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sabato 8 ottobre 2011

Alex Fedele: La leggenda del gabbiano nero(stagione 1; episodio 8) 2°parte


LA LEGGENDA DEL GABBIANO NERO(2°parte)


COS’E’ SUCCESSO NELLA PRIMA PARTE?:La famiglia Pelviani, proprietaria di un’azienda di capitale ricchissimo ingaggia me e Flavio per una presunta maledizione che aleggia sulla famiglia da circa vent’anni dovuto ad uno stupro che il capofamiglia, ormai defunto, compi quando era giovanissimo. Una volta arrivati lì, e cenato, c’è un violento litigio a tavola tra due membri della numerosissima famiglia, Franco e Enrico. Poco dopo Franco viene trovato morto nella sua stanza con una profonda ferita da taglio vicino alla gola che assomiglia alla forma adunca che ha il becco di un uccello …






CAPITOLO III – Isolati

Il corpo di Franco giaceva a terra in modo alquanto triste e molto, davvero molto tragico. Veder morire una persona è già di per sé brutto, ma quando la persona viene uccisa in quel modo è ancora più deprimente avvicinarsi al corpo e cercare di formulare ipotesi.
«Signorina Eva, è stata lei a trovare il corpo mi pare. Ha notato nulla di strano?» chiese Flavio.
La ragazza era ancora, comprensibilmente sconvolta. Il mascara del trucco le si era spalmato agli angoli degli occhi per le lacrime versate, le unghie erano mordicchiate ed il viso uno spettacolo poco gradevole.
«No» riuscì a dire singhiozzando. «Nulla di strano. Franco stava benone fino a qualche minuto fa. Ero riuscito a calmarlo. Voleva tirare le tende per far entrare il chiarore della luna. Poi sono andata in bagno e quando sono uscita l’ho visto stramazzare al suolo e …» cercò di continuare ma le sue parole furono rotte dal pianto.
Notai che vicino alla tenda c’era del sottilissimo filo bianco. Poteva essere cotone, quel tipo di cotone molto resistente che non si spezza facilmente.
«Che strano» dissi parlando da solo.
«Cosa c’è?» chiese Flavio.
«Non vedi? Un lembo di tenda è strappato. E’ come se qualcosa lo avesse bucato» dissi indicando la parte centrale della tenda, recisa e strappata.
Intanto Salvo, miglior amico di Franco annunciò a tutti una notizia inquietante.
«Signori, ho tentato di chiamare la polizia, ma i cellulari non prendono in questa zona di montagna. Inoltre ho tentato anche dal telefono fisso, ma qualcuno ha tranciato i cavi»
«Cosa?» chiesi allarmato.
«Proprio così. I cavi del telefono sono stati tagliati»
Mi recai sul posto in compagnia di Flavio e Fabio. Bianca rimase nella stanza dove era stato ritrovato il corpo con Andrea. I cavi del telefono erano stati davvero tagliati in malo modo.
«Il colpevole sembra aver utilizzato un taglierino» dissi.
«Già. E’ un bel problema» aggiunse Flavio.
Rientrammo velocemente nella stanza nella quale si era consumato il delitto. Esaminammo per un po’ il corpo, poi decidemmo di coprirlo con un manto e di metterlo disteso sul letto, in attesa di sviluppi.
Mentre girovagavo e tentavo di far cambiare idea a Flavio che diceva potesse trattarsi di suicidio, trovai in prossimità del letto un piccolo gancetto di colore metallico. Aveva una lunghezza di quattro-cinque centimetri, non di più. Era però molto spesso e decisamente pesante.
«E questo come lo spieghi?» dissi porgendogli il gancetto sporco ancora di sangue.
» dissi porgendogli il gancetto sporco ancora di sangue.
«Che cos’è?»
«Non so, era qui in prossimità del letto. Ma come vedi c’è del sangue sopra. Quindi … »
«E’ questa l’arma usata»
«Sì, ma togliti dalla testa che fosse per un suicidio.»
«E perché mai?» disse guardandomi storto.
«Ragiona no? Chi vuole suicidarsi avrebbe preso un coltello, un taglierino, ma non un gancio. No, c’è qualcosa di strano. Questo gancio è stato messo in modo che colpisse la vittima, ne sono sicuro».
«Sarà».
Intanto vidi mio fratello cercare di consolare Bianca. Mi avvicinai a loro.
«Cosa succede?»
«Bianca ha paura»
«E tu no?» disse la ragazza.
«Io no, altrimenti avrei già cominciato ad urlare» confessò candidamente mio fratello.
Bianca gli sorrise in modo da poterlo tranquillizzare. In realtà era lei a dover essere tranquillizzata. Per un momento ripensai alle parole di Fabio. Lui diceva che Bianca provava qualcosa per me, ma stentavo a crederlo, dannazione.
«Perché hai paura?» le chiesi a voce bassa.
«Non si vede? Sei un detective no? E’ stato trovato un cadavere. Non posso certo stare tranquilla»
«Be’ sì, ma non aver paura. Si risolverà tutto. Stai calma d’accordo?» e così dicendo le misi una mano sulla spalla. Devo dire che arrossì ed arrossii anche io. Probabilmente era il calore della sera. Nulla di grave.
Mi allontanai da loro raccomandando di stare in guardia e soprattutto di non allontanarsi mai dal gruppo di familiari. Il killer poteva colpire ancora e certamente la sua vittima poteva essere chiunque, compresi Bianca e Andrea.
«Senti Flavio, che ne dici se mi dai le chiavi della macchina e vado a controllare se c’è qualcuno a cui chiedere aiuto?»
«Così tu vuoi la mia macchina?»
«Solo per una giusta causa»
«Ricordati che ha solo tre anni»
«E tu ricordati che io ne ho diciotto. Stai tranquillo ok? Vado, controllo se c’è qualcuno e torno» gli dissi porgendogli la mano per prendere le chiavi. Dopo qualche ulteriore riluttanza, me la diede. Era più facile trattare con Donald Trump l’acquisto di una multinazionale che parlare con Flavio a proposito della propria auto. Avete presente quegli uomini che vogliono bene alla propria macchina come se fosse una loro figlia? Be’, ecco Flavio.
Mentre stavamo per uscire Fabio mi comunicò la sua volontà di venire con me e di rendersi utile. Lo allontanai inizialmente. Volevo che stesse con Andrea e Bianca. Flavio si sarebbe sicuramente dedicato alle indagini e non avrebbe avuto tempo di badare a loro. Mi beccai un secco “no”, seguito da un “mi raccomando Alex, stai attento” di Bianca, seguito ancora da un risolino di Fabio e da uno sguardo fulmineo di Flavio.
La Fiat Croma si mise in moto. All’interno di quella residenza faceva davvero caldo, ma all’esterno si gelava. Indossati i nostri cappotti, io e Fabio ci allontanammo dalla piazzola dei parcheggi.
«Come mai sei voluto venire?» gli domandai.
«Credo sia normale».
«Per niente. Volevo tu stessi a badare a Bianca e Andrea, non qui».
«C’è papà per quello»
«Tuo padre sta con la testa nelle indagini. Secondo te può badare a quei due?» chiesi leggermente irritato.
«Che c’è? Ti ha morso la tarantola? Sei un pochino teso. Perché non ti rilassi?»
«Mi spieghi come faccio a rilassarmi? Un uomo è stato appena ucciso ed il colpevole è sicuramente tra i membri di quella famiglia!» dissi urlando.
«Ehi, ehi calma! Diamine, sei nervoso no?»
«Devi farci caso» sussurrai con ironia.

CAPITOLO IV – Controlli della zona

Procedemmo per il boschetto. Per quei dieci chilometri che ci separavano dall’angolo civile di quelle montagne. Come dedotto in mezzo a quei fitti alberi e quegli imponenti monti non c’era anima viva. La speranza era che una volta attraversato il ponte, ci fosse una cabina telefonica, o meglio una casa. Ma non ne avevo viste all’andata,quindi confidavo in un aiuto che avesse le sembianze di un telefono. Mi sarei accontentato anche di un pastore con un fischietto per le capre.
Mentre attraversavamo sterpaglie e cose varie ci fu silenzio. Parlammo a tratti. Incaricai Fabio di guardare dal finestrino se c’era un’anima viva. Ma non diede segnali positivi. Poi ad un tratto il vuoto. Per poco non andai a finire in un burrone profondo quanto l’Ade. Per fortuna me ne accorsi in tempo. Lodato chi ha inventato i fari all’auto. Notai dalla mia postazione che mancava il ponte. Così avevo sterzato in tutta fretta ed intensità fino a far arrivare la macchina con il muso verso destra.
«Ma sei impazzito?» chiese Fabio rialzandosi. Cadendo aveva sbattuto la testa contro il cruscotto.
«No, sono sano. C’è un burrone profondo metri e noi stavamo quasi per caderci dentro!»
«Dannazione» disse massaggiandosi la testa.
Scesi dall’auto, presi la torcia tascabile che mi portavo sempre dietro ed esaminai il bordo del burrone. Notai che le estremità che reggevano i vertici del già traballante ponte di corda e legno erano stati tagliati. Esattamente come i cavi telefonici. Doveva essere opera dell’assassino. Adesso sì che eravamo davvero nei guai. Non c’erano cabine telefoniche, non c’erano case, i telefonini non prendevano e il telefono di casa Pelviani era stato disabilitato. Per giunta non potevamo andare più in là del burrone. C’era un varco di almeno dieci metri e saltare con l’auto sarebbe stato da aspiranti suicidi.
Illuminando il sentiero che portava al burrone notai che c’erano dei segni di pneumatici. Qualcuno era stato lì, ma con il buoi e la sola debole della mia piccola torcia non saprei descrivervi la forma, né la tipologia. Meccanici state calmi. Non è il mio lavoro.
Rientrai in macchina sbattendo violentemente la porta.
«Che succede?» chiese Fabio.
«Succede che adesso siamo davvero nei guai»
«Perché?»
«Hanno tagliato il ponte. Ora siamo isolati davvero. A te piuttosto, come va la testa? Stai perdendo un po’ di sangue» dissi illuminandogli la faccia con la torcia.
«Nulla di grave»
«Dobbiamo rientrare. Poi fatti medicare una volta arrivati a casa dei Pelviani»
«Tornammo in meno di dieci minuti. Ormai gli occhi si erano abituati al buio  e sapevo come percorrere quella strada con la Croma. Parcheggiata la macchina, rientrammo. Flavio non appena vide Fabio che aveva un po’ di sangue sulla fronte mi venne incontro con un istinto omicida pari a quello di Diabolik.
«Cos’è successo? La macchina?»
«La macchina è ok, tranquillo. Piuttosto lui avrà bisogno di qualche punto di sutura. Intanto fasciatelo»
«Com’è successo?» chiese Bianca già in apprensione.
«Hanno tagliato il ponte che ci collegava al mondo civile. Con il buio ho dovuto sterzare all’improvviso e Fabio non si è retto,andando a sbattere la fronte contro il cruscotto. Nulla di grave»
«Ok, null’altro?» chiese Flavio.
«Ci sono dei segni di pneumatici vicino al fondo del burrone. L’assassino è andato lì ed ha tranciato le corde».
«Di che natura sono?»
«I pneumatici? Non saprei dirlo. E’ troppo buio. Nemmeno con la torcia sono riuscito a decifrare. Ed avevo Fabio che perdeva sangue»
«Capisco»
La stanza era vuota.
«Dove sono finiti i Pelviani?»
«Gli ho mandati giù in salotto. C’era chi piangeva, chi litigava. Insomma, erano troppi e dovevo indagare senza disturbi»
«Giusto. Sai, siamo entrati dalla seconda entrata, quella che da direttamente alla cucina per poi andare di sopra .Ascolta, avrei un’idea ma non so se sia buona»
«Spara»
«Non abbiamo contatti con la civiltà. L’unica cosa che ci rimane è il boschetto. Dobbiamo esaminarlo, perché con la macchina è quasi impossibile. Meglio perlustrarlo palmo a palmo.»
«Quindi?»
«Quindi dividiamoci in gruppi»
«E cosa speri di trovare?».
«Non so, forse il mezzo usato dall’assassino o qualche altro particolare»
«Credi sia una buona idea?»
«Non so, ma meglio che stare qui con le mani in mano è sicuramente. Pensaci. Non ci sono tracce, il ponte è andato, siamo isolati, meglio conoscere il luogo. In confidenza Flavio, credo che l’assassino sia uno di loro»
«Un membro della famiglia? Ma cosa dici? Vaneggi?»
«Per niente. Ragiona un attimo. La porta non è stata forzata, le finestre nemmeno. Non c’è segno di effrazione. Il colpevole è qui»
Flavio abbassò gli occhi. «Ok, organizza i gruppi. Ci vediamo giù tra cinque minuti»
Scesi al piano di sotto e comunicai la decisione. Tra le urla generali riuscii quantomeno a farmi sentire. Nulla di nuovo. A qualcuno piacque l’idea, altri la apostrofarono “stupida”. Fatto sta che dopo cinque minuti Flavio scese con Fabio, Bianca e Andrea al seguito. Si erano vestiti e portavano con sé delle torce elettriche. Ce l’aveva solo Flavio, ok, ma sarebbe servita per far strada a tutti. I Pelviani si vestirono. Indossarono giacche pesanti, cappelli e guanti per ripararsi dal freddo gelido.Dissi loro di portarsi appresso anche un coltellino o un qualunque oggetto contundente. So che poteva essere un’arma per il potenziale assassino, ma dovevo comunque dare uno sbocco di salvezza a delle potenziali vittime.
Presero quasi tutti i coltelli della cucina. Erano piccoli e comuni, col manico bianco in plastica.
«Io non vengo». La signora Celine si era visibilmente impuntata.
«Signora» le dissi andandole vicino «Non è un gioco. C’è la vita dei suoi familiari e anche la sua in ballo. Ci segua».
«Voglio stare qui ragazzo».
«Non faccia i capricci. E’ in pericolo».
«Ma quale pericolo? Non l’hai ancora capito che l’assassino è tra loro? Credimi, sei più un pericolo tu e la tua fidanzatina» disse indicando Bianca «che io da sola in questa fortezza». Entrambi arrossimo. Certo, per età, io e Bianca saremmo potuti sembrare fidanzati … ma era un’ipotesi davvero assurda.
La donna aveva capito tutto allora. Ed io che non avevo ancora detto nulla per non rischiare di condizionare i loro comportamenti.
 «Sì, signora. Io e il detective ci eravamo arrivati. Ma … »
«Niente “ma” giovanotto. Io resto qui» me l’aveva detto con gli occhi di una donna sofferente.
«E poi» disse spuntando Bianca«io non sono la sua fidanzatina».
Feci un risolino per acconsentire e voltai le spalle. La vecchina chiuse la porta a chiave. Mi dispiaceva lasciarla sola, davvero.

CAPITOLO V: L’assassino colpisce ancora

Nella piazzola della villetta decidemmo di dividerci in parecchi gruppi. Attuammo la divisione in tre gruppi. Da una parte io, Flavio, Bianca, Fabio e Andrea; Quindi Roberto e Salvo e successivamente il gruppo da tre composto da Nestore, Lucia ed Enrico. Il nostro obiettivo era perlustrare la zona alla ricerca di qualche indizio utile per la scoperta della verità.
Il nostro gruppo era il più numeroso, ma d’altronde avevamo un bambino, una ragazza decisamente impaurita e in più anche un tizio con la testa fasciata. Bel gruppo vero?
I gruppi rimasero separati per circa mezz’ora. Non una parola. A dire il vero all’inizio non trovammo granché. Ma poi, in un sussulto, Andrea, mio fratello andò a sbattere contro qualcosa. Lo fece urlare, ok. Lo sentirono anche nelle regioni che confinavano con Piemonte, ma sono dettagli. Si trattava di una moto, parcheggiata vicino un albero, ricoperta di fango ed erbaccia e probabilmente mimetizzata dall’assassino per confondere le acque. Era la stessa moto che avevano usato per tagliare il ponte. O almeno così sembrava. Mentre stavamo esaminando la moto fummo interrotti da uno spiacevole urlo. Qualcuno era stato colpito ed ora stava cercando di dimenarsi e di urlare. Subito corremmo in direzione delle grida, ma non era per niente facile. Il buio spiazzava e copriva visuale e ragione. Dopo un po’ sentimmo la voce calda e profonda di Roberto.
«Qui, presto!»
La sua voce ci fece da bussola, da radar e così riuscimmo a localizzarlo. Lo spettacolo non fu bello. Con la  torcia illuminai la scena che mi si era parata davanti agli occhi. Salvo, il miglior amico di Fabio, giaceva a terra inerme con un pugnale conficcato nello stomaco. Le nostre grida fecero accorrere tutti i gruppi. C’era chi si dimenava, chi cercava d sporgersi meglio per guardare l’orrore e chi ancora si metteva le mani davanti agli occhi.
«E’ morto da poco» disse Flavio toccando il corpo. «E’ ancora caldo. Il decesso risale a meno di dieci minuti fa. Signor Roberto, come è successo tutto ciò?».
«Non so. Io e Salvo stavamo pattugliando il boschetto quando all’improvviso ci siamo persi di vista. E’ bastato un attimo, ma ci siamo persi! Poi mentre camminavo ho toccato qualcosa con la punta della scarpa e illuminando con la torcia ho visto che si trattava del cadavere!».
«Ok. Sarà meglio sospendere la ricerca e portare dentro il corpo. Rischia di congelarsi».
«Scusi, perché non ha più i guanti?». Notai che Roberto aveva le mani nude.
«Li ho persi ragazzo. Avevo fastidio nell’accendere la torcia e così ho deciso di toglierli. Ma devo averli persi».
«Vuole che l’aiuti a ritrovarli?».
«No grazie mille, sei molto gentile. Ritornerò domattina a cercarli» disse sorridendo.
Flavio si caricò il corpo inerme del povero Salvo sulle spalle. Mentre camminavamo per ritornare alla villetta lo sentì maledire qualcosa. Probabilmente non sopportava che fossero commessi due delitti nel giro di poco tempo. Una cosa assurda. Due ragazzi giovani, pieni di vita e poco più grandi di me, avevano perso la vita in un circolo vizioso che sempre più spesso si vestiva di orrendo e di paranormale. Non ci spiegavamo com’era stato effettuato il primo delitto. Per quanto riguarda il secondo invece era buoi pesto. Non sapevamo davvero come fare e cosa fare. Sembrava fosse stato pugnalato dal nulla. Nessuno aveva  visto o sentito niente, nessuno aveva udito un grido, non un rumore.
Una volta portato il corpo in casa decidemmo di coprirlo e di adagiarlo in un angolo della casa. Non potevamo capire chi fosse responsabile di quella serie efferata di delitti. Personalmente mi ero fatto un’idea, ma non era concreta. Solo illazioni, come si dice.

CAPITOLO VI – Medicina fatale

In salone, tutta la famiglia Pelviani comunicava a sé stessa la paura che si era diffusa nell’ambiente.
Roberto Pelviani si teneva la testa tra le mani, quasi fosse ignaro di tutto ciò che stava accadendo. Eva, era assolutamente in preda ad una crisi di nervi. Aveva lo sguardo nel vuoto, fisso a pensare chissà che cosa. Comprensibile. Nella stessa sera, in poche ore aveva visto morire il suo ragazzo ed il suo miglior amico, uccisi da chissà quale criminale senza scrupoli.
Lucia lamentava un dolore alla testa. Avvertiva nausea, mancamento. Era pallida e la signora Celine, che nel frattempo era scesa con noi dopo essere stata per tutto il tempo in camera ed aver appreso il delitto restando di ghiaccio, le domandò immediatamente cosa le stesse succedendo.
«Cara, che cos’hai? Non ti senti bene?».
«No, signora, non è nulla di allarmante. Fin da quando sono piccola soffro di pressione bassa. Ma ho portato qui le medicine. Nestore, per favore puoi andare a prendermene una? Devi prenderla da quella scatola che abbiamo comprato stamattina. E’ ancora sigillata».
«Certo tesoro, come vuoi.». Ritratto del marito perfetto.
«Ricordati che non vanno sciolte nel’acqua. Devi portarmi la pillola ed una bottiglietta d’acqua per cortesia».
Nestore eseguì. Lucia prese la sua medicina ed affermò di sentirsi meglio già trenta secondi dopo l’assunzione. Probabilmente era una cavolata, ma almeno teneva a bada la signora Celine, che era notevolmente in pensiero. Vidi in quel momento in lei uno scorcio di maternità, un senso materno inusuale, che non avevo ancora visto.
«Chissà come andrà a finire?» sussurrò Roberto. «Chissà se arriveremo vivi domattina». Che ottimismo vero?
«Non dire così Roberto. Il detective Moggelli e quel ragazzino sono qui per risolvere il caso» rispose Celine. «Sono sicura che lo risolveranno in fretta».
«Sì, ma quando? Sono solo le due del mattino. E’ ancora buio e non si vede un’anima nel bosco che abbiamo perlustrato».
«Si calmi signor Roberto. La prometto che riusciremo ad incastrare l’omicida. E’ questione di tempo». Flavio stava cercando di incoraggiarlo. Non so se il mio “mentore” avesse qualcosa in mente. Ma io un sospetto ce l’avevo. Nulla di serio, chiariamoci. Ma avete presente quelle intuizioni fulminee? Ecco, avevo una di quelle. La cosa più brutta di questo lavoro è che puoi affidarti al tuo intuito quanto vuoi, ma se non hai le prove, stai fresco. Le tue parole valgono meno di zero. La tua faccia va sotto terra e tutto ciò che ti appartiene, fama compresa, va nel dimenticatoio. Non puoi mai sbagliare.
«Lucia cos’hai?». Enrico teneva tra la testa della donna tra le mani come se temesse di perderla in strada. La donna non rispondeva. Si teneva la gola con le mani, come se stesse soffocando. Le urla dei presenti non si contavano. La povera donna si agitava in preda a delle convulsioni violente. Non ne sono sicuro, ma respirava a fatica. Aveva una pesante ansia e non respirava più. Fu questione di secondi, poi stramazzò al suolo. Si allontanarono tutti. Gli occhi sbarrati dei presenti guardavano invano il corpo senza vita della povera donna. Mi avvicinai immediatamente al corpo. Sentii il battito, ma non c’era nulla da fare. Il mio triste presagio si era avverato. La bocca della vittima odorava di mandorla. Non c’era più alcun dubbio: La causa del decesso era avvelenamento da cianuro di potassio.
Ricordo che non dissi nemmeno una parola. Mi limitai a correre verso la cucina in modo frenetico. Non potevo permettere al colpevole di cancellare le prove. In cucina sul ripiano dove era situato il fornetto a microonde, c’era ancora la scatola dei medicinali che erano stati assunti poco prima dalla signorina Lucia. Erano dei farmaci per la pressione vero, ma notai immediatamente qualcosa di strano e poco chiaro. Poco prima di morire la vittima aveva detto che la scatola era ancora sigillata. Invece quella che avevo tra le mani era già aperta e per di più rovinata come fosse stata già maneggiata da tempo. Infine, mancavano ben tre pillole nella confezione d’alluminio divisa a due pillole alla volta in cinque file da due. Una era stata assunta dalla signora Lucia. Ma le precedenti due? Che fine avevano fatto?
Per pensare a come poteva essere andata, feci cadere goffamente un biscotto in terra. Mi capita. Quando sono assorto in un caso divento imbranato. Aprì lo sportello del piano inferiore della cucina dove era riposta la pattumiera e con mia sorpresa vidi che c’era qualcosa di strano. Un paio di guanti neri. Pensai con lo sguardo fisso ancora per un minuto buono, poi decisi di passare all’attacco. Ora avevo capito chi fosse il colpevole e sapevo anche i trucchi adoperati per uccidere le vittime. Mancava solo una cosa: Che riuscissi ad ottenere l’attenzione di tutti!

ANTICIPAZIONE EPISODIO 9: E' arrivato il momento di svelare le carte. Senza nessuna obiezione, la Giustizia trionferà anche questa volta?  Chi è stato a seminare terrore tra i Pelviani per tutti questi anni? ALEX FEDELE EPISODIO 9; LA LEGGENDA DEL GABBIANO NERO-3°parte! 
Solo su questo blog a partire dal 15 Ottobre 2011! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!

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