GITA IN TOSCANA(3°parte)
Cos’è successo nelle prime due
parti? : Io e Flavio riceviamo una lettera da parte di un certo Amaranthus che
ci vuole affidare un caso molto delicato. Arrivati a Vicchio, sede stabilita
per l’incontro, vediamo che non siamo gli unici detective presenti. Oltre a noi
ci sono due conoscenti di Flavio, Antonio Verdone e Luana Siamese, che sono
accompagnati dai rispettivi allievi, Claudio Maretti, un ragazzo scontroso e
decisamente ribelle e Denise Diamelli, una ragazzina cupa e misteriosa che mi
sorride in modo poco chiaro. Oltre a noi ci sono anche altre quattro persone.
Veniamo quindi convocati nel salone e una voce che esce da un altoparlante ci
informa che la convocazione è solo l’inizio di un macabro gioco nel quale
verranno eliminate tutte le persone che non sono detective. Gli investigatori
invece, dovranno assolutamente scoprire il modus operandi di tutti gli omicidi
e più indizi possibili sul fantomatico Amaranthus. Se entro 12 ore non
riusciremo a farlo, la casa salterà in aria!
Appreso quanto successo, il
gruppo decide di mettersi al lavoro. Io e Denise troviamo una stanza piena di
Aloe e di Tigli. Mentre stiamo riflettendo sul da farsi, Fabrizio Finelati ci
chiama a raccolta con un urlo terrificante. Sabrina Tosceni, la modella dai
capelli neri, viene trovata pugnalata alla parte destra dell’addome. A fianco
del suo corpo viene ritrovato un Dente di Leone. Com’è successo? E soprattutto,
chi è Amaranthus?
Sigla di oggi: "Burn it down" by Linkin Park
CAPITOLO
VI – Sotto il cielo di Amaranthus
L’essere stravolti è una
caratteristica più che naturale dell’essere umano. La scena che mi si era
dipinta davanti agli occhi era decisamente avvilente. Eravamo tutti seduti
nell’enorme salotto della villa e pensavamo sul da farsi con un’espressione sul
viso decisamente poco rassicurante. C’era sempre qualcuno di noi che teneva
d’occhio l’orologio, quell’orologio che per noi era diventato quasi una sorta
di bomba ad orologeria. Erano già passate quattro delle dodici ore concessoci
da Amaranthus per scoprire le dinamiche degli omicidi e la maggior parte degli
indizi su di lui.
«Io dico di provare a fuggire»
disse all’improvviso Flavio. «Mi sono stancato di restare a guardare, adesso
basta» continuò alzandosi di scatto.
«E dove vorresti andare?» gli
domandò Antonio. «Lo hai sentito quando siamo arrivati per la prima volta nella
villa. E’ impossibile scappare».
«Niente è impossibile».
«Adesso smettetela di fare i
bambini» ultimò Luana. «L’unica soluzione è essere uniti e combattere. Stando
all’ora» disse guardando il suo orologio «ci rimangono ancora otto ore. Sono
sufficienti per incastrare quel bastardo».
«Non ci metterei la mano sul
fuoco» commentò Claudio in modo polemico.
«Come hai detto ragazzino?».
«Ha sentito benissimo. Secondo te
otto ore sono sufficienti per incastrare un maniaco che non lascia tracce di
lui? Cosa abbiamo per risalire a lui? Tre specie di fiori diverse e un nome del
cavolo? Non è abbastanza!».
«Ci saranno momenti in cui avrai
molto di meno, quindi sbrigati a far funzionare il cervellino» gli rispose a
muso duro Luana.
«Insomma, ci sono sette detective
in questa stanza e nessuno di voi sa risolvere questo caso? Ma cambiate
lavoro!» ci inveì contro Salvatore. Era uno di quei tipi che pensando di essere
ricco sfondato pensava di poter attaccare tutto e tutti.
«Lei parla di professionisti»
precisò Antonio. «Qui non siamo in un film, nella vita reale non è così facile,
chiaro?».
«L’unica cosa chiara è che siete
sette volte incompetenti!».
«E lei è un sette volte cafone!»
urlò Flavio.
«Vediamola così …» cercò di
intervenire Samorella. Continuava a fumare sigarette. Avevo perso il conto di
quante ne aveva fumate ormai. Aveva la voce roca e gli occhi che lacrimavano
involontariamente.
«Ehi, guardate che cosa ho trovato!»
la voce di Bianca si era presentata prepotente e sonante. Correva con al
seguito Andrea e teneva in mano una giarrettiera da uomo.
«Ma … questa è una giarrettiera»
disse Claudio anticipando Flavio.
«Ma cosa fate?!» urlai nervoso.
«La state prendendo a mani nude! Così cancellate le impronte di chi l’ha
lasciata lì!».
Claudio ebbe un sussulto e la
fece cadere a terra.
«E’ questo il tuo modo di fare il
detective?» continuai arrabbiato. «Ed è anche colpa tua Bianca! Possibile che
tu non sappia che bisogna usare sempre un panno, un fazzoletto, in queste
circostanze?».
«M-mi dispiace …» riuscì a dire.
Mi guardava fisso negli occhi e fui certo del suo imbarazzo. Non mi aveva mai
visto così arrabbiato, né mi ero mai rivolto in questo modo a lei. Ma ero
davvero fuori di me. In otto ore qualcuno sarebbe morto di nuovo e quella che
poteva essere una prova importante, era stata completamente distrutta.
«Non è il caso di …» mi disse
Denise a occhi bassi.
Incredibilmente mi calmò. Bastò
incontrare il suo sguardo per calmarmi. I suoi occhi scuri sfiorarono i miei
dandomi una sensazione di pace.
Guardai Denise e poi Bianca. Poi
Bianca e ancora Denise. Guardando Bianca per l’ennesima volta riuscii a
farfugliare qualcosa come “mi dispiace”, ma lei abbassò lo sguardo lentamente e
mai come quella volta mi sentii un verme.
Restammo pochi secondi in
silenzio, poi udimmo un conato di vomito da Riccardo. Era crollato in ginocchio
e si manteneva la bocca come per trattenersi dal vomitare. Non ci riuscì
affatto e il risultato fu uno schifo totale sul pavimento della villa,
gridolini di disgusto delle signore presenti e versi di stizza dei signori.
Ricordo che Claudio apostrofò lo spettacolo come “disgustoso”, termine quanto
mai adatto per descrivere la scena. Dopo qualche secondo di panico dovuto al
prolungarsi della permanenza a terra di Riccardo, egli stesso si alzò e
cominciò a camminare a passo veloce verso l’uscita principale.
«Ehi, dove va lei?» gli domandò
Flavio.
«Ah! Dannazione! Amaranthus? Che
si fotta! Non ne voglio più sapere! Io me ne vado!» affermò rabbiosamente
accelerando.
«Aspetti! Non prenda decisioni
avventate!» commentò Antonio cominciando a correre come un forsennato per
stargli dietro.
Gli andammo tutti dietro come
topi. Antonio e Flavio cercavano di dissuadere Riccardo dal folle gesto che
voleva compiere, ma l’uomo pareva irremovibile in tutto il suo disprezzo.
«Non resterò qui nemmeno un
minuto in più. Maledetto!» continuava a ripetere furioso.
Fuori faceva davvero freddo. E
siccome non ero mai uscito ancora in giardino da quando eravamo arrivati, non
mi ero accorto che non fosse illuminato e che la cosa più chiara che si
riusciva a vedere erano i rami degli alberi schiariti dalla fioca luce della
luna.
«Aspetti, non …».
«Ma cosa aspetto? Non aspetto più
niente! Mi dia retta, mi segua
altrimenti farà la fine della ragazzina uccisa!» commentò certo mentre
si avvicinava all’imponente rete che delimitava il giardino.
Fu l’ultima cosa che fece nella
sua vita. Il profondo buio fece partire un violentissimo colpo da arma da fuoco
che lo colpì in piena schiena, freddandolo in modo cruento. Sangue a frotte
uscì dalla sua schiena. Riccardo aveva lasciato partire quello che sarebbe
stato definito da tutti come “ultimo respiro”. L’amarezza era molta, ma
riuscivamo a nasconderla a causa della grande paura che si era diffusa nei
nostri cuori. Immediatamente ci girammo in direzione opposta a quella in cui ci
trovavamo, speranzosi di vedere qualcosa in quell’assordante buio, ma niente.
Non vedemmo nulla e la cosa più traumatica era che non sapevamo nemmeno da
dov’era partito il colpo. Portammo Riccardo nella villa e poi ritornammo ancora
fuori per ispezionare il giardino. Mancavano circa sette ore alla scadenza del
termine prefissatoci da Amaranthus e la tensione era palpabile.
Nell’ispezionare il giardino notai quanto fosse poco curato. La villa, seppur
bellissima e presentata in modo egregio, sembrava ormai disabitata da anni,
tenendo conto delle condizioni esterne. Le siepi non erano potate e c’era del
terriccio umido ovunque. Ci dividemmo, ma in modo uniforme stavolta e nel minor
raggio d’azione possibile. Rimanemmo uno a distanza di pochi metri dall’altro e
ricordo che ne uscì fuori anche qualche testata involontaria. Flavio aveva
insistito perché Bianca rimanesse in villa, ma la ragazza non ne aveva voluto
sapere e di conseguenza si era dovuta trascinare anche il piccolo Andrea
dietro. Mi arrabbiai molto con lei quella sera. Stava esponendosi ad un rischio
francamente inutile e stava mettendo a repentaglio anche la vita di Andrea,
dunque le chiesi subito di rientrare in modo repentino. Insieme a lei fecero
rientro Samorella, troppo rimbambito per condurre una ricerca normale,
figuratevi al buio, e il resto del gruppo. Io, Flavio, Antonio, Claudio, Luana
e Denise ci dedicammo alla ricerca.
«Trovato niente?» mi ripeteva
ogni cinque secondi la voce di Flavio. Non potevo nemmeno guardarlo storto in
quanto il buio non me lo permetteva.
«Se smettessi di chiederlo ogni
secondo, forse troverei qualche indizio» risposi a tono.
«Uh? Che tipo che sei. Scorbutico
e antipatico».
«Ma tu guarda da che pulpito …».
«Ehi!» esclamò disturbato.
«Smettetela di litigare! Guardate
che cosa ho trovato!» esclamò Claudio nel buio. Prese il suo accendino e
illuminò una Beretta 92FS
«Quella è una Beretta» commentai.
«Già, una 92FS a gas» completò
Claudio.
«Quindi deve essere questa l’arma
dalla quale è partita il colpo, no?» domandò Antonio.
«Non necessariamente. Conoscendo
Amaranthus, potrebbe essere anche un modo per depistarci, anche se non nego che
possano esserci buone possibilità che l’arma del delitto sia proprio questa»
disse Denise.
«Ed ecco un altro fiore»
continuai raccogliendo un fiorellino fucsia.
«Un papavero rosso» sentenziò
Denise. «Che bello» aggiunse in un’estasi contenuta.
«Meraviglioso …» le risposi
ironizzando.
Decidemmo dunque di rientrare in
villa, ma mentre stavamo camminando cercando di prendere confidenza col buio,
Claudio ci fece notare una cosa.
«Ehi! Ma lì c’è una macchina?»
disse incuriosito forzando il passo e dirigendosi verso il retro della casa.
«Aspetta, non andare da solo …»
gli disse Denise. Inevitabilmente li seguimmo.
«Come mai si vede bene?» chiese
Antonio. «Ah, è per quel lampioncino da giardino» si rispose indicando una
piccola luce piantata su di un palo d’acciaio.
«Una Alfa Romeo Montreal del
1970» disse ammirato Antonio. «Questa sì che è una macchina!» esclamò
entusiasticamente toccando il paraurti.
«E’ anche rossa, come quelle che
facevano vedere nei film, hai presente?» chiese Flavio.
«Sì sì … e ti ricordi …».
Ma vennero interrotti da Luana.
«Ma vi sembra questo il momento
di rievocare il passato? Non vi siete mai sopportati e adesso parlate come se
foste amiconi da una vita?».
I due uomini si guardarono in
faccia per qualche secondo, poi fissarono Luana indispettiti.
«Serve una mano?» la voce di
Salvatore ci fece sobbalzare tutti. Era apparso dal nulla, come i cattivi dei
film.
«Vuole farci prendere un
infarto?» disse agitato Flavio. «Come diamine le è venuto in mente di uscire fuori?
Ritorni subito in casa!».
«No, dai. Stavamo parlando e ci
sembrava poco educato non dare una mano, in fondo state lavorando per noi e …».
«Ma vada subito dentro! E’
pericoloso stare qui con noi!» intervenne Antonio.
«Insisto» proseguì e così facendo
disse: «Serve qualcuno che ispezioni l’auto no?».
«Sì, ma non si …» provò a dire
Luana. Inutile. Era già praticamente dentro l’auto e curiosava a destra e a
sinistra ripetendo «non c’è niente qui, e nemmeno qui e …».
Denise fece un risolino, poi
prese una boccata e si offrì volontaria per ispezionare l’auto.
«Vado a fargli compagnia. Due
cervelli sono meglio di uno».
«In questo caso uno è
sottosviluppato, quindi non contarci …» le disse Flavio.
Salvatore e Denise sembravano due
furetti intenti nei loro comodi. Frugavano a più non posso nell’auto
misteriosa, mantenendosi comunque ad una certa distanza da essa.
Dal nostro canto, ce ne stavamo
con gli accendini, portachiavi luminescenti e direzionando bene il lampioncino
da giardino in modo da poter far più luce possibile.
«Insomma, avete trovato
qualcosa?» chiese Claudio.
«Ancora niente … porta pazienza»
gli rispose Denise affaticata.
«Uff …».
«Qui non c’è proprio niente»
diceva Salvatore sussurrando tra sé e sé. «Forse quello ci sta prendendo in
giro».
Dopo qualche altro minuto, Denise
cacciò fuori la testa dall’auto. Era ormai chinata all’interno da essa da
almeno venti minuti.
«Niente» cominciò asciugandosi il
sudore dalla fronte «non mi pare ci sia nulla. Che delusione».
«Come che delusione?» domandò Claudio.
«Saresti stata contenta di trovare cadaveri anche lì?».
«E chi ha mai parlato di
cadaveri?» chiese quasi disturbata. «Io cercavo prove, non corpi».
«Ah …».
«Comunque, una cosa positiva c’è»
osservò appoggiandosi allo sportello dell’Alfa Romeo.
«E qual è?» domandai incuriosito.
«Mentre cercavo, l’aria profumava di rose. E’ il mio fiore preferito
e chissà quante ce ne sono sparse qui intorno …» affermò con delicatezza e
ammirazione mentre guardava in basso. I suoi capelli biondo cenere splendevano
sotto il riflesso del lampioncino. I miei occhi rimasero fermi a fissare la
scena per qualche secondo, come se volessi registrarla e poi insistentemente
riviverla.
«Venga fuori lei. Tanto non c’è
nulla …» proseguì Denise avvisando Salvatore. L’uomo non si decideva ad uscire.
In quel preciso momento un
sussulto e successivamente un intenso brivido di freddo, mi percorsero tutto il
torace. Il mio cervello si accese e le mie gambe avevano cominciato a
ragionare. Lanciai il portachiavi con luce a terra e cominciai a correre come
un matto verso Denise.
Mentre correvo, mi beccavo le
parole di poca stima nei miei confronti da parte dei miei colleghi. Se l’erano
presa perché avevo lasciato la luce a terra, ma io avevo ben altro a cui
pensare. Due persone stavano per saltare in aria ed una di loro era
perfettamente salvabile.
CAPITOLO
VII – Panico
«Ma cosa diamine fai?» mi chiese
Denise rimanendo impassibile mentre vedeva che mi dirigevo verso di lei alla
massima velocità.
«Non fare domande» le risposi in
modo severo e distaccato. Così facendo l’afferrai per un braccio e mi lanciai
letteralmente a peso morto con lei al seguito. Inutile dire che la caduta fu
tremenda, ma il botto dell’auto lo fu di più. L’Alfa Romeo era ormai ridotta a
briciole e striscioline di metallo e tutta la luce di cui avevamo bisogno era
adesso garantita dall’enorme lampo provocato dalla bomba. Lo scoppio della
bomba fu seguito dalle urla spaventate di tutti i presenti. Flavio si buttò a
terra con le mani sulla testa in segno di protezione, Antonio cadde
all’indietro nel tentativo di iniziare una fuga, Claudio fece lo stesso, mentre
Luana scivolò e cadde con tutto il peso del corpo sull’avambraccio sinistro.
Salvatore Robabiani era morto in quell’auto, mentre compiva una nobile azione:
scoprire la verità.
Io e Denise eravamo rotolati per
circa una decina di metri ed eravamo finiti in un piccolissimo precipizio
profondo più o meno come un fosso di campagna. Durante l’esplosione mi si era
raggomitolata sull’addome, come a proteggersi da una situazione effettivamente
molto più grande di lei. Io l’avevo stretta forte pensando a Bianca e a Andrea,
e a come potessero aver reagito allo scoppio della bomba. Chissà se stavano
bene.
«T – tutto bene?» le domandai
sfiorandole i capelli con le labbra.
Per qualche secondo non rispose facendomi
temere il peggio.
«Ehi …» insistetti mentre le
carezzavo la testa.
«Sì, tutto bene» affermò
rialzandosi di scatto e ritraendosi. Non ne fui sicuro, ma per un momento mi
parve di vederla leggermente arrossire. Ebbi la stessa reazione.
«Sei ferita?» le chiesi mentre
ancora le tenevo la mano.
«Solo … solo qualche graffio
leggero …».
«Per fortuna …».
Mentre mi stavo sincerando delle
condizioni di Denise, notai a terra un altro fiore.
«Dannazione, un altro fiore!»
esclamai.
Intanto udivo le voci in
lontananza di Flavio e Luana, primi ad accorrere sul posto.
«Ragazzi! Come va?» chiedevano a
squarciagola.
In un primo momento non
rispondemmo, poi invece decidemmo di rassicurare tutti. Intanto fuori era
arrivata anche Bianca. Aveva sentito il botto ed era subito accorsa, con Andrea
al seguito, per informarsi della situazione.
«Accidenti! State bene?» aveva
domandato in tutta furia Luana. La sua compostezza e la sua freddezza erano del
tutto svanite, mettendo in evidenza il suo inevitabile lato materno.
«Sì, state tranquilli … non è
niente. Piuttosto, guarda qui» affermai porgendole il fiore.
«Un fiore asperella … ancora un
altro fiore. Cosa significherà mai?».
«Quantomeno sappiamo da dove
proviene» osservò Claudio.
«Tu lo sai?» gli chiese Flavio.
«Sì … poco prima che la macchina
esplodesse l’ho visto piovere dal balconcino situato sopra la zona nella quale
era parcheggiata l’auto. L’urto deve averla trascinata fin qui».
«Cosa? E perché non hai detto
niente?».
«Perché non ne ho avuto il tempo!
Cavolo, l’esplosione ha scioccato anche me!».
Ci rialzammo a fatica e notai che
Denise riusciva a stento a camminare. Provò a forzare le gambe, ma alla fine
cadde a terra in ginocchio.
«Ma che cos’hai?» le chiese
Claudio.
«Nulla, tranquillo» rispose lei.
Dava la sensazione di voler essere indipendente, sempre e comunque. Avevo
cominciato parzialmente ad inquadrarla. Era così fiera e orgogliosa che anche
se si fosse trovata con una pallottola in testa, avrebbe sicuramente detto che
andava tutto bene.
«Vedere … » le dissi facendola
sedere ancora una volta a terra. Al buio non vedevo molto, quindi chiesi a
Flavio di far luce con un accendino. Non appena lo fece, vidi un triste
spettacolo. Il ginocchio sinistro di Denise era completamente tumefatto
dall’impatto che aveva ricevuto nella caduta.
Il pantalone si era strappato in
modo netto e la pelle olivastra era ricoperta di sangue e terriccio umido.
«Ahi, ahi …» sussurrai.
Non rispose e roteò i suoi
splendidi occhi all’aria.
Mentre la portavo sottobraccio
notai che l’espressione di Bianca era cambiata. Il suo sguardo volgeva a terra
da un pezzo e camminava ciondolando, come se stesse portando con se una zavorra
immaginaria.
«Che cos’hai? Il ragazzo non ti
ha telefonato?» le chiese Denise mentre se ne stava attaccata al mio braccio.
Dapprima non rispose, poi alzò lo
sguardo e con un sorriso disse:
«No, no, che vai pensando? Perché
me lo chiedi?».
«Non so, ti vedevo un po’ triste
e allora ho pensato avessi problemi di cuore».
«Be’ …».
«Ho indovinato vero? Stai tranquilla,
se vuoi ne parliamo dopo … quando questo impiccione non c’è». affermò
guardandomi.
«Ah, grazie mille. Vuoi
scommettere che adesso ti mollo qui?».
«Non saresti cavaliere, tesoro».
Certo che Bianca era davvero
strana. In genere tutte le donne sono strane, ma Bianca era proprio un rebus
indecifrabile. Perfino per un detective sarebbe stato difficile scoprire il
perché del suo rabbuiarsi e il suo inspiegabile cambio d’umore. Ma forse il
problema era solo mio. Essendo uomo, mi era impossibile capire le donne e
l’unica cosa da fare era solo starsene a guardare e andare a tentoni per capire
quale fosse la reale ragione della sua tristezza.
Ma c’era un altro problema da
affrontare. Le ore a disposizione erano diventate poche ed erano già morte tre persone.
Arrivati di nuovo alla villa,
Luana si mise subito a cercare qualcosa per medicare Denise. Frugò in ogni
cassetto della cucina ed in ogni stipite del salone e alla fine trovò ciò che
cercava, una cassetta del pronto soccorso con dentro ogni genere di medicinale,
disinfettante, garza protettiva, forbicine chirurgiche, flaconi interi di
acetone di almeno tre marche differenti, cerotti di ogni colore e dimensione.
«E’ forse un farmacista il nostro
uomo?» chiese sarcasticamente Claudio.
«Chissà …» dissi dubbioso. Rimasi
a guardare la cassetta per almeno cinque minuti buoni. Ogni tanto staccavo lo
sguardo da essa e andavo a controllare come stesse Denise. Faceva qualche
smorfia di dolore, ma rimaneva comunque composta e dura nell’affrontare il bruciore
della ferita. Flavio gli fasciò stretto il ginocchio e come un bravo dottore le
raccomandò di lasciar perdere le indagini.
«Vuoi scherzare? Non posso
starmene ferma!» fu la risposta della ragazza.
Intanto camminavo per il salone.
C’era un camino enorme.
«Guardate che grande questo
camino!» osservò mio fratello. Si sporse talmente tanto che andò a finirci
dentro. Fortunatamente per lui era spento e l’unica cosa negativa che ne uscì
fu l’apparizione di Andrea come un piccolo fiammiferaio. Coperto di cenere da
capo a piedi.
«Andrea! Stai un po’ attento!» lo
rimproverai.
Magari fosse stato solo quello il
problema. La verità era che il tempo stava per scadere e le poche ore a
disposizione bastavano a malapena per consolarci.
Amaranthus era così terribile?
ANTICIPAZIONE EPISODIO 44: Il sangue e le lacrime hanno lo stesso sapore in una circostanza del genere. Vecchi rancori si risolvono e nuove vite vengono alla luce, perchè parlare fa bene e consente di conoscersi meglio. Finalmente è sfida aperta, il gioco delle deduzioni è finito ... come finirà? ALEX FEDELE EPISODIO 44 GITA IN TOSCANA(4° ed ultima parte) Solo qui a partire dal 30/06/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!
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