IL MISTERO DEL SUPREMO
PROLOGO: Un delitto inspiegabile in un ristorante a cinque stelle. La vittima è un tizio che sedeva al tavolo di fronte ai nostri eroi. Nulla è come sembra, e spesso la logica viene sovrastata dall'odio umano. E quando sembra che hai sconfitto tutti, arriva chi ti mette con le spalle al muro!
CAPITOLO
I – Il Supremo
Il “Supremo” era,
seconda Bianca, “il ristorante più in voga a Torino negli ultimi tempi”. E
quando Bianca parlava, di solito nessun uomo le si metteva contro. Non che
fosse un mostro, intendiamoci, ma sicuramente aveva una dote che definirei
fondamentale per tutto quello che concerne una discussione. Sapeva argomentare
le sue tesi. Niente male per una ragazzina di diciassette anni. Flavio ultimamente
aveva un buon gruzzolo che gli affiorava nella casse. Sicuramente, il ciò non
era dovuto alla mia presenza, ma diciamo che c’era stato il “mare mosso” per
ciò che ne concerne i casi. Le questioni nei quali eravamo presenti sia io che
Flavio raccoglievano molti consensi. Flavio veniva elogiato in qualità di mentore
del progetto PSD, mentre io, ogni tanto ricevevo lodi a bizzeffe da qualche
funzionario di polizia. Era per questa ragione che io, Flavio, Bianca e mio
fratello Andrea ci eravamo accordati per andar a mangiar fuori e festeggiare
comunque la nuova popolarità che aveva investito l’agenzia investigativa del
buon Flavio. Non navigavamo nell’oro, ma sicuramente c’era una situazione
migliore.
«Buonasera
signori» una donna sulla cinquantina, con dei capelli rossicci, esordì così
seduta su una sedia posta dietro ad una reception color legno smaltato. «Avete
una prenotazione?»
«Certo signora.
Flavio Moggelli.» disse quest’ultimo sollevando gli occhiali da sole in stile
naif.
«Mi lasci
controllare. Flavio Moggelli, Flavio Moggelli … » disse scorrendo una lunga
lista compilata su un’agendina di pelle.
«Sì, ecco»
continuò. «Flavio Moggelli. Ore venti e trenta, tavolo trentatré. Le chiamo un
cameriere.»
Di fronte a noi,
piuttosto in fretta, si parò un giovane, probabilmente ancora studente, che si
manteneva facendo qualche lavoretto occasionale.
«Mi chiamo Dario.
E per questa sera sarò il vostro cameriere personale» Di certo, lo charme non
gli mancava affatto. Chissà quante prove aveva effettuato per essere così
convincente.
«Che bello!»
esultò Bianca, facendosi letteralmente brillare gli occhi. Vedevo mio fratello
confuso.
«Bianca, scusa.»
disse tirandola in giù per portarla al suo livello.
«Sì, piccolo? »
«Che significa
quello che ha detto quel signore?»
«E’ il nostro
cameriere personale. Significa che se per stasera avremo bisogno di qualcosa,
ci sarà lui ad occuparsene. Hai capito adesso?» disse carezzandogli le guance.
Andrea
semplicemente annuì. Dario, il nostro “cameriere personale”, ci accompagnò al
tavolo. Le tovaglie color arancio acceso e i centrotavola in legno rude,
conferivano all’atmosfera un aspetto decisamente caldo e familiare. Tutto ciò
naturalmente, non stonava con l’ambiente chic di quel posto molto, molto
gettonato.
Ci sedemmo. Di
fronte ad ogni postazione, c’era un menù, color rosso carminio, con lo stemma
del ristorante cartonato. In silenzio e senza dire una parola, Dario si defilò
e noi fummo liberi di esaminare accuratamente tutto il succulento programma
della serata.
Devo ammettere che
la fama di quel ristorante era ben che più meritata. Tutto ciò che popolava il
menù, erano piatti di altissima qualità. Dario tornò con le bottiglie d’acqua.
«Mi sono preso la
libertà di prendere del vino per i signori» esordì.
«Ha fatto
benissimo» lo incitò Fabio.
«La ringrazio
signore. Avete già deciso cosa ordinare o posso darvi una mano a scegliere?»
La cortesia di
quel cameriere era davvero esemplare. Da premio Oscar.
«Be’, se lei
volesse indirizzarci, non ne saremmo certamente scontenti» disse Flavio
esibendo il suo miglior sorriso.
«Bene, allora
facciamo così. E’ una pratica abbastanza diffusa in questo locale. Io le porto
nell’ordine i piatti più consumati dai clienti. Che ne dite?»
«Potrebbe
spiegarsi meglio?» dissi in tono autorevole.
«Certamente
signore. In pratica le verranno offerti tutti i migliori piatti del locale. Sta
a voi se accettare o meno.»
Decidemmo di
accettare. I piatti appetitosi erano molti e sicuramente Dario aveva buon
gusto. Di certo non avremmo rimpianto nulla. Nell’attesa di mangiare qualcosa,
furono serviti dei grissini e del pane. Flavio sorseggiò del vino, anche più di
un bicchiere. Continuava ad elogiarne le caratteristiche pregiate. D’altronde
ci avevano servito del Valdobbiene di Conegliano. Davvero niente male.
L’unica cosa che
non andava quella sera erano i vicini di tavolo. Vicino a noi, a tavolo
trentadue, erano sedute quattro persone. Tre uomini ed un’avvenente signorina
che erano impegnati a discutere animatamente a proposito di problematiche che
per loro probabilmente erano importanti. Parlavano del lavoro, del mondo in
generale, della crisi economica, e stando a quanto sentii, avevano opinioni
espressamente discordanti.
«Cosa diamine stai
dicendo? Non sai che l’inflazione è provocata dall’aumento dei prezzi? Non lo
sai che così si svaluta la nostra moneta?». Sicuramente, quell’uomo con la
giacca nera e la camicia a quadretti viola, stava degenerando. Per quanto mi
riguarda, forse era anche brillo.
L’avvenente
signorina invece cercava di rispondergli a tono, ma era evidente che
appartenevano a due caratteri diversi oltre che a due correnti di pensiero
completamente opposte.
«L’aumento dei
prezzi? Non dire sciocchezze! La verità è che siamo costretti a farlo per via
della nostra bassa produzione ed esportazione di prodotti made in Italy.»
Per quanto
riguarda gli altri due partecipanti al dibattito, più che due amici a cena,
sembravano due arbitri intenti a calmare qualche lottatore di wrestling. O
qualche politico a seconda dalle circostanze.
In particolare ce n’era
uno, con i capelli biondi pettinati in stile “paglia secca” che cercava di dare
ragione ad entrambi e che provava a calmare gli animi. L’altro invece, con gli
occhialetti da intellettuale,i capelli neri e la giacca color sabbia, se ne
stava in disparte cercando di carpire il più possibile dai due contendenti per
poi al fuoco, si scatena un incendio. Fu quello che accadde quella sera. Flavio
era particolarmente irritato dal fatto che ogni nostro discorso venisse
costantemente stoppato sul nascere dalle urla di quel tavolo.
«Ehi! Non potete
stare zitti?» disse con decisione.
L’uomo con la
giacca nera e con la camicia a quadretti si alzò dal tavolo con una grazia
senza paragoni(cogliete l’ironia, please) e rivolgendosi verso Flavio disse:
«Ehi, sottospecie
di spilungone. Stai zitto se non vuoi una ripassata di sganassoni!» che finezza
vero?
Il detective si
alzò dal tavolo e andò a mettersi faccia a faccia con quel burbero.
«Forse lei ignora
che siamo in un posto pubblico ed è buona educazione interloquire in silenzio.»
«Forse lei ignora
che sono in un ristorante non in una chiesa e che lei mi sta rovinando la
cena.» rispose sfacciatamente.
«Io le sto
rovinando la cena? E’ lei che sta discutendo con una foga senza pari!»
«E allora? Faccio
quello che voglio!»
«Non quando
disturba gli altri! Maleducato!» gridò Flavio.
«E chi lo dice?
Uno straccione? Guarda come vai vestito» disse afferrando la cravatta di Flavio
con disprezzo. «Dove l’hai presa questa? Al mercato delle occasioni? Guarda
qui» e così facendo fece un giro su se stesso.«Guarda la mia giacca. Persino i
bottoni sono firmati» affermò indicando una giacca nera con delle passature
sottopelle e dei bottoni color ocra, a dir la verità piuttosto pacchiani. Notai
che sui bottoni c’era un segno. Non so dire esattamente cosa fosse, ma
probabilmente, avrei giurato che si trattassero delle sue iniziali per quanto
fosse spocchioso.
Per poco non
arrivarono alle mani. La loro “piazzata” era stata udita da tutti i presenti e
noi, spettatori consci del diverbio, eravamo accorsi a separare i due uomini
prima che potesse finire male. Si sedettero di nuovo, ultimando la loro sfida
con uno sguardo di fuoco. Poi cominciò finalmente la cena.
Dario portò ben
tre portate di antipasti. Asparagi allo zabaione salato, barchette di invidia
ai formaggi e arancini di riso. Deliziammo il tutto. Ora capisco perché Bianca
aveva detto che quel ristorante aveva successo. Il servizio era impeccabile, le
portate pure e certamente il personale era il massimo dell’essere servizievoli.
Il resto della cena fu da rimanere estasiati. Servirono come primo un risotto
ai funghi davvero superbo. Come contorno assaggiammo un’insalata campagnola,
con prezzemolo, pecorino e peperoncino e ancora dei carciofi ai funghi.
Successivamente ordinammo dell’arista di maiale e dell’orata. La cena era stata
davvero super senza ombra di dubbio. Probabilmente lo sarebbe stato anche il
conto, ma per una volta non faceva nulla. Non eravamo abituati a mangiare tutte
le sere al ristorante. Da quando ero arrivato a casa Moggelli era la prima
volta. Di solito la sera si cucinava in casa o ci si arrangiava con pizza o
qualche panino. Non c’erano vizi particolari da parte di nessuno.
L’unica cosa che
probabilmente aveva stonato con l’incantevole ambiente e con il delizioso servizio
era stato l’insistente voglia di sopraffare tutti su tutto dell’uomo che pochi
minuti prima era quasi arrivato alle mani. I suoi amici erano sopraffatti da
lui, tutto quello di cui si parlava era ai suoi piedi. Pretendeva di aver
ragione su tutto. Non so come le persone che erano con lui lo sopportavano.
Fossi stato in uno di loro gli avrei già ribaltato qualche piatto sulla testa.
Era davvero irritante. Pretendeva che gli altri aspettassero lui per mangiare,
andava in bagno e ci stava mezz’ore intere. Si alzò quattro o cinque volte.
Chissà. Poteva soffrire di incontinenza? A parte questo era come se avessimo
cenato con quelle persone. Parlarono nell’ordine di cronaca nera, cronaca rosa,
politica, sport e affrontarono discorsi atipici come quelli riguardanti
mobilifici, computer, acquisti di immobili, armi, film. Insomma non ce n’era
per nessuno e più che un tavolo sembrava la sede di un talk show nel quale
tutti litigavano e tutti stupidamente pretendevano di avere ragione.
Il burbero del
tavolo accanto, chiamiamolo così, si allontanò ancora per andare in bagno.
Stessa cosa fecero altri due suoi amici. La signorina impugnava un telefonino
ultima generazione, uno di quelli che si vedono in televisione negli spot
pubblicitari più avvenenti con quelle modelle dalle curve aggraziate.
Al tavolo rimase
solamente l’uomo con i capelli biondo paglia. Sorseggiò del liquore, si guardò
attorno e si godette l’atmosfera del locale senza i suoi compagni come elemento
di disturbo.
«Come è stato
bello! Avete visto che avevo ragione? Questo ristorante è il migliore di Torino
attualmente!» disse Bianca carezzandosi i suoi lunghi e morbidi capelli neri.
«Già. Speriamo che
il conto non sia anche il più caro di Torino.» Flavio e la sua voglia di
divertirsi.
«Papà! Hai
mangiato, bevuto. Adesso pagherai! Non capita mica tutti i giorni di mangiare
in un ristorante così. Prendila come uno strappo alla regola, ok?»
«Beata gioventù!
Io alla tua età per guadagnarmi qualche soldino facevo sempre lavoretti in
tutta la città. Ho fatto il benzinaio, l’uomo sandwich, ho pulito persino le
scale dei condomini per guadagnarmi pochi spiccioli.»
«Sì, lo sappiamo»
intervenne Fabio.«Ci racconti questa storiella da quando eravamo piccoli. Non
credi che i tempi siano cambiati?»
«E’ cambiata anche
la moneta!»
Fabio mi guardò
con una espressione mista tra il tragico e l’esasperazione.
CAPITOLO
II – Le urla rotte dal pianto
In quella cena non
avevo parlato molto. Non so perché. Capitava a volte di sentirsi non male, non
bene. Una via di mezzo. Be’ quella sera di autunno non ero particolarmente in
forma. La mia gola era liscia come uno stridere di violini e anche tutto il
resto non era propriamente al massimo delle proprie possibilità.
«Federico!
Federico!» una voce assordante dal bagno degli uomini.
Inizialmente
nessuno ci fece caso. Forse qualcuno stava discutendo. La voce era quella del
signor “so-tutto” seduto al tavolo appena dietro a noi. Chissà, forse stava
impartendo qualche altra lezione, stupida, a qualche suo altro cagnolino.
Pian piano però le
parole divennero urla, il tono di voce fu rotto dal pianto e l’indubbia
spocchia del nostro amico sicuramente sfociò in un’umiltà mista al pentimento.
Mi accorsi che qualcosa non andava. Stessa cosa Flavio. Andammo di corsa in
bagno e in quella elegante quanto grande stanza trovammo di fronte una scena
veramente poco piacevole. Il signor so-tutto era piegato in ginocchio con i
capelli in disordine, il colletto della camicia mal piegata e la giacca
abbottonata e guardava in una delle porte con all’interno i sanitari. Corsi
subito verso di lui. Lo scansai senza ritegno e diedi un’occhiata. Davanti a me
si parò l’uomo del tavolo di prima, quello con gli occhialetti da intellettuale
e l’aria da furbetto malizioso, steso a terra, con un colpo di pistola al cuore.
Lo spettacolo fu agghiacciante. Era appoggiato con il braccio destro sul bordo
del water, mentre il sinistro giaceva a terra come tutto il corpo.
«Chiamate subito
la polizia! C’è un uomo a terra!» urlai. Flavio corse ad avvisare clienti e
maitre e così pochi minuti dopo arrivò al completo la consueta squadra omicidi
formata dall’ispettore Vincenzo Ducato, dall’agente Giuseppe Novato e da un
paio di agenti della scientifica.
Ducato esaminò il
corpo. I suoi guanti bianchi perlustravano ogni singolo centimetro del corpo
della vittima.
«Nulla da fare
signori. E’ morto. Novato. Chiama rinforzi alla centrale e chiedi altri due
agenti. Il maitre mi ha comunicato che ci sono circa trenta persone nel locale
attualmente e negli ultimi trenta inuti nessuno è uscito o entrato dal
ristorante. Il colpevole si trova ancora qui.»
Flavio si
intromise. «Ispettore, se vuole l’aiuto io a fare gli interrogatori. In due non
ce la faranno mai.»
«Be’, Flavio. Se
vuoi aiutarmi, accetto naturalmente.»
«Ma certo! Mi
aiuterà anche Alex, non è vero?»
«Guarda, veramente
io … »
«Mi aiuterai non è
vero?» chiese in tono più feroce.
«C-certo. Come
no?»
Non che non
volessi aiutarlo. Ma ero convinto che gli interrogatori servissero solo come
predisposizione alla risoluzione del caso. Negli interrogatori non c’è mai
nessuno che dice la verità. Ogni piccola bugia si trasforma in una(loro) grande
verità. E’ per questo che li consideravo, certo, ma sicuramente mi interessava
molto di più girare nei bagni ed assistere alle ipotesi della polizia. Che
farci? Dovevo attenermi a Flavio.
I rinforzi vennero
comunque. Cominciammo gli interrogatori. Bianca, Fabio e Andrea se ne stavano
in disparte in una hall del ristorante assieme alla receptionist e ai
camerieri.
«Vengo subito
Flavio»
«Dove vai? Non crederai
di aver finito qui vero?»
«No di certo.
Credo di aver perso il telefonino. Vado a cercarlo, torno tra un attimo.»
In realtà il
telefonino ce l’avevo eccome. Ma non ne potevo più di fare interrogatori. Avevo
già ascoltato la vita di tre-quattro presenti e non avevo notato nessuna
anomalia.
In realtà mi
diressi verso i bagni, anzi verso il bagno degli uomini. Entrai e dissi a
Novato:
«Allora scoperto
nulla?»
«Ancora no»
«Scusami. Vi siete
chiesti perché il cadavere non ha sangue attorno a sé?»
«Cosa vuoi dire?»
«Come cosa voglio
dire? Non vedi che intorno al corpo non c’è nemmeno una traccia ematica? E’
stato sicuramente pulito da qualcuno.»
«Ora che ci faccio
caso … hai ragione! Com’è possibile?»
«Il nostro
assassino ha ripulito le tracce.»
Ducato, sentendo
la conversazione ordinò ad un agente della scientifica di “provare il test del
luminol”.
Per chi non lo
sapesse, il luminol è una sostanza che spruzzata su di una superficie rileva
automaticamente delle tracce ematiche.
«Bella intuizione
ragazzo. Qui nessuno ci aveva fatto caso. Sai, ne vediamo di casi di questo
genere al giorno, una dimenticanza o una sbadataggine è più che concessa.»
Non dissi nulla.
Stavo pensando. Immerso nei miei pensieri. Come mai il killer si era
preoccupato di pulire le tracce ematiche attorno al corpo della vittima? C’era
sicuramente una ragione. Poi ebbi una sorta di intuizione. Forse una
colluttazione, o altro. Forse nel insieme al sangue della vittima si era
mescolato del sangue dell’assassino. E questa sarebbe stata una prova
inconfutabile. Ma come scoprire chi fosse? Premesso che io avevo una
convinzione che non mi si toglieva dalla testa fin dall’inizio di quella
storia. Per me l’assassino era uno di quei tre che erano seduti al tavolo con
lui. Non avevano alibi. Il signore con i capelli biondi, Nicola Griotti, era
stato seduto al tavolo tutto il tempo. L’avevo visto anch’io. La donna ,
Giovanna Mearoni, sosteneva di aver passato il tempo a chiamare una sua vecchia
amica nella hall del ristorante, ma quando i poliziotti chiamarono quel numero
non rispondeva nessuno. Claudio Borghetti invece, il mio terzo sospetto aveva
passato il tempo in bagno, a poche porte dalla vittima, ma non aveva udito
nulla. Segno che la pistola o qualunque arma da fuoco fosse, aveva inserito il silenziatore.Nessun
altra persona di quel locale aveva riconosciuto la vittima quando avevano detto
nome e cognome. Si chiamava Federico Araghini. Aveva trentasette anni, faceva
l’ingegnere e non aveva né figli, né moglie. Insomma, un ragazzo come tanti, un
laureato che forse viveva da solo. Tutti erano stati interrogati sull’identità
di questa persona. A tutti era stato chiesto se riconoscessero quell’uomo, ma
tutti avevano dato come risposta un secco “no”. Restavo però delle mie
convinzioni. Ragionai. Per asciugare il sangue non poteva aver usato dei
fazzoletti. Ne sarebbero serviti a bizzeffe. Forse aveva usato un panno
assorbente, un qualcosa di più spesso. Lasciai il bagno in fretta e furia e
andai al primo cestino della spazzatura. Parlai tra me e me. Speravo di trovare
qualcosa che potesse indirizzarmi.
E la trovai. Nel
fondo di un cestino strapieno(la mia solita fortuna)trovai due spugnette per
lavare i piatti. Non potevo prenderle a mani nude. Avrei rischiato di lasciarci
sopra le mie impronte. Se erano ciò che pensavo, forse eravamo a buon punto.
Ok, so cosa state pensando. Avrei potuto prenderle e farle esaminare.
Sicuramente sarebbero state trovate tracce ematiche e le impronte digitali di
chi naturalmente le aveva usate, ma il mestiere del detective non è questo. Al
limite è il mestiere di uno della scientifica. Il detective deve sovrastare la
scienza. Non deve fermarsi lì. Altrimenti sarebbe solo un tizio che gioca alla
caccia al tesoro, non vi pare? Probabile. Il detective deve prendere le prove ed
inchiodare l’assassino con le prove stesse, senza supporti scientifici, ma solo
con l’intelletto.
Ritornai in bagno,
presi in prestito due guanti da Novato. Tornai al mio posto e presi le due
spugnette riponendole in una bustina di plastica trasparente. Poi me la nascosi
nella giacca. Era piccola, quindi nella parte interna sarebbe stata bene.
L’avrei tirata fuori al momento adatto.
Intanto dovevo
capire come aveva fatto il killer a ferirsi. Se si era ferito nella
colluttazione forse aveva rimediato qualche ferita in bocca. Infatti nessuno
dei presenti, nemmeno uno tra i miei tre sospetti prioritari, aveva una benda o
segno di qualche ferita. Nonostante fossero stati perquisiti, nessuno aveva
visto nulla. I poliziotti li avevano trovati tutti puliti.
Conclusi che forse
la ferita si trovava in bocca. Tornai in sala. Incontrai Bianca e Fabio al mio
ritorno. Erano andati a fare compagnia a Flavio. Forse gli stavano addirittura
dando una mano.
«Dove cavolo eri
sparito?» mi chiese Flavio con la sua consueta e famosa gentilezza (cogliete
l’ironia anche qui per favore).
«Ehm … ero andato
a cercare il cellulare.» sorrisi come un ebete.
«Bene. L’hai
trovato? Dov’era finito? In Kazakistan per caso?»
«No, no che dici?
Era nel bagno. Lo avevo dimenticato sullo specchio»
Per il momento non
volevo rivelargli nulla delle spugnette.
«Sai, la polizia
ha notato che non ci sono tracce ematiche attorno al corpo della vittima»
«Che stai
dicendo?»
«Proprio quello
che ho appena finito di dire. Attorno al corpo della vittima non c’erano tracce
ematiche. Strano che nessuno ci abbia fatto caso. Sarà stato per la foga del
momento.»
«Vado a
controllare. Continua tu per favore»
«Ok»
Mi sedetti. Bianca
e Fabio mi guardarono con aria interrogativa.
«Dimmi la verità
Alex, hai trovato qualcosa, non è vero?» disse Bianca avvicinandosi con aria di
sfida.
«No, no cosa stai
dicendo? L’avrei detto a Flavio, non credi?» affermai esibendo un sorrisone.
«No. Non lo credo.
Mio padre ha sempre detto che hai la testa troppo dura. Sei ostinato e a volte
ti isoli dal mondo pur di risolvere un caso.»
«Ma no! Ha
esagerato. Tranquilla!»
Continuavano a
guardarmi con aria interrogativa.
«Sapete cosa vi
dico? Dovete farmi un favore ragazzi.»
«Spara» disse
Fabio.
«Continuate voi
qui gli interrogatori. Io devo … andare a … »
«Fammi indovinare»
esordì Bianca con ironia «devi andare a cercare l’altro telefono?»
«Eheh, be’. Hai
centrato .Io vado allora.»
«No, no! Aspetta!
Come si fa un interrogatorio?»
«Oh, questo è
facilissimo. Basta che tu chieda cosa facevano nell’intervallo in cui si è
consumato il delitto che per quanto ci riguarda è compreso tra le ventuno e
venti e le ventuno e cinquanta. Tutto chiaro? Prendi nota ed il gioco è fatto.
Poi ci penserà la polizia a valutare il tutto. A proposito. Dove sono i tre amici
della vittima?»
CAPITOLO
III – Trucco diabolico
«La signora è nel
bagno. La polizia l’ha fatta entrare anche se è quello degli uomini perché
voleva osservare il cadavere. Per quanto riguarda i due uomini. Be’, il signore
biondo l’ho visto parlare col maitre fino a due minuti fa, mentre l’altro è
seduto lì in fondo a guardare la tv»
«Bene. Voglio
vederla anch’io.»
«Eh?»
«Voglio vedere la
tv. Vado a sedermi vicino al signore.»
Non nego che mi
sentii un vero idiota, ma svelare le mie intenzioni in quel momento sarebbe
stato un suicidio investigativo.
Andai nella
direzione in cui era seduto il signore che circa un’oretta prima aveva litigato
con Flavio. Era seduto ad un divanetto di color arancio spento, quasi sul
marrone e guardava sulla pay-tv un programma di cabarèt.»
«Sa, sono anche i
miei preferiti.» esordì sedendomi vicino a lui.
«Davvero? Non
trovi siano rilassanti?»
«Già. Gradisce un
bicchiere di vino? Vorrei scusarmi per il mio amico prima. Aveva bevuto un po’
troppo. Mettiamoci una pietra sopra, le va?»
«Ma certo. Anche
se mi ha fatto davvero arrabbiare.»
«Lo immagino. »
Presi del Valdobbiene nel secchiello posto vicino a noi colmo di ghiaccio e
gliene offrì un bicchiere. Questo però accidentalmente mi scivolò dalla mano e
il “nobile liquido” si versò interamente sulla giacca del signore che aveva
detto di chiamarsi poco prima Claudio Borghetti.
«Oh! Che disastro!
Mi scusi, sono un incapace! Mi perdoni davvero!»
«Non preoccuparti.
Non l’hai mica fatto apposta?»
«Le do una mano a
ripulirsi, venga qui.»
«Non insistere, ti
ho detto di no»
. Ce l’avevo in
pugno. Il suo non voler farsi aiutare aveva fatto scattare la mia trappola. Una
persona che era stata così attenta a nascondere tracce ematiche, sicuramente
aveva avuto l’accortezza di cambiare “volto” ai suoi abiti.
Mi avvicinai al
suo orecchio e gli sussurrai queste parole.
«Dica la verità
signor Borghetti. Lei ha ucciso il suo allegro compare non è vero?» Parlai
pianissimo, attento a non farmi sentire.
Dalla sua, posso
dire che si limitò ad impallidire. E che trasalì in modo grossolano.
«Che cosa stai
dicendo?»
«Non faccia
l’ingenuo con me signor Borghetti. Sapevo fin dall’inizio che era stato uno di
voi tre. Ma sa perché ho teso la trappola per primo verso di lei? Perché prima
al tavolo ha parlato troppo. Ho notato che ne aveva di nozioni sulle armi. Non
le sarebbe stato difficile acquistarne una potente, dotarla di silenziatore e
sparare un colpo mortale al suo amico.»
«Sei uno stupido»
mi disse sempre sussurrando. Sai che non puoi incolpare qualcuno senza prove?»
«Già. Ma io so che
lei è colpevole. Io ho prove. Sia scientifiche, sia causali.»
«Non dire idiozie!
Non sono stato io.»
«Oh e invece sì,
signor Borghetti. Vede … a me piace paragonarla ad un bambino che ha mangiato
la cioccolata e con il viso tutto sporco continua a negare di essere lui il
“colpevole”»
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che
io ho tre prove contro di lei e che due di queste lei ce le ha addosso.»
Rabbrividì. Le
mani cominciarono a stringersi in un pugno. Gli occhi a perdersi nel vuoto.
Avevo fatto centro.
«Sono strasicuro
che è stato lei a ripulire il sangue attorno al corpo della vittima. Non è vero
signor Borghetti? Se non sbaglio le ho sentito dire che lei fosse andato in
bagno con la vittima e che poi una volta uscito abbia trovato il cadavere.»
«Sono andato in
bagno con Federico. E allora? Questa dovrebbe essere una prova?»
«No, ma sulle
spugnette che ho ritrovato nella spazzatura e che lei sicuramente ha utilizzato
per pulire il sangue attorno al corpo della vittima, ci sono sicuramente le sue
impronte ed il suo DNA visto che si è preoccupato di ripulire il sangue perché
per qualche motivo anche il suo sangue si era mescolato alla pozza della
vittima»
Sempre più
arrabbiato e con la voce rotta dall’anima tormentata affermò sfacciatamente:
«Tutto qui? Devo
ammettere che sei bravo, ma non basta.»
«Dinanzi alle sue
impronte digitali e alle sue impronte … lei nega? Lo sta che sta negando
l’evidenza? Guardi allora. Andiamo in bagno, si faccia qualche gargarismo …
vediamo se sputa saliva in modo normale o magari c’è del sangue. Non avendo
ferite evidenti sono sicuro che la vittima ha tentato di difendersi e che l’ha
colpita in modo violento sui denti. Lei ha commesso il delitto e come gesto di
stizza ha sputato sul pavimento non è vero? Poi si è reso conto di aver fatto
una sciocchezza, è andato in cucina passando dalla porta secondaria ed ha
prelevato una di quelle spugnette per lavare i piatti o forse se l’era già
portata, non so dirglielo. Ha asciugato il tutto e poi ha buttato nella
spazzatura. Sappia che l’ho recuperato.»
«Bravo, bravo»
disse in tono di sfida.
«E guardi i suoi
abiti. Crede che non mi sia accorto che la giacca che indossa ha bottoni
diversi? Quelli erano griffati, questi all’interno sono semplici. Anche la
camicia si è cambiato. Scommetto che prima di commettere il delitto se l’è
rivoltata insieme alla giacca per paura di macchiarsi. Non si è macchiato, ma
non ha avuto il tempo di cambiarsi perché ha gridato “al lupo” troppo presto»
«Devo farti i
complimenti. Sei molto intuitivo per essere un poppante»
«E sa perché le
sto dicendo tutto questo? Perché lo sto dicendo a lei e non alla polizia?»
«Dimmi»
«Perché mentre io
ho espresso come è andata e mentre lei ha confermato, il mio telefonino aveva
il registratore inserito.» dissi sfidandolo con lo sguardo ed estraendo il mio
Samsung dalla tasca.
«Maledetto!» si
alzò e mi diede uno spintone e cominciò a correre.
Fabio, Bianca,
Andrea ed il resto della gente guardava stupita la scena. Nessuno aveva udito
la conversazione. Avevamo parlato sotto voce uno vicino all’altro ed io avevo
avuto per tutto il tempo il registratore inserito nella tasca interna della
giacca.
«Prendetelo!
Fabio, non lasciarlo sfuggire!»
Fabio si mise
effettivamente contro Borghetti, ma la stazza dell’uomo, più largo che lungo
fece in quell’ambito la differenza. Diede un violento spintone al ragazzo che
crollò a terra. Bianca tentò di lanciargli il giocattolino che Andrea teneva in
mano. Era di plastica e lo prese di striscio. Stava per uscire, quando, come in
un film, Flavio ed il suo tempismo presentarono l’arduo conto della giustizia.
Moggelli gli si
lanciò contro e lo placcò in stile football sussurrandogli qualcosa di strano
all’orecchio. Lo tenne fermo finché Novato non venne con le manette pronte. Era
accorsa anche la scientifica. Mi avvicinai.
«Dimmi, un po’
ragazzino. Come hai fatto a sapere che ero stato io? Come mai hai teso quella
trappola per primo a me se avevi tre sospetti?»
«Impari, signor
Borghetti. Spesso, chi parla tanto si tradisce. Il discorso dell’arma c’entra
solo in parte, Ho visto che lei aveva tanta competenza su quell’argomento. Ma
la cosa che mi ha fatto scattare la molla per tenderle la trappola è stato il
fatto che tutti parlavano con qualcuno, tutti erano agitati. Tutti tranne lei
che ha avuto la freddezza di guardare un programma di cabarèt dopo una tragedia
del genere.»
Consegnai la busta
con spugnette alla scientifica. Dissi loro che sarebbe stato meglio esaminare
la bocca del killer per avere la certezza che la ferita fosse interna.
«Hai fatto a
capoccia tua un’altra volta. Il bello è che non posso nemmeno rimproverarti
perché hai risolto il caso da solo.»
«Capita.»
«Già. Bravo,
davvero niente male. Ora possiamo andare»
«Papà! Il conto!»
Disse Bianca massaggiando la spalla di un Fabio dolorante.
Il maitre porse il
conto a Flavio che per tutta risposta pagò con un’espressione da pesce
merluzzo. Non vidi mai quel conto, ma doveva essere abbastanza salato per
fargli fare quello sguardo.
ANTICIPAZIONE EPISODIO 6(New entry di un personaggio importante per la trama principale): Può una tranquilla famigliola di città, tramutarsi da modello di vita e di ispirazione, a gruppo di killer? La risposta è semplice. Per Alex Fedele, tutti possono commettere un reato. Anche quando non sembra tale, la bravura del detective, sta nell'individuare dettagli, che alla fine, possono rivelarsi letali!
ALEX FEDELE EPISODIO 6: IL MALATO
Solo su questo blog a partire dal 24 Settembre! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta qui e dimmi che ne pensi!