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sabato 9 giugno 2012

Alex Fedele: Gita in Toscana(1°parte) #41 (seconda stagione)


GITA IN TOSCANA(1°Parte)


PROLOGO: Che cos'è la paura? Per tanti è il timore di perdere le cose che ami, per altri è non avere la libertà. Per i nostri è una lettera. Già, una lettera fittizia nella quale all'apparenza c'è un caso molto interessante. Destinazione Toscana, dunque, terra di grandi poemi e d'arte. Ci sarà da divertirsi tra vecchie e nuove conoscenze e con un cervello da definire malato



CAPITOLO I – La lettera di Amaranthus

Adesso si era fissato con i vini. Già, mi riferisco a Flavio. Nell’ultima settimana aveva passato il tempo a parlare solo di vini, a discutere sui loro aromi, a degustare quelli dati in omaggio al supermercato. Insomma, una pizza. Personalmente mi affascinava quel mondo, ma non così tanto da poterne sopportare il dialogo per venti ore su ventiquattro giornaliere.
«Cosa ne pensi del “Gabiano riserva”?» mi chiese mentre teneva in mano una bottiglia dall’etichetta biancastra
«Ottimo» risposi senza emozione.
«E del “Dolcetto del diano d’alba”?».
«Strepitoso» acconsentii con lo stesso tono.
«Cosa mi dici dell’”Alsace AOC”?.
«Superbo!» esclamai con finta esaltazione.
«Dì un po’» cominciò guardandomi disturbato «mi stai rispondendo davvero o mi stai prendendo in giro?».
«Indovina …».
«Mi auguro per te che tu sia serio».
«Chissà …» risposi dubbioso allungando le gambe sopra il tavolino. Ero seduto sul divano e amavo quando qualcuno si arrabbiava senza motivo.
«Ti ho detto mille volte di non mettere i piedi lì sopra!» mi rimproverò Bianca. Era entrata in punta di piedi dalla porta secondaria dell’ufficio e teneva al seguito mio fratello Andrea.
«Te lo ha detto mille volte!» rafforzò il concetto quest’ultimo.
«Ok, scusate … non fatela tanto lunga …».
«C’è posta per me?» domandò Flavio curioso.
«Altroché … guarda qui» fece porgendogli una massa di carta
Flavio diede loro un’occhiata di sufficienza, poi se le fece passare tra le mani e cominciò a scorgerle un po’ alla volta.
«Vediamo … bolletta della luce, dell’acqua, del gas … si saranno mica coalizzati contro di me?!» poi continuò «una lettera di saluti da un mio parente di Catania, pubblicità del nuovo centro commerciale e … cos’è questa?» si domandò afferrando e stringendo tra le mani una lettera con un sigillo arancione. Era particolarmente strana e sembrava quasi brillasse di luce propria.
«”Per il sig. Fedele ed il sig. Moggelli”» disse cominciando a leggere il retro della busta.
«C’entro qualcosa?» domandai rizzandomi in piedi.
«Direi di sì, aspetta che leggo» affermò incuriosito mentre apriva la busta.
Si schiarì per un momento la voce, poi riprese a leggere.
«Non è meglio se la leggiamo in silenzio? Sennò con quella voce che ti …».
«Alex! Mi stai per caso dicendo che non ho una bella voce?!».
«Io?» domandai facendo un risolino «ma non mi permetterei mai! Figuriamoci! Dico, ti sei mai sentito cantare sotto la doccia, sei proprio …».
«Bene», mi interruppe «perché sappi che io ho una voce calda come quella di Baglioni e graffiante come quella di Wonder e …».
«E adesso leggiamo la lettera, così scopriamo cosa dice, va bene?» disse un po’ nervosetta Bianca.
La lettera era scritta davvero bene, e si presentava in questa forma:

Onorevolissimi sig. Fedele e sig. Moggelli,

Tengo a comunicarvi con questa presente lettera la mia intenzione di ingaggiarvi per un caso estremamente delicato che da tempo mi addolora. Spero di essere abbastanza chiaro quando dico che sto rivolgendomi chiaramente ai migliori sulla piazza. Negli ultimi tempi i casi risolti dal sig. Fedele e l’acume esperto del sig. Moggelli sono balzati agli onori della cronaca e francamente credo che solo Voi possiate risolvere il mio mistero.

Personalmente risiedo in Toscana,  in una piccolissima cittadina montana chiamata Vicchio e vi sarei molto grato se veniste fin qui per constatare ciò che mi cruccia.
Naturalmente non dovete preoccuparvi per il viaggio, in quanto è logico che provvederò a tutto io stesso, pagamento compreso.
Nel caso decidiate di accettare, prego i signori di recarsi all’agenzia di viaggi più vicina, dove troverete tutto il vostro itinerario già programmato. Nel caso in cui, malauguratamente, decideste di non accettare l’incarico, allora mi preme dirvi che rinuncereste ad un onorario dell’ammontare di centomila euro.

Sperando di trovarvi domani sera alle 19 a villa Marcelli ,Vi porgo i miei più sinceri saluti con l’augurio di una sfavillante carriera.

Amaranthus

«E’ da dire» commentai alzando lo sguardo e volgendolo verso la grande vetrata che capeggiava alle spalle di Flavio «che nello scrivere è stato elegante».
«E quindi?» mi rispose Flavio.
«E quindi nulla. Era solo una semplice constatazione».
«Cosa ne pensi?».
«Ambiguo, misterioso, sintetico, cerimoniale … mi affascina» dissi mantenendo uno sguardo distaccato.
«A me no invece» interruppe Bianca. Poi continuò posando a terra le buste della spesa «ricevete una lettera da un tizio che non ha nemmeno un nome normale, che non ha nemmeno un cognome e … non vi insospettite?».
«Io mi sono insospettito figliola» gli comunicò Flavio «ma onestamente non me la sento di rinunciare a centomila euro!» terminò con le monete che gli uscivano dagli occhi.
«Come siete venali!».
«Ehi, parla per tuo padre. A me non viene in tasca un centesimo oltre i soldi che mi manda mia madre per vivere».
«Ma ricevi un dono straordinariamente più grande!» affermò Flavio con faccia quasi stupita.
«E sarebbe?».
«La mia scienza di deduzione, il mio fiuto, non è forse vero, figlia mia? Diglielo anche tu!».
«Ehm … sì, come no …» bastava poco per farlo contento in fondo.
«Quindi accetti l’incarico?» domandai.
«Certo che sì! Quando mi ricapita un ingaggio così appetitoso?».

CAPITOLO II – Incontri al tramonto

Il pomeriggio successivo, verso le diciotto, arrivammo alla famigerata Villa Marcelli. Era davvero strepitosa. Un cancello in bronzo lucido ci aveva aperto la visuale ad un giardino formato da enormi siepi decorate con fiori di ogni specie e dimensione. Tutto era impreziosito con una fontana maestosa che ritraeva una figura Lilith e che dipingeva il cielo rossastro con potenti getti d’acqua.
«Ma che cos’è quella?» esclamò Flavio
«Cominciamo bene!» disse già spazientita Bianca «il tuo cliente ha donne nude in giardino!».
«Ma no!» interruppi platealmente «quello è una Lilith!».
«Che … che cos’è?» mi chiese Flavio dubbioso.
«Lilith è una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazia, malattia e morte. Per gli antichi ebrei Lilith era la prima moglie di Adamo, che fu ripudiata e cacciata via perché si rifiutò di obbedire al marito. In tempi recenti Lilith è assurta al simbolo della femminilità schiacciata dalla prepotenza della cultura patriarcale maschilista. C'è una leggenda secondo cui Lilith fu la prima donna creata, la prima compagna data da Dio ad Adamo. Ma Dio la cacciò dal paradiso terrestre perché rifiutava di sottomettersi ad Adamo, anche in ambito sessuale, rifiutando che fosse sempre e solo lui a possederla. Una volta scacciata, Lilith vagò sulla terra e generò con il male le passioni umane».
«Che storia da brividi» osservò Bianca «ma come fai a sapere queste cose? Sei appassionato di mitologia?».
«Per niente. Solo che un vecchio amico di famiglia una volta mi regalò un libro di figure fantastiche e magiche e tra queste c’era anche il Lilith».
«Be’, Lilith o non Lilith, questa villa è davvero stupenda!» osservò Flavio.
Mentre stavamo dirigendoci verso l’entrata, sentì la voce di Flavio sobbalzare e quella di un altro uomo della sua stessa età fare la stessa cosa.
«Antonio Verdone?!».
«Flavio Moggelli?!» ribatté l’uomo.
«Ma … cosa diamine ci fai qui?!» domandò Flavio in aria arrabbiata.
«Che significa? Potrei farti la stessa domanda!» rispose questi irritato.
«L’ho chiesto prima io!».
«E io l’ho chiesto per secondo! E pretendo risposta!».
«Brutto ignorante, non sai che chi fa per primo una cosa …».
«Ignorante a me? Non sono io che in polizia ho confuso un airone con un attacco terroristico!».
«Come ti permetti? Io …».
Prima che potessero ammazzarsi con le loro stesse mani, Bianca decise di intervenire. Teneva per la mano Andrea e con l’altra aveva passato qualche secondo a picchettare sulle spalle di Fabio in un tono simile a quello di una ragazza preoccupata che il proprio padre possa ricevere un cazzotto dritto in mezzo agli occhi da un momento all’altro. «Papà! Mi spieghi cosa sta succedendo?».
Flavio si asciugò la fronte imperlata dal sudore, prese per un attimo fiato e con tutta la calma di questo mondo disse:
«Vi presento Antonio Verdone, detective e mio ex-collega in polizia».
Antonio Verdone era un uomo decisamente interessante. A prima occhiata poteva senza dubbio far scaturire inquietudine, ma in fondo sembrava tranquillo. I capelli neri tonalità pece erano pettinati in modo perfetto e sistematico. Non c’era un solo ciuffo che svolazzasse incontrollato dagli altri e seppur portasse la barba incolta, questa era perfettamente conforme al viso e si dipingeva sul mento e al di sopra del labbro superiore come fosse quasi il tocco supremo di un artista. Gli occhietti piccoli, vispi e tipici dell’uomo vissuto, gli conferivano un aspetto severo, quasi reverenziale . A tutto abbinava orecchie piuttosto grandi ed un modo di atteggiarsi simile a quello dei chicos degli anni ottanta, quelli che si muovevano sicuri di sé  e che camminavano  in modo felpato come se stessero attraversando un ponte in pericolo di crollo. Aveva un modo di vestire molto simile a quello di Flavio, con giacca, cravatta e camicia, ma con la differenza che a lui erano perfettamente stirate, lavate e profumavano quasi di lavanda fresca.
«Molto piacere signorina. Incantato» disse Verdone baciando la mano di Bianca.
«Ehi vacci piano, quella è mia figlia». Per la prima volta da quando conoscevo Flavio, c’era qualcosa che condividevo di ciò che diceva . Giù le mani da Bianca, dannazione!
«Oh, che galante. Mi chiamo Bianca».
«Tua figlia? Insomma, ha preso tutto di Giulia, vero? Bella com’è, non può certo aver preso da te!».
«Ma come ti permetti? Non so se ti ricordi, ma io ai miei tempi d’oro ero un vero e proprio sex symbol».
«Già» disse Verdone asserendo in modo non convinto e sarcastico «ai tuoi tempi d’oro eh? Peccato che nessuno se li ricordi!».
«E questo giovanotto chi è?».
«Mio figlio Fabio».
«Piacere di conoscerla» disse Fabio.
«Il piacere è mio. E questo ragazzino» affermò voltandosi lentamente verso di me «deve essere Alex, non è vero? Alex Fedele giusto?».
«Giustissimo. Molto piacere» dissi stringendogli la mano.
«Sto seguendo i tuoi casi, complimenti, sei davvero preparato. E questo bimbo accanto a Bianca chi è?».
«E’ mio fratello minore. Si chiama Andrea. Comunque è un onore ricevere complimenti da lei. Ho letto molto sulle sue imprese» risposi a tono.
«Visto? Ha letto molto sulle mie imprese» disse voltandosi lentamente verso Flavio. «Comunque dammi del “tu” ragazzino, basta formalismi»
«Ora tocca a me. Non vi ho presentato il mio assistito, il mio diamante, il mio fiore all’occhiello, il giovane detective più innovativo e sagace, non volermene Alex, che si sia mai visto. Claudio, vieni fuori!».
Fuori dall’angolo che disegnava la villa, uscì un ragazzo pressoché della mia età, con capelli castani chiari pettinati in alto in un modo quasi mellifluo, vellutato. Gli occhi, chiari anch’essi, suscitavano un’ indifferenza ed un cinismo che non si addiceva per niente alla sua età. Sembrava però, dato lo sguardo di ghiaccio e il viso dai lineamenti marcati, molto più anziano della sua età.
«Molto piacere» disse tirando l’ultima boccata ad una sigaretta e gettandola via.
«Lui è Claudio Maretti e proviene da Verona. Ha già risolto brillantemente alcuni casi e non vedeva l’ora di conoscere Alex».
«Davvero?» domandai leggermente imbarazzato.
Mi guardò con un’aria di netta superiorità e in tono sprezzante mi fece «Ehi bello, non credere che sia qui per chiederti l’autografo».
Rimasi per un attimo allibito. Poi respirai. «Se me lo avessi chiesto, non te lo avrei comunque fatto».
«Che cosa?».
«Ma sì, l’autografo no? Non ne volevi uno?» dissi mostrando ancor più sprezzo del pericolo.
«Il tuo ragazzo fuma?» domandò Flavio ad Antonio.
«Quando è arrivato a Padova era già così. Ho provato più volte a dissuaderlo» disse abbassando di parecchio il tono della voce «ma credimi, ha un carattere molto particolare».
«E con le deduzione come se la cava?».
«E’ imbattibile».
«Forse non hai mai visto Alex …» affermò abbassando anch’egli il tono della voce. Non voleva farsi sentire, ma comunque riuscii a captare lo stesso.
«Vedremo più avanti …» sussurrò Antonio.
«Comunque è un vero piacere per me conoscerti ragazzo» disse entusiasmato Flavio porgendogli la mano.
Ma Claudio non ricambiò affatto. Era così sfacciato da far sembrare il suo atteggiamento quasi uno status quo. Teneva le mani nelle tasche del suo pantalone della tuta, mentre lo sguardo volgeva in un punto vuoto, quasi come in un film di Clint Eastwood. La canottiera nera aderente metteva in risalto un fisico aitante e leggermente muscoloso che trasudava mascolinità e che faceva presagire un discreto lavoro settimanale in palestra. La pelle abbronzata era atipica nella zona dove viveva, ma aiutava comunque a farlo avvolgere in uno stranissimo alone di mistero che lo rendeva ancora più sicuro di sé.
«C’è ancora una cosa che non ti ho detto Flavio» sussurrò Antonio Verdone.
«Uh? In che senso?».
«Non … non siamo i soli convocati sull’isola. Immagino che tu abbia ricevuto una lettera da …».
«Amaranthus» interruppe Flavio «Mi chiedeva di venire qui per un compenso di …».
«Centomila euro» concluse Antonio.
«Esattamente» asserì Flavio.
«Be’, ha chiamato anche qualcun altro e … tu la conosci».
In quel momento da dietro le nostre spalle si udì una voce suadente, decisamente accattivante e senza dubbio femminile all’inverosimile che ci fece sobbalzare. Sapete, non del tipo “che paura”, ma del tipo “se mi giro muoio di infarto”.
E fu così. Non tanto per la donna in sé per sé, ma per i suoi sensuali modi di fare e per la sua pelle di porcellana. Aveva tutta l’aria di una femme fatale e dalle sue lunga ciglia e dai suoi grandi e allungati occhioni verdi, ammirava il panorama come una dama superba all’interno di un quadro che la vedeva unica protagonista. I capelli biondissimi raccolti in un pregevole chignon degno della Kant, adornavano un viso non più giovanissimo, ma comunque possessore di un fascino indescrivibile. Il fisico era tenuto in forma smagliante ed era stato avvolto in un elegantissimo tailleur bianco latte.
«Salve Flavio, come va?» disse la donna.
«Luana … Luana Siamese!» esclamò quest’ultimo. Gli occhi di Flavio e di Antonio parevano brillare di gioia, mentre lo sguardo della donna non mostrava un benché minimo interesse. Flavio, dopo un piccolo momento di smarrimento, si riprese e domandò alla donna cosa ci facesse in quel posto.
«Secondo te? Sono stata convocata con la vostra stessa letterina … se prendo chi è l’idiota che ha fatto questa cosa, giuro che lo prendo a pugni» fu la risposta. Che caratterino.
«Vedo che hai mantenuto» deglutì Flavio per un attimo «la tua avvenenza».
«E vedo che tu sei il solito cascamorto» rispose questa accennando ad un sorriso. «Comunque» riprese a parlare la donna «sono stato molta onorata nel conoscervi tutti. Ho seguito tutte le presentazioni e … la persona che mi incuriosisce di più è questo ragazzino. Ho conosciuto anche Claudio, ma lui mi affascina decisamente di più … non so, ha qualcosa di così … puro e ordinato …» e così dicendo indicò me.
Fui sorpreso da quella affermazioni. Luana si avvicinò a me e fissò i miei occhi con i suoi bellissimi occhi verdi. La guardavo quasi intimorito, con un leggero rossore sulle candide guance e vidi che lei pareva quasi compiacersi per quanto stesse accadendo.
«Uhm …» disse dubbiosa «sì, hai della stoffa ragazzino, te la leggo negli occhi» affermò distogliendo finalmente lo sguardo. «Ma,» proseguì riprendendo a guardarmi «ti consiglio di essere meno timido. Sei arrossito quasi subito non appena ho posato i miei occhi su di te … che c’è? Non hai mai visto una bella donna?».
«Il fatto è che lei …» tentai di dire
«Sì, lo so, sono bellissima. Ma dammi del “tu” come fai con Antonio».
«Alex» disse rivolgendosi a me Flavio «Luana è una delle donne detective più straordinarie ad aver mai intrapreso questa carriera. Potrai imparare molto anche da lei».
«Non esagerare …» sussurrò quest’ultima. Sembrava un sergente di ferro vecchio stile e imprimeva ad ogni sua singola parola una sicurezza ed un modo di fare inflessibile.
«Non esagerare? Dovete sapere ragazzi,» continuò guardando anche Claudio «che Luana ha risolto alcuni dei casi più difficili che si siano mai verificati. La risoluzione del caso Bontella ad esempio, è stata tutta opera sua».
«Il caso Bontella?» domandai ammirato «quello del serial killer che uccideva gli animali e poi li sottoponeva agli esperimenti cercando sadicamente di formare chimere con gli uomini?».
«Hai fatto centro ragazzo» asserì Antonio. «A quel caso hanno lavorato decine di detective, compreso il sottoscritto, senza avere successo. Ma quando Luana è entrata in campo, ci ha messo solo trenta giorni per scoprire il covo di quel malato mentale e organizzare un blitz per consegnarlo alla giustizia».
Intanto Siamese si godeva la scena. Poi, inumidendosi le labbra con la saliva e prendendo una caramella balsamica riprese a parlare.
«Ho anch’io la mia allieva, sapete?».
«Hai deciso di aderire anche tu al PSD allora?» domandò Flavio.
«Certo che sì. Mi sembra giusto aiutare le nuove leve ad emergere, no?». Poi deglutì e con tutta la femminilità di questo mondo chiamò fuori la sua “allieva”.
«Denise, vieni a conoscere i signori, dai».
«Salve a tutti» sussurrò ad occhi bassi. Poi li alzò e per un attimo ebbi un sussulto.
In quel momento desiderai conoscerla da sempre. La ragazza che era apparsa alle luci del tramonto era qualcosa di perfettamente in linea con la sua mentore. Forse le avevano messe insieme appositamente per il loro aspetto?
La pelle olivastra di Denise mi colpì immediatamente come una spada nel cuore e i suoi bellissimi e fascinosi occhi scuri, consentivano a chiunque la guardasse di entrare per un attimo nel tanto agognato paradiso. A far da contorno ci avevano pensato i lunghi capelli scalati color biondo cenere, raccolti parzialmente in una confusionaria ma affascinante acconciatura a coda di cavallo, e il fisico minuto ma grazioso di una ragazza decisamente seducente. A tutto questo, si era affiancata una spiccata caratteristica che la pervadeva interamente. Aveva infatti dei preziosissimi lineamenti sudamericani, quasi tropicali. Credetemi quando vi dico che qualunque uomo della terra avesse posato il suo sguardo su quella creatura ne sarebbe stato inevitabilmente catturato e imbarazzato. Vidi che non ero l’unico maschio della compagnia che arrossiva. Fabio era completamente “rosato” e Flavio aveva tentato di nascondere un pallore che si mostrava in modo alquanto palese. Anche Antonio faceva lo stesso e perfino Claudio, dall’alto del suo caratteraccio, aveva mostrato un sorrisetto quasi trasparente che tentava di occultare ciò che erano i pensieri maliziosi dei maschietti presenti. E pensare che loro due l’avevano già vista prima!
Bianca mi vide arrossire e mi fece gomito in modo da farmi male. Per un attimo la guardai e la vidi sensibilmente urtata. Significava qualcosa?
Restammo tutti per almeno trenta secondi in silenzio. Poi Luana ricordò a tutti i maschietti di essere sulla Terra.
«Allora, la accogliete così la mia allieva?» domandò con occhi di ghiaccio.
«Ehm … certo che no» dicemmo in coro.
Notai che Denise era arrivata vicino a me e si era appiattita al muretto della villa, così le tesi la mano e provai a presentarmi, ma fui praticamente rifiutato visto che mi guardò con aria di sufficienza e mi fece un sorrisino decisamente malizioso prima di togliersi dalla mia vista. Fabio fece un risolino ironico, mentre Flavio cercava a stento di trattenersi dallo sganasciarsi dalle risate.
Un uomo dall’accento toscano stava ascoltando i nostri discorsi da più di mezz’ora e finalmente sembrava avere un’aria appagata. Lo notai, ma prima di me lo fece Claudio, che in aria poco gentile e decisamente scontrosa, lo richiamò.
«Quando ha finito, può anche venir fuori» affermò con decisione mentre guardava un vecchio cespuglio potato in modo da farlo sembrare verde e rigoglioso come quello dei prati dei parchi di Londra.
«Oh, mi dispiace …» sussurrò l’uomo in voce roca e addormentata. Teneva stretta una sigaretta tra le labbra e manteneva una posa alquanto strana. Le mani in tasca e la schiena leggermente curva parevano dargli almeno cinquant’anni, quando invece a malapena forse ne aveva trenta. Sembrava mantenesse la barba incolta per vocazione e l’impermeabile che si era messo addosso lo dipingeva come l’ Humphrey Bogart dei tempi migliori. L’accento toscano lo rendeva particolare.
«Chi è lei?» domandò Luana.
«Mi chiamo Mario Samorella e risparmiatevi le presentazioni, vi conosco già tutti. Sono stato chiamato qui per il vostro stesso identico motivo».
«Anche lei investiga sul caso?».
«Certo che investigo» affermò mentre si avvicinava barcollando. Forse era già sbronzo, ma ebbe la lucidità necessaria per spiattellare la sua tessera da detective privato in faccia a Flavio. «Ho anche le tessera» aggiunse.
Aveva anche la tessera, capite?. Se mai nella mia vita avessi avuto un figlio, giuro che piuttosto lo avrei affidato alla sorella bisbetica di Mrs Doubtfire, ma mai a quel matto.
«Sapete» disse Samorella accendendosi una sigaretta, l’ennesima a giudicare dall’odore dei suoi vestiti «ci sono altre persone qui, oltre a noi. Guardate, sono proprio lì» asserì indicando il vuoto dietro di noi. Tutti ci girammo contemporaneamente e vedemmo nell’ordine un ragazzotto di vent’anni con capelli neri e barbetta caprina, un uomo apparentemente rude con un Rolex d’oro al polso sinistro, un ragazzo con uno zainetto in spalla che pareva contenere il mondo ed una ragazzina poco più grande di me con soffici capelli neri.
«Vi dico anche i nomi in ordine di come sono messi se volete … Riccardo Fastoreni, Salvatore Robabiani, Fabrizio Finelati e Sabrina … Sabrina?».
«Tosceni» concluse la ragazza in un alone di timidezza.
«Ecco …» aggiunse Samorella mettendo nel “kit della simpatia” anche un sorriso irritante.
«Ok» affermò Flavio in un clima di nervosismo «ma cosa diamine ci fate anche voi qui? Non vorrete dirmi che siete tutti investigatori?».
«Per niente, io sono ingegnere prego» disse l’uomo col Rolex in modo rude e poco simpatico. Aveva un grugno decisamente irritante.
«Io studente» aggiunse il primo ragazzino della fila. «E sogno di diventare avvocato di successo, non certo un detective da quattro soldi, quindi …».
«Ed io allora? Sono un semplicissimo impiegato!» affermò disperato Fabrizio Finelati «Ma in questo momento mi sento come il grande Marx. Sento la necessità di fare un proclamo su questa spiacevolissima situazione e … mi sento come uno di quegli eroi patrioti e …».
L’avvenente ragazza alla sua destra lo interruppe. Meno male. Stava per fare un comizio. «Che dire di me? Io faccio la modella, non l’ammazza criminali» concluse Sabrina Tosceni.
«E allora perché cavolo state qui?!» disse rabbioso Verdone.
«Non si scaldi … abbiamo ricevuto una lettera da un notaio che ci informava dell’apertura di un testamento molto proficuo che riguardava tutti e quattro» disse la stessa Sabrina. Gli altri fecero cenno di sì col capo.
«Comincio ad essere nervosa papà» disse Bianca. «Questa storia non mi piace, non possiamo tornare indietro?».
Interruppe il discorso Denise. Aveva osservato la scena con aria quasi disincantata, disinteressata ed ora aveva inquadrato la situazione e aveva preso fiato per rispondere a Bianca.
«Quando non si può tornare indietro, bisogna soltanto preoccuparsi del modo migliore per avanzare …».
Bianca e Flavio la guardarono per un attimo incuriositi, poi vidi che lo sguardo di Denise si diresse repentinamente verso di me.
«Lo diceva Paulo Coelho, no?» aggiunse inarcando maliziosamente un sopracciglio.
«G-giusto …» sussurrai.
C’era qualcosa che mi affascinava in Denise e tutt’oggi non saprei dirvi cosa. Il mestiere di chi indaga è uno solo: scoprire la verità. Be’, sono sincero quando dico che la ragazza mi sembrava ancora un mistero assoluto. Il suo sguardo, le sue parole, così pesanti e significative per la sua età, il fatto di avermi prima rifiutato la mano e poi di avermi fissato dritto negli occhi, la sua timidezza,  i suoi sorrisini e le sue espressioni mature e al tempo stesso figlie della straordinaria ed inimitabile fierezza giovanile.

CAPITOLO III – Il piano

Stavamo per andarcene. Il vento cominciava a soffiarci sul collo e francamente eravamo quasi in procinto di prenderci una bronchite acuta. Poi una voce ci fece restare. Era “metallica” nel senso che fuoriusciva chissà da quale apparecchiatura e manteneva una sorta di severità pur passando attraverso il microfono.
«Andate tutti nel salone per scoprire il vostro destino» ci disse in una freddezza immane. Incuriositi, decidemmo di recarci in casa, una magione molto ricca con quadri di altissimo valore al suo interno. I pavimenti in parquet erano lucidi quanto gli specchi più belli del mondo e le veneziane davano al posto un aspetto talmente nobile da far impallidire anche il più elegante salotto settecentesco.
Il salone aveva un tavolone di mogano che rifletteva alla perfezione le luci del lampadario di cristallo che padroneggiava al di sopra di esso. C’era una sedia per ognuno di noi e casualmente, capitai tra Denise e Bianca. Di fronte a me c’era Claudio. Perfetto.

«Mi chiamo Amaranthus ed ora vi svelerò tutto quanto» riprese a parlare la voce metallica. Ci fu silenzio.
«Esattamente, è così che vi voglio. In silenzio totale. Bene, probabilmente vi starete domandando il perché io vi abbia convocato qui. La risposta è semplice. Vi ho chiamati per un gioco».
«Un gioco?» domandò Fabio. Andrea, mio fratello, aveva la faccia così perplessa da sembrare quasi comico.
«Esatto, un gioco. Ho convocato ben sette detective per dare alle altre quattro persone convocate qui per la fantomatica eredità di avere una chance contro i miei intrighi».
«Cosa vuoi dire?» domandò Verdone alzandosi in piedi. Ma la voce metallica lo redarguì.
«Si sieda. Sarebbe un vero peccato se il gioco finisse ancor prima di cominciare, non crede?».
Verdone ubbidì e in quel momento capimmo che “il gioco” avrebbe messo in palio le nostre vite.
«Come stavo dicendo» riprese a parlare «è solo un piccolo gioco. Un piccolo gioco nel quale i quattro “testamentari” moriranno tutti».
«Cosa?!» esclamammo tutti insieme.
«Sarete parti del gioco in qualità di vittime, che volete di più? Sarete i protagonisti! Ma c’è un modo per non morire».
«E quale sarebbe?» domandò Claudio già furioso.
«Io commetterò degli omicidi, lo sapete già, giusto?» domandò con intenzione sadica. «Bene, scopritene la dinamica e … più indizi che potete su Amaranthus … solo così potrete impedire che la serie di omicidi continui».
«E se non dovessimo riuscirci?» chiesi.
«Signor Fedele, morirete tutti quanti, uno dopo l’altro. Ci siamo capiti? Avrete una sola possibilità, ascolterò solo uno di voi».
«Chiaro …» affermai con la fronte già imperlata dal sudore.
«Non credete di poter scappare» continuò dopo essersi fermato per qualche secondo e averci lasciato nell’agonia più totale. «Ho praticamente riempito la casa e il giardino di telecamere a circuito chiuso. In questo momento vi sto guardando da un enorme monitor situato in un buco di questa zona. Inoltre,» continuò «sul giardino sono state impiantate proprio in questo momento delle reti metalliche alte circa quattro metri e non credo proprio che vi vada di fare un saltino».
«Ciò che dice è vero» disse guardando fuori dalla finestra Flavio. «Siamo circondati».
«Ma perché lo fai? Qual è il tuo …».
«Il mio scopo bella signora?» disse interrompendo Luana. «Una singola morte è una tragedia, un milione di morti è una statistica» rispose freddamente. «Lo disse Stalin, sapete? E sapete che c’è? Condivido pienamente la sua pragmatica affermazione. Ah, a proposito. Non tentate di avvisare la polizia. Non ci sono telefoni qui e tutti i vostri cellulari sono inutili. In questa zona non prendono».
Guardammo tristemente i display dei nostri cellulari consapevoli che ciò che ci stava dicendo quella sorta di voce metallica corrispondeva certamente a realtà. Denise mantenne per un attimo lo sguardo nel vuoto, mentre Claudio ringhiava rabbioso verso la più paradossale e stupida delle situazioni.
«Un’ultima cosa» finì di aggiungere la voce dall’altoparlante «avete dodici ore di tempo per risolvere gli enigmi che riguardano i delitti e per scoprire più cose che potete su di me. Se non ci riuscite, la casa fa “bum”. Qualora qualcuno di voi riuscisse a scoprire tutto, deve recarsi in questa stanza e afferrare quel microfono» disse facendoci notare una sorta di microfono vecchio stile attaccato al muro mediante un’apparecchiatura simile a quella di un citofono. «E ora al lavoro, il gioco comincia!».
Eravamo sconvolti, la foschia della sera si era sollevata e il grande freddo avvolgeva con i vetri delle finestre appannandoli completamente. L’unica domanda che ci ponevamo era: «Chi sarà la prima vittima?».


 ANTICIPAZIONE EPISODIO 42: La strage continua e la Toscana è scenario di una grandissima convulsione collettiva. Chi vincerà tra il bene e il male? ALEX FEDELE EPISODIO 42 GITA IN TOSCANA(2°Parte).
Solo qui a partire dal 16/06/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!











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