GITA
IN TOSCANA(2°Parte)
Cos’è successo nella 1°Parte? :
Io e Flavio riceviamo una lettera da parte di un certo Amaranthus che ci vuole
affidare un caso molto delicato. Arrivati a Vicchio, sede stabilita per
l’incontro, vediamo che non siamo gli unici detective presenti. Oltre a noi ci
sono due conoscenti di Flavio, Antonio Verdone e Luana Siamese, che sono
accompagnati dai rispettivi allievi, Claudio Maretti, un ragazzo scontroso e
decisamente ribelle e Denise Diamelli, una ragazzina cupa e misteriosa che mi
sorride in modo poco chiaro. Oltre a noi ci sono anche altre quattro persone.
Veniamo quindi convocati nel salone e una voce che esce da un altoparlante ci
informa che la convocazione è solo l’inizio di un macabro gioco nel quale
verranno eliminate tutte le persone che non sono detective. Gli investigatori
invece, dovranno assolutamente scoprire il modus operandi di tutti gli omicidi
e più indizi possibili sul fantomatico Amaranthus. Se entro 12 ore non
riusciremo a farlo, la casa salterà in aria!
Sigla di oggi: Somnus Nemoris (by Final Fantasy Versus XIII)
CAPITOLO
IV – L’inizio del gioco
La voce metallica si era appena
congedata e nel bellissimo salone della villa di Vicchio regnava sovrana la
paura. Non c’era sguardo che rimanesse fisso su di un altro per più di tre
secondi e non c’era persona che spiccicasse delle parole di senso compiuto
sulla vicenda. Era questo allora, un macabro gioco organizzato da un sadico nel
quale quattro persone avrebbero perso la vita in modo efferato.
«Siamo nei guai» sussurrò Fabio.
«Sono già le nove e mezzo di sera».
«Non fare la femminuccia. Abbi
fegato ragazzo mio. Abbiamo dodici ore di tempo no?» rispose a tono Flavio.
Camminava nervosamente in un punto esatto del salone e manteneva un’espressione
da vecchio condottiero, come se aspettasse la soluzione dal cielo.
«Forse non te ne sei reso conto
papà, ma qui potremmo morire tutti!».
«Me ne sono reso conto eccome,
idiota!» Flavio era davvero fuori di sé e si era attirato nell’ordine, lo
sguardo pragmatico e freddo di Denise, la smorfia piena di rabbia e ironia di
Claudio e gli occhi caritatevoli di Bianca.
«Adesso basta Flavio, non
peggiorare la situazione» intervenne Verdone. Antonio era stato decisamente più
calmo di Flavio in quei momenti e adesso aveva alzato la voce unicamente per
difendere il suo amico e far mantenere uno stato di calma.
«Non ti ci mettere anche tu,
Antonio».
«Sei troppo duro con quei
ragazzi, te ne rendi conto?».
Flavio si diresse in modo
repentino verso Antonio e lo guardò dritto negli occhi.
«Non dirmi come educare i miei
figli, chiaro?». Pronunciò “chiaro” come se avesse dovuto sferrare una
pugnalata.
«Sennò?».
«Altrimenti ci servirà
un’ambulanza prima della polizia».
Entrambi si guardavano a muso
duro. Il nervosismo aveva avvolto la circostanza e battuto la razionalità e
questa era la cosa più brutta che potesse accadere. Litigare tra di noi non era
certo il modo di andare avanti. Eravamo prigionieri di un matto sadico omicida
e c’erano bambini, ragazzi, uomini e signore che di certo non volevano
concludere la loro esistenza in quelle circostanze. Dovevamo restare uniti, ma
ciò che stavamo osservando con i nostri occhi, ci mostrava un quadro della
situazione completamente opposto.
Denise giunse le mani sul tavolo
e se le portò alle sottili labbra, quasi per sottolineare silenziosamente
stizza.
Claudio osservava la scena con un
sorriso da ebete e francamente mi parve che non avesse intenzione di
intervenire. Forse considerava la boxe un esercizio per sviluppare le capacità
deduttive. Prima che potessi mettermi in mezzo, Luana Siamese si parò davanti a
Flavio.
«Cos’hai Moggelli?».
«I – io? Niente …».
«Non mi pare. Vuoi morire
Moggelli?».
«No di certo» rispose sconcertato
Flavio.
«Bene … e tu Verdone? Vuoi
salutarci per sempre, idiota?».
«No …».
«E allora sentitemi bene»
proseguì sempre Luana «non c’è tempo di litigare adesso, chiaro? Se volete
azzannarvi a vicenda, c’è il viaggio di ritorno per farlo, ma adesso» affermò
sistemandosi uno degli orecchini «se vi azzardate ancora a fare i duri del
cavolo, giuro che vi stendo e voi sapete che sono in grado di farlo!» ultimò
alzando il tono della voce.
«O – ok …» risposero in coro i
due uomini.
Che coraggio quella donna! Lei sì
che aveva gli attributi.
«Bene, la situazione è questa signori»
continuò lasciandosi andare su una poltrona. «In questa villa c’è un bastardo
omicida che ci vuole tutti morti per chissà quale strano motivo. Ora, abbiamo
due soluzioni. Starcene qui seduti e aspettare dodici ore e rivederci in
Paradiso, oppure movimentarci per scoprire quanto più possiamo su Amaranthus,
chiaro?».
«Ma siete sicuri di farcela in
dodici ore?» domandò Sabrina Tosceni.
Luana si fermò un attimo, poi si
alzò dalla poltroncina e andò proprio di fronte alla ragazza. «Ascolta
dolcezza» le disse mentre le pizzicava le labbra colme di rossetto «in questa
stanza ci sono sette detective, mentre voi quattro, francamente, sembrate i
protagonisti dei “Muppets” e sì, tu sei la porca».
Arrossii per un attimo e lo
stesso fecero Bianca, Fabio e Samorella,
rimasto in silenzio per tutto il tempo. Claudio ridacchiò tra sé e sé, mentre
Denise, Flavio e Antonio avevano mantenuto un aspetto composto. Erano forse
abituati a quelle battutine a doppio senso?
«Come si permette?» disse
indignata la Tosceni. Non c’era dubbio, anche lei aveva capito la sottile e
trasparente battutina di Luana.
La donna si allontanò con la
calma e la freddezza di un militare e si rimise a sedere con l’eleganza di un
attrice.
«Come ci muoviamo?» domandò
Samorella con fare annoiato. Mise i piedi sopra il tavolo e Bianca lo guardò
storto.
«Ragioniamo» iniziò Claudio. «Il
matto non può essere lontano da qui, quindi non ci sarebbero problemi nello
scovarlo spaccando pezzo per pezzo tutta la casa e dargli una lezione,
giusto?».
«Sì, bravo» intervenni «e se
aziona la bomba? Ti piace saltare in aria?».
«E allora dimmi, genio delle
deduzioni, cosa vuoi fare?».
Lo guardai per un attimo male. Tutti
simpaticoni.
«Inizialmente, non quello che hai
detto tu».
«E’ tutto qui? E’ dunque questo
Alex Fedele? Il ragazzo prodigio del PSD è questo?».
Misi le mani sul tavolo e lo
guardai dritto negli occhi.
«Stammi a sentire bene. Non mi
piaci».
«La cosa è reciproca … non sai
quanto».
«Vuoi sapere come farei io?».
«Sì, sto aspettando, dai, prova a
dirmi come faresti, Sherlock».
«Setaccerei inizialmente la casa
e …».
«E verresti ucciso da qualche
proiettile vagante. Davvero geniale».
«E cosa risolveresti se andassi a
spaccare la casa a pezzi? Non verresti colpito ugualmente?».
«No, l’idiota avrebbe paura».
«Dici? Io penso che chiunque con
una bomba diventa il più forte e credimi, non ha certo paura di un ragazzino».
«E fammi capire, tu che sei?».
«Un ragazzino intelligente»
risposi con faccia da schiaffi.
«Che cos’è? Vuoi fare a pugni?»
mi chiese alzandosi di scatto.
«Ora ci si mettono anche i
ragazzi …» commentò distrattamente Denise. «Che bimbi cattivi …» continuò con
malizia e seduzione.
Le quattro persone designate come
vittime da Amaranthus cercavano di calmarci e di trattenerci, ma devo dire che
non mi sentivo così nervoso da tempo.
«Ora basta, ma siete impazziti!?»
intervenne Bianca alzandosi in piedi con coraggio e determinazione. «Dovremmo
essere uniti! Non capite che così fate solo il suo gioco?».
«Ok ho sbagliato» sussurrai per
primo. «Ti chiedo scusa, ok?» dissi porgendo la mano a Claudio. Per tutta
risposta mi guardò con disprezzo e mi diede uno schiaffo sul palmo. Mi portai
la mano al viso e ancora oggi non so che santo mi trattenne dallo stenderlo con
un pugno.
«Lasciamo stare. Decidiamo come
operare» osservò Luana. «Mi pare sia inutile sfasciare la casa come sostieni
tu, Claudio».
«Luana, non capisci …» tentò di
protestare, ma fu immediatamente stoppato. La donna gli mise l’indice sulle
labbra e lo guardò dritto negli occhi rafforzando il concetto del suo pensiero.
«Credo che l’idea di Alex, quella
di perlustrare la casa, sia un’ottima idea».
Per un attimo mi accollai addosso
lo sguardo acido di Claudio, quello di osservazione di Flavio, quello di stima
di Antonio e infine quello luminoso di Denise.
Passammo circa un’ora a cercare ogni
qualsivoglia indizio per tentare di iniziare l’indagine. Perlustrammo ogni
millimetro dell’abitazione che fosse accessibile. Antonio, Bianca e Andrea si
erano diretti in giardino e avevano perlustrato anche la hall della casa.
Fabio,Flavio e Claudio invece si erano dedicati alle camere da letto. Luana e
le quattro persone designate come vittime erano rimaste invece nel salone
mentre io, Samorella e Denise, ci eravamo dovuti occupare del secondo piano.
Il secondo piano dell’abitazione
era elegante tanto quanto il primo e il terzo, con la differenza dei molteplici
quadri presenti. Credetemi quando vi dico che c’erano più quadri che pezzi di
muro intonacati tra loro. Chissà, forse questo Amaranthus aveva una smodata
passione per il Divisionismo.
«Osservando quello» disse Denise
rivolgendosi a Samorella«che è già mezzo sbronzo, secondo me dobbiamo trovarlo
noi qualche indizio, non trovi?».
Ero però distratto e non le risposi. Lei mi
fece gomito e mi disse:
«Non c’è bisogno che te la tiri,
con me non attacca …».
«Co- cosa?».
«Ma sì …» affermò quasi
esasperata roteando gli occhi «fare finta di non sentirmi, di non parlarmi …».
«Non … non l’ho fatto apposta,
davvero, credimi» le dissi sconcertato. In realtà pensavo all’assurda
situazione che si era venuta a creare e quindi non avevo proprio la testa per
concedermi in chiacchiere.
«Ok, ti credo» e fece un
risolino. «Comunque ti dicevo di darci da fare a trovare qualche indizio. Come
si è messo quel Samorella … mi sa che non è molto lucido» disse indicandomelo mentre
barcollava.
«Già» asserii serio.
«Uh? Che musone che sei …».
«Co – come dici?».
«Sei triste di indole naturale o
sono io che ti metto di cattivo umore?».
«Ma figuriamoci» dissi fermandomi
e accarezzandomi i capelli. «E che quando ho un caso sono sempre un po’ su di
giri».
«Ah, è … il tuo modo per
caricarti?».
«Se vuoi chiamarlo così … ».
Continuai. «E il tuo qual è?».
«Di cosa parli?» disse voltandosi
completamente verso di me.
«Del tuo modo per caricarti. Ne
hai uno anche tu o preferisci fare a caso?».
«Ah, parli di questo … No,
l’istinto è la miglior cosa che esista al mondo a volte e io seguo solo quello».
«E non sbagli mai? A volte si
può, seguendo solo l’istinto».
«Finora non ho avuto mai
problemi, poi chissà ...». Notai che si fermava per qualche secondo a
contemplare ogni quadro che vedesse esposto.
«Ti piace il Divisionismo?» le
domandai incuriosito.
«Però …» sussurrò in aria di
sfida.
«Però cosa?».
«Ti facevo meno colto, sai?».
Feci un risolino ironico. «E
perché, di grazia?».
«I tipi come te, i bei ragazzi,
di solito sono solo castelli di carta».
«Bello e intelligente, vero?»
dissi ironizzando.
«Ma non divertente» mi stoppò
strappandomi un sorriso. « Comunque avevo notato che c’era qualcosa di
intellettuale in te, ma a primo impatto …».
«Quindi ti piace l’arte?».
«In ogni sua forma, sì».
«Ma la studiavi a scuola? Perché
io avevo un professore di arte che …».
Mi interruppe. «Il divisionismo è un
movimento pittorico italiano che si sviluppò a partire dall'ultimo decennio del XIX secolo e si evolse per un periodo piuttosto lungo. Secondo
alcuni studiosi trovò il suo esponente principale in Pellizza da Volpedo, secondo altri in Giovanni Segantini.
I principi che ne codificarono le direttive furono delineati da Gaetano Previati che ne sviluppò le linee influendo sia sul territorio ligure
che su quello lombardo. Il divisionismo prese anche spunto dal
"Pointillisme" francese. Quest'ultimo, derivato dalla corrente
impressionista, accostava nella tela attraverso puntini e non pennellate,
colori puri senza mischiarli. In Italia l'applicazione alla pittura delle nuove
scoperte scientifiche relative al tema del colore non avviene nel modo
strettamente ortodosso, fedele alle leggi della … ».
Stavolta la interruppi io. «Ok, basta così. Sei una sorta di
dizionario vivente o cosa?».
«Mettere qualcosa nel cervello è l’unico scopo per cui
veniamo al mondo».
«Come sei profonda …».
«In che senso?».
«Come in che senso? Hai capito,
no?».
«Per niente … ci sono varie
interpretazioni alle parole che hai detto …».
Sobbalzai facendo un pensiero
malizioso che non avrei dovuto nemmeno conoscere. «Ehm … non vorrei che tu
pensassi che …».
«Che pensassi cosa?».
«Che io abbia voluto dirti
“profonda” per …».
«Per?».
«Ehm … ecco io …» dissi mentre
avevo l’acqua alla gola.
Denise mi stoppò mettendo la sua
calda mano sul mio torace e mi rise in faccia.
«Ho capito cosa volevi dire.
Volevo solo metterti alla prova, ma vedo che ti agiti un po’ troppo con le
donne».
«Non è affatto vero!» dissi quasi
sdegnato.
«Oh sì che lo è. Guarda come sei
rosso. Be’, adesso sarà ora di trovare qualcosa, non credi?».
Annuii poco convinto. Parlare con
quella ragazza mi dava strane sensazioni. Passò ancora qualche minuto, nei
quali setacciammo più volte a menadito la nostra parte di casa. Poi ci fermammo
nel bel mezzo dell’immenso corridoio del nostro piano.
«Ma dov’è Samorella?» domandai
estenuato.
«Sarà da qualche parte a fumarsi
una canna … sai com’è, ha la faccia un po’ da …».
«Ho capito» la stoppai.
«Ma tu guarda … ».
«Cosa?».
«C’è una porta che non abbiamo
notato» disse indicando un angolo della stanza. Ed era vero, quella porta non
era minimamente visibile a primo impatto. Il muro color verde smeraldo aveva
nascosto in esso un pomello di plastica cristallizzato. Che strano.
Ci avvicinammo e per qualche
secondo fissammo la porta come due perfetti imbecilli. Poi Denise fu più audace
e la aprì.
Venimmo così sommersi da migliaia di petali di fiori diversi.
«Ma cosa … cosa sono questi
fiori?» domandai quasi con stizza.
«Sono proprio questi. Fiori»
disse sorridendo Denise. Si era inginocchiata ai piedi del viale di petali e
adesso ne annusava l’aroma quasi incantata.
«Certo, ma io intendevo il tipo
…».
«Questi sono Aloe» sussurrò
mantenendo tra l’indice e il pollice della mano sinistra un petalo allungato e
di colore rossiccio. «E questi … » ultimò guardando nella stanza alla ricerca
di qualche papabile indizio.
«Sono Tigli, giusto?» la
interruppi prendendo tra le mani un piccolo petalo di Tiglio.
«Bravo» asserì. «Ora non ci resta
che capire lo scopo del nostro uomo … perché nascondere petali di Aloe e di
Tiglio in un vecchio sgabuzzino?».
«Non ne ho idea ...» commentai.
«Forse è qualche messaggio
subliminale o …».
Denise fu fermata. Le sue parole
si arrestarono come un’auto di fronte al pericolo e quasi, per quanto brusca fu
la fermata, si poteva udire lo stridere dei pneumatici su quell’asfalto
immaginario che chiamiamo vita. L’urlo di Fabrizio Finelati, l’impiegato con la
passione per Marx, ci fece sobbalzare. Immediatamente io e Denise scendemmo giù
per la rampa di scale e ci dirigemmo nel salone. Doveva essere per forza
successo qualcosa, non c’era altra spiegazione. Quando accorremmo trovammo
anche tutti gli altri in fremito e per la troppa foga mi scontrai in pieno con
Claudio. Entrambi fummo sbalzati a terra ed entrambi ci guardammo talmente
storto da far sembrare la rivalità tra la politica di destra e quella di
sinistra solo un simpatico diverbio.
«Ancora tra i piedi?!» sussurrò
Claudio.
«Potrei dire lo stesso» affermai
grintoso alzandomi di scatto. Non avevo tempo nemmeno di litigare.
Mi guardò per un attimo fisso
negli occhi, quasi stranito dal mio “non trattenermi” a discutere con lui. Poi
compì la mia stessa azione e si mise a correre più veloce che poteva verso la
direzione dalla quale provenivano le urla.
«Cosa succede?» urlò Flavio col
fiatone mentre teneva con la mano la porta finestra che dava sul terrazzo.
«Guardate l – lì!1» riuscì a dire
tremante Finelati.
E ne aveva ben donde. Sabrina
Tosceni ci aveva lasciati per sempre. Il suo corpo era disteso a terra nel bel
mezzo del terrazzo. Aveva una pugnale conficcato nella parte destra dell’addome
e continuava a perdere sangue in modo alquanto vistoso. Andrea si coprì gli
occhi con le manine, mentre Bianca rientrò repentinamente dentro perché non
aveva la forza psicologicamente necessaria per reggere alla visione di quella
scena.
«Non è possibile …» commentò
Antonio Verdone. Manteneva lo sguardo fisso sul pugnale e la sua bocca tremava
in un qualcosa di spettrale.
«Oh sì che lo è» gli rispose
freddo Flavio. «Il gioco è cominciato».
CAPITOLO
V – Affrontare la realtà
«Il corpo non è ancora del tutto
irrigidito» dissi mentre ero chino sul cadavere. «Il decesso risale solo a
pochi minuti fa».
«Già» affermò Claudio prendendo
la mia stessa posizione. «Il processo di irrigidimento del corpo non è ancora
cominciato, quindi possiamo dire che è morta da meno di mezz’ora».
«Che cos’è quello?» domandò
Denise indicando un fiore giallognolo.
Antonio mi porse un fazzoletto
per poterlo prendere. Era un Dente di Leone.
«Questo è un Dente di Leone»
sussurrai tra me e me.
«Un Dente di Leone?» ripeté
Flavio.
Non risposi, ma rimasi a pensare
guardando fisso il fiore.
«Ragioniamo» disse Samorella. Non
ci eravamo nemmeno accorti di lui e del suo arrivo. Era stato talmente
trasparente che sembrava tutto tranne che un investigatore professionista.
«Nell’ultima mezz’ora con chi è stata?».
«Era con me e con tutti le altre
“vittime”» sussurrò Luana.
«E’ vero, era con te Luana.
Possibile che tu non abbia notato nulla?» le domandò Flavio.
La donna gli si avvicinò
velocemente e con aria delusa gli fece un’occhiataccia.
«O-ok … era solo per dire, non …
non stavo incolpando nessuno» disse impietrito Flavio mentre Antonio al suo
fianco rideva sotto i baffi.
«Comunque» cominciò a parlare
Luana «è stata con noi fino ad una decina di minuti fa. Poi ha cominciato a
fare i capricci ed ha voluto per forza andare a prendere una boccata d’aria».
«E tu ce l’hai mandata?» le
chiese Antonio ricevendo lo stesso sguardo
che aveva quasi ammutolito Flavio pochi secondi prima.
«Cosa avrei dovuto fare? Ha
cominciato a fare la bambina … era grande abbastanza per decidere del suo
destino».
Che fuoco quella donna.
«Non serve a nulla disperarsi …»
commentò filosoficamente Denise. «Pensiamo piuttosto a scovare questo
Amaranthus».
«E come fai? Devi evitare gli
omicidi!» le rispose Fabio stizzito.
«Amico, l’impressione è che il
cretino possa colpirci come e quando vuole e che bloccare gli omicidi sia
praticamente impossibile. Quindi, assecondiamo il suo gioco e scopriamo più
indizi su questo matto criminale».
«Come puoi dire questo?» le
domandai «sai che nessun omicidio è perfetto!».
«E’ un discorso diverso» mi
interruppe Claudio.
«Come dici?» domandai incredulo.
«So che è un discorso diverso ma …».
«E’ un discorso diverso» ribadi.
«Non ha mai detto che esiste l’omicidio perfetto. Ha solo detto che secondo lei
gli omicidi di tale Amaranthus, programmati da chissà quanto tempo, sono
inarrestabili».
«Grazie per la lezioncina, George
Washington. Adesso vuoi dirmi che sei d’accordo con lei?».
«Non ho detto questo. Ho solo
corretto la tua frase, niente di che, non prendertela …».
«Fammi capire bene» disse
spazientito toccandosi il mento. «Per te dovremmo restarcene fermi ad osservare
quel maniaco mentre uccide le sue vittime una alla volta? E’ assurdo!».
«Oh cavolo! Non ho mica detto
questo! Lavati le orecchie la mattina! Io voglio fermarlo tanto quanto lo vuoi
tu! Ho solo detto che la penso pressoché come Denise, cioè penso che gli
omicidi, pur non essendo naturalmente perfetti, siano inarrestabili, poiché sa
come colpirci e dove colpirci e anche in quale momento farlo. E’ normale che
faremo di tutto per evitarli, ma c’è una possibilità su un milione».
«Noi dobbiamo essere quella
possibilità» gli dissi a muso duro.
Portammo Sabrina dentro. La
coprimmo con delle coperte trovate in una delle tante camere da letto della
villa. Mettemmo il cadavere sul salottino. Era tristissimo starsene fermi senza
far nulla. Ok, Claudio e Denise avevano ragione, ma non potevo stare fermo. Non
potevo per principio.
«Bianca, mi accompagni al bagno?»
disse la vocina di mio fratello Andrea. Se ne stava attaccato alle gambe di
Bianca e dalla sua prospettiva pareva potesse dominare il mondo con la sua
bontà.
«Ehm ecco …».
«Se vuoi ce lo porto io» le dissi
mentre accarezzai mio fratello.
«No no … non fare lo sciocco. Lo
ha chiesto a me e poi tu … tu sei impegnato con le indagini, no?» e così
facendo scattò portando avanti mio fratello.
Rimasi a guardarla attonito.
La ragazza si diresse verso il
bagno con andatura incerta e insicura. Il bambino che aveva davanti, il piccolo
fratellino di Alex, sembrava un uomo dalle dimensioni indicibili e dalla mole
enorme in confronto a lei, piccola e spaventata dall’incubo che stavano
vivendo.
«Faccio subito Bianca. Grazie
ancora» disse il piccolo. Si era messo in una delle cabine toilette della sala
bagno della villa. Sì, la villa aveva i bagni simili a quelli che potevano
essere trovati a scuola o agli uffici pubblici. La storia ne ignora il motivo,
gli audaci dicono che chi la progettò avesse in mente di farne originariamente
un albergo a cinque stelle.
«Non preoccuparti. Fa’pure con
comodo» rispose lei delicata e quasi sprezzante del pericolo. Era però
incredibilmente falsa e allo stesso tempo incredibilmente bella nel suo infantilismo.
Aveva una paura enorme, ma voleva dare al bambino l’impressione che valesse più
di Maciste e che il suo coraggio fosse più incisivo di quello di un leone.
Mentre aspettava il bimbo, fu
attirata da un luccichio a terra. La sala da bagno, pavimentata in modo
inusuale, di un rosa acceso, accoglieva una giarrettiera. Una di quelle che
c’erano quando non esistevano le molle ai calzini. Bianca si avvicinò e la
raccolse. La guardò incredula e il suo primo pensiero fu correre dai detective.
Era la chiave per risolvere il mistero?
ANTICIPAZIONE EPISODIO 43: Non è finita qui. Il massacro prosegue. Al sangue si mescolano le lacrime e la tensione diventa una droga. Chi vincerà tra i buoni e i cattivi? Tra il bene e il male? Tra i detective e l'assassino? Per ora c'è solo una vincitrice: LA PAURA! ALEX FEDELE EPISODIO 43 - GITA IN TOSCANA(3°parte). Solo qui a partire dal 23/06/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta qui e dimmi che ne pensi!