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sabato 14 aprile 2012

Alex Fedele #33 Giallo sul set (stagione 2)


GIALLO SUL SET

PROLOGO: Ciak, si gira! In un set cinematografico avviene un delitto inspiegabile. I protagonisti hanno tutti qualcosa contro l'un l'altro e la cosa peggiore è che si rifiutano di collaborare. Chi è l'assassino? 



CAPITOLO I – Tutti sul set!

La fortuna è inaspettata, a volte quasi sadica. L’ultima volta che Bianca aveva avuto un colpo di fortuna era stato per errore. La crociera riservata a pochi sulla “Karen” aveva assunto due differenti strade. La prima era consistita nella carneficina e nella strage che quella ragazza, Elisabetta, aveva compiuto uccidendo molteplici poveri innocenti. La seconda era stata invece quella che ormai era diventata il mio tarlo fisso, il mio martello pneumatico, tutto ciò a cui pensavo ogni singolo momento della mia vita. Il Fuoco Re. E’ grazie a quella crociera, è grazie a quelle circostanze che conobbi per la prima volta il nome di quelle persone per me allora anonime, ma che in seguito ho scoperto essere il veleno della mia stessa vita.
Fatto sta che Andrea, che aveva la passione per un certo tipo di merendine, aveva trovato il tagliando che permetteva a chi lo avesse trovato di fare un giro su un vero set cinematografico. Insomma, quel giorno avevamo accompagnato tutti mio fratello e ci eravamo impegnati affinché passasse una giornata strepitosa. Era letteralmente esaltato e a dir la verità lo eravamo un po’ tutti. Non ero mai stato su un set televisivo ed ero curioso di come si comportassero gli addetti alla lavorazione del film.
«I signori Moggelli?» un uomo dalla corporatura robusta e con su un paio di grandi cuffie collegate ad una sorta di auricolare ci venne incontro dicendo questa frase. Aveva la maglietta sporca di una qualche stranissima salsa e la barba incolta.
Flavio guardò Bianca e sussurrò: «Se sono tutti così quelli del cinema, stiamo messi bene». Poi si rivolse all’uomo e lo dribblò con un sorriso «Sì, siamo noi».
Ok, non ero un Moggelli, ma ormai quando andavo nei più svariati luoghi mi etichettavano come membro della famiglia acconsentivo sempre.
Attraversammo lunghissimi corridoi stracolmi di gente indaffarata. C’era chi teneva migliaia di fogli in mano e chi invece parlava freneticamente al telefono; C’erano gli attori che camminavano su e giù per le stanze indignati per chissà quali balzani motivi e c’erano i costumisti che li rincorrevano pregandoli di fare meno capricci e urlando frasi a caso come “cosa ci vuoi fare dolcezza?”. Insomma, non mancava niente. Non sarei stato sorpreso se per caso da una delle porte fosse saltato fuori un tirannosauro. Al limite avrei sbadigliato e l’avrei salutato in francese, così avrei ottenuto l’etichetta di “gentleman”, ma niente di più.
Camminammo non so per quanto e nel tragitto udii le lamentele di Flavio, le solite. Era riuscito a trovare quaranta difetti diversi in meno di trenta secondi. Se avessi chiamato la commissione ufficiale sarebbe stato di sicuro registrato come record mondiale.
Insomma, dopo aver attraversato praticamente la metà di tutti gli studi televisivi, l’uomo con le cuffie alle orecchie, che scoprimmo chiamarsi Vincenzo Misatti e che ci comunicò di essere il tecnico responsabile del funzionamento dell’ambiente, spalancò delle enormi porte in legno in stile saloon. Ci ritrovammo quindi in un enorme spiazzale, a dir la verità leggermente ameno, dove sostavano diversi personaggi televisivi e cinematografici. Non seguivo molto lo showbiz, mentre mi sembrò che Flavio e Bianca sapessero vita, morte e miracoli di ogni singolo personaggio.
«Oh mio Dio! Guarda chi c’è!» cominciò ad urlare esaltata Bianca «quello è Loris Esenti, l’attore protagonista di quella nuovissima fiction, “Cuori su uno scoglio”. Quanto è bello!».
La guardai leggermente con diffidenza. Chissà cosa ci trovava in quel tipo. Un bellimbusto pompato da chissà quante ore di palestra, con un’abbronzatura ridicola e inusuale per la stagione, frutto di chissà quante lampade.
«E guarda lì Bianca» replicò mio fratello «quel signore appare sempre in televisione in quella pubblicità dei detersivi!» ultimò indicando un uomo dalla barba incolta e dai grandi occhiali da sole.
«E’ vero Andrea. E’ Carlo Marchesi, il famoso regista cinematografico! Da lui sono nati film come “Dammi la tua anima”, “Il ciondolo di Monica” e anche il pluripremiato capolavoro “Amore e guerra”».
«Perché dici sono nati?» chiese quasi amletico mio fratello «mica li ha fatti nascere lui?».
«Be’, è come se fosse. Ha fatto tutto lui. Regista, sceneggiatore e anche un cameo».
«Che cos’è un cameo, fratellone?» mi chiese girandosi verso di me.
«Un cameo è quando una persona partecipa per pochi secondi in un film» risposi.
«Ma soprattutto c’è la grande Giorgia Calmelli! Oh cavolo!» esclamò Flavio quasi fuori di sé. «Sono abbastanza elegante? Farò una buona impressione? Ragazzi, come stanno i capelli?».
Tutti noi lo guardammo abbastanza increduli. Non era facile vedere Flavio sulle ali dell’entusiasmo. Nel senso che aveva certamente i suoi miti, ma era raro vederlo esaltato per qualcosa per qualcuno. In fare zelante si presentò subito usando un tono di voce a dir poco inusuale.
«Salve signorina Calmelli, mi chiamo Flavio Moggelli e sono … ».
«Il detective Flavio Moggelli?» interruppe il regista Carlo Marchesi.
«Be’ … sì, perché?» domandò incredulo Flavio.
«Nulla» continuò l’uomo mettendo una mano sulla spalla di Giorgia Calmelli. Dopodiché la baciò appassionatamente, creando un momento quasi all’altezza delle sue migliori pellicole. Un bacio da film insomma, lungo, intenso, passionale, che mi fece arrossire completamente.
«Oh cavolo!» esclamò quasi involontariamente Flavio.
«Ma la prossima volta» disse Marchesi staccandosi dalla Calmelli «si ricordi di usare il suffisso signora. Giorgia è mia moglie da tre mesi ormai, anche se nello spettacolo continua ad usare il suo nome da nubile».
«Oh, mi dispiace! Non lo sapevo, comunque non volevo assolutamente … ».
«Ah ah ah! Mi dica la verità, le ho messo paura eh?! Allora sono un bravo attore oltre che un eccezionale regista!».
Modesto il tipo, non è vero?
Flavio rimase quasi sconcertato, mentre Marchesi sghignazzava e sua moglie, la bellissima Giorgia Calmelli, rimaneva quasi spaesata dalla scena. Pur essendo una celebrità doveva essere molto timida perché si limitava ad annuire e a ridacchiare con fare quasi nobile. I capelli biondi le cadevano sul viso in modo delicato e contrastavano alla perfezione con i suoi bellissimi occhi azzurrini.
«Comunque, per farmi perdonare dallo scherzo di mio marito» cominciò a parlare Giorgia «vi invito a fare colazione con noi. Sbaglio o siete i vincitori del concorso?».
«Sì!» rispose euforico mio fratello.
«Bene, e allora vieni piccolo!» continuò a tono Marchesi.

CAPITOLO II – Rancori delle stelle

Seduti ad un tavolo di legno apparecchiato in stile moderno intorno al quale erano riuniti alcune celebrità molto note, si provava un po’ di soggezione. Bianca mangiò pochissimo. Diceva che non voleva perché doveva dimagrire. Le donne! Era magrissima, eppure andava cercando il modo di perdere altro peso. Un altro po’ e sarebbe diventata trasparente, invisibile. Nell’ordine ci presentarono Vincenzo Misatti, che poi si rivelò essere non altri che il tecnico che ci aveva accompagnati dall’entrata fino al luogo in cui avevamo incontrato Marchesi e Calmelli, Loris Esenti, un attore appena ventenne, giovanissimo e assolutamente in rampa di lancio e infine Paolina Mostrena, una donna di circa sessant’anni che invece aveva preso parte a decine di pellicole famosissime e che con i suoi capelli rossicci era diventata praticamente un’icona pop del secolo precedente. Ricordo che mio zio andava matto per lei. Non aveva perso nemmeno uno dei suoi film. Dopo le solite presentazioni e i convenevoli di rito, tutti ci sedemmo ed iniziammo a degustare una colazione decisamente leggera. C’erano toast, fette biscottate e tantissimo caffè. Ah sì, per chi la voleva, si poteva avere anche una sorta di pizza bianca.
«Allora Carlo» iniziò a parlare Loris Esenti «hai pensato alla mia proposta?».
«A quale ti riferisci?» rispose il regista intento nello spalmare la marmellata sulla sua fetta biscottata.
«Come? L’hai già dimenticata?».
Carlo Marchesi sbatté un violento pugno sul tavolo e fece cadere tutto ciò che aveva nel suo raggio d’azione.
«Se alludi a quello stupidissimo ricatto che hai cercato di impormi ieri, sappi che la risposta è e sarà sempre no!». Ora il regista urlava e si era alzato in piedi. Giorgia Calmelli cercava di sedare i bollenti spiriti di suo marito intervenendo con paroline dolci e piccoli sussurrii, ma ebbi l’impressione che fu del tutto inutile.
«Non c’è bisogno di scaldarsi tanto. D’altronde, è logico che tu faccia i tuoi interessi, fai solo film da fallito. Ormai non ti vedono più neanche al Polo Nord … ».
Quelle parole funsero da input per una rissa immediata che terminò con urla, insulti davvero molto pesanti e accuse al vetriolo. Loris Esenti si carezzò i suoi capelli riccioluti, dopodiché affermò:
«Vado in camerino a riposare … chissà che non mi venga una buona idea per … calmare qualcuno». Nonostante la rissa continuava a pungere. Che faccia tosta. Gli avrei volentieri spaccato la faccia.
«Che scortese quel Loris!» commentò Bianca.
«Ma se fino a dieci minuti fa lo idolatravi!» le risposi.
«Be’? Non si può più cambiare idea?».
«Che maleducato! Sapeva che non avrebbe mai ottenuto quella parte nel tuo film e …» commentò Vincenzo Misatti. Ma fu interrotto Era stato il primo che aveva cercato di calmare i bollenti spiriti ed era stato il primo a scusarsi con noi dichiarandosi «davvero costernato».
«E tu, brutta serpe, non credere che abbocchi alla tua patetica strategia!» Carlo Marchesi si era appena ripreso che già aveva ricominciato ad attaccare. Ora la sua “vittima” era il povero tecnico di studio, amicone di tutti gli attori.
«Ma di cosa stai parlando? Ti ho sempre difeso!».
«Già … credi che sia stupido? L’altro giorno ti ho sentito benissimo quando hai parlato male di me con il nuovo arrivato. Ti credi superiore solo perché ti devo qualche centesimo ed ora sei in rosso? Be’, se mi gira, quei soldi non li rivedrai mai più, idiota!».
«Non trattarlo così male … » bisbigliò Giorgia Calmetti.
«Cosa?! Lo difendi anche? Guarda! Non ho nemmeno un soldo in tasca e mi rinfaccia ogni giorno il fatto che gli devo quei famosi cinquecento euro che mi ha prestato un mese fa!».Marchesi era un fiume in piena, si era svuotato le tasche ed era davvero sul punto di esplodere.
«Finiscila di fare tanta confusione, ti sentiranno anche negli studi affianco!» rimproverò Paolina Mostrena.
«E tu va in pensione, attrice da quattro soldi!» fu la risposta.
«Attrice di quattro soldi a me? Non sono io quello che si è praticamente comprata la commissione che ti ha specializzato come regista!.
«Ah, ricorri ai colpi bassi? Bene, allora vorrai di certo rammentare il tradimento che hai fatto verso tuo marito a pochi giorni dalla sua morte. I tuoi figli non ne sanno nulla, ma sono sicuro che saranno interessati!».
«Ora basta!» urlò decisa la Calmetti. «E’ un giorno di lavoro, ci sono delle persone che hanno vinto un giro su un set televisivo e per di più c’è un bimbo con loro e noi offriamo spettacolo in questo modo? Dovreste vergognarvi … tutti quanti!».
«Cara, non fare così … » tentò di giustificarsi Marchesi.
«Lasciami stare!» continuò urlando. «Oggi è il nostro anniversario e tu ti comporti così?!» E così facendo si alzò dal tavolo e si diresse verso il camerino. Non ne fui certamente sicuro, ma mi pare che in una delle tasche della Calmetti si ebbe un luccichio. Forse era solo una mia impressione.
Pochi secondi l’uscita di scena dell’attrice, Marchesi si scusò con noi per il pessimo spettacolo offertoci, giustificandosi come “possessore di una rabbia repressa covata per anni” o qualcosa del genere e così facendo  andò in camerino. Voleva riappacificarsi con sua moglie. Probabilmente gli sarebbero servite delle ore, ma era stato bello il suo gesto di voler tentare almeno un riavvicinamento.
Passarono pochi minuti, nei quali Flavio si rimpinzò di tartine rustiche e nei quali Bianca e Andrea curiosarono un po’ dappertutto trascinandomi con loro. Non avevo la benché minima voglia di vedere polverose locandine di film datati dell’epoca dei dinosauri e così me ne andai un po’ in giro nelle vicinanze, per conto mio.
Vidi Marchese uscire dal camerino di Giorgia Calmelli. Forse avevano già fatto pace, o forse i buoni propositi del regista erano andati a farsi fottere, chissà. L’unica cosa che potevo evincere da quella discussione è che di sicuro il regista aveva tante persone che avrebbero avuto di sicuro qualche pesante ripercussione su di lui, mentre per quanto riguarda le donne … be’, le donne sono complicate come rebus senza soluzione. Avevo già risolto vari casi a Fondi, la mia città natale, ma le donne non ero proprio ancora riuscito a capirle. Per niente. Il telefono di Marchesi continuava a squillare ad una suoneria altissima, quasi da discoteca. Gli addetti ai lavori rimasero quasi sconvolti. Alla fine rispose e riprese a parlare
Mi allontanai ancor di più dalla piazzola dove troneggiavano i camerini degli attori, dei registi e dei vari addetti ai lavori e così mi ritrovai in un corridoio chiuso. C’era solo una piccola porticina in plastica. Doveva essere per forza un bagno, non c’erano altre spiegazioni. Ad un muro c’era un poster di Sophia Loren, la famosissima attrice italiana, icona di bellezza e di classe immortale.
Le urla di Marchesi ci richiamarono all’ordine.Urla di terrore e di incredulità, urla che ti fanno correre subito. Ed è quello che feci. Prima di me accorse Flavio, più vicino alla scena e non appena notai che Bianca aveva coperto la visuale di mio fratello con il suo corpo, mi accorsi che qualcosa non andava. Il resto della gente che era seduta al tavolo con noi pochi minuti prima, guardava la scena con grande paura e con un’enorme tristezza.
«Cosa succede? Chi ha urlato?» chiesi in trepidazione. Flavio aveva il viso severo, scrutava la scena con grande autorità, come fa sempre quando c’è un caso da risolvere.
La povera Giorgia Calmelli, era distesa al suolo, con una corda al collo e tanta paura negli occhi. Era morta, probabilmente da pochi minuti.
«Chiami la polizia … » sussurrò Flavio a Vincenzo Misatti
«Non vuole che chiami un’ambulanza?» domandò quest’ultimo.
«No … purtroppo non c’è nulla da fare».
Ero già chinato sul corpo della vittima, guardando la scena con gli occhi passivi, di chi sa di dover fare  Giustizia a tutti i costi.
Il processo di rigor mortis non era ancora cominciato. Il decesso si era consumato sicuramente da poco tempo.
«Credo possiamo affermare che si tratti di suicidio, signori» sentenziò Flavio. Aveva le mani in tasca e si era acceso una sigaretta. «Posso fumare qui dentro non è vero? Alla fine siamo in un parcheggio, in uno spiazzale» domandò a Misatti, il quale rispose affermativamente.
«Scusa, come fai a determinare con così poco tempo che si è trattato di suicidio?» gli domandai.
«Guarda bene, testa di rapa. La donna si è messa una corda alla gola e … ».
«E mi spieghi dove si era legata per impiccarsi?».
«Cosa vuoi dire?».
«Non vedi? Il lembo della corda che servirebbe come input per suicidarsi … è a terra. Non è collegato a niente. Non è sospetto?».
«Be’ sì …» ammise con un po’ di soggezione «ma forse legandosi al lampadario, la donna si è lasciata andare troppo violentemente e quindi la fune si è staccata dal punto d’appoggio, non credi?».
«Può essere, ma in questo caso, il lampadario dovrebbe ancora essere in movimento a causa del peso del corpo. Dovrebbe dondolare insomma, considerando che il decesso è avvenuto pochi minuti fa» affermai guardando ancora una volta il corpo.
«Be’, questo è vero».
«C’è un’altra cosa strana papà» interruppe Bianca. «Se la signora Giorgia si è suicidata legandosi la fune al lampadario, perché non c’è nessuna sedia? Insomma, con cosa è salita sopra?».
«Ora che mi ci fate pensare è vero … senza contare che il letto è dall’altra parte della stanza rispetto al lampadario … ma allora … ».
«Già, questo non è un suicidio!» esclamai.

CAPITOLO III – Indizi per la verità

La polizia arrivò in breve tempo. Credo ci misero più o meno una quindicina di minuti. Non male, se si considerava che arrivavano dall’altra parte di Torino.
L’ispettore Vincenzo Ducato e il suo agente di fiducia, Giuseppe Novato, erano entrati in pompa magna nella stanza preannunciando quella che sarebbe stata una mattinata di fuoco.
«Cosa succede qui? Flavio, che piacere ritrovarti».
«Piacere mio ispettore … stavamo giusto … ».
«Ho detto che è un piacere ritrovarti, quindi non farmi rimangiare le parole, è chiaro?».
Giuseppe Novato si avvicinò repentinamente a Flavio e gli sussurrò queste parole:
«Oggi l’ispettore è nervoso perché ha avuto una discussione con sua moglie al telefono e …».
«Novato! Ti ho sentito! Se spifferi ancora qualcosa ti mando a dirigere il traffico al sud!».
«Mi perdoni ispettore!» si scusò.
«Cosa abbiamo qui?» domandò ancora Ducato. Prima che potesse ricevere una risposta, anticipò tutti affermando con stupore: «Ma questa non è la famosa Giorgia Calmelli? E lei è Marchesi, il famoso regista! Come mai siete coinvolti in un crimine?».
«Ma quale crimine?» urlò deciso il regista «si vede lontano un miglio che mia moglie si è suicidata! Non sia ridicolo!».
«E’ impossibile che la sua signora si sia tolta la vita e le abbiamo già spiegato il perché» interruppi. «Non ci sono sedie che attestino che sia salita sul lampadario e ammesso che si sia appeso a questi … perché non dondola? Il processo di rigor mortis non è ancora cominciato quindi il decesso risale a pochi minuti fa».
«E allora spiegamelo tu ragazzino … come sono andate le cose?».
«Semplice» affermai con tutta la calma del mondo «uno di voi quattro è l’assassino della signora Calmelli».
«Ci stai incolpando di omicidio? Ma su quali basi … ?» intervenne Loris Esenti.
«Signor Esenti, me lo dica lei allora come sono andate le cose. A  me pare che non possa trattarsi di suicidio ed è evidente che la signora è stata strangolata con una corda … mi dica, qual è l’ultima opzione rimasta?».
Nessuno rispose.
«Fatto sta» disse ricollegandosi al discorso Paolina Mostrena «che non puoi incolparci di qualcosa che non abbiamo fatto».
«Se abbiate compiuto sì o no questo delitto, non sta a voi affermarlo. Sarà la polizia a determinarlo».
«Ispettore! Gli dica qualcosa! Sta sputando fango sulla memoria di mia moglie!» mi attaccò Marchesi.
«Ma quale fango e fango? Il ragazzo ha pienamente ragione! Uno di voi quattro, visto come si sono messe le cose, è l’omicida della signora Calmelli e la polizia farà di tutto per chiarire. Flavio e tutti gli altri … avete visto qualcuno entrare in questo piazzale oltre ai presenti?».
Tutti rispondemmo con un cenno negativo della testa.
«E da quando siete qui?».
«Be’, da circa quaranta minuti».
«Bene. Novato, ordina di chiudere tutte le uscite della piazzola. L’omicida è tra i quattro e lo troveremo sicuramente!».
Il solerte Novato corse a più non posso percorrendo in una decina di secondi l’enorme superficie dello spiazzale.
«Raccontami la dinamica dei fatti Flavio».
«Be’ ispettore. Siamo venuti qui, abbiamo fatto conoscenza dei signori e poi siamo andati a colazione».
«A colazione?».
«Sì, ha capito bene». Flavio deglutì «Poi ci sono state delle discussioni a tavola e dopo circa venti minuti che ci eravamo divisi è successo il fattaccio».
«Delle discussioni eh?».
«Suvvia» intervenne Marchesi «confessa Vincenzo, l’hai ammazzata tu, non è vero?».
Vincenzo Misatti rabbrividì. Il suo colorito passò dal “pallido” al “cadaverico” e i suoi occhi si riempirono di sangue.
«Ma come puoi incolparmi di una cosa del genere? Ti ha dato di volta il cervello?».
«Per niente amico. Ma lo sanno tutti che avevi già delle cose contro di me. Altrimenti non mi avresti mai parlato dietro con i nuovi arrivati. Mentre tu Loris» disse rivolgendosi a Esenti «volevi quella parte nel mio nuovo film e così hai deciso di eliminare mia moglie eh? Bravo davvero».
«Cosa diamine vai cianciando? Sei impazzito? Non avrei mai potuto … ».
«Già. Già, dite tutti così … oh, dimenticavo il relitto del cinema. Paolina, per quel discorso di tuo marito e del tuo tradimento …».
«Basta! Non azzardarti a nominare Giancarlo!».
«Ora basta lo dico io! Vi incolpate a vicenda, ma il colpevole è uno solo! Detto questo, cominciamo con le deposizioni. Uno ad uno sarete chiamati a raccontare quello che avete fatto negli ultimi venti minuti. Useremo quella stanzetta abbandonata che mi ha mostrato un addetto ai lavori poco fa» affermò Ducato indicando una minuscola stanzina dipinta di grigio.
Che confusione che si era creata. Sapevo chi fosse l’assassino. Già, perché il primo che parla, di solito è colui che ha commesso il crimine più efferato del mondo. Avevo l’impressione che fosse Marchesi l’assassino che stessimo cercando. Marchesi aveva ucciso sua moglie … ma come l’aveva fatto? Come ci era riuscito? La donna era stata ritrovata a terra, con una corda legata intorno al collo ed il lembo opposto molle a terra. Il terrazzino che dava sul panorama era completamente spalancato e la sedia sulla quale presumibilmente era seduta la vittima al momento dell’aggressione, completamente rovesciata.
Ducato aveva già portato i sospettati nell’angusta stanzina, mentre Novato era rimasto in nostra compagnia facendo qualche altra battutina sullo stato sentimentale del suo superiore.
«Alex … Alex … Alex! E’ sempre la stessa storia, quando ha un caso da risolvere si isola dagli altri. Guardalo, è una statua!» si lamentò Bianca rivolgendosi a Novato e osservandomi mentre avevo assunto la mia proverbiale posizione di pensiero. Per chi non lo sapesse, la mia posizione di pensiero preferita è quella nella quale mi siedo su una sedia, un letto o un qualsiasi ripiano e metto la mano destra che mi ricopre interamente la bocca e la mano sinistra chiusa a pugno verso la tempia sinistra. Sembro ridicolo, sembro in posa per un ritratto, ma almeno riesco ad isolarmi dall’esterno e a concentrarmi.
Nel mio cervello frullavano idee di ogni genere. Il lembo della corda che era stato ritrovato a terra era stato spezzato da qualcosa, come se fosse stato tagliato a razzo da qualcosa o da qualcuno.
«Guardate … qui ci sono dei pezzi di corda» osservò Bianca posizionandosi appena sotto la porta di entrata del camerino della vittima.
«Dove?» domandai sovreccitato.
«Ah, allora dobbiamo trovare indizi per parlare con te?» disse ironicamente Bianca.
«Lascia stare» le risposi cercando di farmi largo dietro di lei. Mi chinai sulle ginocchia e guardai attentamente. Dei piccoli filini di corda erano sparsi in modo confuso ma ordinato a terra. Erano paralleli all’asse immaginario che mi ero creato a partire dalla maniglia della porta fino ad arrivare verso in basso.
Forse quel piccolo indizio poteva aiutarmi a capire qualcosa, ma … non c’eravamo per niente! Ero ancora troppo lontano dalla verità.
«Un cellulare!» esclamò Flavio.
«Cosa?».
«Il cellulare della vittima. Forse ha lasciato un messaggio di addio» osservò acutamente.
«Già».
Flavio tolse il block, ma niente di niente. Nessun indizio, nessuna via da seguire.
«Bah! Un altro buco nell’acqua!» disse lanciandomelo al volo. Per poco non lo feci cadere.
Lo esaminai a lungo e la prima cosa che mi venne in mente fu quella di andare a guardare i messaggi. In particolare ce ne fu uno che mi colpii. Aveva la data esatta di quel giorno ed era stato inviato cinque ore prima, quindi verso le sette del mattino ed era indirizzato ad una certa Amy. Era scritto così:

“Amy, non vedo l’ora di dargli il regalo! Alla fine ho scelto un ciondolo con il mio nome tempestato di diamanti. Mi è costato molto, ma per Carlo questo è altro! E’ l’amore della mia vita. Ho deciso però di fare come mi avevi suggerito e cioè di infilarglielo in tasca senza che lui se ne accorga … sai che sorpresa quando lo troverà! Bacioni! P.S. Sono sicura che mi regalerà quella collana vista in centro due settimane fa!”

Ora avevo capito … e mi dispiaceva molto. Sì, davvero molto. L’amore è spesso un sentimento controverso e la vittima era stata tradita con l’amore negli occhi. Era morta con l’amore nel cuore. Con gli occhi bassi per la situazione, posai il telefono sul letto della vittima e mi diressi fuori dal camerino. Trascinai letteralmente Novato con me, nonostante le proteste di quest’ultimo che voleva restare a parlare di golf con Flavio.
«Ascolta Novato» gli dissi mentre mi guardava esterrefatto.
«Dimmi tutto Alex … perché mi hai trascinato fuori con così tanta fretta?».
«Non scopriranno mai la verità con gli interrogatori. Ho capito come si sono svolti i fatti … come faccio però a interrompere gli interrogatori di Ducato senza che lui mi uccida?».
«Eh be’» disse nascondendosi dietro ad una risatina «a questo posso pensarci io … ci faremo aiutare da qualche tecnico del montaggio e cose del genere ok?».
«D’accordo».

CAPITOLO IV – Amore e odio

«Dov’è Alex? Non lo vedo da un po’ … » osservò Flavio. L’uomo aveva assunto la tipica posizione di chi non voleva più aspettare. Aveva le mani in tasca e la sua andatura non lasciava presagire nulla di buono.
«Non so» rispose a tono Bianca «forse è andato a curiosare in giro con Novato».
«Già … c’è un caso da risolvere e lui se ne va in giro! Non ti pare sia un po’ troppo svogliato?».
«E a te non pare di essere eccessivamente duro con lui nei tuoi giudizi?» domandò Bianca innocentemente.
«Per niente! Devo plasmarlo io … devo … hai capito insomma!».
«In verità poco o nulla, ma se sei contento tu papà …».
In quel momento il monitor che troneggiava nel camerino di Calmelli si accese da solo. Flavio si spaventò tanto da cadere a terra. Poi vide la faccia giocosa e allegra di Alex e si rassicurò.

Una volta vistomi in faccia, cominciò come di consueto a ricoprirmi di insulti. Io e Novato ci eravamo stabiliti in una stanzetta del piano superiore utilizzata per il doppiaggio di un vecchio telefilm gangster degli anni settnta. Avevamo deciso, grazie all’aiuto di un tecnico, di stabilire un collegamento tra la videocamera che teneva Novato e il monitor del camerino della vittima. Era l’unico modo per risolvere il caso pur non essendo fisicamente presente lì. O meglio essendolo, ma solo in video. In questo modo avrei ottenuto meno lamentele, Ducato non avrebbe potuto colpirmi (voi non avete mai ricevuto una sua pacca amichevole sulle spalle) e la gente si sarebbe zittita per la semplice scena creata.
«Flavio, Novato è qui con me. Raduna tutti, ho capito come sono andati i fatti!» annunciai.
«Scusa, ma che ti sei fatto il segretario? Queste cose … ».
«E muoviti!».
«Vado, stai calmino!».
Due minuti dopo, Carlo Marchesi, Vincenzo Ducato, Loris Esenti, Paolina Mostrena e Vincenzo Misatti, erano radunati di nuovo tutti insieme nel camerino della vittima. Fino ad allora erano stati sottoposti ad un ferreo interrogatorio di gruppo. Secondo Ducato interrogarli di gruppo era una buona idea in quanto pensava che l’omicida fosse più di uno e che quindi prima o poi uno di loro si sarebbe tradito.
«Alex! Che cos’è questa pagliacciata?!» la voce di Ducato risuonò anche attraverso le cuffie datomi dal tecnico per recepire meglio i suoni all’esterno della sala di doppiaggio.
«Ehm … era per ottenere più attenzione … si calmi ispettore».
«Un corno! Flavio mi ha detto che presumi di aver risolto il caso … muoviti!».
«Ok, ok, non si agiti». “Che modi” pensai facendo un sorrisino sarcastico. «Ricostruiamo la dinamica dei fatti. Dopo aver fatto colazione insieme, io, Flavio, Bianca e Andrea  abbiamo assistito ad una lite furibonda tra tutti i membri del tavolo. La signora Calmelli cercava di stemperare i toni, mentre suo marito, Carlo Marchesi, rincarava la dose ad ogni parola detta dal resto dei presenti. Dopo aver discusso con Marchesi, Giorgia Calmelli si è ritirata nel suo camerino. Circa cinque minuti dopo ho notato Marchesi che entrava nel camerino di sua moglie. Inizialmente pensavo fosse per tentare un riavvicinamento, ma poi ci sono state delle cose che mi hanno indotto a pensare diversamente … ».
«Ad esempio fratellone?» domandò Andrea. Mio fratello era stato muto tutto il tempo. Aveva scrutato con i suoi piccoli occhietti tutte le scene che gli si erano parate davanti senza dire una parola.
«Ad esempio il fatto che Marchesi è uscito quasi subito dalla stanza. Sapete perché è uscito così presto? Perché è lui l’assassino della signora Calmelli!».
«Ah ah ah! Sei spiritoso ragazzino! Ma non hai prove e dovresti andarci piano con le accuse» disse cambiando repentinamente tono di voce e impostazione modulare.
«Lei è entrato nella stanza di sua moglie. Ha tentato di fare la pace, ma la signora ha rifiutato. Poi lei le avrà sicuramente chiesto scusa. Le scuse erano un parte essenziale del piano per farla fuori, non è vero? Dopodiché, guardate cosa ho trovato nella tasca della vittima. Un cellulare. E se andiamo nella cartella “messaggi inviati” ce n’è uno davvero interessante inviato cinque ore fa. Dice cosi: “Amy, non vedo l’ora di dargli il regalo! Alla fine ho scelto un ciondolo con il mio nome tempestato di diamanti. Mi è costato molto, ma per Carlo questo è altro! E’ l’amore della mia vita. Ho deciso però di fare come mi avevi suggerito e cioè di infilarglielo in tasca senza che lui se ne accorga … sai che sorpresa quando lo troverà! Bacioni! P.S. Sono sicura che mi regalerà quella collana vista in centro due settimane fa!”. Capite adesso?».
«Francamente non ancora. Cosa vorresti dimostrare con questo?» domandò Paolina Mostreni.
«Non ci siete ancora arrivati? Ok, vi dirò un’altra cosa. Poco fa, Novato ha trovato dei filini di corda sotto la maniglia della porta del camerino. Inoltre, prima dell’omicidio, la signora Calmelli aveva uno strano oggetto che le brillava in una delle due tasche. E’ tutto chiaro ora?».
«Non è chiaro un bel niente se non ci spieghi! Diamine!» sbottò Ducato.
«Insomma, l’oggetto che luccicava in tasca alla vittima, era il suo regalo di anniversario per Marchesi. Come recita il messaggino, la Calmelli voleva infilargli il regalo in tasca senza che lui se ne accorgesse. Voleva farlo in un momento di intimità e quale miglior momento se non quello delle scuse? Immagino abbia baciato sulle labbra sua moglie signor Marchesi».
Marchesi era livido di rabbia. La sua faccia sprizzava rabbia ovunque. Stava per crollare. Mancava davvero poco.
«Ma il messaggino dice anche un’altra cosa … dov’è il regalo del regista per sua moglie?» osservò Bianca.
«Ottima domanda. E’ lì, sul pavimento. E’ la corda che ha usato per strangolare la vittima!».
«Che cosa?!» esclamò Loris Esenti.
«Ma sì, dai, non avete ancora capito? Non è così difficile. Dopo averla baciata, il signor Marchesi avrà detto a sua moglie di avere con sè il suo regalo. Le avrà fatto chiudere gli occhi e la donna avrà subito immaginato si trattasse della collana che desiderava tanto. Così, avendo già legato un capo della corda alla maniglia della porta, ha infilato il cappio della corda attorno al collo della povera signora Calmelli. Si è allontanato dicendole di non aprire gli occhi. Dopodiché ha lentamente aperto la porta ed è uscito di soppiatto. Così facendo ha sbattuto violentemente la porta e il cappio intorno al collo della donna … si è stretto fino a diventare una morsa inesorabile!».
«Stai dicendo un mucchio di cavolate! Non credi che mia moglie se ne sarebbe accorta se avessi avuto una corda in mano? Non era addormentata».
«Infatti era girata di spalle. Guardate la sedia che era sul terrazzino com’è caduta. Ha lo schienale faccia a terra e anche il corpo è con la schiena rivolta verso il pavimento. Lei ha messo la corda a terra, appena dietro la sedia di sua moglie e … ha fatto quanto ho descritto».
«Ah ah ah! Saresti un ottimo scrittore di romanzi gialli. Ma voglio le prove! Non ce le hai ancora mostrate!».
«Già, è vero Alex … dove sono le prove?» domandò Ducato. Pareva essersi calmato.
«Oh, tranquillo ispettore. Ne basterà una sola. Il colpevole, la prova schiacciante, ce l’ha addosso!».
«Come?! Cos’hai detto?» sobbalzò Vincenzo Misatti.
«Esatto. Controllategli le tasche».
Ducato eseguì. E dopo pochi secondi estrasse una catenina con il nome “Giorgia” tempestata di diamanti.
«E’ la stessa identica catenina che corrisponde alla descrizione nel messaggio. E quando può avercela messa la signora Calmelli? E’ ovvio, in un momento di intimità, ovvero quando stavano baciandosi dopo aver appena fatto la pace! Confessi amico, è stato lei a compiere questo crimine!».
La risatina diabolica di Marchesi scrisse la parola fine a quella lunghissima ed estenuante giornata.
«Che buffo … ho fatto centinaia di film … ma proprio io non sono riuscito a recitare la parte più importante. Sì, l’ho uccisa io. Mi ha costretto a ucciderla … io ero … ero stato legato a sua sorella fino a circa due anni fa. Poi mi sono innamorata di lei, ma una volta, sotto l’effetto dell’alcol … mi disse di aver … mi disse di aver eliminato Marta con del cianuro. Non potevo perdonarglielo. Non era minimamente pentita! Quella sgualdrina meritava la morte!».
«Nessuno merita la morte» sentenziai. «E’ uno sciocco se la pensa così. La signora Calmelli aveva sbagliato indubbiamente, ma doveva rivolgersi alla polizia. Il secondo sbaglio, non pone rimedio al primo».
Nelle deposizioni Marchesi confermò quanto detto da me. Mi piangeva il cuore per quella storia. La Calmelli aveva ucciso sua sorella Marta solo per gelosia o chissà per quale assurda ragione. Marchesi aveva ucciso Giorgia Calmelli per vendetta. Una catena di amori e di emozioni contrastanti. Marchesi innamorato di Marta. Marta uccisa da Giorgia. Giorgia innamorata di Marchesi. Marchesi assassino di Giorgia.
«Uccidere … come si può accostare questo verbo ad … amare?» disse Bianca tra sé e sé mentre eravamo in macchina sul sedile posteriore. Andrea aveva preferito sedersi per una volta davanti e così …
«Non si può infatti … » commentai.
Lei annuì, poi si rivolse a me e mi domandò: «Sei mai stato innamorato?».
«Ehm … che domande sono?! Io non sono … ecco … innam … ecco … ».
«Ok, se non vuoi rispondermi … fa niente, non ti agitare».
Che idiota che sono. Quando parlo di amore divento rosso come un peperone e balbetto.
«Il nostro amico è riservato e tiene la bocca chiusa sull’amore … perché non provi a prendere quest’abitudine per tutto?» commentò Flavio sarcasticamente. Che simpatico.


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