IL
MALATO
Note: New entry di un personaggio determinante nella seconda stagione: Maria Grazia Losti
CAPITOLO
I – La visita
La Fiat Croma di
Flavio aveva un po’ di anni. Mi aveva detto in una chiacchierata di averla
comprata già usata circa cinque anni prima. Non era male come auto. Di sicuro,
non era un auto da detective, ma almeno sapeva portarci in giro. Quel giorno
freddo ed umido di autunno nessuno aveva voglia di uscire di casa. Bianca doveva
terminare il suo libro poichè il giorno dopo lei e le sue amiche del club della
lettura ne avrebbero parlato, Andrea si stava perdendo il suo programma
preferito, mentre io onestamente pensavo di passare il pomeriggio a fare le
parole crociate. Quantomeno allenavano la mente. Furbo erano stati Sergio e
Fabio. L’assistente aveva esplicitamente detto che avrebbe passato il
pomeriggio a riordinare le carte dello studio investigativo. In quanto al
figlio di Flavio, mise come scusa il fatto di dover lavorare ad una relazione
sulla medicina o quant’altro. Non capii bene. L’unica cosa che capii è che si
stava arrampicando sugli specchi. Ma quando un padre sente la parola “studio”
accollata a “figlio”, allora puoi chiedergli anche il mondo e ti accontenterà.
Anche mio padre era così. In fondo, lo sono un po’ tutti i genitori.
Il motivo per il
quale ci eravamo vestiti di tutto punto e ci stavamo dirigendo in Via Po, era che
Flavio qualche giorno prima, aveva ricevuto via posta elettronica una mail di
una sua vecchia amica, che lo aveva invitato per un motivo particolare. Suo
padre. L’uomo infatti era malato da tempo e stando a quanto affermava la mail
non gli rimaneva molto tempo da vivere, a causa dei continui attacchi
epilettici. Flavio, cresciuto a contatto con quella famiglia, non se l’era
sentita di rifiutare l’invito. Così, ci trascinò anche noi nella sua visita. Su
noti social network, aveva chattato con questa vecchia amica e le aveva
accennato il fatto di aver avuto una figlia e di avere uno “sconosciuto dentro
casa”, che poi sarei io. La signora si era appassionata alla storia e così
voleva conoscerci entrambi. So cosa
state pensando. Sì, Flavio sapeva usare un computer. Dall’aspetto e dai modi di
fare non si direbbe, ma devo dire che ci sapeva fare. Non era un genio, ma
avevo decisamente visto di peggio.
«Allora papà, come
hai conosciuto questa tua vecchia amica?»
«Be’, Bianca.
Quando eravamo bambini vivevamo nella stessa strada. Eravamo vicini di casa e
così ogni pomeriggio andavamo a giocare insieme. Pian piano è nata un’amicizia»
«Ma lei quanti
anni ha? Come si chiama? Non ci hai detto ancora nulla!»
«Ha la mia stessa
età. Si chiama Maria Grazia e fa la disegnatrice di interni.»
«Uao!»
«Puoi dirlo forte.
Ha avuto proprio una bella carriera e francamente sono contento per lei. Fin da
quando eravamo mocciosi, ha sempre avuto la passione per il disegno.»
«Dimmi un po’»
intervenni «da quanto tempo non vi vedete?»
«Domanda
difficile. Sono sicuramente molti anni. Conta che l’ultima volta che la vidi fu
in occasione della festa per la sua tesi di laura. Si è laureata circa dieci
anni fa … quindi direi che è da quell’occasione che non la vedo più.»
«Accidenti! Come
fanno due persone che vivono nella stessa città a non vedersi per più di dieci
anni? Non vi siete mai incontrati nemmeno per caso?» disse Bianca.
«No. Ma il fatto è
che lei non ha vissuto sempre qui. Dopo la laurea ha avuto l’opportunità di
andare a fare degli stage in Giappone. Così si è trasferita a Tokyo per circa
tre anni. Un giorno mi chiamò e mi disse che stava mangiando sushi. E poi ha
attraversato mezzo mondo. Il mestiere di designer è molto impegnativo, anche se
devo dire che c’è pochissima gloria.»
«Già. Com’è
fisicamente papà?»
«Bianca, questo è
il colmo. Un investigatore privato soggetto ad un interrogatorio»
«Non è mica un
interrogatorio? Sto solo cercando di fare un po’ di conversazione. Come sei
suscettibile!»
«Io suscettibile?»
«Già. Ho diciassette
anni. Potevo anche rifiutare di venire con te. Non sono più una bambina e
onestamente pensavo di passare il pomeriggio a leggere la parte finale del mio
libro. Domani avrei dovuto parlarne al club di lettura della scuola.»
«Uh, quante storie!
Quante pagine ti mancano?»
«Circa settanta»
«Scusa ma che libro
è Bianca?» sussurrò Andrea in modo dolce.
«”Cime tempestose”»
«Cime cosa … ?»
«”Cime tempestose”
piccolo. E- un capolavoro di Emily Bronte»
«Emily chi?»
«Lascia stare» gli
disse sorridendo.«Capirai quando sarai più grande»
«Meglio di no
Andrea» gli dissi guardando Bianca con ironia.
«Cosa vuoi dire?
Che forse non è un buon libro?»
«Sicuramente è un
buon libro … per suicidarsi all’istante» e scoppiai in una risata. Bianca dal
canto suo rimase impassibile, con lo sguardo che mi scrutava con diffidenza.
«Ma cosa volete
capirne voi ragazzi di queste cose? “Cime tempestose” è un capolavoro senza
eguali nel mondo della letteratura.»
«Non dico che non
sia un capolavoro. Dico solo che per un maschio, il tuo libro potrebbe
rivelarsi, ecco … come dire … noioso?»
«Guarda che ci
sono maschietti molto più sensibili di te, Alex»
«Senza dubbio. Ma
forse ce ne sarà uno su un milione che apprezzerà quel libro»
«Umpf!» sbuffò
facendo la faccia delusa.
«E dai, non ti
arrabbiare. Stavo scherzando» le dissi guardandola negli occhi.
«D-davvero?».
«Certo. E’
sicuramente un libro che si è consegnato alla storia come capolavoro. Fa parte
di quei libri difficili da leggere però. Ed è per questo che non tutti possono
apprezzarne la stesura»
«Esatto» disse
sorpresa «Non sapevo fossi esperto»
«Ed infatti non lo
sono. In vita mia se ho letto “La gabbianella e il gatto” è anche tanto» dissi
sorridendo.
«Come? Un
detective come te? Mi aspettavo avessi letto fior fiori di gialli!»
«Be’ naturalmente
ho escluso i libri gialli. Ancora oggi li mastico alla perfezione. Eppure li ho
letti milioni di volte.»
«Non capisco cosa
ci troviate. Insomma … ce l’ho anche con mio padre, appassionato di quei libri
gialli di Arthur Conan Doyle.»
«Doyle, Christie,
Allan Poe … sono maestri unici nel proprio genere. Il loro modo di raccontare
vicende è inimitabile. Il loro fiuto è impareggiabile.»
«Sarà … Ma io non
capisco ancora cosa ci troviate»
«Mettiamola così.
E’ come una partita a scacchi»
«Cioè?»
«Tu quando giochi
a scacchi devi usare il cervello. E’ faticoso, ma devi farlo. Be’, una buona
opera gialla è una sfida del giallista al lettore. Sta a te che leggi il libro
scoprire l’assassino. E citando qualcuno sicuramente più autorevole di me … un
libro che si appresta ad essere riletto è proprio il giallo. Prima puoi
divertirti a scoprire gli indizi. Successivamente puoi riviverlo con le viscere
di un assassino.»
«Come sei
profondo! Devo dedurre che abbandonerai l’aspirazione di detective per
dedicarti alla filosofia? Forse devo smettere di farti da mentore?» affermò
Flavio guardando all’indietro.
«No di certo»
dissi ridendo.
«Comunque» disse
Flavio «questo appuntamento per me è molto importante. Maria Grazia è una
vecchia amica. Comportatevi bene mi raccomando.»
Il viaggio in
macchina durò circa venti minuti. Scesi dall’auto ci ritrovammo di fronte ad un
appartamento in pietra, uno di quei vecchi mattoni che erano stati posati dopo
la seconda guerra mondiale. All’apparenza sembrava un rudere, ma probabilmente
chi ci abitava aveva le idee chiare e l’aveva arredata secondo i propri gusti.
Suonammo il citofono e ci risposero subito. Procedemmo quindi in un piccolo
cortiletto con il suolo in pietra, pieno di sassi e da qualche pezzo di erba verdognola.
«Flavio!» una
signora con i capelli neri corvini e che li teneva raccolti in un acconciatura
particolare ci venne in fronte salutando Flavio. Doveva essere Maria Grazia.
«Maria Grazia! Da
quanto tempo! Come stai?» fece Flavio abbracciandola calorosamente.
«Tutto bene, tu?
Vi prego entrate!»
Entrammo in una
sorta di corridoio esterno sempre fatto di pietra e, quando eravamo entrati in
una porta di mogano che stava sulla superficie di un palazzetto interno, ci
ritrovammo di fronte una scala a chiocciola.
«Prego salite, ma
state attenti a non cadere mi raccomando»
La scala a
chiocciola dava su un locale abbastanza ampio, pavimentato da parquet. Era un
salottino con un’ampia vetrata sulla parte ovest della casa. C’era un camino,
un divano rosa e delle poltrone dello stesso colore. Ad adornare il tutto,
dipinti presi ad un discount, lampade ad altezza umana e televisione di non so
quanti pollici.
CAPITOLO
II – Maria Grazia
La signora Maria
Grazia, che avevo appena scoperto far di cognome Losti, fu una padrona di casa
essenziale ed esemplare. Non esagerò davvero in nulla. Sorseggiammo del caffè e
mangiammo alcuni biscottini.
«Allora» disse
sollevando la bocca dalla tazzina di caffè e aguzzando lo sguardo «non mi
presenti i tuoi ragazzi?»
«Oh si, certo.
Questa bellissima fanciulla è mia figlia Bianca. Ha diciassette anni, mi
somiglia molto vero?»
«Papà! Scusatelo
signora, a volte esagera con i complimenti».
«Non è questo il
caso Bianca. Sei davvero bellissima. Assomigli a tua madre. Lei era un fiore».
«Davvero signora?
Lei conosceva la mamma?».
«Altroché. Quando
eravamo piccolini giocava anche lei con noi e già da allora si intuiva che
qualcosa sarebbe sbocciato con tuo padre» disse sorridendo maliziosamente.
Lo sguardo di
Bianca si illuminò. Avevo studiato quella ragazza negli ultimi tempi. Mi era
sembrata davvero straordinaria. La sua dolcezza nel fare le cose, nel rimediare
a piccoli disordini quotidiani della vita,mi aveva davvero stupito. Il mistero
della signora Moggelli non era ancora stato risolto. Sapevo che era deceduta,
ma non sapevo le circostanze, né i modi in cui era accaduto. Non che volessi a
tutti i costi saperlo. Ma parliamoci chiaro, non avrei mai voluto che un giorno,
un discorso diverso dal solito tra me ed uno dei componenti di quella famiglia fosse
degenerato magari per vie a me sconosciute. Avevo provato ad accennare qualcosa
a Bianca. Ma forse non capiva o faceva finta di non capire. Non ve lo so dire.
Tutto quello che vidi in quel pomeriggio freddo e umido fu che lo sguardo di quella
ragazza, così bella, così fragile ma al contempo forte, divenne assolutamente
pieno di gioia e colmo di un rancore mai svelato agli altri.
«E chi è quel bel
ragazzo che sta affianco a tua figlia? E quel bambino?» disse Maria Grazia.
Arrossii. Non ero abituato a ricevere complimenti. Ok, non ero un mostro
chiariamoci. Ma nella mia vita la sezione “donne” era rimasta chiusa ed intonsa
dai peccati per un bel po’ di tempo e ricevere anche un solo “bel ragazzo” da
una donna così affascinante mi rendeva fiero ed imbarazzato allo stesso tempo.
«Quello è un
nostro amico. Si chiama Alex. E’ venuto a vivere da noi per un po’ per il PSD,
quella cosa della quale ti accennavo via chat, ricordi?».
«Certo, il corso
per detective».
«Esatto. Per
quanto riguarda quel bambino, si chiama Andrea ed è il fratellino di Alex»
«Salve signora»
salutò educatamente mio fratello.
«Salve piccolo!»
gli rispose sorridendo.
«Mi pare di capire
che non ti senta mai solo? Non ho ragione Flavio?» disse la donna.
«In effetti no.
Diciamo che siamo molto movimentati, ma d’altronde il lavoro di un detective è
questo»
Nel mentre che
stavamo parlando, dalla porta situata alle nostre spalle sentimmo una voce
maschile, decisamente rauca.
«Maria, allora
Flavio è arrivato?»
«Certo è qui!»
Flavio si alzò di
scatto e andò incontro all’uomo.
«Tu sei Riccardo!
Quanto tempo!»
«Flavio, lasciati
abbracciare!»
L’aspetto
dell’uomo sembrava da vero duro. Aveva una sorta di amplesso rude che lo
contraddistingueva. La barba lunga ed incolta che portava ed i capelli rasati
gli conferivano un aspetto decisamente poco raccomandabile, ma forse era solo
una stupida sfaccettatura dell’essere detective.
«Come stai? Che
fai adesso?»
«Sto bene Flavio.
Lavoro per un’azienda agricola. Faccio il supervisore biologico.»
«Capisco. Guarda
come ti sei fatto grande! E pensare che quando ti conobbi avevi solo sette anni
in meno di noi. Eri un bambino.»
«Cosa succede? C’è
papà di qua che … Flavio!» affermò affacciandosi dal bordo della porta una
donna sulla trentina con lunghi capelli castani e profondi occhi verdi. «Sei
proprio tu! Che bello vederti!» E corse ad abbracciarlo.
«Oh cavoli! Sei
diventata bellissima anche tu! Maria Grazia, mi sa che stiamo diventando
vecchi!» disse facendo girare su stessa tenendo per mano la ragazza.
«Ti ricordi di me
vero? Sono Patrizia!»
«Certo che mi
ricordo di te! Come quella volta in cui i tuoi genitori andarono a fare la
spesa e ci lasciarono a casa da soli. Tu avevi solo tre anni e passai tutto il
pomeriggio a giocare con te. Mi presi una ripassata di sganassoni da mia madre,
ma non mi importava.»
Patrizia rise di
gusto, poi gli altri due si accomodarono con noi per bere una tazza di caffè.
Fatte le relative presentazioni che si rispettino,Flavio trovò l’audacia di
cambiare argomento(insomma, quello attuale non era proprio esaltante, parlavamo
di concime e cose varie, vi lascio immaginare).
«Dove sono i
vostri genitori ragazzi? Voglio salutarli»
«Be’» disse
Riccardo. «Papà è a letto. Credevo sapessi fosse malato.»
«Sì, purtroppo lo
so. E vostra madre? Che bella donna! Una madre di famiglia esemplare.»
«Purtroppo mamma è
andata via qualche anno fa per un incidente stradale» disse Patrizia.
«Oh, mi dispiace.
Scusatemi, io non sapevo.»
«Non fa nulla. Non
te l’ho detto in chat perché mi sembrava inopportuno dirtelo in quella
circostanza.» affermò Maria Grazia aggiustandosi l’acconciatura tenuta ferma
con un mollettone.. Poi continuò. «Capiamo il tuo dolore. Il nostro ha la
stessa intensità. Mia madre era una donna straordinaria.»
«Altroché. In
cucina era una draga, nelle faccende un’esperta. E che dire poi di come
prendeva la vita? Aveva sempre il sorriso sulle labbra. Mi dispiace
infinitamente, davvero. Una madre da cui prendere esempio.»
«Già, era unica»
disse Riccardo non riuscendo a nascondere una lacrima.
«Basta con questi
discorsi tristi» disse Patrizia sorridendo solo parzialmente. «Mentre parlate
d’altro, vado a controllare come sta papà». E così facendo uscì dalla stanza
lentamente.
Nella salottino si
faceva conversazione, o almeno ci si provava. Saggio è chi dice che quando si
mette in mezzo un argomento delicato è meglio scappare. In quella stanza si era
instaurato un clima decisamente pesante. Non c’era tensione, direi che il
sentimento che prevalesse fosse l’imbarazzo. La perdita di un genitore è come
un colpo al cuore. Può ucciderti o no. Ma la cosa peggiore è che può portarti
ripercussioni per tutta la vita. Ed in ogni piccolo gesto, in ogni piccolo
sforzo accuserai il dolore provato quella volta, la prima. Quella volta che,
bello e in piedi su un piedistallo d’amore hai subìto un attentato che ti ha
praticamente sbalzato fuori dagli schemi.
Nel bel mezzo dei
miei contorti ragionamenti mentali, che spesso sfociavano in veri e proprio
enigmi costruiti da non so chi, le persone che partecipavano all’amabile quanto
imbarazzante conversazione furono richiamati da alcuni versi strani e da
qualche urlo di Patrizia.
«Oddio papà!
Papà!» continuava a ripetere. Subito sia Maria Grazia che Riccardo si alzarono
mentre noi francamente non sapevamo come comportarci e rimanemmo immobili con
lo sguardo perso. Fu solo dopo alcuni secondi che trovai la forza di alzarmi e
di andare a vedere cosa stesse succedendo nella camera del signor Losti. Lo
spettacolo non fu gradevole. Il signor Losti soffriva sicuramente di una
malattia che era conosciuta come epilessia. Il signor Losti, un uomo anziano,
con le tempie imbiancate e con un fisico minuto era a terra in preda a delle
convulsioni violentissime che lo facevano sbattere violentemente al suolo. I
movimenti dei muscoli erano ampi e veloci e gli occhi si erano completamente
girati all’indietro. L’uomo continuava a soffrire imperterrito al suolo con i
suoi figli che tentavano di avvicinarsi per salvare il salvabile ma che
sembravano inetti di fronte a quella spiacevolissima circostanza. Flavio era
dietro di me e stava osservando anche lui ad occhi sbarrati. La crisi si
concluse dopo circa un paio di minuti che parvero davvero interminabili. L’uomo
era ancora inerme al suolo. Aveva saliva e muco vicino alla bocca, caratteristica
comune a quel tipo di crisi epilettica.
Tutti e tre i
figli sollevarono loro padre a fatica e lo rimisero nel letto curandolo e
medicandolo come era dovuto. Provavo profonda pena per quell’uomo. Insomma, chi
non avrebbe provato pena guardando quel triste spettacolo? Solo un mostro.
Dopo circa
quindici minuti tornammo nel salotto.
«Da quando vostro
padre è malato?» chiese Flavio a Maria Grazia.
«Ormai sono più di
sette anni».
«E’ molto tempo. E
ha queste crisi da molto?».
«Be’ le crisi
fanno parte dell’epilessia. Le ha da quando è malato. Ma ultimamente ha
aumentato la frequenza. Prima ne aveva una o due al mese. Adesso purtroppo ne
ha almeno due alla settimana»
«Il medico che
dice?»
«Il medico ha
prescritto alcune medicine … ma sembrano impotenti».
«Capisco. Be’ mi
dispiace enormemente per vostro padre. Anche lui, come vostra madre, è sempre
stato un uomo dalle mille risorse. Ricordo che quando eravamo piccoli lavorava
tutto il giorno nei campi».
«Già. Mio padre è
molto speciale». Disse Riccardo.
«Verissimo. Una
volta io e tua sorella» continuò Flavio «combinammo un guaio. Rompemmo il vaso
preferito di vostra madre giocando a palla. Eravamo piccolissimi, credo non
avessimo più di cinque anni. Vostro padre si prese la colpa al nostro posto. Fu
un mito in quella circostanza».
«Be’ sarà meglio
che vada a dargli la sua medicina» disse Riccardo.
Onestamente tra i
tre sembrava indubbiamente il più premuroso dei fratelli. Ma se si potessero
quantificare le doti di una persona solo mettendo in esame il loro carattere,
ci sarebbe un mondo migliore. Pensateci. I buoni sarebbero buoni e da quelli
scorbutici andrebbero tutti a farsi friggere. Al mondo però, ci sono molte
pecore travestite da leone.
Riccardo uscì
dalla cucina con un vassoio. Su di esso, un bicchiere di vetro ed una scatola
di farmaci dal colore arancione.
«Aspetta» disse
Maria Grazia.«Fammi vedere se gliel’hai sciolte come si deve». La donna afferrò
il bicchiere dall’alto, facendoselo passare da Patrizia che quasi non lo
rovesciava.
«Ahi! Tutto bene»
disse toccandosi il pollice destro. Non ci avevo fatto caso era fasciato.
«Cos’ha fatto lì
signorina?» le chiesi.
«Mi sono tagliata
l’altro giorno mentre tagliavo le verdure a tocchetti. Sono proprio
un’imbranata».
«E’ molto
profondo?».
«No Alex, nulla di
grave» rispose con un sorriso.
Servirono anche
dei pasticcini al cioccolato quel pomeriggio. Mio fratello ne mangiò un paio.
Tutti ne assaggiammo uno.
«Riccardo, non
posso offrirteli. Sei allergico al cioccolato vero?» gli chiese Flavio
«Uao! Ricordi ancora?
Stupefacente!»
«E tu Patrizia?
Non ne prendi? Sono buonissimi!»
«No, no. Ho appena
deciso di mettermi a dieta» disse la donna appena tornata dal bagno.
«Ma se ieri ne hai
mangiati almeno dieci! Su, non fare la timida» disse intervenendo Maria Grazia.
Mi costava
ammetterlo, ma la signora Maria Grazia era riuscita con la sua classe, il suo
bohemièn, i suoi modi di fare da perfetta padrona di casa, a farmi dimenticare
la mia precedente spossatezza pomeridiana. Volevo stare in casa quel giorno, ma
devo dire che Maria Grazia stava mettendo a nostro agio tutti noi. Parlava
amabilmente con Bianca, le dava consigli che le facevano illuminare gli occhi.
Coccolava Andrea, intratteneva Flavio con una conversazione da vecchia amica
mescolando ricordi ad aneddoti ed era gentile anche con me.
«Papà! No! Non mi
lasciare papà!» la voce di Riccardo fu più efficace di un allarme antincendio.
Balzammo in piedi e ci avventurammo nella camera del signor Losti. Il povero
malato era chinato in avanti, aveva degli spasmi, dei movimenti che forse
stavano ad indicare la volontà di liberarsi da qualcosa, da divincolarsi da un
male. Poi cadde all’indietro e sbatté la testa violentemente sul cuscino.
Teneva le mani strette attorno alla gola.
CAPITOLO
III – Non è per malattia
I tre figli
urlarono all’unisono «papà!» cercando di smuoverlo. Flavio si avvicinò. Tastò
il polso del signor Losti e guardando Maria Grazia con gli occhi velati dalle
lacrime più buie della sua carriera scosse la testa. Ebbe la grande classe di
allontanarsi. Riccardo si fiondò a piangere come un bambino sulla pancia di suo
padre, appena deceduto. Patrizia voltò lo sguardo al cielo, mentre Maria Grazia
rimase inerme, ferma a fissare il vuoto.
«Vado a chiamare
un medico» disse Flavio.
«Flavio» lo
chiamai amareggiato.
«Chiama anche la
polizia»
«Cosa?»
«Chiama Ducato e
la squadra omicidi»
«Vuoi dire … ?»
disse Bianca accennando ad una frase.
«Sì. Forse siamo
davanti ad un omicidio»
«Cosa diavolo stai
dicendo? Non è ora di giocare al detective, imbecille!» disse Flavio.
«Non sto giocando
Flavio. Convoca la squadra omicidi, per favore».
Non so come ci
riuscii, ma alla fine Ducato, seguito da Giuseppe Novato e da alcuni agenti
della scientifica arrivarono in quella casa. Con loro, quasi in contemporanea,
anche il dottor Archimede Basetta.
Il medico analizzò
immediatamente il corpo.
«Sì, non c’è
dubbio signori» disse dopo un esame togliendosi i vistosi occhiali. «Si tratta
di un rarissimo caso di attacco epilettico ritardatario. Ditemi, la vittima ha
avuto un attacco poco prima del decesso?»
«Sì, circa una
ventina di minuti prima» rispose Maria Grazia.
«E’ tutto chiaro.
Vostro padre non è stato benedetto dal cielo. L’epilessia ritardataria è più
unica che rara. In pratica vostro padre scientificamente e biologicamente
doveva morire al primo attacco avvenuto. Ma non so come, è venuto fuori che ha
avuto una riacutizzarsi dell’attacco, che stavolta gli è stato inevitabilmente
fatale. Mi dispiace ragazzi».
«Papà!» disse
urlando e piangendo Riccardo. Di sicuro era il più emotivo.
Mentre Patrizia
parlava e discuteva di possibili diagnosi con il dottor Basetta, l’ispettore
Ducato si avvicinò a noi e disse, evidentemente scocciato.
«Be’? Perché avete
contattato noi? La morte è stata naturale no? Flavio, voglio una spiegazione!»
disse irritato.
«Lei vuole una
spiegazione? Dovremmo chiederle insieme a questo signorino» disse indicandomi.
«E’ lui che mi ha tormentato a contattarvi».
Ducato si avvicinò
con passo solenne.
«E’ vero quello
che dice?» mi chiese.
«Sì ispettore».
«Ora rispondimi ad
una domanda, Alex».
«Prego».
«Credi che il
lavoro di ispettore sia uno scherzo? Noi dobbiamo indagare su omicidi non su
morti naturali! Ti è dato di volta il cervello?» disse urlando a squarciagola.
«No, no,
ispettore, ci mancherebbe altro. Il fatto è che non mi sono chiare alcune
cose».
«Davvero? E per
questo hai allertato una parte della squadra omicidi?».
«Be’ si, ma
ascolti … »
«Non voglio
ascoltare nulla, il nostro lavoro qui è finito! Anzi non è nemmeno cominciato!»
disse urlando e voltandomi le spalle.
Non avevo altra
scelta che cominciare a parlare. Qualcosa non mi quadrava.
«Mi dica una cosa
ispettore Ducato. Quando c’è avvelenamento da cianuro di potassio, la vittima
cessa di respirare giusto?»
«Sì, ma cosa vuoi
dire con questo?»
«Voglio dire che
la vittima quando ha avuto quella crisi presunta della quale parla il dottor
Basetta … teneva le mani strette attorno alla gola, ansimava a fatica ed
inoltre aveva una sorta di spasmi come per divincolarsi da qualcosa.»
«Davvero?» chiese
Basetta avvicinandosi a me.
«Sì dottore».
«Ragazzo, sei
sicuro di non sbagliarti? Quello che stai dicendo sono cose pesanti, lo
riconosci vero?».
«Sì. Sono pronto
ad andare in contro a tutte le mie responsabilità».
«Quindi tu affermi
… » iniziò Flavio.
«E’ un caso di
avvelenamento di cianuro di potassio!»
«Non sai quel che
dici!» affermò Ducato spazientito. «Non ho tempo di giocare con un
investigatore da quattro soldi!»
«Ispettore mi
ascolti. C’è stato un omicidio. La vittima aveva quei sintomi le dico! Provi
almeno a ficcanasare un po’ in giro».
«Aspetta ragazzo.
In casa non è entrato nessuno. Come può essere che nostro padre sia stato
avvelenato da qualcuno?»
«Signor Riccardo.
Non ho mai detto che bisognava entrare o uscire dall’abitazione.»
«Stai insinuando
che … ?» disse Riccardo alzandosi in piedi.
«Esatto. Il
colpevole non può essere che uno di voi tre!»
«Ma come osi
bambinello?» Riccardo si era alzato completamente e mi strattonava
continuamente guardandomi con uno sguardo pieno di ferocia.
«Si calmi» dissi rimanendo
impassibile. «Non faccia gesti avventati» continuai scostandolo.
«Sì, ma non può
essere» disse Maria Grazia. «Noi non avevamo nulla contro nostro padre. Perché
mai avremmo dovuto ucciderlo?
«Insomma … dì la
verità Maria Grazia. Qualcosa con nostro padre era andato storto negli ultimi
anni non è vero?» la voce di Patrizia ci fece sobbalzare tutti.
«C- cosa?»
«Insomma. Nostro
padre era pur sempre un uomo, e tu questo non l’avevi mai accettato. Devo dire
le cose come stanno».
«Cosa vuole dire
signorina?» domandò Ducato.
«Prima che nostro
padre si ammalasse, frequentava una donna più giovane di lui. Aveva circa
quarant’anni e Maria Grazia fu l’unica della famiglia che non l’accettò mai».
«Non è vero!» urlò
la donna.
«Sì che è vero.
Ammettilo. Avevi un movente valido».
Maria Grazia si
avvicinò rapidamente a sua sorella e guardandola nella pupille le sussurrò:
«Anche tu potresti
essere incolpata sai?»
Flavio, lì vicino,
sentì tutto e chiese ulteriori spiegazioni.
«Vuoi davvero
saperlo Flavio? Questa donna è divorziata da almeno due anni con suo marito, un
tossicodipendente che non ha mai avuto né arte, né parte e che quando se l’è
sposato le ha fatto credere di possedere auto, appartamenti, gioielli, aziende.
Invece non era che un semplice scagnozzo di alcuni potenti. Quando questi lo
uccisero, si scoprì che non era niente di sua proprietà e mia sorella rimase
con un pugno di mosche! Mio padre le acconsentì un prestito per pagare alcuni
debiti. Quant’è che ti prestò? Quanto Patrizia? Cinquantamila? Centomila?
Trecentomila? Quanti? Ho perso il conto!».
Indubbiamente i
toni si erano alzati. Le due donne si guardavano in modo stoico, battagliero e
decisamente avvilente per essere due sorelle cresciute insieme..
«Calma signore,
calma» disse cercando di pacare i toni Flavio.«Cosa mi dite di vostro fratello
invece?»
«Riccardo» attaccò
a parlare Patrizia «aveva avuto qualche tensione con papà negli ultimi mesi, ma
nulla di grave»
«Capisco»
«Ispettore Ducato»
disse l’agente Giuseppe Novato.
«Dimmi Novato»
«Abbiamo rilevato
impronte oltre che sul bordo del bicchiere, anche sulla parte interna. Non sono
molto chiare però, visto che l’acqua le ha cancellate e i movimenti continui
del bicchiere hanno fatto il resto.»
«Dannazione! Non
ci voleva»
Personalmente mi
balenò un’idea in testa. Non so da cosa principalmente mi scaturì, ma da quando
ero a Torino mi ero sempre fidato di me stesso e poco degli altri. Mi ero
sempre aggrappato con tutte le mie forze all’intuito. E stavolta l’intuito mi
diceva di procedere verso quella soluzione.
Patrizia si stava
allontanando. E la vedevo discutere animatamente con Novato.
«Mi lasci! Devo
solo andare in bagno!»
«Signora, la
prego! Dobbiamo prima ultimare le testimonianze, poi potrà allontanarsi quanto
vuole!»
«Che
incompetente!»
«Signora, sto solo
facendo il mio lavoro di poliziotto!» disse trattenendola a fatica.
«Cosa succede
qui?» chiese Ducato avvicinandosi
«Voglio andare in
bagno e questo energumeno non vuole lasciarmi andare!» disse sbuffando Patrizia
«Signora Patrizia,
è proprio un’urgenza?» l’ispettore era un fascio di nervi,anche se tentava di
non farlo vedere.
«Sì che è
un’urgenza! Altrimenti crede che mi fossilizzerei così tanto?»
«Allora vada pure.
Ma la avverto. E’ tra i sospettati, quindi non faccia scherzi.»
«Tranquillo ispettore.
Non ho nulla da temere»
«Se lo dice lei»
Novato mollò la
presa. La signora Patrizia percorse qualche metro, poi il mio intuito mi
sopraffò.
«Scusi signora
Patrizia. Posso chiederle una cosa?»
«Certo Alex, dimmi
pure»
«Ha una caramella,
una gomma? Insomma, qualcosa che mi addolcisca la gola?»
«Ma certo, ho
delle caramelle alla liquirizia che sono un toccasana per questo genere di
cose. Le prendo nella borsa» disse dirigendosi verso la poltrona che accoglieva
una “Louis Vuitton” bianca di pelle e con delle borchie dorate. Frugò
leggermente nella borsa, poi estrasse un pacchetto bianco e nero. Poi il
silenzio. La frenata del passo, lo sguardo bloccato e un sorriso che non
lasciava presagire nulla di buono.
CAPITOLO
IV – Coscienza o rimorso?
Il silenzio
improvviso della nostra conversazione colpì la stanza. La maggior parte degli
occhi della stanza erano girati su di noi. Facevano eccezione gli agenti della
scientifica e Andrea che era impegnato a giocare con chissà cosa.
«Allora, signora»
la incitai «Può darmi una caramella?»
«Quali caramelle?
Queste?» disse mostrandomi il pacchetto.
«Esattamente. Ha
appena detto che sono un toccasana. Non è vero?» chiesi aguzzando lo sguardo.
«Già, tieni»
chiese aprendomi una fessura nella confezione e invitandomi a prenderne una.
«No, signora. Ora
che ci penso, ho le mani sporche. Siamo venuti da fuori e chissà quanti germi
ci saranno. Nel frattempo che mi sciacquo le mani … me ne prenda una lei per
favore»
«Be’, ma il fatto
è che io … »
«Allora Patrizia …
vogliamo finirla di giocare?»
«Cosa vuoi dire?»
chiese Flavio avvicinandosi. «Cosa stai cercando di dire?»
«Nulla
figuriamoci. Ho solo chiesto alla signora di estrarmi una caramella. Allora
Patrizia. Me lo da questo toccasana?» dissi guardandola in aria di sfida.
«No»
«Perché no?»
chiese Flavio stupefatto.
«Forse posso
spiegartelo io. Sapete, l’errore sta nel pensare che il veleno sia stato
inserito nell’acqua. Invece è sul bordo del bicchiere e anche all’interno ,che
il veleno è stato applicato.
«E’ vero! Non ci
avevo pensato! Può essere.» disse Flavio in tono esultante.
«Ma allora … il
colpevole è Riccardo?» affermò Bianca «E’ lui che ha portato l’acqua a suo
padre»
«Eh no. Seppur
vero che il bicchiere è stato portato da Riccardo, tutti l’hanno toccato. Non
ricordate? Prima in salotto, Patrizia l’ha passato a Maria Grazia che dopo
averlo esaminato lo ha dato a Riccardo. Ma solo uno di loro avrebbe potuto
avvelenare il signor Losti. Ed è Patrizia! Confessi signora! E’ stata lei!»
«No, non può
essere» disse Flavio
«Oh sì, invece. La
spiegazione di tutto ciò è molto semplice. La signora Patrizia prima di venire
in salotto è passata in bagno ricordate? Mi riferisco a quando sono stati
serviti i pasticcini»
«E’ vero» disse
Maria Grazia.
«E ricorda cosa ha
detto al suo invito di prendere un pasticcino, Maria Grazia?»
«Che era a dieta»
«Ma lei ha
prontamente risposto che giusto ieri la signora Patrizia aveva mangiato dieci
pasticcini»
«Be’ si»
«Non le pare
strano?»
«Ehi ragazzino»
interruppe Patrizia «non ti pare che avrei potuto mettermi a dieta da oggi?»
«In effetti è
possibile. Ma credo che lei non abbia voluto il pasticcino poiché aveva già del
veleno spalmato sui polpastrelli delle dita e correva il rischio di avvelenarsi
se avesse preso, e poi successivamente mangiato, un dolcetto»
Lo sguardo della
donna cambiò radicalmente. Da sfacciato si fece lugubre.
«In effetti può
essere» commentò l’ispettore. «Ma come ha fatto a metterlo sul bicchiere? E
dentro?»
«Ha approfittato
di quando Maria Grazia ha voluto controllare il bicchiere no? Sapeva che era
sua sorella l’incaricata di preparare le medicine. Oggi però era toccato a
Riccardo e sapeva che la donna avrebbe controllato. Quindi ha preso il
bicchiere per passarlo a sua sorella, ha fatto finta che gli scivolasse ed intanto
lo ha toccato in tutto il bordo e anche su una parte interna.»
«Non hai prove!»
urlò Patrizia
«Ah davvero?
Senta, mi offrirebbe una caramella? Ma deve prenderla lei. Io ho le mani
sporche.»
«Ok»
Sembrava decisa.
Estrasse il suo “toccasana” e me lo porse. Ma un attimo prima che potessi
prenderlo, ritrasse la mano.
«Be’? Cosa c’è?»
«Non posso darti
la caramella»
«Davvero?
Scommettiamo che … »
«Non dirmi che ha
ancora del veleno sulle mani?!» chiese Flavio
«Esatto Flavio.
Ottima deduzione. E’ per questo che voleva andare in bagno. Voleva lavarsi le
mani per cancellare il veleno dalle sue mani. Non è vero?»
«Già» la donna
lasciò cadere il pacchetto. «Chi avrebbe mai immaginato che queste caramelle mi
avrebbero tradito?»
«A volte la vita è
imprevedibile» commentai sfacciatamente.
«Ma perché lo hai
fatto Patrizia?» chiese Flavio ansioso.
«Per quello che ha
detto Maria. Avevo dei grossi debiti con mio padre e me li rinfacciava sempre»
Il silenzio la
faceva da padrone adesso.
«Scusa ragazzo »
disse già ammanettata «Ti sei esposto ad un rischio enorme. Mi hai chiesto di
darti personalmente la caramella sapendo che avevo le mani di veleno. Perché
hai corso questo rischio?»
«Lei è un
assassina. Ma con noi si è dimostrata gentile e autorevole. Non avrebbe mai
permesso che ci andasse sotto un’altra persona. Mi creda. E’ questione di
fiducia»
Gli occhi le si
riempirono le lacrime, poi il suo volto si girò nella direzione di Novato, che
socchiuse gli occhi.
Mezz’ora dopo,
eravamo sulla via del ritorno.
«Ti rendi conto
che potevi farti ammazzare?» chiese Bianca irritata
«Be’, se non si
corrono certi rischi … che ci sto a
fare?»
«Dovresti fare il
detective non la cavia!»
«Ma è quello che
faccio! Come ti ho detto mi fidavo di Patrizia, sapevo che non era una folle. E
così che ho avuto la consapevolezza di rischiare.»
«Ma hai rischiato»
aggiunse Flavio in tono severo. «Tua madre ti ha affidato a me. Non posso
rischiare che un ragazzino si lasci avvelenare e da quando sei a Torino hai già
ricevuto due-tre pressioni da parte dei criminali che hai incastrato. Tutti ti
hanno strattonato ricordi? E se fosse volato un pugno?»
«E se fossero
scappati?»
Questa risposta lo
zittì, e noi, cauti, cauti ce ne andammo per i fatti nostri, a casa, nelle mura
della tranquillità, lontana da omicidi … almeno per il momento.
Solo su questo blog, a partire dal 1° Ottobre 2011! Non perdetelo per nessuna ragione!
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