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sabato 7 aprile 2012

Alex Fedele: L'obiettivo #32 (stagione 2)

Può una fiera di auto trasformarsi in un luogo perfetto per un delitto? Sì che può ed è quello che effettivamente succede ai nostri amici. Ma chi è ... l'obiettivo?









Sigla di oggi: "Warning Sign" by Coldplay



L’OBIETTIVO

CAPITOLO I – La villa della paura

Villa Agatha era un sontuoso luogo dove ogni anno venivano organizzati magnifici ricevimenti di ogni genere. Nell’ordine, nei lussuosi saloni di quella villa risalente ai primi del ‘700, si erano festeggiati i compleanni dei figli dei più ricchi industriali della città, le nozze della figlia del capo del dipartimento della polizia, il battesimo del duca di un piccolo staterello indipendente fuori dall’Italia e vicino ai transalpini. Insomma, era un luogo molto particolare che apriva le sue porte solo per gente importante, stimata, colma di orgoglio e che conferisce orgoglio a chi guarda. E’ questo il motivo per cui quella sera Bianca e Andrea erano terribilmente eccitati all’idea di entrare per la prima volta nei bellissimi saloni settecenteschi di Villa Agatha. Sognavano lunghissimi tavoli in legno massiccio, parquet lucidati a dovere e lampadari di cristallo che definire sfarzosi sarebbe stato usare un eufemismo bello e buono. Per tutta la settimana Bianca aveva parlato di Villa Agatha come un ragazzo, definendola «bellissima e straordinaria». Mio fratello, di appena cinque anni, era ovviamente rimasto impressionato dalla descrizione e fremeva dalla voglia di entrare.
Ah, dimenticavo di dirvi il motivo per il quale eravamo stati invitati. No, nessun compleanno, battesimo, comunione, cresima o matrimonio. Semplicemente a Torino erano state portate per una settimana alcune della auto storiche più preziose al mondo e si era scelta quella villa per esporle al grande pubblico. Flavio aveva lavorato ad un caso per il responsabile del trasporto delle vetture, che era riuscito a procurargli dei biglietti per tutta la famiglia. Amavo le macchine d’epoca, ma ero emozionato per loro, non certo per i saloni che mi avevano descritto. E’ incredibile come le donne e i bambini siano suggestionabili. In fondo, era solo una villa come le altre, non sarebbe stata certamente nulla di speciale.
«Allora entriamo?» mio fratello era in fremito. Vestito di tutto punto, con cravattina color vino rosso, faceva tenerezza e allo stesso tempo dava un aria di immaturità naturale per un bambino.
«Devi aspettare che ci chiamino. Anche gli altri signori sono fuori, non vedi piccolo?» rispose a tono Bianca indicando una massa di persone dall’aria naif e snob che si dimenava in conversazioni con oggetto la meteorologia. Sì, battute del tipo «non ci sono più le mezze stagioni». Con tutta la discrezione possibile, che barba! Passando a Bianca, continuava a carezzare mio fratello e a tenerlo buono. Indossava un abito corto fin sopra il ginocchio color pesca. La forma aggraziata delle sue gambe dava sinuosità ai suoi movimenti e le assicuravano un aspetto rassicurante, semplice e allo stesso tempo sensuale. Ero arrossito per qualche secondo nel momento in cui la vidi per la prima volta con quell’abito addosso.
«Vedo che tuo fratello ha voglia di vedere le auto» commentò Flavio avvicinandosi. Si toccava i gemelli della camicia e si aggiustava continuamente la giacca nera. Aveva indossato anche lui la cravatta buona.
«Sai come sono i bambini … » affermai scrutando il giardino nel quale attendavamo. Era davvero ben curato e nessun particolare era stato lasciato al caso. Tre fontane raffiguranti tre angeli in tre posizioni diverse, facevamo sgorgare acqua limpida in differenti e variegati modi. L’aria fresca della sera spostava l’aroma della natura e impreziosiva una scena epica, quasi cinematografica.
«Già, i bambini … perché non ti piacciono le auto d’epoca?».
«Certo che sì, ma non ho bisogno di saltellare e zampettare per dimostrarlo».
«Sarà … mi eri sembrato un po’ scocciato … »
«Io? Ma quando mai?».
«Sicuro?».
«Arcisicuro».
«Con quella faccia …»
«Questa c’ho!».
«Hai mai pensato a una plastica?».
«No, tu?».
«Io non ne ho bisogno».
«Oh sì invece».
«Sei irrispettoso».
«E tu scocciante».
«Irrispettoso e con la cravatta fuori posto. Ma non te l’hanno insegnato a metterla a posto? Sembri uscito da una sbronza da college americano» affermò mentre mi aggiustava la cravatta. Mi ero vestito bene quella sera. Giacca nera lucida, pantaloni dello stesso tipo, scarpe eleganti e cravatta bianco latte. Non ero niente davvero niente male.
«Flavio Moggelli, dannazione! Era un secolo che non ci vedevamo!». Fece la sua comparsa sulla scena un uomo corpulento, dall’altezza normale e dall’eleganza spropositata. Oltre ad indossare un abito all’apparenza costosissimo, aveva abbinato orologi, catenine e anelli da vero magnate. In particolare ce n’era uno con una pietra enorme. Doveva essere uno zaffiro, senza dubbio. La pietra era modellata a forma di pesce ed era davvero impressionante. Sicuramente sarebbe valsa un sacco di soldi se fosse stata venduta ad un’asta. Ma avevo già capito che tipo di uomo fosse quel tipo.
«Gennaro Verdi! Cavoli, come sei cambiato!» disse Flavio abbracciandolo in modo festoso.
«E anche tu però! La vecchiaia non risparmia nessuno!» affermò cadendo in una risata volgare e poco incline alla serata.
«Ragazzi, vi presento l’organizzatore e il responsabile della serata. E’ lui che mi ha fatto avere i biglietti!».
Ci presentammo tutti con un saluto e stringendomi la mano il signor Verdi disse a Flavio:
«Ma questo è un altro tuo figlio? Sapevo ne avessi solo due».
«Infatti non è mio figlio» rispose quasi seccato «è solo un ragazzo che ho in casa per … ».
«Ah, il PSD vero? Be’, è molto appassionante la vita di detective, non è vero ragazzo?».
«Certo … » risposi un po’ imbarazzato.
«Ascolta, sei uno di quelli che fa anche i giochetti di deduzione? Tipo che scopri le cose senza che te lo dico oppure … ».
«Lei è appassionato di pesca oltre che di auto d’epoca, non è vero?».
«C-cosa?».
«Alludevo al suo anello. Oltre ad essere molto prezioso ,al tatto noto che ha anche delle lettere incise. Non sarà mica membro di qualche club di pesca, non è vero?».
«Niente male! Davvero niente male! Hai capito il nostro piccolo detective! Be’, sì, in effetti sono membro di un club e questo è il premio per una battuta di pesca di un anno fa. Ho battuto altri quaranta partecipanti e ho pescato in sole quattro ore, la bellezza di dieci chili di pesce fresco!» affermò lisciandosi il mento privo di barba e lasciandosi andare in una risata copiosa.
«Magnifico» dissi fingendo entusiasmo. Intanto verso di noi si avvicinarono alcuni altri figuri. Non passavano certo inosservati. Appartenevano a quella schiera di personaggi che, pur essendo da un certo punto di vista vestiti con eleganza, non rinunciavano alla loro individualità e quindi stravolgevano i normali status quo della moda inserendo dei particolari vistosi, grossolani e individualistici.
«Oh, ecco i miei amici di guerra!» disse Verdi ancora ridendo. «Voglio presentarveli. Questa bellissima donzella è la mia compagna, mia moglie da solo un mese, la signora Margherita Mopeni in Verdi» continuò facendo il baciamano ad una donna con capelli rosso fuoco e vestita dello stesso colore. Le sue mani erano coperte da pesanti guanti bianchi, in stile “femme fatale” per capirci.
«Questo giovanotto è un amico del circolo della pesca. Si chiama Luca Treviatini, ed è anche il mio assistente, il mio bodyguard. Guardate che muscoli!» affermò mettendo in palese imbarazzo un ragazzo sui venticinque anni. Aveva capelli neri corvini pettinati in basso e teneva sempre lo sguardo nella stessa direzione, segno evidente di timidezza e poca autostima.
«Smettila Gennaro, non fare il bambino» tentò di rimproverarlo.
«E dai, scherzo! E che dire di questo ragazzone?» continuò abbracciando un uomo altissimo. Doveva essere almeno due metri e assomigliava a Frankestein. «Lui è il mio miglior amico, Giovanni Scritti, è un sicario di professione …» Rise ancora. Era a tratti irritante. «No, scherzo, fa il banchiere!».
«Chissà quanti prestiti può permettersi di non concedere con quel fisico!» disse scherzando Flavio.
«Bella questa! Signori, questo è Flavio Moggelli, detective privato e questa al seguito è tutta la sua famiglia!».
Dopo le solite e continue moine alle quali ormai ero abituato, essendo stato in compagnia di Flavio in un variegato di luoghi diversi, circa cinque minuti dopo facemmo il nostro ingresso nella famigerata Villa Agatha. Entrammo dapprima in un corridoio scavato nella pietra. Il fascino che emanava quel luogo era incredibile. Maestosi cornicioni in pietra conferivano all’ambiente un qualcosa di gotico e soprattutto quasi spettrale. Ma tutto spariva quando, superato il corridoio, ci si ritrovava nella bellissima hall della villa. Un pavimento in parquet si estendeva per almeno una quarantina di metri,  accompagnato da scrivanie laminate e laccate riservate agli impiegati e ai responsabili della manifestazione della serata.
«Gennaro, tu non ti siedi qui con loro? Non sei anche tu organizzatore?» chiese Flavio .
«No, ho deciso di prendere il compito di “sorvegliante delle auto”. In questo modo riuscirò a godermi anche il buffet. Perché noi sappiamo tutti come è il buffet, non è vero ragazzo?» urlò dandomi una pacca sulla spalla così forte da farmi quasi uscire gli organi.
«Certo … come no … » acconsentii in aria da timido scolaretto. Bianca fece una risatina, Andrea si guardava intorno e non stava un attimo fermo con quei suoi piccoli occhietti. Una volta scrutavano il corridoio gotico, poi si posavano sulle scrivanie laccate, poi si specchiavano nei lucidi parquet della sala d’attesa e infine risplendevano alla vista di alcuni lampadari settecenteschi. E pensare che eravamo solo alla hall. Non avrei mai voluto immaginare quanto lusso ci fosse dentro il salone riservato all’esposizione.
Mentre stavamo per entrare passando per una pesante porta in legno dipinta a mano, cortesia di alcuni professionisti che arrivarono addirittura dalla Francia per farlo, sussurrai qualcosa a Bianca.
«Ma tu non ci sei mai stata vero?».
«Ho solo visto qualche servizio in televisione. So che hanno un pavimento dove puoi specchiarti e …».
«Ok, ok, basta così» affermai stoppandola e sorridendo. Se avessi continuato a farla parlare, mi avrebbe raccontato la cronistoria della villa dalla sua fondazione ad oggi.
«Antipatico» mi apostrofò con un pizzico di indignazione guardandosi all’indietro
«Pure?».
«Già» e mi fece una linguaccia.
Finalmente le porte si spalancarono ed un enorme salone, di proporzioni pressoché gigantesche, si presentò ai nostri occhi. Davvero, era immenso. Gli occhi di Andrea si riempirono di un grido soffocato che avrebbe espresso giubilo da tutti i pori. Lampadari luccicanti e colmi di cristalli preziosi si presentavano di fronte ai nostri occhi e si specchiavano nel riflesso della pavimentazione trasparente.
Lunghi tavoli tondi erano apparecchiati a festa con i fazzoletti di cotone a far da composizione artistica ad una scena davvero eccelsa dal punto di vista estetico. Fior fiori di camerieri di tutte le età e di ogni stazza passeggiavano con disinvoltura nel salone portando pietanze raffinate ed ultimando i preparativi in modo tranquillo e assolutamente non frenetico. Confesso che rimasi anch’io a bocca aperta. Non avevo mai visto tutto quel lusso in una sola volta. Provenivo da una famiglia umile. Mia madre aveva fatto la giornalista per anni in un quotidiano locale, mentre mio padre era ingegnere e insegnava matematica, materia che da sempre odiavo, in un istituto tecnico commerciale.
«Andiamo a sederci?» domandò Bianca. Intanto un cumulo di persone con la puzza sotto il naso aveva portato via Gennaro, l’amico di Flavio. Diedi un’occhiata in aria e notai dei balconcini davvero molto carini che permettevano alla stanza di imporsi con aria quasi romantica.
«Certo figliola, il nostro tavolo è il numero 33».
Un palcoscenico dalle dimensioni sproporzionate stava al centro della stanza. Un tendone color violaceo copriva l’ esposizione delle auto d’epoche.
Un figuro in giacca e cravatta parlava a ripetizione con alcun tecnici al montaggio e a suono. In particolare ce n’era uno davvero fuori dagli schemi, un ragazzo sulla trentina vestito in bermuda e maglietta, con capelli di colore arancione accompagnati da un berretto dalla forma e tipologia buffa. Viva le tinte colorate.
Prima che venissero mostrate le auto, gli organizzatori dell’evento ci deliziarono con tre portate di indubbio valore. Mangiammo tutti piatti raffinati e si sa, in queste circostanze, la gente semplice non mangia mai. Ve lo dico onestamente. Avrei preferito mille volte mangiare a casa mia piuttosto che fingere che mi piacessero quei piatti. Il fatto è che passai anche da maleducato, visto che i camerieri ogni volta che venivano per ritirare il piatto e servire la portata successiva, mi guardavano con aria indignata e con un non so che di oscuro. D’altronde non era colpa mia. Cominciarono servendo un Fideuà, un piatto di origine spagnola a base di pesce e riso. Proseguirono poi con una vellutata di zucca con gamberi e ultimarono il tutto con uno stranissimo riso a base di code di mazzancolle. Risultato: digiuno assoluto.
«Non mangi niente?» mi chiese Bianca mentre assaggiava un pizzico di ogni portata.
«Ehm … no, non ho fame … eh eh eh» risposi con una risatina quasi isterica.
«Macché, la verità è che il signorino non mangia questa roba, non è vero? Il signorino va a panini e pizza, giusto?» intervenne Flavio.
Non risposi nemmeno ma ricambiai al suo sguardo ironico.
Ad un tratto le luci divennero sempre più soffuse, fino a spegnersi quasi completamente. Fasci di luce gialli, bianchi e verdi filtravano dal palco e il fumo ideale per l’atmosfera della presentazione pervadeva tutto il salone. L’uomo di prima, quello che parlottava con i tecnici,vestito su di un frac, prese il microfono e cominciò a parlare. Sarebbe stato lui il presentatore della serata, colui che avrebbe dovuto addentrarci nei classicismi delle auto.
«Signori e signori, buonasera e benvenuti alla presentazione che la città di Torino ha organizzato per mostrare al mondo le bellezze automobilistiche. Mi chiamo Carlo Querci e sarò il presentatore della serata. Un ringraziamento sentito al sindaco di Torino» affermò indicando un uomo con l’aria soddisfatta e dalle tempie imbiancate. «E naturalmente» affermò riprendendo a parlare «anche agli sponsor della serata. Un sentito “grazie” anche a Gennaro Verdi, responsabile e co – organizzatore della serata». Verdi rispose con un cenno della mano e salutò in modo grossolano. Era inconfondibile, seduto ad un tavolo contornato dai suoi amici che ci aveva presentato poco prima.
Pian piano che il tempo passava, i miei occhi si perdevano nelle ignare figure che mi si paravano di fronte. I miei pensieri andavano però al Fuoco Re e alla vicenda di mio padre; A quella della moglie di Flavio e alla storia di questo clan criminale, un clan che aveva seminato terrore e paura in tutto il mondo per anni e che continuava a farlo. Oltre ad essere una questione personale, adesso era anche una questione di Giustizia, quella con la “G” maiuscola.
Il presentatore disse le ultime parole di circostanze e poi si spostò, lasciando la parola alle auto. Il telone che copriva e che sorreggeva la parte del palcoscenico dedicato alla esposizione dei pezzi d’epoca si tolse e fecero il loro ingresso in scena macchina meravigliose.
C’era una Ferrari Dino 246, una vecchia Alfa Romeo Spider duetto di colore rosso, una Maserati Mexico, una Mercedes 300 SL grigio perla, una Ford Thunderbird, una Citroen Dyane, un maggiolino della Volkswagen, una Innocenti mini e infine una Porsche 911. Erano splendide. Incredibili, anche essendo a distanza, potevi percepirne l’essenza, la storia.
«Oh, che meraviglia!» esclamò Bianca.
«Già, sono strepitose, mi farebbe piacere guidarne una» affermò un estasiato Flavio.
«Ma se a fatica guidi la Croma … »  risposi con un sorrisino.
«Ehi, ti ho sentito!».
Una forchetta cadde nell’aria e interruppe le grida di stupore generale. Era caduta dal tavolo di Verdi ed uno dei suoi amici si chinò dietro la sua sedia per raccoglierla in modo repentino. Che noiosa quella gente. Avevano parlato di pesca e di imbarcazioni tutto il tempo. Luca Treviatini aveva detto qualcosa su un suo passato da marinaio, mentre Giovanni Scritti aveva parlato di fili, lenze e canne da pesca.
Poi il nulla, nell’aria un colpo secco, vibrante, spiazzante e inaspettato. Il suono di un proiettile. I tecnici accesero subito la luce. Tutti guardarono tutti e anche noi ci guardammo intorno. Gennaro Verdi era a terra, esanime, con il sangue che gli sgorgava dal corpo e gli avvolgeva il petto.
«Chiamate subito un ambulanza!» urlò Flavio alzandosi dal tavolo e quasi capovolgendolo. Le urla avevano preso il sopravvento. La metà dei partecipanti alla festa si era buttata a terra con le mani sulla testa per timore che venisse sparato un altro colpo, mentre l’altra metà si era rifugiata laddove i proiettili non sarebbero mai arrivati e cioè sotto i balconcini. Ma il colpo era partito da lì, quindi cominciai a correre come un forsennato per andare a controllare. Non potevo lasciar stare, un innocente era stato colpito. Bianca tentò di fermarmi urlandomi contro di tornare indietro mentre Flavio mi aveva già lanciato diversi insulti addosso. Ma ormai non mi fermavo più. Uscii dalla sala e imboccai una scala a chiocciola che mi avrebbe portato direttamente ai balconcini dai quali era partito il colpo. Salii i gradini come se stessi concorrendo in una gara, arrivai in cima e … non trovai nulla. O meglio, solo qualcosa.
Una pistola, attaccata alla ringhiera del balconcino con dello scotch. Era attaccata dal punto di vista interno e dal grilletto penzolava una parte di corda. Il resto, era a terra. Il vento soffiava veloce e con i suoi brividi mi attraversava facendomi provare una sensazione di frustrazione. Ah, se solo avessi immaginato cosa sarebbe successo, ma onestamente era impossibile. Nessuno può prevedere un omicidio.
Bianca era già salita per raggiungermi e Andrea chiamò “fratellone” tanto forte che probabilmente lo avrebbero sentito anche al Polo Nord o giù di lì, se solo avesse provato a ripeterlo.
«Alex, papà ha detto che devi scendere. E’ pericoloso stare qui».
«Capisco» dissi non staccando gli occhi dalla scena.
«Non mi hai nemmeno sentito, non è vero?».
Non risposi. Ero troppo assorto dal caso.
«Alex, mi stai ascoltando? Alex?».
«Fratellone!» urlò Andrea attirando l’attenzione e facendomi sobbalzare.
«Che c’è?!» mi voltai di scatto e guardai entrambi con un’aria da “non disturbatemi”. «Sto cercando di fare chiarezza, ma non ci riesco se voi continuate a civettare!».
«Ok … scusa Sherlock Holmes» disse in tono ironico Bianca.
«Molto divertente».

CAPITOLO II – Vivere come fratelli

Alle 23:20, Gennaro Verdi era ufficialmente morto. Quel colpo di pistola, partito in chissà quale modo e da chissà chi, aveva messo fine all’esistenza di un uomo dipinto da tutti come encomiabile. Gli invitati alla festa, chiamati a dire la propria sulla vittima, non ebbero che parole di elogio verso di lui. Lo giudicarono certo ambizioso, duro, spaccone, competitivo, ma al contempo lo etichettarono come gentile, intelligente, acuto, alla mano e molto, molto socievole. Margherita Mopeni, la compagna di Gennaro, era in lacrime. Il mascara le si era sciolto sul viso ed era diventato un tutt’uno con le lacrime. Giovanni Scritti e Luca Treviatini cercavano di consolarla carezzandola e quietandola. Ma non c’era nulla da fare. Aveva perso l’amore più grande della sua vita e lo aveva perso in un modo a dir poco ignobile. Fare giustizia era un dovere, non solo normale, ma anche morale.
«Ah, eccoti audace detective. Sei ritornato? Vuoi farti venire un altro raptus compulsivo?» Flavio mi squadrò dall’alto verso il basso mentre facevo di nuovo il mio ingresso nella sala.
«Scusami, è che … ».
«E’ che un corno! Devi stare qui, chiaro? Non puoi prendere certe iniziative, sei pur sempre un ragazzo! Lo capisci questo o devo farti un disegnino?». Tenete presente che mi urlò queste parole dritto in faccia.
«No, la prendo senza».
«Cosa … cosa stai dicendo?».
«Che la prendo senza».
«Ma cosa?».
«La spiegazione no? Senza disegnino per favore» affermai con il sorriso sulle labbra allontanandomi.
«E smettila di fare battute! E togliti quel sorriso sfottente dalla faccia!»
Squadrai la scena. La pistola doveva essere stata posizionata da qualcuno che conosceva dove si sarebbe seduto la vittima. Il colpo sarebbe partito e avrebbe colpito in pieno dove l’assassino avrebbe voluto. Era matematico, quasi ingegneristico e non c’erano dubbi. Il colpevole era tra loro tre, sì, tra gli accompagnatori di Verdi. Solo loro potevano sapere dove si sarebbe seduta la vittima con esattezza e solo loro avevano avuto modo di stare a contatto con la vittima nei giorni precedenti all’omicidio.
«Saliamo su, andiamo a dare un’occhiata» Flavio mi tirò per l’orecchio e mi trascinò per tutta la sala, strappando qualche risolino ai presenti.
«Ahi, ahi! L’orecchio, me lo stacchi!».
«A te servirebbe una lezione da manuale!» continuò ad urlare.
Arrivati di nuovo sopra, Flavio cominciò ad esaminare la scena del crimine.
«Direi che si tratta di un’arma a grilletto veloce, nel senso che basterebbe un piccolo movimento del dito per sparare. Hanno legato una corda … » osservò mentre pensava ad alta voce.
«Già … e la cosa più strana …».
«Sì? … ».
Non risposi. Notai qualcosa sulla trave. Spuntavano dei segni sul legno. Erano segni di corda evidenti.
«Guarda la trave che sorregge il palchetto» dissi rivolgendomi a Flavio «ci sono dei segni sopra … e combaciano con quelli della corda …».
«Quindi possiamo dedurre che era legato lì, ma come ha fatto l’assassino a far partire un colpo di pistola da qui … senza muoversi?».
«Questo è un mistero, dobbiamo scoprirlo».
«E’ arrivato Mister Ovvio … ».
La porta dietro di noi sbatté violentemente facendoci rabbrividire. Be’ … facendolo rabbrividire … e ovviamente mi riferisco a Flavio. Non appena la porta sbatté si buttò a terra e fece due o tre capriole da chinato. Rimasi a fissarlo con compassione.
«Chi ha sparato?!» urlò a squarciagola.
«Ma chi ha sparato? Era la porta, sveglia!».
«Ehm … lo sapevo … volevo vedere se eri pronto ad una fuga e … non lo eri affatto! Se fosse stato un colpo di pistola, ti avrebbe già colpito! Devi imparare!» affermò schiaffeggiandomi dietro la nuca.
Intanto dalla sala, si sentivano i discorsi noiosi di Treviatini e di Scritti … parlavano ancora di navi e di imbarcazioni. Ma dico, non si stancavano mai?
«Ti dico che è così, sono stato sulle navi per anni!» diceva Treviatini.
Guardai a terra e vidi un pezzo di corda annodata in modo alquanto particolare. Un brivido mi attraversò il corpo e la mente divenne lucida come non mai. Ora avevo quasi capito tutto! La porta che sbatteva per il vento, i nodi fatti in modo strano, i segni di corda sulla trave, la pistola col grilletto facile … ora bastava solo un altro piccolo indizio. Mi chinai a terra cercando di controllare e lo trovai!

Con disinvoltura mi rialzai. Flavio era ancora intento nel controllare l’arma e così decisi di fare tutto da solo.
Scesi dalla scala senza che se ne accorgesse e mi ritrovai nel salone.
«Eccolo qui il nostro Sherlock, allora hai trovato qualcosa?».
«Credo di sì … sai, io ho sempre avuto la passione per il mare, lo sai?!» continuai dicendole mentre cambiavo espressione.
«C-cosa?».
«Ma sì, la passione per il mare, le navi, le imbarcazioni» continuai dicendole a voce alta.
«Davvero sei appassionato di queste cose ragazzo?» Luca Treviatini si avvicinò repentinamente. Ce l’avevo in pugno, era roba di poca cosa ormai. Bianca si manteneva a distanza stranita. Era decisamente poco abituata ai miei trucchi per incastrare i colpevoli.
«Sì e ho visto che anche lei è molto esperto. Mi piacerebbe imparare …».
«Non dire altro ragazzo mio! E’ palese che uno come te sarebbe un allievo volenteroso! Facciamo così, vediamoci Domenica mattina e andiamo a pesca insieme, ti va?».
«Uao! Sarebbe fantastico!» finsi distrattamente. Non so come la pensiate, ma un giorno ritirerò l’Oscar per il miglior attore protagonista.
«Bene allora. Ci vediamo Domenica».
«Certo … sa, però è un peccato che il signor Verdi non possa venire più con noi».
«Ragazzo mio» cominciò posandomi la sua mano destra sulla spalla «è davvero una grandissima perdita, Gennaro era un uomo straordinario, una persona magnifica».
«Lo pensa davvero signor Treviatini?» gli chiesi.
«Certo … perché non dovrei?».
«Di solito non si pensano queste cose di chi si uccide! Perché è lei l’assassino del signor Verdi, non è vero?».
L’uomo rabbrividì, lo vidi per un attimo fuori dagli schemi, poi deglutì, e in men che non si dica riacquistò la sua solita aria spavalda.
«Ah ah ah! Ragazzino, forse hai bevuto qualcosa di troppo forte. Non mi incolperai mica dell’omicidio di uno dei miei migliori amici?».
«Temo di sì signor Treviatini» affermai tra i bisbigli increduli della gente presente nel salone. Con la coda dell’occhio vidi anche Flavio, da sopra il balconcino, che si era interessato al dibattito.
«Hai prove di quanto affermi?» interruppe Margherita Mopeni. Aveva ancora gli occhi gonfi di lacrime.
«Certo che sì, signora. Innanzitutto, chiariamo la dinamica dei fatti. Solo uno degli amici e accompagnatori di suo marito poteva sapere esattamente dove si sarebbe seduto. Quindi, l’omicida è certamente tra voi. Inoltre, e spero che Flavio possa confermare,» continuai voltandomi e cercando un cenno d’intesa «l’assassino ha architettato un trucco davvero ingegnoso per riuscire ad eludere le prime impressioni».
«Ovvero? Spiegaci ragazzo» incitò Giovanni Scritti.
«L’assassino ha tenuto aperte le finestre  che si ergono sopra il terrazzetto contornato di balconcini perché sapeva che il clima avrebbe garantito vento forte. Successivamente ha spalancato la porta che fa da tramite tra le due stanze, quelle dove c’è la finestra e quella dove c’è invece la platea, ed ha legato un sottilissimo filo di lana o di cotone alla serratura della porta. Ma non è finita qui. L’omicida ha legato contemporaneamente una corda alla trave che si trova in alto al terrazzo. Ne costituiscono una prova gli evidenti segni di trascinamento sul legno. Flavio potrà confermare».
«Certo, è così».
«Ancora, il colpevole ha unito i due fili, quello della corda e quello del filo di cotone, in modo da legarli insieme con un tutt’uno. In seguito, ha lasciato andare un lembo della corda che pendeva dalla trave e l’ha legato al grilletto di una pistola che aveva fissato con del nastro adesivo sulla parte interna della ringhiera del balconcino. Essendo, come sottolineato da Flavio poco fa, una pistola dal grilletto leggero, sarebbe bastato un piccolo movimento per riuscire a far esplodere il colpo. Ricapitoliamo, il signor Treviatini sapeva dove si sarebbe seduto il signor Verdi e quindi ha architettato questo ingegnoso trucco per far sì che il colpo venisse sparato proprio in quella direzione. Scommetto che ha anche fatto delle prove di notte, forse per non farsi vedere. I segni sulla trave la condannano. Chissà quante volte ha provato e riprovato il suo trucco fino a raggiungere la certezza aritmetica che il colpo avrebbe raggiunto la vittima» dissi guardando negli occhi Treviatini. Aveva abbassato lo sguardo, stava quasi per crollare,era quasi finito. Era alla deriva, al capolinea. Per restare in termini di imbarcazioni, stava affondando.
«Sì, ma ci spieghi come ha fatto il grilletto a muoversi se nessuno l’ha toccato?» domandò Bianca guardandomi in modo incredulo.
«Ma come … l’ho detto prima. Il colpevole ha usufruito della natura. Il vento che proveniva dalla finestra ha cominciato a soffiare più forte fino a far sbattere la porta. L’impatto che proveniva dalla porta ha spezzato il filo di cotone o di lana leggera, ha fatto sciogliere il nodo della corda che era stato fatto dalla trave. Il movimento che ha permesso alla corda di sciogliersi, ha permesso alla parte di corda posta sul grilletto di compiere un ulteriore piccolo movimento … il resto è storia recente. Il colpo è partito ed ha colpito in pieno Verdi».
«Sono solo fandonie! Non sai nemmeno di cosa stai parlando! Non hai nessuna prova!».
«In effetti ragazzo» osservò Scritti «non ci hai ancora mostrato le prove».
«Caro signor Scritti, ce ne sono ben due. La prima è questa» dissi estraendo un pezzo di corda che avevo trovato. «Guardate come è annodata. Il nodo è inconfondibile. E’ un nodo che imparano a fare i marinai e per stessa ammissione del signor Treviatini, egli ha passato molti anni sulle navi. Basterà una rapida ricerca su internet o negli uffici del comune per stabilire quale lavoro facesse» dissi lisciandomi i capelli.
«E la seconda prova?».
«Quella è stata palese. Poco prima che Verdi venisse colpito, dal vostro tavolo è caduta una forchetta. Nonostante fosse buio, sono certo che è stato il signor Treviatini a farla cadere in modo da trovarsi dietro la schiena della vittima e quindi di conseguenza più al sicuro nel caso in cui il colpo avesse fatto cilecca. Faremo esaminare le forchette una per una finché non ne troveremo una con le impronte del colpevole e al contempo con alcuni elementi che sicuramente si trovano a terra sul pavimento. La scientifica ci impiegherà un po’ di più, ma avremo le nostre risposte».
«Non hai ancora … » tentò di dire il colpevole. Ora era rosso in viso, ma si ostinava ancora a negare.
«E se non bastasse» lo interruppi maleducatamente «sappia che questo posto avrà sicuramente un circuito di sorveglianza a infrarossi … nel caso in cui si ostentasse a negare, le telecamere diranno la verità».
Luca Treviatini lasciò andare qualche parolaccia, poi, con gli occhi rossi per il pianto confessò tutto. Dichiarò di aver ucciso Verdi per gelosia, dovuto ad alcuni progetti che stavano ultimando insieme. Il criminale venne portato in questura, dove cercò di scappare. Un agente della polizia fu ferito ad un braccio per cercare di fermarlo. Aveva un coltellino nella tasca interna della giacca. Credo sia incredibile dove possa arrivare la follia umana. Essere amici per tanti anni e poi … poi uccidere solo per sciocca ambizione, credo sia decisamente troppo e decisamente triste. Non avevo idea di come si potessero uccidere le persone, ma probabilmente era questione di mentalità, di cervello. Forse ti si annebbiava quella parte di cervello che doveva sempre essere lucida. O forse è semplicemente come diceva Martin  Luther King.

“Abbiamo imparato a nuotare come pesci e volare come uccelli, ma non a vivere come fratelli”.

ANTICIPAZIONE EPISODIO 33: Ciak, si gira! In un set cinematografico avviene un delitto inspiegabile. I protagonisti hanno tutti qualcosa contro l'un l'altro e la cosa peggiore è che si rifiutano di collaborare. Chi è l'assassino? ALEX FEDELE EPISODIO 33: GIALLO SUL SET! Solo qui a partire dal 14 Aprile 2012! Non perdetelo per nessuna ragione!

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