LA
LEGGENDA DEL GABBIANO NERO(2°parte)
COS’E’ SUCCESSO
NELLA PRIMA PARTE?:La
famiglia Pelviani, proprietaria di un’azienda di capitale ricchissimo ingaggia
me e Flavio per una presunta maledizione che aleggia sulla famiglia da circa
vent’anni dovuto ad uno stupro che il capofamiglia, ormai defunto, compi quando
era giovanissimo. Una volta arrivati lì, e cenato, c’è un violento litigio a
tavola tra due membri della numerosissima famiglia, Franco e Enrico. Poco dopo
Franco viene trovato morto nella sua stanza con una profonda ferita da taglio
vicino alla gola che assomiglia alla forma adunca che ha il becco di un uccello
…
CAPITOLO
III – Isolati
Il corpo di Franco
giaceva a terra in modo alquanto triste e molto, davvero molto tragico. Veder
morire una persona è già di per sé brutto, ma quando la persona viene uccisa in
quel modo è ancora più deprimente avvicinarsi al corpo e cercare di formulare
ipotesi.
«Signorina Eva, è
stata lei a trovare il corpo mi pare. Ha notato nulla di strano?» chiese
Flavio.
La ragazza era
ancora, comprensibilmente sconvolta. Il mascara del trucco le si era spalmato
agli angoli degli occhi per le lacrime versate, le unghie erano mordicchiate ed
il viso uno spettacolo poco gradevole.
«No» riuscì a dire
singhiozzando. «Nulla di strano. Franco stava benone fino a qualche minuto fa.
Ero riuscito a calmarlo. Voleva tirare le tende per far entrare il chiarore
della luna. Poi sono andata in bagno e quando sono uscita l’ho visto
stramazzare al suolo e …» cercò di continuare ma le sue parole furono rotte dal
pianto.
Notai che vicino
alla tenda c’era del sottilissimo filo bianco. Poteva essere cotone, quel tipo
di cotone molto resistente che non si spezza facilmente.
«Che strano» dissi
parlando da solo.
«Cosa c’è?» chiese
Flavio.
«Non vedi? Un
lembo di tenda è strappato. E’ come se qualcosa lo avesse bucato» dissi
indicando la parte centrale della tenda, recisa e strappata.
Intanto Salvo,
miglior amico di Franco annunciò a tutti una notizia inquietante.
«Signori, ho
tentato di chiamare la polizia, ma i cellulari non prendono in questa zona di
montagna. Inoltre ho tentato anche dal telefono fisso, ma qualcuno ha tranciato
i cavi»
«Cosa?» chiesi
allarmato.
«Proprio così. I
cavi del telefono sono stati tagliati»
Mi recai sul posto
in compagnia di Flavio e Fabio. Bianca rimase nella stanza dove era stato
ritrovato il corpo con Andrea. I cavi del telefono erano stati davvero tagliati
in malo modo.
«Il colpevole
sembra aver utilizzato un taglierino» dissi.
«Già. E’ un bel
problema» aggiunse Flavio.
Rientrammo
velocemente nella stanza nella quale si era consumato il delitto. Esaminammo
per un po’ il corpo, poi decidemmo di coprirlo con un manto e di metterlo
disteso sul letto, in attesa di sviluppi.
Mentre girovagavo
e tentavo di far cambiare idea a Flavio che diceva potesse trattarsi di
suicidio, trovai in prossimità del letto un piccolo gancetto di colore
metallico. Aveva una lunghezza di quattro-cinque centimetri, non di più. Era
però molto spesso e decisamente pesante.
«E questo come lo
spieghi?» dissi porgendogli il gancetto sporco ancora di sangue.
» dissi
porgendogli il gancetto sporco ancora di sangue.
«Che cos’è?»
«Non so, era qui
in prossimità del letto. Ma come vedi c’è del sangue sopra. Quindi … »
«E’ questa l’arma
usata»
«Sì, ma togliti
dalla testa che fosse per un suicidio.»
«E perché mai?»
disse guardandomi storto.
«Ragiona no? Chi
vuole suicidarsi avrebbe preso un coltello, un taglierino, ma non un gancio.
No, c’è qualcosa di strano. Questo gancio è stato messo in modo che colpisse la
vittima, ne sono sicuro».
«Sarà».
Intanto vidi mio
fratello cercare di consolare Bianca. Mi avvicinai a loro.
«Cosa succede?»
«Bianca ha paura»
«E tu no?» disse
la ragazza.
«Io no, altrimenti
avrei già cominciato ad urlare» confessò candidamente mio fratello.
Bianca gli sorrise
in modo da poterlo tranquillizzare. In realtà era lei a dover essere tranquillizzata.
Per un momento ripensai alle parole di Fabio. Lui diceva che Bianca provava
qualcosa per me, ma stentavo a crederlo, dannazione.
«Perché hai
paura?» le chiesi a voce bassa.
«Non si vede? Sei
un detective no? E’ stato trovato un cadavere. Non posso certo stare
tranquilla»
«Be’ sì, ma non
aver paura. Si risolverà tutto. Stai calma d’accordo?» e così dicendo le misi
una mano sulla spalla. Devo dire che arrossì ed arrossii anche io.
Probabilmente era il calore della sera. Nulla di grave.
Mi allontanai da
loro raccomandando di stare in guardia e soprattutto di non allontanarsi mai
dal gruppo di familiari. Il killer poteva colpire ancora e certamente la sua
vittima poteva essere chiunque, compresi Bianca e Andrea.
«Senti Flavio, che
ne dici se mi dai le chiavi della macchina e vado a controllare se c’è qualcuno
a cui chiedere aiuto?»
«Così tu vuoi la
mia macchina?»
«Solo per una
giusta causa»
«Ricordati che ha
solo tre anni»
«E tu ricordati
che io ne ho diciotto. Stai tranquillo ok? Vado, controllo se c’è qualcuno e
torno» gli dissi porgendogli la mano per prendere le chiavi. Dopo qualche
ulteriore riluttanza, me la diede. Era più facile trattare con Donald Trump
l’acquisto di una multinazionale che parlare con Flavio a proposito della
propria auto. Avete presente quegli uomini che vogliono bene alla propria
macchina come se fosse una loro figlia? Be’, ecco Flavio.
Mentre stavamo per
uscire Fabio mi comunicò la sua volontà di venire con me e di rendersi utile.
Lo allontanai inizialmente. Volevo che stesse con Andrea e Bianca. Flavio si
sarebbe sicuramente dedicato alle indagini e non avrebbe avuto tempo di badare
a loro. Mi beccai un secco “no”, seguito da un “mi raccomando Alex, stai
attento” di Bianca, seguito ancora da un risolino di Fabio e da uno sguardo
fulmineo di Flavio.
La Fiat Croma si
mise in moto. All’interno di quella residenza faceva davvero caldo, ma
all’esterno si gelava. Indossati i nostri cappotti, io e Fabio ci allontanammo
dalla piazzola dei parcheggi.
«Come mai sei
voluto venire?» gli domandai.
«Credo sia
normale».
«Per niente.
Volevo tu stessi a badare a Bianca e Andrea, non qui».
«C’è papà per
quello»
«Tuo padre sta con
la testa nelle indagini. Secondo te può badare a quei due?» chiesi leggermente
irritato.
«Che c’è? Ti ha
morso la tarantola? Sei un pochino teso. Perché non ti rilassi?»
«Mi spieghi come
faccio a rilassarmi? Un uomo è stato appena ucciso ed il colpevole è
sicuramente tra i membri di quella famiglia!» dissi urlando.
«Ehi, ehi calma!
Diamine, sei nervoso no?»
«Devi farci caso»
sussurrai con ironia.
CAPITOLO
IV – Controlli della zona
Procedemmo per il
boschetto. Per quei dieci chilometri che ci separavano dall’angolo civile di
quelle montagne. Come dedotto in mezzo a quei fitti alberi e quegli imponenti
monti non c’era anima viva. La speranza era che una volta attraversato il
ponte, ci fosse una cabina telefonica, o meglio una casa. Ma non ne avevo viste
all’andata,quindi confidavo in un aiuto che avesse le sembianze di un telefono.
Mi sarei accontentato anche di un pastore con un fischietto per le capre.
Mentre
attraversavamo sterpaglie e cose varie ci fu silenzio. Parlammo a tratti.
Incaricai Fabio di guardare dal finestrino se c’era un’anima viva. Ma non diede
segnali positivi. Poi ad un tratto il vuoto. Per poco non andai a finire in un
burrone profondo quanto l’Ade. Per fortuna me ne accorsi in tempo. Lodato chi
ha inventato i fari all’auto. Notai dalla mia postazione che mancava il ponte.
Così avevo sterzato in tutta fretta ed intensità fino a far arrivare la macchina
con il muso verso destra.
«Ma sei
impazzito?» chiese Fabio rialzandosi. Cadendo aveva sbattuto la testa contro il
cruscotto.
«No, sono sano.
C’è un burrone profondo metri e noi stavamo quasi per caderci dentro!»
«Dannazione» disse
massaggiandosi la testa.
Scesi dall’auto,
presi la torcia tascabile che mi portavo sempre dietro ed esaminai il bordo del
burrone. Notai che le estremità che reggevano i vertici del già traballante
ponte di corda e legno erano stati tagliati. Esattamente come i cavi
telefonici. Doveva essere opera dell’assassino. Adesso sì che eravamo davvero
nei guai. Non c’erano cabine telefoniche, non c’erano case, i telefonini non
prendevano e il telefono di casa Pelviani era stato disabilitato. Per giunta
non potevamo andare più in là del burrone. C’era un varco di almeno dieci metri
e saltare con l’auto sarebbe stato da aspiranti suicidi.
Illuminando il
sentiero che portava al burrone notai che c’erano dei segni di pneumatici.
Qualcuno era stato lì, ma con il buoi e la sola debole della mia piccola torcia
non saprei descrivervi la forma, né la tipologia. Meccanici state calmi. Non è
il mio lavoro.
Rientrai in
macchina sbattendo violentemente la porta.
«Che succede?»
chiese Fabio.
«Succede che
adesso siamo davvero nei guai»
«Perché?»
«Hanno tagliato il
ponte. Ora siamo isolati davvero. A te piuttosto, come va la testa? Stai
perdendo un po’ di sangue» dissi illuminandogli la faccia con la torcia.
«Nulla di grave»
«Dobbiamo
rientrare. Poi fatti medicare una volta arrivati a casa dei Pelviani»
«Tornammo in meno
di dieci minuti. Ormai gli occhi si erano abituati al buio e sapevo come percorrere quella strada con la
Croma. Parcheggiata la macchina, rientrammo. Flavio non appena vide Fabio che
aveva un po’ di sangue sulla fronte mi venne incontro con un istinto omicida
pari a quello di Diabolik.
«Cos’è successo?
La macchina?»
«La macchina è ok,
tranquillo. Piuttosto lui avrà bisogno di qualche punto di sutura. Intanto
fasciatelo»
«Com’è successo?»
chiese Bianca già in apprensione.
«Hanno tagliato il
ponte che ci collegava al mondo civile. Con il buio ho dovuto sterzare
all’improvviso e Fabio non si è retto,andando a sbattere la fronte contro il
cruscotto. Nulla di grave»
«Ok, null’altro?»
chiese Flavio.
«Ci sono dei segni
di pneumatici vicino al fondo del burrone. L’assassino è andato lì ed ha
tranciato le corde».
«Di che natura
sono?»
«I pneumatici? Non
saprei dirlo. E’ troppo buio. Nemmeno con la torcia sono riuscito a decifrare.
Ed avevo Fabio che perdeva sangue»
«Capisco»
La stanza era
vuota.
«Dove sono finiti
i Pelviani?»
«Gli ho mandati
giù in salotto. C’era chi piangeva, chi litigava. Insomma, erano troppi e
dovevo indagare senza disturbi»
«Giusto. Sai,
siamo entrati dalla seconda entrata, quella che da direttamente alla cucina per
poi andare di sopra .Ascolta, avrei un’idea ma non so se sia buona»
«Spara»
«Non abbiamo
contatti con la civiltà. L’unica cosa che ci rimane è il boschetto. Dobbiamo
esaminarlo, perché con la macchina è quasi impossibile. Meglio perlustrarlo
palmo a palmo.»
«Quindi?»
«Quindi
dividiamoci in gruppi»
«E cosa speri di
trovare?».
«Non so, forse il
mezzo usato dall’assassino o qualche altro particolare»
«Credi sia una
buona idea?»
«Non so, ma meglio
che stare qui con le mani in mano è sicuramente. Pensaci. Non ci sono tracce,
il ponte è andato, siamo isolati, meglio conoscere il luogo. In confidenza
Flavio, credo che l’assassino sia uno di loro»
«Un membro della
famiglia? Ma cosa dici? Vaneggi?»
«Per niente.
Ragiona un attimo. La porta non è stata forzata, le finestre nemmeno. Non c’è
segno di effrazione. Il colpevole è qui»
Flavio abbassò gli
occhi. «Ok, organizza i gruppi. Ci vediamo giù tra cinque minuti»
Scesi al piano di
sotto e comunicai la decisione. Tra le urla generali riuscii quantomeno a farmi
sentire. Nulla di nuovo. A qualcuno piacque l’idea, altri la apostrofarono
“stupida”. Fatto sta che dopo cinque minuti Flavio scese con Fabio, Bianca e
Andrea al seguito. Si erano vestiti e portavano con sé delle torce elettriche. Ce
l’aveva solo Flavio, ok, ma sarebbe servita per far strada a tutti. I Pelviani
si vestirono. Indossarono giacche pesanti, cappelli e guanti per ripararsi dal
freddo gelido.Dissi loro di portarsi appresso anche un coltellino o un
qualunque oggetto contundente. So che poteva essere un’arma per il potenziale
assassino, ma dovevo comunque dare uno sbocco di salvezza a delle potenziali
vittime.
Presero quasi
tutti i coltelli della cucina. Erano piccoli e comuni, col manico bianco in
plastica.
«Io non vengo». La
signora Celine si era visibilmente impuntata.
«Signora» le dissi
andandole vicino «Non è un gioco. C’è la vita dei suoi familiari e anche la sua
in ballo. Ci segua».
«Voglio stare qui
ragazzo».
«Non faccia i
capricci. E’ in pericolo».
«Ma quale
pericolo? Non l’hai ancora capito che l’assassino è tra loro? Credimi, sei più
un pericolo tu e la tua fidanzatina» disse indicando Bianca «che io da sola in
questa fortezza». Entrambi arrossimo. Certo, per età, io e Bianca saremmo
potuti sembrare fidanzati … ma era un’ipotesi davvero assurda.
La donna aveva capito
tutto allora. Ed io che non avevo ancora detto nulla per non rischiare di
condizionare i loro comportamenti.
«Sì, signora. Io e il detective ci eravamo
arrivati. Ma … »
«Niente “ma”
giovanotto. Io resto qui» me l’aveva detto con gli occhi di una donna
sofferente.
«E poi» disse
spuntando Bianca«io non sono la sua fidanzatina».
Feci un risolino
per acconsentire e voltai le spalle. La vecchina chiuse la porta a chiave. Mi
dispiaceva lasciarla sola, davvero.
CAPITOLO
V: L’assassino colpisce ancora
Nella piazzola
della villetta decidemmo di dividerci in parecchi gruppi. Attuammo la divisione
in tre gruppi. Da una parte io, Flavio, Bianca, Fabio e Andrea; Quindi Roberto
e Salvo e successivamente il gruppo da tre composto da Nestore, Lucia ed
Enrico. Il nostro obiettivo era perlustrare la zona alla ricerca di qualche
indizio utile per la scoperta della verità.
Il nostro gruppo
era il più numeroso, ma d’altronde avevamo un bambino, una ragazza decisamente
impaurita e in più anche un tizio con la testa fasciata. Bel gruppo vero?
I gruppi rimasero
separati per circa mezz’ora. Non una parola. A dire il vero all’inizio non
trovammo granché. Ma poi, in un sussulto, Andrea, mio fratello andò a sbattere
contro qualcosa. Lo fece urlare, ok. Lo sentirono anche nelle regioni che
confinavano con Piemonte, ma sono dettagli. Si trattava di una moto,
parcheggiata vicino un albero, ricoperta di fango ed erbaccia e probabilmente
mimetizzata dall’assassino per confondere le acque. Era la stessa moto che
avevano usato per tagliare il ponte. O almeno così sembrava. Mentre stavamo
esaminando la moto fummo interrotti da uno spiacevole urlo. Qualcuno era stato
colpito ed ora stava cercando di dimenarsi e di urlare. Subito corremmo in
direzione delle grida, ma non era per niente facile. Il buio spiazzava e
copriva visuale e ragione. Dopo un po’ sentimmo la voce calda e profonda di
Roberto.
«Qui, presto!»
La sua voce ci
fece da bussola, da radar e così riuscimmo a localizzarlo. Lo spettacolo non fu
bello. Con la torcia illuminai la scena
che mi si era parata davanti agli occhi. Salvo, il miglior amico di Fabio,
giaceva a terra inerme con un pugnale conficcato nello stomaco. Le nostre grida
fecero accorrere tutti i gruppi. C’era chi si dimenava, chi cercava d sporgersi
meglio per guardare l’orrore e chi ancora si metteva le mani davanti agli
occhi.
«E’ morto da poco»
disse Flavio toccando il corpo. «E’ ancora caldo. Il decesso risale a meno di
dieci minuti fa. Signor Roberto, come è successo tutto ciò?».
«Non so. Io e
Salvo stavamo pattugliando il boschetto quando all’improvviso ci siamo persi di
vista. E’ bastato un attimo, ma ci siamo persi! Poi mentre camminavo ho toccato
qualcosa con la punta della scarpa e illuminando con la torcia ho visto che si
trattava del cadavere!».
«Ok. Sarà meglio
sospendere la ricerca e portare dentro il corpo. Rischia di congelarsi».
«Scusi, perché non
ha più i guanti?». Notai che Roberto aveva le mani nude.
«Li ho persi
ragazzo. Avevo fastidio nell’accendere la torcia e così ho deciso di toglierli.
Ma devo averli persi».
«Vuole che l’aiuti
a ritrovarli?».
«No grazie mille,
sei molto gentile. Ritornerò domattina a cercarli» disse sorridendo.
Flavio si caricò
il corpo inerme del povero Salvo sulle spalle. Mentre camminavamo per ritornare
alla villetta lo sentì maledire qualcosa. Probabilmente non sopportava che
fossero commessi due delitti nel giro di poco tempo. Una cosa assurda. Due
ragazzi giovani, pieni di vita e poco più grandi di me, avevano perso la vita
in un circolo vizioso che sempre più spesso si vestiva di orrendo e di
paranormale. Non ci spiegavamo com’era stato effettuato il primo delitto. Per
quanto riguarda il secondo invece era buoi pesto. Non sapevamo davvero come
fare e cosa fare. Sembrava fosse stato pugnalato dal nulla. Nessuno aveva visto o sentito niente, nessuno aveva udito
un grido, non un rumore.
Una volta portato
il corpo in casa decidemmo di coprirlo e di adagiarlo in un angolo della casa.
Non potevamo capire chi fosse responsabile di quella serie efferata di delitti.
Personalmente mi ero fatto un’idea, ma non era concreta. Solo illazioni, come
si dice.
CAPITOLO
VI – Medicina fatale
In salone, tutta
la famiglia Pelviani comunicava a sé stessa la paura che si era diffusa
nell’ambiente.
Roberto Pelviani
si teneva la testa tra le mani, quasi fosse ignaro di tutto ciò che stava
accadendo. Eva, era assolutamente in preda ad una crisi di nervi. Aveva lo
sguardo nel vuoto, fisso a pensare chissà che cosa. Comprensibile. Nella stessa
sera, in poche ore aveva visto morire il suo ragazzo ed il suo miglior amico,
uccisi da chissà quale criminale senza scrupoli.
Lucia lamentava un
dolore alla testa. Avvertiva nausea, mancamento. Era pallida e la signora
Celine, che nel frattempo era scesa con noi dopo essere stata per tutto il
tempo in camera ed aver appreso il delitto restando di ghiaccio, le domandò
immediatamente cosa le stesse succedendo.
«Cara, che
cos’hai? Non ti senti bene?».
«No, signora, non
è nulla di allarmante. Fin da quando sono piccola soffro di pressione bassa. Ma
ho portato qui le medicine. Nestore, per favore puoi andare a prendermene una?
Devi prenderla da quella scatola che abbiamo comprato stamattina. E’ ancora
sigillata».
«Certo tesoro,
come vuoi.». Ritratto del marito perfetto.
«Ricordati che non
vanno sciolte nel’acqua. Devi portarmi la pillola ed una bottiglietta d’acqua
per cortesia».
Nestore eseguì.
Lucia prese la sua medicina ed affermò di sentirsi meglio già trenta secondi
dopo l’assunzione. Probabilmente era una cavolata, ma almeno teneva a bada la signora
Celine, che era notevolmente in pensiero. Vidi in quel momento in lei uno
scorcio di maternità, un senso materno inusuale, che non avevo ancora visto.
«Chissà come andrà
a finire?» sussurrò Roberto. «Chissà se arriveremo vivi domattina». Che ottimismo
vero?
«Non dire così
Roberto. Il detective Moggelli e quel ragazzino sono qui per risolvere il caso»
rispose Celine. «Sono sicura che lo risolveranno in fretta».
«Sì, ma quando?
Sono solo le due del mattino. E’ ancora buio e non si vede un’anima nel bosco
che abbiamo perlustrato».
«Si calmi signor
Roberto. La prometto che riusciremo ad incastrare l’omicida. E’ questione di
tempo». Flavio stava cercando di incoraggiarlo. Non so se il mio “mentore”
avesse qualcosa in mente. Ma io un sospetto ce l’avevo. Nulla di serio,
chiariamoci. Ma avete presente quelle intuizioni fulminee? Ecco, avevo una di
quelle. La cosa più brutta di questo lavoro è che puoi affidarti al tuo intuito
quanto vuoi, ma se non hai le prove, stai fresco. Le tue parole valgono meno di
zero. La tua faccia va sotto terra e tutto ciò che ti appartiene, fama
compresa, va nel dimenticatoio. Non puoi mai sbagliare.
«Lucia cos’hai?».
Enrico teneva tra la testa della donna tra le mani come se temesse di perderla
in strada. La donna non rispondeva. Si teneva la gola con le mani, come se
stesse soffocando. Le urla dei presenti non si contavano. La povera donna si
agitava in preda a delle convulsioni violente. Non ne sono sicuro, ma respirava
a fatica. Aveva una pesante ansia e non respirava più. Fu questione di secondi,
poi stramazzò al suolo. Si allontanarono tutti. Gli occhi sbarrati dei presenti
guardavano invano il corpo senza vita della povera donna. Mi avvicinai
immediatamente al corpo. Sentii il battito, ma non c’era nulla da fare. Il mio
triste presagio si era avverato. La bocca della vittima odorava di mandorla.
Non c’era più alcun dubbio: La causa del decesso era avvelenamento da cianuro
di potassio.
Ricordo che non
dissi nemmeno una parola. Mi limitai a correre verso la cucina in modo frenetico.
Non potevo permettere al colpevole di cancellare le prove. In cucina sul
ripiano dove era situato il fornetto a microonde, c’era ancora la scatola dei
medicinali che erano stati assunti poco prima dalla signorina Lucia. Erano dei
farmaci per la pressione vero, ma notai immediatamente qualcosa di strano e
poco chiaro. Poco prima di morire la vittima aveva detto che la scatola era
ancora sigillata. Invece quella che avevo tra le mani era già aperta e per di
più rovinata come fosse stata già maneggiata da tempo. Infine, mancavano ben
tre pillole nella confezione d’alluminio divisa a due pillole alla volta in
cinque file da due. Una era stata assunta dalla signora Lucia. Ma le precedenti
due? Che fine avevano fatto?
Per pensare a come
poteva essere andata, feci cadere goffamente un biscotto in terra. Mi capita.
Quando sono assorto in un caso divento imbranato. Aprì lo sportello del piano
inferiore della cucina dove era riposta la pattumiera e con mia sorpresa vidi
che c’era qualcosa di strano. Un paio di guanti neri. Pensai con lo sguardo
fisso ancora per un minuto buono, poi decisi di passare all’attacco. Ora avevo
capito chi fosse il colpevole e sapevo anche i trucchi adoperati per uccidere
le vittime. Mancava solo una cosa: Che riuscissi ad ottenere l’attenzione di
tutti!
ANTICIPAZIONE EPISODIO 9: E' arrivato il momento di svelare le carte. Senza nessuna obiezione, la Giustizia trionferà anche questa volta? Chi è stato a seminare terrore tra i Pelviani per tutti questi anni? ALEX FEDELE EPISODIO 9; LA LEGGENDA DEL GABBIANO NERO-3°parte!
Solo su questo blog a partire dal 15 Ottobre 2011! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!
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