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sabato 23 giugno 2012

Alex Fedele: Gita in Toscana(3°parte) #43(seconda stagione)


GITA IN TOSCANA(3°parte)

Cos’è successo nelle prime due parti? : Io e Flavio riceviamo una lettera da parte di un certo Amaranthus che ci vuole affidare un caso molto delicato. Arrivati a Vicchio, sede stabilita per l’incontro, vediamo che non siamo gli unici detective presenti. Oltre a noi ci sono due conoscenti di Flavio, Antonio Verdone e Luana Siamese, che sono accompagnati dai rispettivi allievi, Claudio Maretti, un ragazzo scontroso e decisamente ribelle e Denise Diamelli, una ragazzina cupa e misteriosa che mi sorride in modo poco chiaro. Oltre a noi ci sono anche altre quattro persone. Veniamo quindi convocati nel salone e una voce che esce da un altoparlante ci informa che la convocazione è solo l’inizio di un macabro gioco nel quale verranno eliminate tutte le persone che non sono detective. Gli investigatori invece, dovranno assolutamente scoprire il modus operandi di tutti gli omicidi e più indizi possibili sul fantomatico Amaranthus. Se entro 12 ore non riusciremo a farlo, la casa salterà in aria!
Appreso quanto successo, il gruppo decide di mettersi al lavoro. Io e Denise troviamo una stanza piena di Aloe e di Tigli. Mentre stiamo riflettendo sul da farsi, Fabrizio Finelati ci chiama a raccolta con un urlo terrificante. Sabrina Tosceni, la modella dai capelli neri, viene trovata pugnalata alla parte destra dell’addome. A fianco del suo corpo viene ritrovato un Dente di Leone. Com’è successo? E soprattutto, chi è Amaranthus?





CAPITOLO VI – Sotto il cielo di Amaranthus

L’essere stravolti è una caratteristica più che naturale dell’essere umano. La scena che mi si era dipinta davanti agli occhi era decisamente avvilente. Eravamo tutti seduti nell’enorme salotto della villa e pensavamo sul da farsi con un’espressione sul viso decisamente poco rassicurante. C’era sempre qualcuno di noi che teneva d’occhio l’orologio, quell’orologio che per noi era diventato quasi una sorta di bomba ad orologeria. Erano già passate quattro delle dodici ore concessoci da Amaranthus per scoprire le dinamiche degli omicidi e la maggior parte degli indizi su di lui.
«Io dico di provare a fuggire» disse all’improvviso Flavio. «Mi sono stancato di restare a guardare, adesso basta» continuò alzandosi di scatto.
«E dove vorresti andare?» gli domandò Antonio. «Lo hai sentito quando siamo arrivati per la prima volta nella villa. E’ impossibile scappare».
«Niente è impossibile».
«Adesso smettetela di fare i bambini» ultimò Luana. «L’unica soluzione è essere uniti e combattere. Stando all’ora» disse guardando il suo orologio «ci rimangono ancora otto ore. Sono sufficienti per incastrare quel bastardo».
«Non ci metterei la mano sul fuoco» commentò Claudio in modo polemico.
«Come hai detto ragazzino?».
«Ha sentito benissimo. Secondo te otto ore sono sufficienti per incastrare un maniaco che non lascia tracce di lui? Cosa abbiamo per risalire a lui? Tre specie di fiori diverse e un nome del cavolo? Non è abbastanza!».
«Ci saranno momenti in cui avrai molto di meno, quindi sbrigati a far funzionare il cervellino» gli rispose a muso duro Luana.
«Insomma, ci sono sette detective in questa stanza e nessuno di voi sa risolvere questo caso? Ma cambiate lavoro!» ci inveì contro Salvatore. Era uno di quei tipi che pensando di essere ricco sfondato pensava di poter attaccare tutto e tutti.
«Lei parla di professionisti» precisò Antonio. «Qui non siamo in un film, nella vita reale non è così facile, chiaro?».
«L’unica cosa chiara è che siete sette volte incompetenti!».
«E lei è un sette volte cafone!» urlò Flavio.
«Vediamola così …» cercò di intervenire Samorella. Continuava a fumare sigarette. Avevo perso il conto di quante ne aveva fumate ormai. Aveva la voce roca e gli occhi che lacrimavano involontariamente.
«Ehi, guardate che cosa ho trovato!» la voce di Bianca si era presentata prepotente e sonante. Correva con al seguito Andrea e teneva in mano una giarrettiera da uomo.
«Ma … questa è una giarrettiera» disse Claudio anticipando Flavio.
«Ma cosa fate?!» urlai nervoso. «La state prendendo a mani nude! Così cancellate le impronte di chi l’ha lasciata lì!».
Claudio ebbe un sussulto e la fece cadere a terra.
«E’ questo il tuo modo di fare il detective?» continuai arrabbiato. «Ed è anche colpa tua Bianca! Possibile che tu non sappia che bisogna usare sempre un panno, un fazzoletto, in queste circostanze?».
«M-mi dispiace …» riuscì a dire. Mi guardava fisso negli occhi e fui certo del suo imbarazzo. Non mi aveva mai visto così arrabbiato, né mi ero mai rivolto in questo modo a lei. Ma ero davvero fuori di me. In otto ore qualcuno sarebbe morto di nuovo e quella che poteva essere una prova importante, era stata completamente distrutta.
«Non è il caso di …» mi disse Denise a occhi bassi.
Incredibilmente mi calmò. Bastò incontrare il suo sguardo per calmarmi. I suoi occhi scuri sfiorarono i miei dandomi una sensazione di pace.
Guardai Denise e poi Bianca. Poi Bianca e ancora Denise. Guardando Bianca per l’ennesima volta riuscii a farfugliare qualcosa come “mi dispiace”, ma lei abbassò lo sguardo lentamente e mai come quella volta mi sentii un verme.
Restammo pochi secondi in silenzio, poi udimmo un conato di vomito da Riccardo. Era crollato in ginocchio e si manteneva la bocca come per trattenersi dal vomitare. Non ci riuscì affatto e il risultato fu uno schifo totale sul pavimento della villa, gridolini di disgusto delle signore presenti e versi di stizza dei signori. Ricordo che Claudio apostrofò lo spettacolo come “disgustoso”, termine quanto mai adatto per descrivere la scena. Dopo qualche secondo di panico dovuto al prolungarsi della permanenza a terra di Riccardo, egli stesso si alzò e cominciò a camminare a passo veloce verso l’uscita principale.
«Ehi, dove va lei?» gli domandò Flavio.
«Ah! Dannazione! Amaranthus? Che si fotta! Non ne voglio più sapere! Io me ne vado!» affermò rabbiosamente accelerando.
«Aspetti! Non prenda decisioni avventate!» commentò Antonio cominciando a correre come un forsennato per stargli dietro.
Gli andammo tutti dietro come topi. Antonio e Flavio cercavano di dissuadere Riccardo dal folle gesto che voleva compiere, ma l’uomo pareva irremovibile in tutto il suo disprezzo.
«Non resterò qui nemmeno un minuto in più. Maledetto!» continuava a ripetere furioso.
Fuori faceva davvero freddo. E siccome non ero mai uscito ancora in giardino da quando eravamo arrivati, non mi ero accorto che non fosse illuminato e che la cosa più chiara che si riusciva a vedere erano i rami degli alberi schiariti dalla fioca luce della luna.
«Aspetti, non …».
«Ma cosa aspetto? Non aspetto più niente! Mi dia retta, mi segua  altrimenti farà la fine della ragazzina uccisa!» commentò certo mentre si avvicinava all’imponente rete che delimitava il giardino.
Fu l’ultima cosa che fece nella sua vita. Il profondo buio fece partire un violentissimo colpo da arma da fuoco che lo colpì in piena schiena, freddandolo in modo cruento. Sangue a frotte uscì dalla sua schiena. Riccardo aveva lasciato partire quello che sarebbe stato definito da tutti come “ultimo respiro”. L’amarezza era molta, ma riuscivamo a nasconderla a causa della grande paura che si era diffusa nei nostri cuori. Immediatamente ci girammo in direzione opposta a quella in cui ci trovavamo, speranzosi di vedere qualcosa in quell’assordante buio, ma niente. Non vedemmo nulla e la cosa più traumatica era che non sapevamo nemmeno da dov’era partito il colpo. Portammo Riccardo nella villa e poi ritornammo ancora fuori per ispezionare il giardino. Mancavano circa sette ore alla scadenza del termine prefissatoci da Amaranthus e la tensione era palpabile. Nell’ispezionare il giardino notai quanto fosse poco curato. La villa, seppur bellissima e presentata in modo egregio, sembrava ormai disabitata da anni, tenendo conto delle condizioni esterne. Le siepi non erano potate e c’era del terriccio umido ovunque. Ci dividemmo, ma in modo uniforme stavolta e nel minor raggio d’azione possibile. Rimanemmo uno a distanza di pochi metri dall’altro e ricordo che ne uscì fuori anche qualche testata involontaria. Flavio aveva insistito perché Bianca rimanesse in villa, ma la ragazza non ne aveva voluto sapere e di conseguenza si era dovuta trascinare anche il piccolo Andrea dietro. Mi arrabbiai molto con lei quella sera. Stava esponendosi ad un rischio francamente inutile e stava mettendo a repentaglio anche la vita di Andrea, dunque le chiesi subito di rientrare in modo repentino. Insieme a lei fecero rientro Samorella, troppo rimbambito per condurre una ricerca normale, figuratevi al buio, e il resto del gruppo. Io, Flavio, Antonio, Claudio, Luana e Denise ci dedicammo alla ricerca.
«Trovato niente?» mi ripeteva ogni cinque secondi la voce di Flavio. Non potevo nemmeno guardarlo storto in quanto il buio non me lo permetteva.
«Se smettessi di chiederlo ogni secondo, forse troverei qualche indizio» risposi a tono.
«Uh? Che tipo che sei. Scorbutico e antipatico».
«Ma tu guarda da che pulpito …».
«Ehi!» esclamò disturbato.
«Smettetela di litigare! Guardate che cosa ho trovato!» esclamò Claudio nel buio. Prese il suo accendino e illuminò una Beretta 92FS
«Quella è una Beretta» commentai.
«Già, una 92FS a gas» completò Claudio.
«Quindi deve essere questa l’arma dalla quale è partita il colpo, no?» domandò Antonio.
«Non necessariamente. Conoscendo Amaranthus, potrebbe essere anche un modo per depistarci, anche se non nego che possano esserci buone possibilità che l’arma del delitto sia proprio questa» disse Denise.
«Ed ecco un altro fiore» continuai raccogliendo un fiorellino fucsia.
«Un papavero rosso» sentenziò Denise. «Che bello» aggiunse in un’estasi contenuta.
«Meraviglioso …» le risposi ironizzando.
Decidemmo dunque di rientrare in villa, ma mentre stavamo camminando cercando di prendere confidenza col buio, Claudio ci fece notare una cosa.
«Ehi! Ma lì c’è una macchina?» disse incuriosito forzando il passo e dirigendosi verso il retro della casa.
«Aspetta, non andare da solo …» gli disse Denise. Inevitabilmente li seguimmo.
«Come mai si vede bene?» chiese Antonio. «Ah, è per quel lampioncino da giardino» si rispose indicando una piccola luce piantata su di un palo d’acciaio.
«Una Alfa Romeo Montreal del 1970» disse ammirato Antonio. «Questa sì che è una macchina!» esclamò entusiasticamente toccando il paraurti.
«E’ anche rossa, come quelle che facevano vedere nei film, hai presente?» chiese Flavio.
«Sì sì … e ti ricordi …».
Ma vennero interrotti da Luana.
«Ma vi sembra questo il momento di rievocare il passato? Non vi siete mai sopportati e adesso parlate come se foste amiconi da una vita?».
I due uomini si guardarono in faccia per qualche secondo, poi fissarono Luana indispettiti.
«Serve una mano?» la voce di Salvatore ci fece sobbalzare tutti. Era apparso dal nulla, come i cattivi dei film.
«Vuole farci prendere un infarto?» disse agitato Flavio. «Come diamine le è venuto in mente di uscire fuori? Ritorni subito in casa!».
«No, dai. Stavamo parlando e ci sembrava poco educato non dare una mano, in fondo state lavorando per noi e …».
«Ma vada subito dentro! E’ pericoloso stare qui con noi!» intervenne Antonio.
«Insisto» proseguì e così facendo disse: «Serve qualcuno che ispezioni l’auto no?».
«Sì, ma non si …» provò a dire Luana. Inutile. Era già praticamente dentro l’auto e curiosava a destra e a sinistra ripetendo «non c’è niente qui, e nemmeno qui e …».
Denise fece un risolino, poi prese una boccata e si offrì volontaria per ispezionare l’auto.
«Vado a fargli compagnia. Due cervelli sono meglio di uno».
«In questo caso uno è sottosviluppato, quindi non contarci …» le disse Flavio.
Salvatore e Denise sembravano due furetti intenti nei loro comodi. Frugavano a più non posso nell’auto misteriosa, mantenendosi comunque ad una certa distanza da essa.
Dal nostro canto, ce ne stavamo con gli accendini, portachiavi luminescenti e direzionando bene il lampioncino da giardino in modo da poter far più luce possibile.
«Insomma, avete trovato qualcosa?» chiese Claudio.
«Ancora niente … porta pazienza» gli rispose Denise affaticata.
«Uff …».
«Qui non c’è proprio niente» diceva Salvatore sussurrando tra sé e sé. «Forse quello ci sta prendendo in giro».
Dopo qualche altro minuto, Denise cacciò fuori la testa dall’auto. Era ormai chinata all’interno da essa da almeno venti minuti.
«Niente» cominciò asciugandosi il sudore dalla fronte «non mi pare ci sia nulla. Che delusione».
«Come che delusione?» domandò Claudio. «Saresti stata contenta di trovare cadaveri anche lì?».
«E chi ha mai parlato di cadaveri?» chiese quasi disturbata. «Io cercavo prove, non corpi».
«Ah …».
«Comunque, una cosa positiva c’è» osservò appoggiandosi allo sportello dell’Alfa Romeo.
«E qual è?» domandai incuriosito.
«Mentre cercavo, l’aria  profumava di rose. E’ il mio fiore preferito e chissà quante ce ne sono sparse qui intorno …» affermò con delicatezza e ammirazione mentre guardava in basso. I suoi capelli biondo cenere splendevano sotto il riflesso del lampioncino. I miei occhi rimasero fermi a fissare la scena per qualche secondo, come se volessi registrarla e poi insistentemente riviverla.
«Venga fuori lei. Tanto non c’è nulla …» proseguì Denise avvisando Salvatore. L’uomo non si decideva ad uscire.
In quel preciso momento un sussulto e successivamente un intenso brivido di freddo, mi percorsero tutto il torace. Il mio cervello si accese e le mie gambe avevano cominciato a ragionare. Lanciai il portachiavi con luce a terra e cominciai a correre come un matto verso Denise.
Mentre correvo, mi beccavo le parole di poca stima nei miei confronti da parte dei miei colleghi. Se l’erano presa perché avevo lasciato la luce a terra, ma io avevo ben altro a cui pensare. Due persone stavano per saltare in aria ed una di loro era perfettamente salvabile.

CAPITOLO VII – Panico

«Ma cosa diamine fai?» mi chiese Denise rimanendo impassibile mentre vedeva che mi dirigevo verso di lei alla massima velocità.
«Non fare domande» le risposi in modo severo e distaccato. Così facendo l’afferrai per un braccio e mi lanciai letteralmente a peso morto con lei al seguito. Inutile dire che la caduta fu tremenda, ma il botto dell’auto lo fu di più. L’Alfa Romeo era ormai ridotta a briciole e striscioline di metallo e tutta la luce di cui avevamo bisogno era adesso garantita dall’enorme lampo provocato dalla bomba. Lo scoppio della bomba fu seguito dalle urla spaventate di tutti i presenti. Flavio si buttò a terra con le mani sulla testa in segno di protezione, Antonio cadde all’indietro nel tentativo di iniziare una fuga, Claudio fece lo stesso, mentre Luana scivolò e cadde con tutto il peso del corpo sull’avambraccio sinistro. Salvatore Robabiani era morto in quell’auto, mentre compiva una nobile azione: scoprire la verità.
Io e Denise eravamo rotolati per circa una decina di metri ed eravamo finiti in un piccolissimo precipizio profondo più o meno come un fosso di campagna. Durante l’esplosione mi si era raggomitolata sull’addome, come a proteggersi da una situazione effettivamente molto più grande di lei. Io l’avevo stretta forte pensando a Bianca e a Andrea, e a come potessero aver reagito allo scoppio della bomba. Chissà se stavano bene.
«T – tutto bene?» le domandai sfiorandole i capelli con le labbra.
 Per qualche secondo non rispose facendomi temere il peggio.
«Ehi …» insistetti mentre le carezzavo la testa.
«Sì, tutto bene» affermò rialzandosi di scatto e ritraendosi. Non ne fui sicuro, ma per un momento mi parve di vederla leggermente arrossire. Ebbi la stessa reazione.
«Sei ferita?» le chiesi mentre ancora le tenevo la mano.
«Solo … solo qualche graffio leggero …».
«Per fortuna …».
Mentre mi stavo sincerando delle condizioni di Denise, notai a terra un altro fiore.
«Dannazione, un altro fiore!» esclamai.
Intanto udivo le voci in lontananza di Flavio e Luana, primi ad accorrere sul posto.
«Ragazzi! Come va?» chiedevano a squarciagola.
In un primo momento non rispondemmo, poi invece decidemmo di rassicurare tutti. Intanto fuori era arrivata anche Bianca. Aveva sentito il botto ed era subito accorsa, con Andrea al seguito, per informarsi della situazione.
«Accidenti! State bene?» aveva domandato in tutta furia Luana. La sua compostezza e la sua freddezza erano del tutto svanite, mettendo in evidenza il suo inevitabile lato materno.
«Sì, state tranquilli … non è niente. Piuttosto, guarda qui» affermai porgendole il fiore.
«Un fiore asperella … ancora un altro fiore. Cosa significherà mai?».
«Quantomeno sappiamo da dove proviene» osservò Claudio.
«Tu lo sai?» gli chiese Flavio.
«Sì … poco prima che la macchina esplodesse l’ho visto piovere dal balconcino situato sopra la zona nella quale era parcheggiata l’auto. L’urto deve averla trascinata fin qui».
«Cosa? E perché non hai detto niente?».
«Perché non ne ho avuto il tempo! Cavolo, l’esplosione ha scioccato anche me!».
Ci rialzammo a fatica e notai che Denise riusciva a stento a camminare. Provò a forzare le gambe, ma alla fine cadde a terra in ginocchio.
«Ma che cos’hai?» le chiese Claudio.
«Nulla, tranquillo» rispose lei. Dava la sensazione di voler essere indipendente, sempre e comunque. Avevo cominciato parzialmente ad inquadrarla. Era così fiera e orgogliosa che anche se si fosse trovata con una pallottola in testa, avrebbe sicuramente detto che andava tutto bene.
«Vedere … » le dissi facendola sedere ancora una volta a terra. Al buio non vedevo molto, quindi chiesi a Flavio di far luce con un accendino. Non appena lo fece, vidi un triste spettacolo. Il ginocchio sinistro di Denise era completamente tumefatto dall’impatto che aveva ricevuto nella caduta.
Il pantalone si era strappato in modo netto e la pelle olivastra era ricoperta di sangue e terriccio umido.
«Ahi, ahi …» sussurrai.
Non rispose e roteò i suoi splendidi occhi all’aria.
Mentre la portavo sottobraccio notai che l’espressione di Bianca era cambiata. Il suo sguardo volgeva a terra da un pezzo e camminava ciondolando, come se stesse portando con se una zavorra immaginaria.
«Che cos’hai? Il ragazzo non ti ha telefonato?» le chiese Denise mentre se ne stava attaccata al mio braccio.
Dapprima non rispose, poi alzò lo sguardo e con un sorriso disse:
«No, no, che vai pensando? Perché me lo chiedi?».
«Non so, ti vedevo un po’ triste e allora ho pensato avessi problemi di cuore».
«Be’ …».
«Ho indovinato vero? Stai tranquilla, se vuoi ne parliamo dopo … quando questo impiccione non c’è». affermò guardandomi.
«Ah, grazie mille. Vuoi scommettere che adesso ti mollo qui?».
«Non saresti cavaliere, tesoro».
Certo che Bianca era davvero strana. In genere tutte le donne sono strane, ma Bianca era proprio un rebus indecifrabile. Perfino per un detective sarebbe stato difficile scoprire il perché del suo rabbuiarsi e il suo inspiegabile cambio d’umore. Ma forse il problema era solo mio. Essendo uomo, mi era impossibile capire le donne e l’unica cosa da fare era solo starsene a guardare e andare a tentoni per capire quale fosse la reale ragione della sua tristezza.
Ma c’era un altro problema da affrontare. Le ore a disposizione erano diventate poche  ed erano già morte tre persone.
Arrivati di nuovo alla villa, Luana si mise subito a cercare qualcosa per medicare Denise. Frugò in ogni cassetto della cucina ed in ogni stipite del salone e alla fine trovò ciò che cercava, una cassetta del pronto soccorso con dentro ogni genere di medicinale, disinfettante, garza protettiva, forbicine chirurgiche, flaconi interi di acetone di almeno tre marche differenti, cerotti di ogni colore e dimensione.
«E’ forse un farmacista il nostro uomo?» chiese sarcasticamente Claudio.
«Chissà …» dissi dubbioso. Rimasi a guardare la cassetta per almeno cinque minuti buoni. Ogni tanto staccavo lo sguardo da essa e andavo a controllare come stesse Denise. Faceva qualche smorfia di dolore, ma rimaneva comunque composta e dura nell’affrontare il bruciore della ferita. Flavio gli fasciò stretto il ginocchio e come un bravo dottore le raccomandò di lasciar perdere le indagini.
«Vuoi scherzare? Non posso starmene ferma!» fu la risposta della ragazza.
Intanto camminavo per il salone. C’era un camino enorme.
«Guardate che grande questo camino!» osservò mio fratello. Si sporse talmente tanto che andò a finirci dentro. Fortunatamente per lui era spento e l’unica cosa negativa che ne uscì fu l’apparizione di Andrea come un piccolo fiammiferaio. Coperto di cenere da capo a piedi.
«Andrea! Stai un po’ attento!» lo rimproverai.
Magari fosse stato solo quello il problema. La verità era che il tempo stava per scadere e le poche ore a disposizione bastavano a malapena per consolarci.
Amaranthus era così terribile?

ANTICIPAZIONE EPISODIO 44: Il sangue e le lacrime hanno lo stesso sapore in una circostanza del genere. Vecchi rancori si risolvono e nuove vite vengono alla luce, perchè parlare fa bene e consente di conoscersi meglio. Finalmente è sfida aperta, il gioco delle deduzioni è finito ... come finirà? ALEX FEDELE EPISODIO 44 GITA IN TOSCANA(4° ed ultima parte) Solo qui a partire dal 30/06/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!

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