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sabato 21 aprile 2012
Alex Fedele: Persi nella neve #34(seconda stagione)
PERSI NELLA NEVE
PROLOGO:Un caso irrisolto, un nuovo omicidio, intrighi, passioni e misteri che si fondono alle spalle di un noto politico. Tutto accade in un soggiorno in montagna. Si scoprirà quanto è difficile trattenere le bufere dei sentimenti.
Sigla di oggi: "False Pretense" by The Red Jumpsuit Apparture
CAPITOLO I – Una vecchia storia sospetta
Filippo Bonerini era sempre stato un uomo potente, dalle indubbie qualità politiche ed un pezzo talmente grosso di quel mondo da far ombra agli uomini d’affari più facoltosi. Ciò vuol dire che sapeva rapidamente ottenere tutto ciò che voleva nel giro di mezzo secondo al massimo. Bonerini voleva una cioccolata calda a Luglio? Bene, poteva averla. Il senatore voleva un jet personale per viaggiare lungo il Tamigi con indosso solo un orrendo bikini ed un paio di cappellini da universitari? Bene, gli veniva sicuramente concesso. Insomma, era uno di quei pochi uomini in grado di spostare il destino del mondo con le proprie mani e con i propri voleri. Personalmente avevo sempre odiato la gente così. Fatto sta, che il lavoro era ancora una volta prevalso sulle preferenze e quindi, quando degli assistenti di Bonerini erano venuti nell’ufficio di Flavio per chiederci di venire in vacanza con loro a Rucas, nota località sciistica piemontese, per far luce su un mistero di tre anni prima, avevamo accettato molto velocemente.
Si stava bene. Rucas era una località accogliente, piccolina e decisamente affascinante. Le piste innevate erano solo il contorno di un paesaggio che seppur spoglio conservava un fascino inevitabilmente senza tempo e che avvolgeva ogni singolo oggetto contenuto in esso.
Bonerini aveva deciso di passare un periodo di vacanze in quella località e così, invitandoci, ci aveva fatto alloggiare per due giorni nella sua stessa baita, una sorta di villetta in legno appositamente affittata per l’occasione, personale compreso.
Nei primi due giorni il senatore si era raccomandato esplicitamente di “divertirsi”. Voleva che prendessimo un po’ di tempo prima di conoscere la questione e Flavio naturalmente ne approfittava. D’accordo, era tutto pagato da Bonerini, potevamo davvero scegliere tra mille attività, ma Flavio stava nettamente esagerando. Nel giro di due giorni aveva sciato, fatto massaggi, mangiato con il servizio extra lusso, richiesto l’idromassaggio speciale che permetteva un maggiore relax e adesso continuava a sciare. Eravamo dunque sulle piste da sci e mentre Flavio sciava in modo davvero elegante, io, Bianca e mio fratello Andrea, ce ne stavamo appartati in un piccolo spazio non decorato dalle piste. A volte guardavo il panorama, scrutavo l’orizzonte, torturavo l’orologio e continuavo a riflettere su quale fosse la questione tanto spinosa di cui il senatore avrebbe dovuto parlarci.
«Alex, che cosa fai?» mi chiese Bianca di ritorno dalla baita. Distava solo una quarantina di metri dall’entrata in pista.
«Rifletto» risposi non distogliendo lo sguardo dalla neve. Giocherellavo con essa, mi piaceva passarmela tra le mani e rabbrividire al suo minimo contatto.
«E su cosa rifletti fratellone?» mi chiese Andrea. Solo adesso avevo notato che avevano entrambi due enormi tazze di cioccolata calda.
«Varie cose Andrea … dì un po’» dissi rivolgendomi a Bianca «non vi farà male tutta quella cioccolata?».
«Questa?» chiese quasi innocentemente.
«Certo … avete passato due giorni a sorseggiare quella roba, non ne avete la nausea?».
«E tu hai la nausea dei tuoi libri gialli?» rispose a tono facendomi una linguaccia.
«Ma è diverso … vabbè, che ve lo dico a fare …».
«Tu non ne prendi?».
«Ma se l’ho presa ieri mattina e anche ieri sera … non ho nessuna intenzione di diventare diabetico».
«Quanto sei esagerato!» disse Andrea.
«Vedi? Lo dice anche tuo fratello … fai una tragedia per tutto …».
Mi zittii, osservandoli sorseggiare la cioccolata. Ascoltavo le urla dei turisti. C’era una donna che era scivolata almeno quattro volte negli ultimi sessanta secondi e la questione cominciava ad assumere risvolti quasi comici tanto che cominciai a ridacchiare.
«Per cosa ridi?» mi domandò Bianca.
«Nulla, lascia stare … ».
«Dimmi, dai. Ora mi hai incuriosito».
«E’ quella signora laggiù, quella con gli occhialetti arancioni … è caduta minimo dieci volte da quando è entrata in pista» affermai con sorriso dipinto su di una faccia da schiaffi.
«E dai … » disse trattenendo con forza una fragorosa risata. Chiuse per un attimo un occhio deglutendo così l’ultimo sorso di cioccolata. «Ridi delle disgrazie altrui?».
«Non mi permetterei mai … » commentai ironicamente.
«Solo perché tu sai sciare, non è detto che tutti sappiano farlo … ».
«Ok, nemmeno tu sapevi sciare, ora fai schifo lo stesso ma … ».
«Alex!».
«Che c’è!?».
«Non faccio schifo … ».
«Ok … fai pena, ma è lo stesso, solo detto in modi più gentili».
«Ma lo sai che sei terribile?» mi disse fingendosi arrabbiata e dandomi una pacca sulla spalla.
«Lo so, lo so … altrimenti che gusto c’è?».
Stavamo parlando e per la prima volta dopo due giorni mi sentivo davvero a mio agio. Nei giorni precedenti ero stato contornato da uomini in giacca e cravatta che erano efficientissimi e pronti a fare qualsiasi cosa tu chiedessi. Mio fratello l’altro giorno aveva inavvertitamente parlato di un piccolo gioco che aveva visto e che gli piaceva molto. Ma purtroppo non eravamo riusciti a trovare il tempo per comprarglielo, così indovinate un po’?
Bonerini gliel’aveva fatto recapitare in modo zelante, scusandosi anche per il ritardo della consegna che per la cronaca, durò circa due ore. Della serie, “in un lampo per voi”
Mentre scrutavo ancora l’orizzonte, stavolta stando in silenzio, sentii i passi pesanti e forti di uno degli assistenti di Bonerini. Era ancora in giacca e cravatta, nonostante fuori fossimo sottozero. Non appena lo vidi, feci:
«Signore, ma lei non ha freddo?».
«No la ringrazio signor Fedele». Ok, chiamarmi signor Fedele era davvero troppo. Avevo diciotto anni, dannazione!
«Mi chiami Alex!».
«Non posso. Il senatore me l’ha proibito, signor Fedele».
«Lasci stare il senatore, mi chiami Alex per favore».
«Non posso mi spiace. Il senatore ha chiesto urgenza di vedervi. Seguitemi. Dov’è il signor Moggelli?».
«Controlli in pista».
«Bene, vado a recuperarlo, voi aspettate qui signori».
Recuperato Flavio, ci avvicendammo per conoscere finalmente di persona Filippo Bonerini. Esatto, nei due giorni precedenti avevamo risieduto nella stessa struttura, ma in due ali dell’edificio completamente diverse.
Percorrevamo lunghi corridoio rustici e allo stesso tempo dotati di una inafferrabile voglia di stupire attraverso quadri, tappezzeria, parquet avidamente lucidato e quant’altro. L’uomo che ci aveva “prelevato” dalla pista si chiamava Gioele e ci aveva condotto di fronte ad una pesante porta di legno che dava sull’ufficio esecutivo affittato da Bonerini. Da quell’ufficio si poteva accedere all’altra ala dell’edificio.
Entrammo, e di fronte ci ritrovammo un uomo di indubbia cura, diciamo sulla cinquantina buona. I capelli brizzolati e il mento imponente davano a significare un uomo sempre impegnato e pronto in ogni qualsivoglia circostanza che la vita presentasse. Gli occhi verdi stanchi, solcati da rughe e occhiaie, erano il preludio di un naso aquilino. Il corpo mastodontico accompagnava un altezza media, sul metro e ottanta circa.
Era vestito con un elegantissimo doppiopetto nero lucido e sedeva su di una sedia di legno accuratamente intagliate e decorata secondo lo stile barocco.
«Signori, che piacere conoscervi!». Bonerini si alzò in piedi con fare goffo e venne a stringerci la mano uno ad uno.
«Il piacere è tutto nostro» rispondemmo in coro da chiesa.
«Gioele, porta delle sedute per i nostri ospiti. Non vuoi certo che si stanchino, non è vero?».
Provammo a dire che stavamo benissimo in piedi, ma in un battito di ciglia le sedie erano già arrivate. Notai che nello studio c’erano altre quattro persone, tre uomini e una donna.
«Bene» cominciò Bonerini richiamando l’attenzione di tutti «cominciamo presentandoci. Loro sono il detective Moggelli, il detective Fedele, la signorina Moggelli e il signorino Fedele. Chi vuole cominciare le presentazioni? Erika, vuol cominciare lei?».
«Certo» annunciò una donna pienotta e rotonda. Aveva abiti comuni e un piumino in mano.
«Mi chiamo Erika Bionfini, sono la donna delle pulizia del senatore. E’ un piacere fare la vostra conoscenza».
«Tocca a me» disse un uomo muscoloso e dalle spalle imponenti. Indossava una minuscola magliettina a maniche corte nera, nonostante il freddo pungente. Aveva una stampella che gli impediva di camminare normalmente. Forse si era fatto male di recente.
«Sono Paolo Ficoretti, lavoro come bodyguard di Filippo Bonerini. Sono onorato, davvero onorato».
«Io mi chiamo Gianni Giusari» commentò un ragazzo molto giovane dalla capigliatura bionda.«E sono il nipote del senatore. Onorato di fare la vostra conoscenza».
«Sono rimasto solo io … » continuò un sessantenne dalle tempie imbiancate. Aveva un’aria stanca, viziata dall’età e braccia flaccide e possenti. «Sono Sandro Polieni, amico di Filippo».
«Siamo felici di conoscervi» commentò Flavio un po’ turbato. «Ma veniamo al motivo della nostra convocazione senatore».
«Già, dimenticavo che lei ama andare al sodo. Posso offrirvi qualcosa? Un caffè, qualcosa da mangiare, magari un tramezzino alla piastra … ».
«No, la ringrazio … ora …».
«Suvvia, un caffè … ».
«Devo declinare,mi spiace. Passiamo piuttosto … ».
«Mi offende così però eh … ».
«Non voglio certo … ».
«Insomma senatore, vuole dirci il motivo della convocazione?» intervenni alzando il tono di voce. Seguì un attimo di intenso silenzio.
«Bene, non voglio insistere» disse alla fine giungendo le mani sulla pancia.
«Non fare il maleducato …» mi sussurrò Flavio.
«Macché maleducato …».
«Bene, passiamo al caso. Cominciamo col dire che in realtà io e i miei amici che vi ho presentato poco fa, siamo qui per scommessa».
«Per scommessa?» domandò incredula Bianca.
«Già dolcezza, per scommessa. Dovete sapere che tre anni fa in questa località avvenne un terribile omicidio».
«Un omicidio?» urlammo in coro.
«Esatto. Eravamo venuti qui in vacanza con un altro nostro amico. Una sera scomparve e la mattina dopo fu ritrovato cadavere in mezzo alla neve con un colpo di pistola in testa. Negli anni ho ragionato e ho formulato congetture su congetture per arrivare ad una sola conclusione. L’omicida del nostro amico è una delle persone che vedete in questa stanza, escludendo naturalmente Gioele!».
Il silenzio ora durò vari secondi ed era diventato glaciale. A romperlo fu il nipote del senatore.
«Mio zio si è fissato con questa storiella! E’ convinto che abbiamo ucciso noi Fabrizio».
«Già, come se non avessimo nulla da fare» commentò la donna delle pulizie.
«Sono tre anni che cerchiamo di fargli cambiare idea» commentò Ficoretti mentre guardava il cielo con il suo telescopio.
«Ma scusate, perché avete accettato allora di venire qui e … perché non reagite alle accuse del senatore?» chiese incredulo Flavio.
«Il fatto è che vogliamo finirla una volta per tutte» iniziò a parlare ancora una volta il bodyguard. Ficoretti teneva ancora lo sguardo fisso nell’obiettivo del telescopio e toccava la canna di questo per bilanciarlo.
«Ma sta sempre al telescopio, lei?» intervenni.
«Oh scusatemi» disse staccandosi finalmente da quell’aggeggio. «Non volevo mancarvi di rispetto. E’ che ho questa passione e così mi porto questo aggeggio anche quando non ho niente da fare».
«Comunque» continuò Bonerini «è proprio questa la ragione per la quale vi ho convocati. Dovete scoprire il maggior numero di informazioni sull’omicidio di tre anni fa, è chiaro? Se nessuno di loro risulterà colpevole, allora mi scuserò e darò loro, come da scommessa, diecimila euro ciascuno. Ma se dovesse rivelarsi un vero colpevole … ».
«Lo sbatteremo dritto in prigione» disse Flavio trionfante.
«Vedo che ha compreso».
«Mi dica, è proprio sicuro che si tratti di omicidio? Cioè che tre anni fa fu davvero omicidio?» chiesi educatamente.
«Assolutamente signor Fedele. La polizia indagò per giorni, ma non trovò nulla, nessun’arma e il caso fu archiviato come suicidio. Ma so che Fabrizio non si sarebbe mai tolto la vita e …».
«Aspetti, credo di essermi preso … sta parlando di suicidio?».
«Esatto. La polizia pensò inizialmente al suicidio, poi indagò e per giustificare la profonda incompetenza, scrissero che era stato suicidio!» urlò Bonerini sbattendo il pugno sul tavolino che troneggiava al centro della stanza.
«Fabrizio era come un fratello per me … e non è possibile si sia tolto la vita» terminò.
«Capisco» continuò Flavio. Può dirci per favore qualcosa di più su Fabrizio? Che età aveva quando è morto, le sue passioni, le sue manie … in fondo lei era il miglior amico».
«La sua più grande passione era la politica. Voleva candidarsi, ma aveva già quarantacinque anni e stava raccogliendo esperienza da me. Diventammo amici pian piano».
«E condividevate tutto? Intendo anche … il personale? E’ per questo che sospetta di loro?»
«Esattamente. Avevamo la stessa donna delle pulizie, lo stesso bodyguard e sia mio nipote che Sandro erano ottimi amici anche di Fabrizio».
«Capisco … Bene, ora indaghiamo signor Bonerini».
«Mi tenga aggiornato detective Moggelli! Ne va della mia stessa vita!».
CAPITOLO II – L’assassino in scena
Usciti fuori da quella situazione al tempo stesso spiacevole e decisamente preoccupante, ci fu dato libero accesso anche all’altra ala dell’edificio, quella nella quale risiedeva Bonerini.
«Cosa ne pensi di questa strana situazione?» chiesi a Flavio mentre camminavamo.
«Cosa penso? Bah, mi pare una banda di sciocchi … scommettere su omicidi, suicidi … sembra che non abbiano nulla da perdere».
«Già, ascolta ho un’idea».
«Stop! Non devi avere idee, il tuo compito è quello di seguirmi passo passo nei casi. Certo, hai avuto fortuna in qualche caso e …».
«Mi fai parlare oppure vado a prendermi un caffè?».
«Insolente!».
«Ti ringrazio. Senti, perché non giriamo a turno le camere degli amici del senatore? Forse riusciamo a scoprire qualcosa, non ti pare?».
«E’ la stessa identica cosa che avrei detto io!» disse quasi offeso Flavio.
In sintesi, per farla breve ci dividemmo i compiti. Io mi occupai del bodyguard Paolo Ficoretti e della donna delle pulizie, la signora Erika Bionfini, mentre Flavio cercò di carpire qualcosa da Gianni Giusari, nipote del senatore e naturalmente da Sandro Polieni, il suo miglior amico.
Ci ritrovammo la sera al bar della baita. Il lungo bancone di legno troneggiava nella spaziosa stanza e conferiva al tempo stesso tranquillità ed eleganza.
Ero già seduto al bar, quando Flavio mi venne incontro desolato e affranto, con Bianca e Andrea al seguito.
«Come è andata?» domandai.
«Uno schifo … e sono stato delicato».
«Uao, be’ non lamentarti. A me è anche andata peggio».
«Perché dici così?».
«Be’ sai com’è … sorbirmi un’ora e mezza di monologhi su telescopi e lenti e successivamente ascoltare le lamentele bisbetiche di una donna … non è proprio il massimo».
«Ti lamenti? Innanzitutto io, Bianca e Andrea siamo stati nella stanza di quel pazzo del nipote del senatore».
«Pazzo? In che senso?».
«In che senso? Conduce esperimenti sui topi morti che trova in strada! E’ orrendo, credimi … ».
«E Bianca è rimasta lì senza svenire?» domandai ironicamente.
La ragazza mi fece una linguaccia e rispose: «Sono uscita fuori con tuo fratello!».
«Ma non è finita qui» riprese a parlare Flavio mentre ordinava un drink «poi sono stato da Polieni, il migliore amico di Bonerini. Mi ha riempito la testa di chiacchiere sulla sua famiglia, sulla sua carriera da militare e tutta questa roba simile …».
«In sintesi è stato un fallimento!» dicemmo in coro disperati.
Quella sera restammo al bar fino a circa le dieci. Nessuno di noi cenò. Incontrammo di nuovo Gioele che, ligio al dovere, cominciò a nominarci tutti i sessanta piatti presenti nel menù del ristorante. Era come avere un robot che ti salvaguardasse qualunque cosa tu facessi. Però declinammo. E’ sempre così, almeno per quanto mi riguarda. Quando ho un caso difficile per le mani non riesco a mangiare, né a bere. Mi chiudo in me stesso. Spesso rimango ore a fissare il vuoto con lo sguardo determinato a cercare una soluzione ben limpida al mistero che mi si è posto davanti e finché non ho trovato la soluzione, rimango come uno spaventapasseri. Condividevamo tutti la stessa camera e quindi era inevitabile che qualcuno si accorgesse di me. In realtà non era una camera vera e propria, ma una suite casalinga, arredata in arte povera, molto semplice. Avevamo due stanze, un cucinino, due bagni ed un piccolo soggiorno.
Era ormai tardi, non so l’ora, ma era sicuramente notte fonda e ancora non distoglievo lo sguardo dal vuoto. Ci voleva qualcosa di forte per distrarmi. Era venuta Bianca almeno tre volte a chiedere cosa stessi combinando. Mi aveva avvolto nel suo dolce profumo e affascinato con la sua innata sensualità innocente … eppure niente. Non distoglievo lo sguardo dal vuoto e non avevo impulsi, ritmi, istinti. Sembravo immobile, parevo una statua di cera.
Ma mi distolsi. Già. Mi distolsi solo perché sentii le grida di Bonerini. Nessuno me le tolse dalla mente e nessuno me le toglierà mai più. Nonostante alloggiassimo in due ali completamente diverse dell’edificio, le pareti molto sottili lasciavano trasparire ogni benché minimo rumore, ogni benché minimo palpito, figuriamoci un grido di aiuto come quello. Subito ci vestimmo in modo rapido. Flavio aveva già indossato pigiama e cappellino da notte, ma non ci misi molto a sradicarlo dal letto e ad avvisarlo che qualcosa non andasse. Si infilò una camicia, e con ancora il pantalone del pigiama e le ciabatte ai piedi, cominciò a correre come fosse un automa.
In cinque minuti fummo da Bonerini.
«Cosa succede senatore?» chiesi agitato.
«Erika …».
«Cosa?!».
«Erika è scomparsa! Ho già domandato a Paolo di noleggiare e guidare un gatto delle nevi per cercarla fuori!».
«Ehm … io non potrei guidare a causa della gamba …e poi ho una brutta esperienza con quegli aggeggi … si ricorda tre anni fa?».
«Ah già vero … è una tragedia! Erika è scomparsa! Forse per sempre!».
«Come? Cosa sta dicendo?».
«Mio zio dice la verità! L’abbiamo cercata dappertutto e non si trova da nessuna parte!».
«Ok, ma perché tutta questa agitazione?» domandò Flavio ancora insonnolito.
«Non ve l’ho detto ma …» iniziò Bonerini tenendosi il cuore «tre anni fa il delitto avvenne esattamente come adesso! Fabrizio sparì all’improvviso senza più tornare e fu … fu ritrovato nella neve».
Sentite queste parole cominciai a correre a perdifiato per i corridoi della baita. Era troppo preoccupato ed ero certo allo stesso tempo che qualcosa di ciò che sosteneva il senatore fosse vero. Era un uomo troppo sicuro di sé, e se imperterrito aveva sostenuto una tesi per ben tre anni, allora aveva le sue valide ragioni. Me ne fregai anche del freddo avvolgente ed uscii fuori solo con un maglioncino di lana color castagna ed un paio di jeans. Continuavo a solcare la neve con i miei passi mentre Bianca, Flavio e Andrea continuavano a chiamarmi dall’ingresso della baita. Il senatore era rimasto leggermente dietro di loro insieme ai suoi ospiti. Era in corso una lieve tormenta e soffiava vento gelido, tanto che alle mie mani occorsero solo pochi secondi per congelarsi definitivamente. Poi inciampai e sbattei la parte inferiore degli avambracci a terra, riportando qualche graffio di lieve rilevanza.
Ma fu ciò che videro i miei occhi a provocarmi una ferita umanamente insopportabile. Un corpo era ormai affogato nella neve e non si muoveva, era immobile, senza nessun tipo di reazione al freddo pungente. Sperai con tutto me stesso che si trattasse solo di uno svenimento, di un mancamento, ma in cuor mio sapevo benissimo che ciò che aveva sostenuto Bonerini fino a quel preciso istante, si era avverato. Raccogliendo le ultime forze e facendo leva sulle ginocchia, mi caricai in spalle il corpo della signora Erika Bionfini. Il capo crogiolava di sangue a causa di una ferita da arma da fuoco e nonostante corressi velocemente per provare a salvare il salvabile, mi resi conto che sarei andato sempre troppo piano per ergermi a salvare una vita umana.
Arrivati dentro, il senatore era letteralmente shockato e con lui anche ogni singola persona presente nella baita. Oltre a noi c’era solo il personale, ma era comunque stato uno shock per tutti. La signora Erika Bionfini aveva lasciato questo mondo e lo aveva fatto in mezzo alla neve.
CAPITOLO III – Parole, concetti e verità
«E’ inammissibile detective!». Il senatore Bonerini passeggiava in mezzo alla stanza con grande ferocia e ringhiava come un leone. Non sapeva darsi pace per la tragedia che era occorsa e aveva incolpato Flavio come unico responsabile del crimine.
«Signor Bonerini, non …».
«Lei deve stare solamente zitto! Non è all’altezza della fama che possiede! Le avevo chiesto di risolvere un caso di omicidio di tre anni fa e invece adesso ce ne ritroviamo uno nuovo … e tutto per la sua proverbiale incompetenza! Si vergogni!».
«Ma si vergogni lei!» intervenni con durezza.
«Che cosa hai detto ragazzino?».
«La signora Erika è morta, ma non è colpa di nessuno tranne che del suo assassino naturalmente e …».
«Se voi detective aveste fatto bene il vostro lavoro non …» cominciò ad urlare facendosi grosso.
«Lei ci ha ingaggiati per far luce su un omicidio riguardante il passato, non per tenere sotto controllo uno ad uno i suoi ospiti e non creda di potermi intimidire con i suoi modi da spaccone! A lei non insegna nessuno come fare il politico, allora non ci insegni il nostro mestiere di detective».
Rimase un attimo in silenzio, tenendo la testa alta e lo sguardo da matto. «Insolente che non sei altro! Come osi darmi dello spaccone?».
«Una persona che affitta un’intera baita montana per un soggiorno e fa scommesse con i suoi amici per casi di omicidio/suicidio … già, sul dizionario alla voce “spaccone” deve esserci la sua foto, controlli meglio» e così dicendo mi allontanai indignandomi.
Non ho mai sopportato le persone che si credono superiori alle altre. Non avrà mica creduto di intimidirmi solo perché può fregiarsi dell’appellativo di “senatore” ?. Be’, francamente me ne sbatto. Nessuno può darmi la colpa di qualcosa che non ho fatto. Se avessi potuto avrei sicuramente evitato quella triste morte, ma la morte per l’appunto, non aspetta nessuno e non avrei mai potuto prevedere un omicidio.
Me ne stavo fuori appoggiato con la schiena al muro, a braccia incrociate e guardavo il vuoto con gli occhi pieni di rabbia. Vidi Bianca e il suo corpo muoversi davanti a me e il suo viso dilungarsi in un sorriso dolce come il miele.
«Ehi, dai non prendertela così …».
Non risposi.
«Alex, che cos’hai?».
Scattai in un cumulo di rabbia e con gli occhi lucidi e la mancanza di freddezza risposi:
«Cos’ho?! C’è uno sciocco che crede che abbia ucciso io la vittima di un cruento omicidio! Non posso sopportarlo!».
Bianca rimase per un attimo impassibile, come a voler significare rispetto per la mia emotività.
«Devi scusarmi … è che quando sento certe cose, perdo la testa e …».
«Mi sei piaciuto molto quando hai risposto a quel pallone gonfiato» mi disse con gli occhi bassi.
Arrossii visibilmente e quando lei mi vide, fece lo stesso.
Rientrato dentro, vidi Paolo Ficoretti armeggiare di nuovo con il suo telescopio. Stava in piedi a fatica per causa dei dolori che gli provocava la sua gamba sinistra.
«Le piace proprio il telescopio. Non se ne stacca un attimo» commentai.
Bianca si mise ad ispezionarlo e a toccarlo, ma fu frenata da un gridolino dello stesso bodyguard.
«Sono così … sono così appassionato che non permetto di toccarlo nemmeno ai miei più cari amici. E’ come se fosse la mia ragazza …» rise in modo imbarazzato ed innaturale.
Cominciavo a sospettare pesantemente di lui. D’altronde era uno degli amici fidati incolpati da Bonerini.
«Mi dica … che brutta esperienza ha avuto con il gatto delle nevi?» domandai innocentemente.
«Ah già. Accadde l’ultima volta che il senatore decise di passare qui le vacanze. Guidai il gatto delle nevi per gioco e mi procurai una frattura alla gamba destra».
«Poverino, deve aver sofferto» disse Bianca con aria caritatevole.
«Molto».
«E adesso come mai ha la gamba sinistra inferma?».
«Il fatto è … è che io in verità ho avuto un incidente domestico e così …».
«Capisco» affermai annuendo con grande disinvoltura.
«E’ proprio una tragedia!» continuò in aria semplice
«Già …» commentai.
«Se n’è andata proprio vicina al mio compleanno …».
«Uh? Davvero? Be’, sicuramente le avrebbe regalato un nuovo treppiede» commentai distrattamente.
«Ah ah ah! No, in quanto a biciclette sono a posto … be’, è meglio che vada …».
La mia faccia fu deformata da una espressione di estrema intuizione, fu quasi come un lampo nel cielo, come un fulmine che mi aveva appena folgorato. Ora avevo capito …
Inoltre il telescopio era molto strano in alcuni punti, sembrava come se fosse montato a scaglioni e la cosa era molto sospetta. Ormai avevo capito tutto, anche dell’omicidio di tre anni prima. Mi toccai i capelli in senso di deduzione e dopodiché finsi di cadere. Cadendo travolsi completamente il telescopio, facendo scoprire la macabra macchinazione del vero colpevole. Una parte della canna dello strumento si staccò completamente facendo fuoriuscire una pistola di provenienza straniera. Oltre a questa, venne fuori anche una sorta di altro piccolo tubo di acciaio, molto leggero a dir la verità che si vedeva chiuso da un tappo simile a quello che ostruiva la visione dalla lente principale del telescopio.
«Brutto moccioso!» urlò Ficoretti.
La stanza era ancora sotto shock, ma mi alzai con l’aiuto di Andrea e cominciai a parlare.
«Mi pare che abbiamo finito qui, non è vero signor Ficoretti?».
«Di cosa stai parlando?».
«Oh andiamo! Cosa ci fa una pistola nella canna del telescopio? Che c’è? Le sta affezionato e non vuole farle prendere freddo?».
«Sono … sono affari miei! Non conosci la privacy?».
«E lei conosce il reato dell’omicidio? Ascoltate, ve lo dico io come stanno realmente le cose. Il signor Ficoretti aveva fatto montare nella canna principale del telescopio un ulteriore piccola canna con in fondo una finta lente. Dopodiché ha inserito nella canna d’acciaio la pistola ed ha rimontato il tutto. Grazie al suo infortunio, ha adescato la vittima fuori dall’edificio. Che ne so, gli avrà detto solamente “ho scordato qualcosa fuori, puoi andare a prendermelo siccome ho la gamba rotta?”. Naturalmente la signora Bionfini in buona fede ha preferito accettare e …».
«Aspetta» mi interruppe Flavio «Ma il colpo di pistola si sarebbe udito … oppure qualche urlo della vittima … l’avremmo dovuto sentire, non ti pare?».
«Per quanto riguarda il rumore della pistola, è ovvio ha inserito il silenziatore. E la donna, seppur avesse urlato, chi vuoi che la sentisse in mezzo ad una tormenta, all’aperto, da sola, mentre tutti erano dentro a dormire o a chiacchierare?».
«Giusto, ma … non hai prove …» commentò il senatore.
«Oh senatore … la pistola nella canna è già una grande prova. Ma in particolare ci sono ben due cose che non quadravano. La prima è che poco fa parlando con il suo bodyguard ho notato che ignora la parola “treppiede”. Pensava fosse una bici, non è vero Bianca?».
«Ehm … certo, l’ho … l’ho sentito anch’io».
«Bene, per chi non lo sapesse, il treppiede è la parte che sorregge la struttura del telescopio. Per un amante di questa disciplina, è totalmente impossibile confondere il termine con un altro totalmente differente. E’ evidente che il signor Ficoretti stia ai telescopi come io sto al cinese».
«E l’altra prova quale sarebbe?» domandò il nipote del senatore.
«Questa!» urlai fortissimo e impugnando la pistola feci esplodere due colpi mirando alle gambe di Ficoretti!
L’uomo fece un balzo verso destra e riuscì ad evitare i colpi.
«Ma sei impazzito!? Non farlo mai più!» mi rimproverò duramente Flavio.
Dal canto mio dissi: «Scusi signor Ficoretti … ma se ha la gamba inferma, come può essere che abbia avuto la forza di compiere quel balzo verso destra? Una persona realmente inferma avrebbe subìto il colpo senza avere la minima capacità di spostarsi nemmeno di un centimetro. Vuole spiegarci?».
«Ehi, è vero!» affermò Flavio tra l’incredulità generale.
«Mi pare lampante come il colpevole dei due omicidi, compreso quello di tre anni fa, sia proprio lei signor Ficoretti. Ha usato la sua falsa infermità per riuscire ad uccidere due innocenti. E guardate qui» continuai estraendo dal tubicino di metallo incorporato una piccola lente fracassata.«Se non bastasse, la lente fracassata, quella del tubicino di metallo, è un ulteriore prova. Il colpo di pistola lo ha scalfito e distrutto. Sicuramente aveva un meccanismo che gli permetteva di sparare fingendo di guardare le stelle e il panorama».
«Non erano innocenti …» cominciò a parlare Ficoretti mantenendo gli occhi colmi di lacrime bassi e scuri.
«Come?!» domandò Bonerini.
«Ha capito bene senatore … quelli che all’apparenza potevano essere considerate persone normali … in realtà non lo erano affatto …».
«Spiegati meglio! Cosa vuoi dire!?» domandò ancora Bonerini sconcertato. La voce roca ora risuonava in tutto l’edificio.
Dopo una risatina sadica, Ficoretti cominciò a spiegare: «Ha presente il suo amico Fabrizio? Quel lurido verme era fidanzato con mia cugina ormai da anni. Ma poi … poi l’ha lasciata per un’altra e la mia povera cugina si è tolta la vita!» concluse in tono rabbioso. «E quella sorta di sgualdrina che ho fatto fuori … ormai non so come aveva saputo tutto … e non potevo farla stare viva. Mi ricattava, capite?».
«Questo lo spiegherà alla polizia …» disse un affranto Flavio.
Paolo Ficoretti andò via con la polizia quello stesso pomeriggio. Passò la mattina in totale silenzio. Ogni tanto si toccava il viso, forse per asciugare quelle poche lacrime che gli erano rimaste. Lacrime di un assassino pentito, ma che non potranno mai e poi mai ridare la vita a due esseri umani.
In macchina, sulla via del ritorno, Flavio mi fece ancora una volta la predica sull’aver usato la pistola. Insomma, avrei preferito assistere ad un kolossal muto, in bianco e nero, con un unico protagonista e ambientato in un'unica stanza. Sarei stato meglio, davvero. Ma è così che funziona la vita.
ANTICIPAZIONE: Sul suicidio c'è poco da dire. Una persona si toglie la vita, lo fa di propria volontà. Ma è davvero così? ALEX FEDELE EPISODIO 35 UN SUICIDIO POCO REALISTICO. SOLO QUI A PARTIRE DAL 28/04/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!
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