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sabato 16 giugno 2012

Alex Fedele: Gita in Toscana(2°parte) #42 (seconda stagione)


GITA IN TOSCANA(2°Parte)

Cos’è successo nella 1°Parte? : Io e Flavio riceviamo una lettera da parte di un certo Amaranthus che ci vuole affidare un caso molto delicato. Arrivati a Vicchio, sede stabilita per l’incontro, vediamo che non siamo gli unici detective presenti. Oltre a noi ci sono due conoscenti di Flavio, Antonio Verdone e Luana Siamese, che sono accompagnati dai rispettivi allievi, Claudio Maretti, un ragazzo scontroso e decisamente ribelle e Denise Diamelli, una ragazzina cupa e misteriosa che mi sorride in modo poco chiaro. Oltre a noi ci sono anche altre quattro persone. Veniamo quindi convocati nel salone e una voce che esce da un altoparlante ci informa che la convocazione è solo l’inizio di un macabro gioco nel quale verranno eliminate tutte le persone che non sono detective. Gli investigatori invece, dovranno assolutamente scoprire il modus operandi di tutti gli omicidi e più indizi possibili sul fantomatico Amaranthus. Se entro 12 ore non riusciremo a farlo, la casa salterà in aria!




CAPITOLO IV – L’inizio del gioco

La voce metallica si era appena congedata e nel bellissimo salone della villa di Vicchio regnava sovrana la paura. Non c’era sguardo che rimanesse fisso su di un altro per più di tre secondi e non c’era persona che spiccicasse delle parole di senso compiuto sulla vicenda. Era questo allora, un macabro gioco organizzato da un sadico nel quale quattro persone avrebbero perso la vita in modo efferato.
«Siamo nei guai» sussurrò Fabio. «Sono già le nove e mezzo di sera».
«Non fare la femminuccia. Abbi fegato ragazzo mio. Abbiamo dodici ore di tempo no?» rispose a tono Flavio. Camminava nervosamente in un punto esatto del salone e manteneva un’espressione da vecchio condottiero, come se aspettasse la soluzione dal cielo.
«Forse non te ne sei reso conto papà, ma qui potremmo morire tutti!».
«Me ne sono reso conto eccome, idiota!» Flavio era davvero fuori di sé e si era attirato nell’ordine, lo sguardo pragmatico e freddo di Denise, la smorfia piena di rabbia e ironia di Claudio e gli occhi caritatevoli di Bianca.
«Adesso basta Flavio, non peggiorare la situazione» intervenne Verdone. Antonio era stato decisamente più calmo di Flavio in quei momenti e adesso aveva alzato la voce unicamente per difendere il suo amico e far mantenere uno stato di calma.
«Non ti ci mettere anche tu, Antonio».
«Sei troppo duro con quei ragazzi, te ne rendi conto?».
Flavio si diresse in modo repentino verso Antonio e lo guardò dritto negli occhi.
«Non dirmi come educare i miei figli, chiaro?». Pronunciò “chiaro” come se avesse dovuto sferrare una pugnalata.
«Sennò?».
«Altrimenti ci servirà un’ambulanza prima della polizia».
Entrambi si guardavano a muso duro. Il nervosismo aveva avvolto la circostanza e battuto la razionalità e questa era la cosa più brutta che potesse accadere. Litigare tra di noi non era certo il modo di andare avanti. Eravamo prigionieri di un matto sadico omicida e c’erano bambini, ragazzi, uomini e signore che di certo non volevano concludere la loro esistenza in quelle circostanze. Dovevamo restare uniti, ma ciò che stavamo osservando con i nostri occhi, ci mostrava un quadro della situazione completamente opposto.
Denise giunse le mani sul tavolo e se le portò alle sottili labbra, quasi per sottolineare silenziosamente stizza.
Claudio osservava la scena con un sorriso da ebete e francamente mi parve che non avesse intenzione di intervenire. Forse considerava la boxe un esercizio per sviluppare le capacità deduttive. Prima che potessi mettermi in mezzo, Luana Siamese si parò davanti a Flavio.
«Cos’hai Moggelli?».
«I – io? Niente …».
«Non mi pare. Vuoi morire Moggelli?».
«No di certo» rispose sconcertato Flavio.
«Bene … e tu Verdone? Vuoi salutarci per sempre, idiota?».
«No …».
«E allora sentitemi bene» proseguì sempre Luana «non c’è tempo di litigare adesso, chiaro? Se volete azzannarvi a vicenda, c’è il viaggio di ritorno per farlo, ma adesso» affermò sistemandosi uno degli orecchini «se vi azzardate ancora a fare i duri del cavolo, giuro che vi stendo e voi sapete che sono in grado di farlo!» ultimò alzando il tono della voce.
«O – ok …» risposero in coro i due uomini.
Che coraggio quella donna! Lei sì che aveva gli attributi.
«Bene, la situazione è questa signori» continuò lasciandosi andare su una poltrona. «In questa villa c’è un bastardo omicida che ci vuole tutti morti per chissà quale strano motivo. Ora, abbiamo due soluzioni. Starcene qui seduti e aspettare dodici ore e rivederci in Paradiso, oppure movimentarci per scoprire quanto più possiamo su Amaranthus, chiaro?».
«Ma siete sicuri di farcela in dodici ore?» domandò Sabrina Tosceni.
Luana si fermò un attimo, poi si alzò dalla poltroncina e andò proprio di fronte alla ragazza. «Ascolta dolcezza» le disse mentre le pizzicava le labbra colme di rossetto «in questa stanza ci sono sette detective, mentre voi quattro, francamente, sembrate i protagonisti dei “Muppets” e sì, tu sei la porca».
Arrossii per un attimo e lo stesso fecero  Bianca, Fabio e Samorella, rimasto in silenzio per tutto il tempo. Claudio ridacchiò tra sé e sé, mentre Denise, Flavio e Antonio avevano mantenuto un aspetto composto. Erano forse abituati a quelle battutine a doppio senso?
«Come si permette?» disse indignata la Tosceni. Non c’era dubbio, anche lei aveva capito la sottile e trasparente battutina di Luana.
La donna si allontanò con la calma e la freddezza di un militare e si rimise a sedere con l’eleganza di un attrice.
«Come ci muoviamo?» domandò Samorella con fare annoiato. Mise i piedi sopra il tavolo e Bianca lo guardò storto.
«Ragioniamo» iniziò Claudio. «Il matto non può essere lontano da qui, quindi non ci sarebbero problemi nello scovarlo spaccando pezzo per pezzo tutta la casa e dargli una lezione, giusto?».
«Sì, bravo» intervenni «e se aziona la bomba? Ti piace saltare in aria?».
«E allora dimmi, genio delle deduzioni, cosa vuoi fare?».
Lo guardai per un attimo male. Tutti simpaticoni.
«Inizialmente, non quello che hai detto tu».
«E’ tutto qui? E’ dunque questo Alex Fedele? Il ragazzo prodigio del PSD è questo?».
Misi le mani sul tavolo e lo guardai dritto negli occhi.
«Stammi a sentire bene. Non mi piaci».
«La cosa è reciproca … non sai quanto».
«Vuoi sapere come farei io?».
«Sì, sto aspettando, dai, prova a dirmi come faresti, Sherlock».
«Setaccerei inizialmente la casa e …».
«E verresti ucciso da qualche proiettile vagante. Davvero geniale».
«E cosa risolveresti se andassi a spaccare la casa a pezzi? Non verresti colpito ugualmente?».
«No, l’idiota avrebbe paura».
«Dici? Io penso che chiunque con una bomba diventa il più forte e credimi, non ha certo paura di un ragazzino».
«E fammi capire, tu che sei?».
«Un ragazzino intelligente» risposi con faccia da schiaffi.
«Che cos’è? Vuoi fare a pugni?» mi chiese alzandosi di scatto.
«Ora ci si mettono anche i ragazzi …» commentò distrattamente Denise. «Che bimbi cattivi …» continuò con malizia e seduzione.
Le quattro persone designate come vittime da Amaranthus cercavano di calmarci e di trattenerci, ma devo dire che non mi sentivo così nervoso da tempo.
«Ora basta, ma siete impazziti!?» intervenne Bianca alzandosi in piedi con coraggio e determinazione. «Dovremmo essere uniti! Non capite che così fate solo il suo gioco?».
«Ok ho sbagliato» sussurrai per primo. «Ti chiedo scusa, ok?» dissi porgendo la mano a Claudio. Per tutta risposta mi guardò con disprezzo e mi diede uno schiaffo sul palmo. Mi portai la mano al viso e ancora oggi non so che santo mi trattenne dallo stenderlo con un pugno.
«Lasciamo stare. Decidiamo come operare» osservò Luana. «Mi pare sia inutile sfasciare la casa come sostieni tu, Claudio».
«Luana, non capisci …» tentò di protestare, ma fu immediatamente stoppato. La donna gli mise l’indice sulle labbra e lo guardò dritto negli occhi rafforzando il concetto del suo pensiero.
«Credo che l’idea di Alex, quella di perlustrare la casa, sia un’ottima idea».
Per un attimo mi accollai addosso lo sguardo acido di Claudio, quello di osservazione di Flavio, quello di stima di Antonio e infine quello luminoso di Denise.

Passammo circa un’ora a cercare ogni qualsivoglia indizio per tentare di iniziare l’indagine. Perlustrammo ogni millimetro dell’abitazione che fosse accessibile. Antonio, Bianca e Andrea si erano diretti in giardino e avevano perlustrato anche la hall della casa. Fabio,Flavio e Claudio invece si erano dedicati alle camere da letto. Luana e le quattro persone designate come vittime erano rimaste invece nel salone mentre io, Samorella e Denise, ci eravamo dovuti occupare del secondo piano.
Il secondo piano dell’abitazione era elegante tanto quanto il primo e il terzo, con la differenza dei molteplici quadri presenti. Credetemi quando vi dico che c’erano più quadri che pezzi di muro intonacati tra loro. Chissà, forse questo Amaranthus aveva una smodata passione per il Divisionismo.
«Osservando quello» disse Denise rivolgendosi a Samorella«che è già mezzo sbronzo, secondo me dobbiamo trovarlo noi qualche indizio, non trovi?».
 Ero però distratto e non le risposi. Lei mi fece gomito e mi disse:
«Non c’è bisogno che te la tiri, con me non attacca …».
«Co- cosa?».
«Ma sì …» affermò quasi esasperata roteando gli occhi «fare finta di non sentirmi, di non parlarmi …».
«Non … non l’ho fatto apposta, davvero, credimi» le dissi sconcertato. In realtà pensavo all’assurda situazione che si era venuta a creare e quindi non avevo proprio la testa per concedermi in chiacchiere.
«Ok, ti credo» e fece un risolino. «Comunque ti dicevo di darci da fare a trovare qualche indizio. Come si è messo quel Samorella … mi sa che non è molto lucido» disse indicandomelo mentre barcollava.
«Già» asserii serio.
«Uh? Che musone che sei …».
«Co – come dici?».
«Sei triste di indole naturale o sono io che ti metto di cattivo umore?».
«Ma figuriamoci» dissi fermandomi e accarezzandomi i capelli. «E che quando ho un caso sono sempre un po’ su di giri».
«Ah, è … il tuo modo per caricarti?».
«Se vuoi chiamarlo così … ».
Continuai. «E il tuo qual è?».
«Di cosa parli?» disse voltandosi completamente verso di me.
«Del tuo modo per caricarti. Ne hai uno anche tu o preferisci fare a caso?».
«Ah, parli di questo … No, l’istinto è la miglior cosa che esista al mondo a volte e io seguo solo quello».
«E non sbagli mai? A volte si può, seguendo solo l’istinto».
«Finora non ho avuto mai problemi, poi chissà ...». Notai che si fermava per qualche secondo a contemplare ogni quadro che vedesse esposto.
«Ti piace il Divisionismo?» le domandai incuriosito.
«Però …» sussurrò in aria di sfida.
«Però cosa?».
«Ti facevo meno colto, sai?».
Feci un risolino ironico. «E perché, di grazia?».
«I tipi come te, i bei ragazzi, di solito sono solo castelli di carta».
«Bello e intelligente, vero?» dissi ironizzando.
«Ma non divertente» mi stoppò strappandomi un sorriso. « Comunque avevo notato che c’era qualcosa di intellettuale in te, ma a primo impatto …».
«Quindi ti piace l’arte?».
«In ogni sua forma, sì».
«Ma la studiavi a scuola? Perché io avevo un professore di arte che …».
Mi interruppe. «Il divisionismo è un movimento pittorico italiano che si sviluppò a partire dall'ultimo decennio del XIX secolo e si evolse per un periodo piuttosto lungo. Secondo alcuni studiosi trovò il suo esponente principale in Pellizza da Volpedo, secondo altri in Giovanni Segantini. I principi che ne codificarono le direttive furono delineati da Gaetano Previati che ne sviluppò le linee influendo sia sul territorio ligure che su quello lombardo. Il divisionismo prese anche spunto dal "Pointillisme" francese. Quest'ultimo, derivato dalla corrente impressionista, accostava nella tela attraverso puntini e non pennellate, colori puri senza mischiarli. In Italia l'applicazione alla pittura delle nuove scoperte scientifiche relative al tema del colore non avviene nel modo strettamente ortodosso, fedele alle leggi della … ».
Stavolta la interruppi io. «Ok, basta così. Sei una sorta di dizionario vivente o cosa?».
«Mettere qualcosa nel cervello è l’unico scopo per cui veniamo al mondo».
«Come sei profonda …».
«In che senso?».
«Come in che senso? Hai capito, no?».
«Per niente … ci sono varie interpretazioni alle parole che hai detto …».
Sobbalzai facendo un pensiero malizioso che non avrei dovuto nemmeno conoscere. «Ehm … non vorrei che tu pensassi che …».
«Che pensassi cosa?».
«Che io abbia voluto dirti “profonda” per …».
«Per?».
«Ehm … ecco io …» dissi mentre avevo l’acqua alla gola.
Denise mi stoppò mettendo la sua calda mano sul mio torace e mi rise in faccia.
«Ho capito cosa volevi dire. Volevo solo metterti alla prova, ma vedo che ti agiti un po’ troppo con le donne».
«Non è affatto vero!» dissi quasi sdegnato.
«Oh sì che lo è. Guarda come sei rosso. Be’, adesso sarà ora di trovare qualcosa, non credi?».
Annuii poco convinto. Parlare con quella ragazza mi dava strane sensazioni. Passò ancora qualche minuto, nei quali setacciammo più volte a menadito la nostra parte di casa. Poi ci fermammo nel bel mezzo dell’immenso corridoio del nostro piano.
«Ma dov’è Samorella?» domandai estenuato.
«Sarà da qualche parte a fumarsi una canna … sai com’è, ha la faccia un po’ da …».
«Ho capito» la stoppai.
«Ma tu guarda … ».
«Cosa?».
«C’è una porta che non abbiamo notato» disse indicando un angolo della stanza. Ed era vero, quella porta non era minimamente visibile a primo impatto. Il muro color verde smeraldo aveva nascosto in esso un pomello di plastica cristallizzato. Che strano.
Ci avvicinammo e per qualche secondo fissammo la porta come due perfetti imbecilli. Poi Denise fu più audace e la aprì.
Venimmo così sommersi da  migliaia di petali di fiori diversi.
«Ma cosa … cosa sono questi fiori?» domandai quasi con stizza.
«Sono proprio questi. Fiori» disse sorridendo Denise. Si era inginocchiata ai piedi del viale di petali e adesso ne annusava l’aroma quasi incantata.
«Certo, ma io intendevo il tipo …».
«Questi sono Aloe» sussurrò mantenendo tra l’indice e il pollice della mano sinistra un petalo allungato e di colore rossiccio. «E questi … » ultimò guardando nella stanza alla ricerca di qualche papabile indizio.
«Sono Tigli, giusto?» la interruppi prendendo tra le mani un piccolo petalo di Tiglio.
«Bravo» asserì. «Ora non ci resta che capire lo scopo del nostro uomo … perché nascondere petali di Aloe e di Tiglio in un vecchio sgabuzzino?».
«Non ne ho idea ...» commentai.
«Forse è qualche messaggio subliminale o …».
Denise fu fermata. Le sue parole si arrestarono come un’auto di fronte al pericolo e quasi, per quanto brusca fu la fermata, si poteva udire lo stridere dei pneumatici su quell’asfalto immaginario che chiamiamo vita. L’urlo di Fabrizio Finelati, l’impiegato con la passione per Marx, ci fece sobbalzare. Immediatamente io e Denise scendemmo giù per la rampa di scale e ci dirigemmo nel salone. Doveva essere per forza successo qualcosa, non c’era altra spiegazione. Quando accorremmo trovammo anche tutti gli altri in fremito e per la troppa foga mi scontrai in pieno con Claudio. Entrambi fummo sbalzati a terra ed entrambi ci guardammo talmente storto da far sembrare la rivalità tra la politica di destra e quella di sinistra solo un simpatico diverbio.
«Ancora tra i piedi?!» sussurrò Claudio.
«Potrei dire lo stesso» affermai grintoso alzandomi di scatto. Non avevo tempo nemmeno di litigare.
Mi guardò per un attimo fisso negli occhi, quasi stranito dal mio “non trattenermi” a discutere con lui. Poi compì la mia stessa azione e si mise a correre più veloce che poteva verso la direzione dalla quale provenivano le urla.
«Cosa succede?» urlò Flavio col fiatone mentre teneva con la mano la porta finestra che dava sul terrazzo.
«Guardate l – lì!1» riuscì a dire tremante Finelati.
E ne aveva ben donde. Sabrina Tosceni ci aveva lasciati per sempre. Il suo corpo era disteso a terra nel bel mezzo del terrazzo. Aveva una pugnale conficcato nella parte destra dell’addome e continuava a perdere sangue in modo alquanto vistoso. Andrea si coprì gli occhi con le manine, mentre Bianca rientrò repentinamente dentro perché non aveva la forza psicologicamente necessaria per reggere alla visione di quella scena.
«Non è possibile …» commentò Antonio Verdone. Manteneva lo sguardo fisso sul pugnale e la sua bocca tremava in un qualcosa di spettrale.
«Oh sì che lo è» gli rispose freddo Flavio. «Il gioco è cominciato».

CAPITOLO V – Affrontare la realtà

«Il corpo non è ancora del tutto irrigidito» dissi mentre ero chino sul cadavere. «Il decesso risale solo a pochi minuti fa».
«Già» affermò Claudio prendendo la mia stessa posizione. «Il processo di irrigidimento del corpo non è ancora cominciato, quindi possiamo dire che è morta da meno di mezz’ora».
«Che cos’è quello?» domandò Denise indicando un fiore giallognolo.
Antonio mi porse un fazzoletto per poterlo prendere. Era un Dente di Leone.
«Questo è un Dente di Leone» sussurrai tra me e me.
«Un Dente di Leone?» ripeté Flavio.
Non risposi, ma rimasi a pensare guardando fisso il fiore.

«Ragioniamo» disse Samorella. Non ci eravamo nemmeno accorti di lui e del suo arrivo. Era stato talmente trasparente che sembrava tutto tranne che un investigatore professionista. «Nell’ultima mezz’ora con chi è stata?».
«Era con me e con tutti le altre “vittime”» sussurrò Luana.
«E’ vero, era con te Luana. Possibile che tu non abbia notato nulla?» le domandò Flavio.
La donna gli si avvicinò velocemente e con aria delusa gli fece un’occhiataccia.
«O-ok … era solo per dire, non … non stavo incolpando nessuno» disse impietrito Flavio mentre Antonio al suo fianco rideva sotto i baffi.
«Comunque» cominciò a parlare Luana «è stata con noi fino ad una decina di minuti fa. Poi ha cominciato a fare i capricci ed ha voluto per forza andare a prendere una boccata d’aria».
«E tu ce l’hai mandata?» le chiese Antonio ricevendo lo stesso sguardo  che aveva quasi ammutolito Flavio pochi secondi prima.
«Cosa avrei dovuto fare? Ha cominciato a fare la bambina … era grande abbastanza per decidere del suo destino».
Che fuoco quella donna.
«Non serve a nulla disperarsi …» commentò filosoficamente Denise. «Pensiamo piuttosto a scovare questo Amaranthus».
«E come fai? Devi evitare gli omicidi!» le rispose Fabio stizzito.
«Amico, l’impressione è che il cretino possa colpirci come e quando vuole e che bloccare gli omicidi sia praticamente impossibile. Quindi, assecondiamo il suo gioco e scopriamo più indizi su questo matto criminale».
«Come puoi dire questo?» le domandai «sai che nessun omicidio è perfetto!».
«E’ un discorso diverso» mi interruppe Claudio.
«Come dici?» domandai incredulo. «So che è un discorso diverso ma …».
«E’ un discorso diverso» ribadi. «Non ha mai detto che esiste l’omicidio perfetto. Ha solo detto che secondo lei gli omicidi di tale Amaranthus, programmati da chissà quanto tempo, sono inarrestabili».
«Grazie per la lezioncina, George Washington. Adesso vuoi dirmi che sei d’accordo con lei?».
«Non ho detto questo. Ho solo corretto la tua frase, niente di che, non prendertela …».
«Fammi capire bene» disse spazientito toccandosi il mento. «Per te dovremmo restarcene fermi ad osservare quel maniaco mentre uccide le sue vittime una alla volta? E’ assurdo!».
«Oh cavolo! Non ho mica detto questo! Lavati le orecchie la mattina! Io voglio fermarlo tanto quanto lo vuoi tu! Ho solo detto che la penso pressoché come Denise, cioè penso che gli omicidi, pur non essendo naturalmente perfetti, siano inarrestabili, poiché sa come colpirci e dove colpirci e anche in quale momento farlo. E’ normale che faremo di tutto per evitarli, ma c’è una possibilità su un milione».
«Noi dobbiamo essere quella possibilità» gli dissi a muso duro.

Portammo Sabrina dentro. La coprimmo con delle coperte trovate in una delle tante camere da letto della villa. Mettemmo il cadavere sul salottino. Era tristissimo starsene fermi senza far nulla. Ok, Claudio e Denise avevano ragione, ma non potevo stare fermo. Non potevo per principio.
«Bianca, mi accompagni al bagno?» disse la vocina di mio fratello Andrea. Se ne stava attaccato alle gambe di Bianca e dalla sua prospettiva pareva potesse dominare il mondo con la sua bontà.
«Ehm ecco …».
«Se vuoi ce lo porto io» le dissi mentre accarezzai mio fratello.
«No no … non fare lo sciocco. Lo ha chiesto a me e poi tu … tu sei impegnato con le indagini, no?» e così facendo scattò portando avanti mio fratello.
Rimasi a guardarla attonito.

La ragazza si diresse verso il bagno con andatura incerta e insicura. Il bambino che aveva davanti, il piccolo fratellino di Alex, sembrava un uomo dalle dimensioni indicibili e dalla mole enorme in confronto a lei, piccola e spaventata dall’incubo che stavano vivendo.
«Faccio subito Bianca. Grazie ancora» disse il piccolo. Si era messo in una delle cabine toilette della sala bagno della villa. Sì, la villa aveva i bagni simili a quelli che potevano essere trovati a scuola o agli uffici pubblici. La storia ne ignora il motivo, gli audaci dicono che chi la progettò avesse in mente di farne originariamente un albergo a cinque stelle.
«Non preoccuparti. Fa’pure con comodo» rispose lei delicata e quasi sprezzante del pericolo. Era però incredibilmente falsa e allo stesso tempo incredibilmente bella nel suo infantilismo. Aveva una paura enorme, ma voleva dare al bambino l’impressione che valesse più di Maciste e che il suo coraggio fosse più incisivo di quello di un leone.
Mentre aspettava il bimbo, fu attirata da un luccichio a terra. La sala da bagno, pavimentata in modo inusuale, di un rosa acceso, accoglieva una giarrettiera. Una di quelle che c’erano quando non esistevano le molle ai calzini. Bianca si avvicinò e la raccolse. La guardò incredula e il suo primo pensiero fu correre dai detective. Era la chiave per risolvere il mistero?

 ANTICIPAZIONE EPISODIO 43: Non è finita qui. Il massacro prosegue. Al sangue si mescolano le lacrime e la tensione diventa una droga. Chi vincerà tra i buoni e i cattivi? Tra il bene e il male? Tra i detective e l'assassino? Per ora c'è solo una vincitrice: LA PAURA! ALEX FEDELE EPISODIO 43 - GITA IN TOSCANA(3°parte). Solo qui a partire dal 23/06/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!


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