GITA
IN TOSCANA(1°Parte)
Sigla di oggi: "Reaching" by AudioMachine
PROLOGO: Che cos'è la paura? Per tanti è il timore di perdere le cose che ami, per altri è non avere la libertà. Per i nostri è una lettera. Già, una lettera fittizia nella quale all'apparenza c'è un caso molto interessante. Destinazione Toscana, dunque, terra di grandi poemi e d'arte. Ci sarà da divertirsi tra vecchie e nuove conoscenze e con un cervello da definire malato
CAPITOLO
I – La lettera di Amaranthus
Adesso si era fissato con i vini.
Già, mi riferisco a Flavio. Nell’ultima settimana aveva passato il tempo a
parlare solo di vini, a discutere sui loro aromi, a degustare quelli dati in omaggio
al supermercato. Insomma, una pizza. Personalmente mi affascinava quel mondo,
ma non così tanto da poterne sopportare il dialogo per venti ore su
ventiquattro giornaliere.
«Cosa ne pensi del “Gabiano
riserva”?» mi chiese mentre teneva in mano una bottiglia dall’etichetta biancastra
«Ottimo» risposi senza emozione.
«E del “Dolcetto del diano
d’alba”?».
«Strepitoso» acconsentii con lo
stesso tono.
«Cosa mi dici dell’”Alsace AOC”?.
«Superbo!» esclamai con finta
esaltazione.
«Dì un po’» cominciò guardandomi
disturbato «mi stai rispondendo davvero o mi stai prendendo in giro?».
«Indovina …».
«Mi auguro per te che tu sia
serio».
«Chissà …» risposi dubbioso
allungando le gambe sopra il tavolino. Ero seduto sul divano e amavo quando
qualcuno si arrabbiava senza motivo.
«Ti ho detto mille volte di non
mettere i piedi lì sopra!» mi rimproverò Bianca. Era entrata in punta di piedi
dalla porta secondaria dell’ufficio e teneva al seguito mio fratello Andrea.
«Te lo ha detto mille volte!»
rafforzò il concetto quest’ultimo.
«Ok, scusate … non fatela tanto
lunga …».
«C’è posta per me?» domandò
Flavio curioso.
«Altroché … guarda qui» fece
porgendogli una massa di carta
Flavio diede loro un’occhiata di
sufficienza, poi se le fece passare tra le mani e cominciò a scorgerle un po’
alla volta.
«Vediamo … bolletta della luce,
dell’acqua, del gas … si saranno mica coalizzati contro di me?!» poi continuò
«una lettera di saluti da un mio parente di Catania, pubblicità del nuovo
centro commerciale e … cos’è questa?» si domandò afferrando e stringendo tra le
mani una lettera con un sigillo arancione. Era particolarmente strana e
sembrava quasi brillasse di luce propria.
«”Per il sig. Fedele ed il sig.
Moggelli”» disse cominciando a leggere il retro della busta.
«C’entro qualcosa?» domandai
rizzandomi in piedi.
«Direi di sì, aspetta che leggo»
affermò incuriosito mentre apriva la busta.
Si schiarì per un momento la
voce, poi riprese a leggere.
«Non è meglio se la leggiamo in
silenzio? Sennò con quella voce che ti …».
«Alex! Mi stai per caso dicendo
che non ho una bella voce?!».
«Io?» domandai facendo un
risolino «ma non mi permetterei mai! Figuriamoci! Dico, ti sei mai sentito
cantare sotto la doccia, sei proprio …».
«Bene», mi interruppe «perché
sappi che io ho una voce calda come quella di Baglioni e graffiante come quella
di Wonder e …».
«E adesso leggiamo la lettera,
così scopriamo cosa dice, va bene?» disse un po’ nervosetta Bianca.
La lettera era scritta davvero
bene, e si presentava in questa forma:
Onorevolissimi
sig. Fedele e sig. Moggelli,
Tengo
a comunicarvi con questa presente lettera la mia intenzione di ingaggiarvi per
un caso estremamente delicato che da tempo mi addolora. Spero di essere
abbastanza chiaro quando dico che sto rivolgendomi chiaramente ai migliori
sulla piazza. Negli ultimi tempi i casi risolti dal sig. Fedele e l’acume
esperto del sig. Moggelli sono balzati agli onori della cronaca e francamente
credo che solo Voi possiate risolvere il mio mistero.
Personalmente
risiedo in Toscana, in una piccolissima
cittadina montana chiamata Vicchio e vi sarei molto grato se veniste fin qui
per constatare ciò che mi cruccia.
Naturalmente
non dovete preoccuparvi per il viaggio, in quanto è logico che provvederò a
tutto io stesso, pagamento compreso.
Nel
caso decidiate di accettare, prego i signori di recarsi all’agenzia di viaggi
più vicina, dove troverete tutto il vostro itinerario già programmato. Nel caso
in cui, malauguratamente, decideste di non accettare l’incarico, allora mi
preme dirvi che rinuncereste ad un onorario dell’ammontare di centomila euro.
Sperando
di trovarvi domani sera alle 19 a villa Marcelli ,Vi porgo i miei più sinceri
saluti con l’augurio di una sfavillante carriera.
Amaranthus
«E’ da dire» commentai alzando lo
sguardo e volgendolo verso la grande vetrata che capeggiava alle spalle di
Flavio «che nello scrivere è stato elegante».
«E quindi?» mi rispose Flavio.
«E quindi nulla. Era solo una
semplice constatazione».
«Cosa ne pensi?».
«Ambiguo, misterioso, sintetico,
cerimoniale … mi affascina» dissi mantenendo uno sguardo distaccato.
«A me no invece» interruppe
Bianca. Poi continuò posando a terra le buste della spesa «ricevete una lettera
da un tizio che non ha nemmeno un nome normale, che non ha nemmeno un cognome e
… non vi insospettite?».
«Io mi sono insospettito
figliola» gli comunicò Flavio «ma onestamente non me la sento di rinunciare a
centomila euro!» terminò con le monete che gli uscivano dagli occhi.
«Come siete venali!».
«Ehi, parla per tuo padre. A me
non viene in tasca un centesimo oltre i soldi che mi manda mia madre per vivere».
«Ma ricevi un dono
straordinariamente più grande!» affermò Flavio con faccia quasi stupita.
«E sarebbe?».
«La mia scienza di deduzione, il
mio fiuto, non è forse vero, figlia mia? Diglielo anche tu!».
«Ehm … sì, come no …» bastava
poco per farlo contento in fondo.
«Quindi accetti l’incarico?»
domandai.
«Certo che sì! Quando mi ricapita
un ingaggio così appetitoso?».
CAPITOLO
II – Incontri al tramonto
Il pomeriggio successivo, verso
le diciotto, arrivammo alla famigerata Villa Marcelli. Era davvero strepitosa.
Un cancello in bronzo lucido ci aveva aperto la visuale ad un giardino formato
da enormi siepi decorate con fiori di ogni specie e dimensione. Tutto era
impreziosito con una fontana maestosa che ritraeva una figura Lilith e che
dipingeva il cielo rossastro con potenti getti d’acqua.
«Ma che cos’è quella?» esclamò
Flavio
«Cominciamo bene!» disse già
spazientita Bianca «il tuo cliente ha donne nude in giardino!».
«Ma no!» interruppi platealmente
«quello è una Lilith!».
«Che … che cos’è?» mi chiese
Flavio dubbioso.
«Lilith è una figura presente nelle antiche religioni
mesopotamiche e nella prima religione ebraica.
Nella religione mesopotamica Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazia, malattia e morte. Per gli antichi ebrei Lilith era la prima moglie di Adamo,
che fu ripudiata e cacciata via perché si rifiutò di obbedire al marito. In tempi recenti Lilith è assurta al
simbolo della femminilità schiacciata dalla prepotenza della cultura
patriarcale maschilista. C'è una leggenda secondo cui Lilith fu la prima donna
creata, la prima compagna data da Dio ad Adamo. Ma Dio la cacciò dal paradiso
terrestre perché rifiutava di sottomettersi ad Adamo, anche in ambito sessuale,
rifiutando che fosse sempre e solo lui a possederla. Una volta scacciata, Lilith
vagò sulla terra e generò con il male le passioni umane».
«Che storia da brividi» osservò Bianca «ma come fai a sapere
queste cose? Sei appassionato di mitologia?».
«Per niente. Solo che un vecchio amico di famiglia una volta
mi regalò un libro di figure fantastiche e magiche e tra queste c’era anche il
Lilith».
«Be’, Lilith o non Lilith, questa villa è davvero stupenda!»
osservò Flavio.
Mentre
stavamo dirigendoci verso l’entrata, sentì la voce di Flavio sobbalzare e
quella di un altro uomo della sua stessa età fare la stessa cosa.
«Antonio
Verdone?!».
«Flavio
Moggelli?!» ribatté l’uomo.
«Ma
… cosa diamine ci fai qui?!» domandò Flavio in aria arrabbiata.
«Che
significa? Potrei farti la stessa domanda!» rispose questi irritato.
«L’ho
chiesto prima io!».
«E
io l’ho chiesto per secondo! E pretendo risposta!».
«Brutto
ignorante, non sai che chi fa per primo una cosa …».
«Ignorante
a me? Non sono io che in polizia ho confuso un airone con un attacco
terroristico!».
«Come
ti permetti? Io …».
Prima
che potessero ammazzarsi con le loro stesse mani, Bianca decise di intervenire.
Teneva per la mano Andrea e con l’altra aveva passato qualche secondo a
picchettare sulle spalle di Fabio in un tono simile a quello di una ragazza
preoccupata che il proprio padre possa ricevere un cazzotto dritto in mezzo
agli occhi da un momento all’altro. «Papà! Mi spieghi cosa sta succedendo?».
Flavio
si asciugò la fronte imperlata dal sudore, prese per un attimo fiato e con
tutta la calma di questo mondo disse:
«Vi
presento Antonio Verdone, detective e mio ex-collega in polizia».
Antonio
Verdone era un uomo decisamente interessante. A prima occhiata poteva senza
dubbio far scaturire inquietudine, ma in fondo sembrava tranquillo. I capelli
neri tonalità pece erano pettinati in modo perfetto e sistematico. Non c’era un
solo ciuffo che svolazzasse incontrollato dagli altri e seppur portasse la
barba incolta, questa era perfettamente conforme al viso e si dipingeva sul
mento e al di sopra del labbro superiore come fosse quasi il tocco supremo di
un artista. Gli occhietti piccoli, vispi e tipici dell’uomo vissuto, gli
conferivano un aspetto severo, quasi reverenziale . A tutto abbinava orecchie
piuttosto grandi ed un modo di atteggiarsi simile a quello dei chicos degli
anni ottanta, quelli che si muovevano sicuri di sé e che camminavano in modo felpato come se stessero attraversando
un ponte in pericolo di crollo. Aveva un modo di vestire molto simile a quello
di Flavio, con giacca, cravatta e camicia, ma con la differenza che a lui erano
perfettamente stirate, lavate e profumavano quasi di lavanda fresca.
«Molto
piacere signorina. Incantato» disse Verdone baciando la mano di Bianca.
«Ehi
vacci piano, quella è mia figlia». Per la prima volta da quando conoscevo
Flavio, c’era qualcosa che condividevo di ciò che diceva . Giù le mani da Bianca,
dannazione!
«Oh,
che galante. Mi chiamo Bianca».
«Tua
figlia? Insomma, ha preso tutto di Giulia, vero? Bella com’è, non può certo
aver preso da te!».
«Ma
come ti permetti? Non so se ti ricordi, ma io ai miei tempi d’oro ero un vero e
proprio sex symbol».
«Già»
disse Verdone asserendo in modo non convinto e sarcastico «ai tuoi tempi d’oro
eh? Peccato che nessuno se li ricordi!».
«E
questo giovanotto chi è?».
«Mio
figlio Fabio».
«Piacere
di conoscerla» disse Fabio.
«Il
piacere è mio. E questo ragazzino» affermò voltandosi lentamente verso di me
«deve essere Alex, non è vero? Alex Fedele giusto?».
«Giustissimo.
Molto piacere» dissi stringendogli la mano.
«Sto
seguendo i tuoi casi, complimenti, sei davvero preparato. E questo bimbo
accanto a Bianca chi è?».
«E’
mio fratello minore. Si chiama Andrea. Comunque è un onore ricevere complimenti
da lei. Ho letto molto sulle sue imprese» risposi a tono.
«Visto?
Ha letto molto sulle mie imprese» disse voltandosi lentamente verso Flavio. «Comunque
dammi del “tu” ragazzino, basta formalismi»
«Ora
tocca a me. Non vi ho presentato il mio assistito, il mio diamante, il mio
fiore all’occhiello, il giovane detective più innovativo e sagace, non
volermene Alex, che si sia mai visto. Claudio, vieni fuori!».
Fuori
dall’angolo che disegnava la villa, uscì un ragazzo pressoché della mia età,
con capelli castani chiari pettinati in alto in un modo quasi mellifluo,
vellutato. Gli occhi, chiari anch’essi, suscitavano un’ indifferenza ed un
cinismo che non si addiceva per niente alla sua età. Sembrava però, dato lo
sguardo di ghiaccio e il viso dai lineamenti marcati, molto più anziano della
sua età.
«Molto
piacere» disse tirando l’ultima boccata ad una sigaretta e gettandola via.
«Lui
è Claudio Maretti e proviene da Verona. Ha già risolto brillantemente alcuni
casi e non vedeva l’ora di conoscere Alex».
«Davvero?»
domandai leggermente imbarazzato.
Mi
guardò con un’aria di netta superiorità e in tono sprezzante mi fece «Ehi bello,
non credere che sia qui per chiederti l’autografo».
Rimasi
per un attimo allibito. Poi respirai. «Se me lo avessi chiesto, non te lo avrei
comunque fatto».
«Che
cosa?».
«Ma
sì, l’autografo no? Non ne volevi uno?» dissi mostrando ancor più sprezzo del
pericolo.
«Il
tuo ragazzo fuma?» domandò Flavio ad Antonio.
«Quando
è arrivato a Padova era già così. Ho provato più volte a dissuaderlo» disse
abbassando di parecchio il tono della voce «ma credimi, ha un carattere molto
particolare».
«E
con le deduzione come se la cava?».
«E’
imbattibile».
«Forse
non hai mai visto Alex …» affermò abbassando anch’egli il tono della voce. Non
voleva farsi sentire, ma comunque riuscii a captare lo stesso.
«Vedremo
più avanti …» sussurrò Antonio.
«Comunque
è un vero piacere per me conoscerti ragazzo» disse entusiasmato Flavio porgendogli
la mano.
Ma
Claudio non ricambiò affatto. Era così sfacciato da far sembrare il suo
atteggiamento quasi uno status quo. Teneva le mani nelle tasche del suo
pantalone della tuta, mentre lo sguardo volgeva in un punto vuoto, quasi come
in un film di Clint Eastwood. La canottiera nera aderente metteva in risalto un
fisico aitante e leggermente muscoloso che trasudava mascolinità e che faceva
presagire un discreto lavoro settimanale in palestra. La pelle abbronzata era
atipica nella zona dove viveva, ma aiutava comunque a farlo avvolgere in uno
stranissimo alone di mistero che lo rendeva ancora più sicuro di sé.
«C’è
ancora una cosa che non ti ho detto Flavio» sussurrò Antonio Verdone.
«Uh?
In che senso?».
«Non
… non siamo i soli convocati sull’isola. Immagino che tu abbia ricevuto una
lettera da …».
«Amaranthus»
interruppe Flavio «Mi chiedeva di venire qui per un compenso di …».
«Centomila
euro» concluse Antonio.
«Esattamente»
asserì Flavio.
«Be’,
ha chiamato anche qualcun altro e … tu la conosci».
In
quel momento da dietro le nostre spalle si udì una voce suadente, decisamente
accattivante e senza dubbio femminile all’inverosimile che ci fece sobbalzare.
Sapete, non del tipo “che paura”, ma del tipo “se mi giro muoio di infarto”.
E
fu così. Non tanto per la donna in sé per sé, ma per i suoi sensuali modi di
fare e per la sua pelle di porcellana. Aveva tutta l’aria di una femme fatale e
dalle sue lunga ciglia e dai suoi grandi e allungati occhioni verdi, ammirava
il panorama come una dama superba all’interno di un quadro che la vedeva unica
protagonista. I capelli biondissimi raccolti in un pregevole chignon degno
della Kant, adornavano un viso non più giovanissimo, ma comunque possessore di
un fascino indescrivibile. Il fisico era tenuto in forma smagliante ed era
stato avvolto in un elegantissimo tailleur bianco latte.
«Salve
Flavio, come va?» disse la donna.
«Luana
… Luana Siamese!» esclamò quest’ultimo. Gli occhi di Flavio e di Antonio
parevano brillare di gioia, mentre lo sguardo della donna non mostrava un
benché minimo interesse. Flavio, dopo un piccolo momento di smarrimento, si
riprese e domandò alla donna cosa ci facesse in quel posto.
«Secondo
te? Sono stata convocata con la vostra stessa letterina … se prendo chi è
l’idiota che ha fatto questa cosa, giuro che lo prendo a pugni» fu la risposta.
Che caratterino.
«Vedo
che hai mantenuto» deglutì Flavio per un attimo «la tua avvenenza».
«E
vedo che tu sei il solito cascamorto» rispose questa accennando ad un sorriso.
«Comunque» riprese a parlare la donna «sono stato molta onorata nel conoscervi
tutti. Ho seguito tutte le presentazioni e … la persona che mi incuriosisce di
più è questo ragazzino. Ho conosciuto anche Claudio, ma lui mi affascina
decisamente di più … non so, ha qualcosa di così … puro e ordinato …» e così
dicendo indicò me.
Fui
sorpreso da quella affermazioni. Luana si avvicinò a me e fissò i miei occhi con
i suoi bellissimi occhi verdi. La guardavo quasi intimorito, con un leggero
rossore sulle candide guance e vidi che lei pareva quasi compiacersi per quanto
stesse accadendo.
«Uhm
…» disse dubbiosa «sì, hai della stoffa ragazzino, te la leggo negli occhi»
affermò distogliendo finalmente lo sguardo. «Ma,» proseguì riprendendo a
guardarmi «ti consiglio di essere meno timido. Sei arrossito quasi subito non
appena ho posato i miei occhi su di te … che c’è? Non hai mai visto una bella
donna?».
«Il
fatto è che lei …» tentai di dire
«Sì,
lo so, sono bellissima. Ma dammi del “tu” come fai con Antonio».
«Alex»
disse rivolgendosi a me Flavio «Luana è una delle donne detective più
straordinarie ad aver mai intrapreso questa carriera. Potrai imparare molto
anche da lei».
«Non
esagerare …» sussurrò quest’ultima. Sembrava un sergente di ferro vecchio stile
e imprimeva ad ogni sua singola parola una sicurezza ed un modo di fare
inflessibile.
«Non
esagerare? Dovete sapere ragazzi,» continuò guardando anche Claudio «che Luana
ha risolto alcuni dei casi più difficili che si siano mai verificati. La
risoluzione del caso Bontella ad esempio, è stata tutta opera sua».
«Il
caso Bontella?» domandai ammirato «quello del serial killer che uccideva gli
animali e poi li sottoponeva agli esperimenti cercando sadicamente di formare
chimere con gli uomini?».
«Hai
fatto centro ragazzo» asserì Antonio. «A quel caso hanno lavorato decine di
detective, compreso il sottoscritto, senza avere successo. Ma quando Luana è
entrata in campo, ci ha messo solo trenta giorni per scoprire il covo di quel
malato mentale e organizzare un blitz per consegnarlo alla giustizia».
Intanto
Siamese si godeva la scena. Poi, inumidendosi le labbra con la saliva e
prendendo una caramella balsamica riprese a parlare.
«Ho
anch’io la mia allieva, sapete?».
«Hai
deciso di aderire anche tu al PSD allora?» domandò Flavio.
«Certo
che sì. Mi sembra giusto aiutare le nuove leve ad emergere, no?». Poi deglutì e
con tutta la femminilità di questo mondo chiamò fuori la sua “allieva”.
«Denise,
vieni a conoscere i signori, dai».
«Salve
a tutti» sussurrò ad occhi bassi. Poi li alzò e per un attimo ebbi un sussulto.
In
quel momento desiderai conoscerla da sempre. La ragazza che era apparsa alle luci
del tramonto era qualcosa di perfettamente in linea con la sua mentore. Forse
le avevano messe insieme appositamente per il loro aspetto?
La
pelle olivastra di Denise mi colpì immediatamente come una spada nel cuore e i
suoi bellissimi e fascinosi occhi scuri, consentivano a chiunque la guardasse
di entrare per un attimo nel tanto agognato paradiso. A far da contorno ci
avevano pensato i lunghi capelli scalati color biondo cenere, raccolti
parzialmente in una confusionaria ma affascinante acconciatura a coda di
cavallo, e il fisico minuto ma grazioso di una ragazza decisamente seducente. A
tutto questo, si era affiancata una spiccata caratteristica che la pervadeva
interamente. Aveva infatti dei preziosissimi lineamenti sudamericani, quasi
tropicali. Credetemi quando vi dico che qualunque uomo della terra avesse
posato il suo sguardo su quella creatura ne sarebbe stato inevitabilmente
catturato e imbarazzato. Vidi che non ero l’unico maschio della compagnia che
arrossiva. Fabio era completamente “rosato” e Flavio aveva tentato di
nascondere un pallore che si mostrava in modo alquanto palese. Anche Antonio
faceva lo stesso e perfino Claudio, dall’alto del suo caratteraccio, aveva
mostrato un sorrisetto quasi trasparente che tentava di occultare ciò che erano
i pensieri maliziosi dei maschietti presenti. E pensare che loro due l’avevano
già vista prima!
Bianca
mi vide arrossire e mi fece gomito in modo da farmi male. Per un attimo la
guardai e la vidi sensibilmente urtata. Significava qualcosa?
Restammo
tutti per almeno trenta secondi in silenzio. Poi Luana ricordò a tutti i
maschietti di essere sulla Terra.
«Allora,
la accogliete così la mia allieva?» domandò con occhi di ghiaccio.
«Ehm
… certo che no» dicemmo in coro.
Notai
che Denise era arrivata vicino a me e si era appiattita al muretto della villa,
così le tesi la mano e provai a presentarmi, ma fui praticamente rifiutato
visto che mi guardò con aria di sufficienza e mi fece un sorrisino decisamente
malizioso prima di togliersi dalla mia vista. Fabio fece un risolino ironico,
mentre Flavio cercava a stento di trattenersi dallo sganasciarsi dalle risate.
Un
uomo dall’accento toscano stava ascoltando i nostri discorsi da più di mezz’ora
e finalmente sembrava avere un’aria appagata. Lo notai, ma prima di me lo fece
Claudio, che in aria poco gentile e decisamente scontrosa, lo richiamò.
«Quando
ha finito, può anche venir fuori» affermò con decisione mentre guardava un
vecchio cespuglio potato in modo da farlo sembrare verde e rigoglioso come
quello dei prati dei parchi di Londra.
«Oh,
mi dispiace …» sussurrò l’uomo in voce roca e addormentata. Teneva stretta una
sigaretta tra le labbra e manteneva una posa alquanto strana. Le mani in tasca
e la schiena leggermente curva parevano dargli almeno cinquant’anni, quando
invece a malapena forse ne aveva trenta. Sembrava mantenesse la barba incolta
per vocazione e l’impermeabile che si era messo addosso lo dipingeva come l’
Humphrey Bogart dei tempi migliori. L’accento toscano lo rendeva particolare.
«Chi
è lei?» domandò Luana.
«Mi
chiamo Mario Samorella e risparmiatevi le presentazioni, vi conosco già tutti.
Sono stato chiamato qui per il vostro stesso identico motivo».
«Anche
lei investiga sul caso?».
«Certo
che investigo» affermò mentre si avvicinava barcollando. Forse era già sbronzo,
ma ebbe la lucidità necessaria per spiattellare la sua tessera da detective
privato in faccia a Flavio. «Ho anche le tessera» aggiunse.
Aveva
anche la tessera, capite?. Se mai nella mia vita avessi avuto un figlio, giuro
che piuttosto lo avrei affidato alla sorella bisbetica di Mrs Doubtfire, ma mai
a quel matto.
«Sapete»
disse Samorella accendendosi una sigaretta, l’ennesima a giudicare dall’odore
dei suoi vestiti «ci sono altre persone qui, oltre a noi. Guardate, sono
proprio lì» asserì indicando il vuoto dietro di noi. Tutti ci girammo
contemporaneamente e vedemmo nell’ordine un ragazzotto di vent’anni con capelli
neri e barbetta caprina, un uomo apparentemente rude con un Rolex d’oro al
polso sinistro, un ragazzo con uno zainetto in spalla che pareva contenere il
mondo ed una ragazzina poco più grande di me con soffici capelli neri.
«Vi
dico anche i nomi in ordine di come sono messi se volete … Riccardo Fastoreni,
Salvatore Robabiani, Fabrizio Finelati e Sabrina … Sabrina?».
«Tosceni»
concluse la ragazza in un alone di timidezza.
«Ecco
…» aggiunse Samorella mettendo nel “kit della simpatia” anche un sorriso
irritante.
«Ok»
affermò Flavio in un clima di nervosismo «ma cosa diamine ci fate anche voi
qui? Non vorrete dirmi che siete tutti investigatori?».
«Per
niente, io sono ingegnere prego» disse l’uomo col Rolex in modo rude e poco
simpatico. Aveva un grugno decisamente irritante.
«Io
studente» aggiunse il primo ragazzino della fila. «E sogno di diventare
avvocato di successo, non certo un detective da quattro soldi, quindi …».
«Ed
io allora? Sono un semplicissimo impiegato!» affermò disperato Fabrizio
Finelati «Ma in questo momento mi sento come il grande Marx. Sento la necessità
di fare un proclamo su questa spiacevolissima situazione e … mi sento come uno
di quegli eroi patrioti e …».
L’avvenente
ragazza alla sua destra lo interruppe. Meno male. Stava per fare un comizio. «Che
dire di me? Io faccio la modella, non l’ammazza criminali» concluse Sabrina
Tosceni.
«E
allora perché cavolo state qui?!» disse rabbioso Verdone.
«Non
si scaldi … abbiamo ricevuto una lettera da un notaio che ci informava
dell’apertura di un testamento molto proficuo che riguardava tutti e quattro»
disse la stessa Sabrina. Gli altri fecero cenno di sì col capo.
«Comincio
ad essere nervosa papà» disse Bianca. «Questa storia non mi piace, non possiamo
tornare indietro?».
Interruppe
il discorso Denise. Aveva osservato la scena con aria quasi disincantata,
disinteressata ed ora aveva inquadrato la situazione e aveva preso fiato per
rispondere a Bianca.
«Quando
non si può tornare indietro, bisogna soltanto preoccuparsi del modo migliore
per avanzare …».
Bianca
e Flavio la guardarono per un attimo incuriositi, poi vidi che lo sguardo di
Denise si diresse repentinamente verso di me.
«Lo
diceva Paulo Coelho, no?» aggiunse inarcando maliziosamente un sopracciglio.
«G-giusto
…» sussurrai.
C’era
qualcosa che mi affascinava in Denise e tutt’oggi non saprei dirvi cosa. Il
mestiere di chi indaga è uno solo: scoprire la verità. Be’, sono sincero quando
dico che la ragazza mi sembrava ancora un mistero assoluto. Il suo sguardo, le
sue parole, così pesanti e significative per la sua età, il fatto di avermi
prima rifiutato la mano e poi di avermi fissato dritto negli occhi, la sua
timidezza, i suoi sorrisini e le sue
espressioni mature e al tempo stesso figlie della straordinaria ed inimitabile
fierezza giovanile.
CAPITOLO III – Il piano
Stavamo
per andarcene. Il vento cominciava a soffiarci sul collo e francamente eravamo
quasi in procinto di prenderci una bronchite acuta. Poi una voce ci fece
restare. Era “metallica” nel senso che fuoriusciva chissà da quale
apparecchiatura e manteneva una sorta di severità pur passando attraverso il
microfono.
«Andate
tutti nel salone per scoprire il vostro destino» ci disse in una freddezza
immane. Incuriositi, decidemmo di recarci in casa, una magione molto ricca con
quadri di altissimo valore al suo interno. I pavimenti in parquet erano lucidi
quanto gli specchi più belli del mondo e le veneziane davano al posto un
aspetto talmente nobile da far impallidire anche il più elegante salotto
settecentesco.
Il
salone aveva un tavolone di mogano che rifletteva alla perfezione le luci del
lampadario di cristallo che padroneggiava al di sopra di esso. C’era una sedia
per ognuno di noi e casualmente, capitai tra Denise e Bianca. Di fronte a me
c’era Claudio. Perfetto.
«Mi
chiamo Amaranthus ed ora vi svelerò tutto quanto» riprese a parlare la voce
metallica. Ci fu silenzio.
«Esattamente,
è così che vi voglio. In silenzio totale. Bene, probabilmente vi starete
domandando il perché io vi abbia convocato qui. La risposta è semplice. Vi ho
chiamati per un gioco».
«Un
gioco?» domandò Fabio. Andrea, mio fratello, aveva la faccia così perplessa da
sembrare quasi comico.
«Esatto,
un gioco. Ho convocato ben sette detective per dare alle altre quattro persone
convocate qui per la fantomatica eredità di avere una chance contro i miei
intrighi».
«Cosa
vuoi dire?» domandò Verdone alzandosi in piedi. Ma la voce metallica lo
redarguì.
«Si
sieda. Sarebbe un vero peccato se il gioco finisse ancor prima di cominciare,
non crede?».
Verdone
ubbidì e in quel momento capimmo che “il gioco” avrebbe messo in palio le
nostre vite.
«Come
stavo dicendo» riprese a parlare «è solo un piccolo gioco. Un piccolo gioco nel
quale i quattro “testamentari” moriranno tutti».
«Cosa?!»
esclamammo tutti insieme.
«Sarete
parti del gioco in qualità di vittime, che volete di più? Sarete i
protagonisti! Ma c’è un modo per non morire».
«E
quale sarebbe?» domandò Claudio già furioso.
«Io
commetterò degli omicidi, lo sapete già, giusto?» domandò con intenzione
sadica. «Bene, scopritene la dinamica e … più indizi che potete su Amaranthus …
solo così potrete impedire che la serie di omicidi continui».
«E
se non dovessimo riuscirci?» chiesi.
«Signor
Fedele, morirete tutti quanti, uno dopo l’altro. Ci siamo capiti? Avrete una
sola possibilità, ascolterò solo uno di voi».
«Chiaro
…» affermai con la fronte già imperlata dal sudore.
«Non
credete di poter scappare» continuò dopo essersi fermato per qualche secondo e
averci lasciato nell’agonia più totale. «Ho praticamente riempito la casa e il
giardino di telecamere a circuito chiuso. In questo momento vi sto guardando da
un enorme monitor situato in un buco di questa zona. Inoltre,» continuò «sul
giardino sono state impiantate proprio in questo momento delle reti metalliche
alte circa quattro metri e non credo proprio che vi vada di fare un saltino».
«Ciò
che dice è vero» disse guardando fuori dalla finestra Flavio. «Siamo
circondati».
«Ma
perché lo fai? Qual è il tuo …».
«Il
mio scopo bella signora?» disse interrompendo Luana. «Una
singola morte è una tragedia, un milione di morti è una statistica» rispose
freddamente. «Lo disse Stalin, sapete? E sapete che c’è? Condivido pienamente
la sua pragmatica affermazione. Ah, a proposito. Non tentate di avvisare la
polizia. Non ci sono telefoni qui e tutti i vostri cellulari sono inutili. In
questa zona non prendono».
Guardammo
tristemente i display dei nostri cellulari consapevoli che ciò che ci stava
dicendo quella sorta di voce metallica corrispondeva certamente a realtà.
Denise mantenne per un attimo lo sguardo nel vuoto, mentre Claudio ringhiava
rabbioso verso la più paradossale e stupida delle situazioni.
«Un’ultima
cosa» finì di aggiungere la voce dall’altoparlante «avete dodici ore di tempo
per risolvere gli enigmi che riguardano i delitti e per scoprire più cose che
potete su di me. Se non ci riuscite, la casa fa “bum”. Qualora qualcuno di voi
riuscisse a scoprire tutto, deve recarsi in questa stanza e afferrare quel
microfono» disse facendoci notare una sorta di microfono vecchio stile
attaccato al muro mediante un’apparecchiatura simile a quella di un citofono.
«E ora al lavoro, il gioco comincia!».
Eravamo
sconvolti, la foschia della sera si era sollevata e il grande freddo avvolgeva
con i vetri delle finestre appannandoli completamente. L’unica domanda che ci
ponevamo era: «Chi sarà la prima vittima?».
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