ visto il progetto di cui ti ha accennato tua sorella. Ho conosciuto
Bianca, ho stretto con Flavio, ora conosco te. Dov’è tua madre? Dov’è la
signora Moggelli?»
Il viso di Fabio
cambiò espressione. Da “guascone” un po’ truffaldino, divenne leggermente più
tenebroso e a tratti tenero. Lo sguardo si abbassò e la sua espressione
riconosceva un misto di tenerezza e di nostalgia.
«Be’, mia madre è
morta. E’ morta più di cinque anni fa»
Cambiai
espressione e faccia anche io.
«Oh Dio, mi
dispiace. Non ho parole per scusarmi, credimi. Scusami davvero, facciamo
finta…»
«No, no. Non devi
farmi alcuna scusa. E’ tutto a posto. Poi si supera»
Probabilmente non
era vero. Ma lo diceva per mostrarsi a suo agio
Si soffiò il naso.
«Morì parecchi
anni fa. Ma non chiedermi come. Quella è una cosa che papà tiene per sé. Quando
gli ho domandato ho rimediato due ceffoni. Oppure risposte vaghe come “è
successo”. In realtà non so cosa sia successo veramente. Una volta, quando eravamo
bambini, ci dissero che era malata da tempo.»
«E voi resistete?
Come fate a vivere nel dubbio?»
«Quando un
argomento fa male alle persone, è meglio lasciarlo stare. Troverai tutto ciò
che ti serve pensando che quella persona morta sarà sempre nel tuo cuore e ti
accompagnerà sempre.»
Era successo poche
volte, mi alzai e senza parole da aggiungere a quel bel pensiero, diedi una
pacca sulla spalla fraterna a Fabio. Me ne andai. Non avevo avuto la risposta
alle mie domande, ma avevo avuto una risposta che avrebbe spiegato tutto, solo
col tempo.
ANTICIPAZIONE EPISODIO 4: UN FALSO PROFESSIONISTA
Quanto è bella l'arte? Tanto, non è vero? Ma se in un circolo vizioso di sguardi, armi a doppio taglio e poche, davvero poche facce fidate si mescolano ambizioni, fame di gloria e poca voglia di aspettare ... l'arte lascia il posto ad un nuovo corso chiamato Orrore. Ma la distrazione a volte, può risultare fatale.
UN FALSO PROFESSIONISTA solo su questo blog a partire dal 10 settembre!
NON PERDETELO PER NESSUN MOTIVO!
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