IL
GENIO DELLA MATEMATICA
PROLOGO: Il figlio modello, la moglie modello, il padre modello, la famiglia modello. Ma siamo sicuri che sia davvero così? Toccherà ad Alex Fedele accertarlo, assaporando drammi familiari, bugie piene di odio e soprattutto ... la matematica, la scienza più complessa che ci sia!
CAPITOLO
I – Strani comportamenti
Quella sera, al
tramonto, io e Bianca eravamo appena rientrati dal supermercato nel quale
eravamo andati a fare spese. Flavio non aveva avuto voglia di uscire e Fabio
era impegnato con delle cose varie dell’università, quindi io e Bianca uscimmo
per andare nel solito supermarket di fiducia che si trovava a circa tre
isolati. Comprammo gli ingredienti per una cenetta rustica. Wurstel, pizzette,
patatine, supplì e cose di questo genere. Invece della solita pasta o della
bistecca o di qualsiasi altra cosa, quella sera si era deciso di mangiare
qualcosa di più semplice e meno impegnativo.
Ero lì ormai da
parecchio tempo. Devo dire che mi ero abituato allo stile di vita di Torino,
dei Moggelli. La mia giornata era molto semplice. Passavo la mattina a
documentarmi su casi, indagini e certezze della cronaca. Il pomeriggio era
destinato al relax, ma spesso si incappava in qualche caso e allora addio
televisione. Era il mio sogno però, quello di fare il detective e non mi
dispiaceva affatto occuparmi di casi. La sera aiutavo Bianca a preparare la
cena. Era un’abitudine che avevo preso da circa un paio di settimane. Nulla di
particolare. Sia chiaro, io in cucina sono una frana ed il risultato più
straordinario che abbia mai avuto è quello di mettere a bollire l’acqua, ma
comunque davo il mio contributo facendo cose diverse, come apparecchiare la
tavola o sparecchiarla. Dopo cena mettevamo i piatti nella lavastoviglie e nel
mentre di tutto questo chiacchieravamo. Una vita normale. Mi piaceva
chiacchierare con Bianca. Era di indole ottimista. Non si abbatteva di fronte
alle difficoltà, aveva un sorriso splendido e luminoso ed era senza dubbio la
persona alla quale mi ero affezionata di più da quando ero arrivato in città.
Quella sera, mentre lei preparava la cena ed
io apparecchiavo, iniziammo un dialogo molto, molto interessante.
«Allora Bianca,
come va la scuola?».
«Oh, non c’è male.
Ho solo il problema dei compiti. Sono decisamente troppi».
«Immagino».
«A te a Fondi non
ne davano molti?».
«Certo che sì. Io
ero pieno di compiti dall’unghia dei piedi fino all’ultimo capello ogni giorno.
Ma se vuoi le cose a questo mondo devi guadagnartele e le nostre professoresse
erano decisamente una montagna dura da scalare».
«Davvero? Che tipo
erano?».
«Vediamo se riesco
a descrivertele» dissi sedendomi al mio posto con un fazzoletto in mano.«Ne
avevo una di italiano che arrivava sempre in ritardo. Ogni cosa si facesse, lei
aveva sempre una scusa pronta. Una volta non venne a scuola perché era convinta
che fosse Domenica».
«Che fortuna!»
disse sorridendo.
«In che senso?».
«Niente lezione
no?».
«Immagini male.
Venne il nostro vice-preside a farci lezione. Un tipo lungo e lugubre che aveva
insegnato nei militari … e ti ho detto tutto».
«Nei militari?».
«Yes».
«Aveva dei modi …
militareschi?».
«Si vede che sei
figlia di un detective» dissi con ironia.
«Spiritoso» e mi
fece una linguaccia.
Erano le piccole
cose che mi facevano sentire bene. Solo queste. Il poter parlare con Bianca era
davvero straordinario. Sentivo che potevo dirle quasi tutto ciò che provavo
nelle varie circostanze. Avete presente un diario nel quale scrivere tutto ciò
che volete senza che qualcuno spifferi niente? Ecco, per me Bianca era questo e
molto altro.
«Alex, vai a
chiamare papà. E’ pronto».
«Ok». Mi diressi
verso l’ufficio di Flavio. Andrea intanto ci aveva già raggiunto in cucina. Se
fosse dipeso da mio fratello avremmo mangiato in quel modo tutte le sere.
Andava matto per il rustico. Aprì la porta di Flavio lentamente. Non lo
sentivamo sbraitare un po’. Di solito ha il vizio di fumare come una ciminiera
nell’ufficio, di bere tre o quattro caffè nel pomeriggio. Ha il vizio di
abusare di qualunque cosa. Per essere detective conduceva una vita molto sregolata.
Spesso rimaneva addormentato vicino alla televisione, si alzava nel cuore della
notte, quando ormai si affacciava la mattina, e si addormentava per un paio
d’ore. Poi, quando andavi in cucina per fare colazione, lo vedevi già alle
prese col cibo, sua passione.
«Flavio è pronto
in tavola».
Non mi rispose.
«Flavio, è
pronto».
«Sì, sì, ti ho
sentito, adesso arrivo» disse in maniera scorbutica. Tipico. Se ne stava con le
gambe appoggiate alla scrivania di legno. Beveva caffè come un cammello
disidratato e aveva la camicia fuori dai pantaloni e la cravatta allentata.
Questo era strano.
Arrivò dopo circa
dieci minuti, si sedette a tavola di mal voglia. Poi prese un bicchiere e si
versò acqua per almeno due-tre volte. Fabio quella sera non cenava con noi. Era
finalmente riuscito ad invitare fuori Martina, quella ragazza della quale si
era invaghito.
«Che cos’hai
papà?» chiese Bianca vedendo che Flavio non aveva ancora toccato cibo.
«Niente piccola,
niente». Non era vero. Conoscevo ormai Flavio e quando non mangiava aveva
sicuramente qualcosa da nascondere.
«No davvero,
Flavio, sei strano oggi» dissi.
«Fatti gli affari
tuoi, ok?». Gentile come sempre. Poi continuò «A me non va da mangiare. Vado in
ufficio a riordinare qualche pratica».
«Scusa, ma c’è
Sergio apposta per quello!» dissi non controllandomi.
«Cos’è che non
capisci della frase “ fatti gli affari tuoi?”» chiese irritato.
«Papà!» Bianca lo
rimproverò fortemente con veemenza.
«Che cosa c’è?»,
Flavio si voltò guardando storto la ragazza.
«Ti pare questo il
modo di trattare le persone? Dovresti solo vergognarti!».
«Uh, ma quanto la
fai lunga. Sembri una di quelle mammine isteriche che rimproverano i loro
figlioletti» e così facendo si alzò dalla tavola e si diresse deciso verso
l’ufficio.
Dopo circa cinque
minuti, il dialogo a tavola riprese senza alcun problema, Poi parlammo d’altro,
soprattutto quando rimanemmo solo io e Bianca da soli e Andrea era andato in
camera sua.
«Cos’ha tuo padre?
C’è qualcosa che non so?»
Non mi rispose
subito.«Diciamo che ci sono parecchie cose che non sai di questa famiglia».
La guardai con
sospetto.
«E non guardarmi
con quello sguardo sospettoso» disse porgendomi i piatti.
«Me li tiri questi
sguardi» dissi candidamente.
Sorrise. «Vedi di
non farti … tirare qualche piatto». Dolce non è vero? Come lo zucchero filato,
anzi di più.
La voce di Flavio
mi chiamava ripetutamente dall’ufficio. Mi precipitai da lui immediatamente.
«Che cosa c’è?»
dissi spalancando la porta in modo rabbioso. Ok, non ero arrabbiato con lui, ma
a volte mi dava su i nervi. Sembrava non conoscere complimenti, ma solo parole
che suscitassero distanza e poco affetto.
«C’è che abbiamo
del lavoro» disse scolandosi alla Steve Austin l’ultimo goccio della lattina di
birra.
«Un caso? A
quest’ora?» dissi guardando l’orologio che ho al polso sinistro. Per la cronaca
il mio orologio è praticamente un computer. Ha la luce, può andare sott’acqua
fino ad una profondità di cento metri, si illumina al buio e tante altre cose.
Erano le dieci e trenta di sera.
«Come ti ho detto
… non aspettano mica te per commettere delitti? Su andiamo» disse rialzandosi
pigramente dalla sedia che incornava la scrivania.
«E Bianca e
Andrea?».
«Li portiamo con
noi. E’ molto tardi e Fabio ha telefonato dicendo che non verrà prima di
mezzanotte. Gli lascio un post-it in camera da letto e poi possiamo andare».
«Di cosa si
tratta?».
«Ti ho già detto
che hai la lingua lunga?».
«Sì».
«Hai la lingua
lunga».
CAPITOLO
II – Arriva il lavoro
Dopo aver preso la
macchina, lasciata la cucina in uno stato pietoso e l’ufficio di Flavio anche,
prendemmo l’auto e ci dirigemmo verso un normalissimo condominio della
periferia torinese. Era un palazzo interamente grigio con una striscia di
vernice rossa dipinta orizzontalmente sul balcone dell’ultimo piano.
Notai che le
volanti della polizia erano già lì. Ducato aveva la puntualità di uno svizzero,
l’appetito di un americano frequentatore di fast food e la discrezione di un
giapponese. A pensarci bene aveva anche un carattere da pugile. Possibile che
quell’uomo fosse sempre incavolato? Misteri della vita.
L’appartamento era
al secondo piano ed era arredata in modo piuttosto modesto. All’entrata c’era
un piccolo ingresso con una sedia a dondolo di legno. Successivamente si
continuava dritti per dritti in un corridoio. A destra c’era la cucina, mentre
andando sempre dritti sulla sinistra c’era una sorta di finestrone senza
infissi il quale dava sulla camera da letto della vittima, un certo Filippo
Belsi.
«Ricapitoliamo»
disse l’ispettore Ducato dopo averci salutato con un veloce cenno della mano.
Quando voleva ottenere l’attenzione era solito colpire qualcosa. Non importa se
fosse cosa o persona. L’importante era che gli tirasse un pugno, un calcio, uno
schiaffetto. Quel giorno colpì Novato sulla spalla, l’agente in erba che si
portava sempre dietro nei casi più intricati.
«Dicevo,
ricapitoliamo: La vittima si chiamava Filippo Belsi, ed aveva cinquantatre
anni. Lavorava presso un liceo scientifico di Torino come professore di
matematica. Era ben stimato da tutti ed i suoi colleghi l’adoravano. La vittima
è morta apparentemente senza alcuna traccia, ma le indagini svolte dagli agenti
hanno fatto ipotizzare un decesso per avvelenamento da monossido di carbonio. Lo
sportello della cucina che conteneva le bombole del gas destinate alla cucina
apparentemente non ha subito forzatura. L’ora del decesso è stimata tra le
ventidue e cinque e le ventidue e quindici».
«Ispettore, chi
sono i sospetti?» domandò Flavio.
«I sospetti sono
riuniti in camera della vittima. Novato elencali per favore e vedi di darti una
mossa».
Novato cominciò a
leggere i suoi appunti. «Sì signor ispettore. I sospetti sono due al momento.
La moglie della vittima, la signora Gilda Belsi di quarantasette anni e l’unico
figlio della coppietta, il signor Mirko Belsi di ventiquattro anni. Le porte
dell’edificio non hanno subìto forzatura, e nemmeno le finestre».
«Capisco. Mi porti
da loro ispettore».
Ducato eseguì.
Entrammo nella stanza della vittima. Lo stavano coprendo in quell’esatto
momento. Aveva lunghi capelli brizzolati ed era completamente rasato. Non aveva
la barba insomma.
«Ispettore, ha già
interrogato i sospetti?» chiesi avanzando verso la vittima.
«Sì Alex. Vuoi che
ti legga le loro testimonianze?».
«Se si può … ».
«Certo!» disse in
modo gentile. Poi cambiò totalmente tono chiamando «Novato! Leggi le
testimonianze!». Povero ragazzo.
«Sì subito.
Allora» disse tenendo la cartellina con su il foglio «La signora Gilda Belsi ha
affermato che ha passato tutto il pomeriggio dalle amiche del club del libro»
In quel momento mi girai verso Bianca «vedi che è un passatempo per donne di
mezza età?» dissi prendendola in giro. Mi fece la linguaccia. Hai capito al
bohemièn. Novato continuò imperterrito la sua lettura. «Inoltre stasera aveva
in programma di incontrarsi in pizzeria con quelle sue amiche. E’ uscita di
casa verso le ventuno e dieci ed è rincasata verso le ventidue e quindici.
Trovando il corpo di suo marito ha subito lanciato l’allarme».
«C’è qualcuno che
possa dire se effettivamente la signora sia uscita a quell’ora da casa?» chiese
Flavio.
«No, dico
detective. Sospetta di me?» dissi irritata la signora Belsi, una donna con
biondi capelli a caschetto, dagli occhi azzurri e dal viso solcato da alcune
rughe inevitabili.
«Tranquilla
signora. Faccio solo il mio lavoro».
«E allora veda di
farlo senza sospettare di me!» disse ancora più irritata. «Io ho un alibi di
ferro. La mia vicina di casa, la signora anziana qui di fronte mi ha visto
uscire di casa a quell’ora e ci siamo anche intrattenute a parlare per un po’».
«Capisco» affermò
Flavio. Poi si girò verso di me e mi sussurrò: «Simpatica non è vero?». Feci un
cenno di assenso ironico.
«E per quanto
riguarda il ragazzo Novato? Puoi gentilmente descrivermi anche il suo
rapporto?» dissi indicando un ragazzo con la barba tagliata in stile punk ed i
capelli tagliati in modo particolare.
«Il signor Mirko
Belsi, ha passato il pomeriggio in giro con degli amici. Abbiamo già chiamato,
così come per la signora, per verificare se l’alibi fosse attendibile, e ci
risulta esserlo. E’ rientrato verso le venti, ha cenato e poi è uscito di casa
verso le ventuno e quaranta. Aveva un appuntamento con la sua ragazza in un pub
della zona».
«Capisco. Grazie
agente Novato».
«All’apparenza
sembra un mistero irrisolvibile» annunciò Flavio guardando Ducato.
«Storie! Non
esistono misteri irrisolvibili. Non è vero Novato?» disse rabbioso gettando la
penna a sfera a terra. L’agente si limitò ad un timido cenno di assenso.
«Scusate» dissi a
bassa voce. «Posso guardare la cucina?».
«Certo»disse la
signora Belsi.
«La ringrazio».
Bianca e Andrea, rimasti in silenzio fino a quel momento, mi seguirono come di
consueto. Il che non mi dava fastidio. Ma non era spettacolo per ragazzine o
bambini.
Domandai a Ducato
come mai respiravamo normale, senza usare nessuna precauzione, come se non
fosse accaduto nulla. Avevo timore che il monossido fosse rimasto nell’aria. Mi
rispose con scioltezza dicendo che gli uomini della scientifica avevano spruzzato
un nuovo gas sperimentale della polizia che eliminava tracce di veleno che
veniva immesso nell’aria. In poche parole: E’ una prova e noi siamo le cavie.
Divertente, non c’è che dire. Ispettore dell’anno.
Ispezionai la
cucina. Non trovai nulla di particolarmente interessante. Ispezionai
dappertutto. Aprì anche lo sportello dove era contenuta la bombola di gas che
aveva sprigionato il monossido.
«Cosa fai? E’
pericoloso!» disse Bianca.
«Ma cosa dici? Non
hai sentito l’ispettore a proposito del gas spruzzato per depurare l’aria?».
«Ha detto
sperimentale! Vuol dire che c’è possibilità che non faccia effetto!».
«Non direi.
Altrimenti saremmo morti da un bel pezzo Bianca. Siamo qui da una mezz’ora e
non ci è successo nulla. Quindi … ».
«Anche questo è
vero, ma stai attento lo stesso» disse con aria disorientata.
«D’accordo» dissi
aprendo lentamente lo sportello. Le molle che sostenevano l’apri-chiudi non mi
sembravano allentate. Inoltre non vedevo segni di forzatura allo sportello.
Sembrava solo un normale sportello che non era stato aperto.
«Mi dica signora»
dissi incrociando lo sguardo della signora Belsi «lei dice che lo sportello è
stato aperto?»
«Intende lo
sportello dove c’era la bombola di gas? No, non credo. Soprattutto perché
cigolava di parecchio e mio marito se ne sarebbe accorto visto che aveva il
sonno molto leggero».
«Capisco» dissi
aprendo lo sportello. Dire che cigolava era usare nettamente un gentile
eufemismo. Faceva più rumore della marmitta di una motocicletta. Incredibile.
La cosa di cui avevano bisogno quelle molle non era olio, ma una buona razione
di preghiere per farlo smettere di cigolare.
Provai a riaprirlo
di nuovo, ma stavolta non veniva via. La signora Belsi, vedendomi affannato nel
da farsi, mi sussurrò: «No, non è colpa sua, a volte non si apre perché le
molle rimangono bloccate».
«Lo vedo» dissi
tirando con sempre più forza. Tirai talmente tanto che ad un certo punto la
manopola si sganciò dallo sportello ed io caddi a terra come un perfetto
imbranato. Bella figura. Un detective cadente.
«Oh, si è fatto
male? E’ strano però, mio marito l’aveva appena incollato»
Inutile dire che
sia Bianca che Andrea scoppiarono a ridere, mentre Flavio mi diede un’occhiata
triste e poco benevola. Era stato così tutta la giornata. Triste, angosciato. I
suoi occhi avevano brillato solo per un momento, e cioè quando stava conducendo
le indagini. Probabilmente tra vent’anni sarei stato anche io come lui. Forse,
l’unica cosa che poteva rialzare un uomo che celava chissà quale segreto, era
far bene il proprio lavoro. Onestamente, e voglio essere sincero, fin da quando
misi piede a Torino capii una cosa. Capii che Flavio non era ciò che voleva
apparire. Forse era solo una mia impressione, o forse solo stupide illazioni.
Ma c’era qualcosa in quella famiglia, qualcosa che non mi convinceva. Era come
se tutto d’un tratto mi fossi trovato catapultato in una famiglia nella quale
mi trovavo bene, nella quale vivevo in modo sostenuto, ma della quale sapevo
meno di zero. La signora Moggelli era morta, ma perché? In quali circostanze?
Perché la madre di Bianca e Fabio, nonché naturalmente moglie di Flavio era avvolta da un alone di
mistero? Perché i figli ne sapevano meno di zero e soprattutto perché Flavio
non ne parlava mai? Erano tutte cose che mi chiedevo da giorni ormai. Ok, so
cosa state pensando. Non saranno affari miei. Ma mettetevi nei miei panni. Un
detective che non si pone delle domande, un ragazzo che non riesce a scorgere
tutto ciò che dovrebbe a quelle persone alle quali voleva bene. Ok, va bene,
l’ho ammesso. Mi ero affezionato a Bianca, le volevo già un gran bene. Anche
Flavio e Fabio, in modi diversi erano due grandi simpaticoni e mi trovavo bene
con entrambi. Forse era proprio per quello che tentavo di scoprire delle cose
del loro passato che non erano di mia competenza. Forse perché volevo troppo
bene a tutti in quella famiglia. O forse semplicemente perché quando vedo
qualcosa di sospetto, occultato, tappato, reagisco d’istinto e caccio fuori la
parola “detective” dal cilindro. O forse semplicemente perché credevo che
Flavio avesse una spina nel fianco e che ne avessero una anche Flavio e Bianca.
Credetemi, non avrei mai dovuto immischiarmi di cose loro, intime della
famiglia, ma soffrivo al pensiero che Bianca e Fabio non conoscessero il motivo
della morte della loro madre. La ritenevo una cosa ingiusta e, si sa, di fronte
alle ingiustizie, criminali o familiari che siano, non mi fermo. Nessuno dotato
di un minimo di buonsenso lo farebbe e nessuno che fosse a contatto con quella
famigliola resisterebbe nel provare a scoprire la verità.
CAPITOLO
III – Il colpevole allo scoperto
Feci questi
pensieri nel giro di pochi secondi. Ero ancora a terra, con la manopola in mano
e la fissavo come un idiota.
«Vuoi una mano?»
Bianca mi porse la sua per rialzarmi.
Una volta in piedi
continuai a guardare la manopola, mi toccai i capelli, mi passai la mano tra di
essi e poi continuai ancora a pensare. Mi venne in mente una strana idea. Forse
l’assassino credeva che per far passare il gas correttamente dalla bombola verso
l’esterno e quindi per ottenere la propagazione che avrebbe ucciso la vittima,
avrebbe dovuto aprire qualche varco. Il buco lasciato libero dalla manopola era
sufficiente per far pensare a questa balzana teoria. Mi servivano delle prove,
avevo qualche sospetto, ma ora veniva la parte che preferisco di più. Quella
nella quale c’è il detective che cammina a testa bassa stile Sherlock Holmes e
trova qualche indizio.
La signora Belsi
si era congedata dalla cucina. Bianca e Andrea anche. Insomma, ero rimasto lì
da solo con la manopola. Romantico, non è vero? Sembra un film scadente, una di
quelle commedie di Owen Wilson “Io e la manopola”. Vabbè, sto dilagando in
termini di battute scadenti.
Perlustrai il
pavimento alla ricerca di qualche indizio. Scrutavo le piastrelle incollate col
silicone e pensavo alla mia balzana teoria. Spesso le cose impossibili, sono
quelle che accadono realmente.
Un sussulto. Della
sabbia. Più granelli di sabbia, quasi dei piccoli cumuli nascosti agli angoli
della stanza. Ora era chiaro. Il quadro era decisamente meno complesso di
quanto appariva in precedenza. Dovevo solo dire la mia, riunire i presenti e
mettere a tacere una volta per tutte la persona crudele, colei che aveva
commesso il delitto.
Entrai in
soggiorno dopo aver fatto una brevissima telefonata di accertamento. Sapete
com’è, volevo essere sicuro di non aver toppato.
«Sa, signora
Belsi» dissi accomodandomi sul divanetto color legno. «lei è una persona
relativamente insospettabile». Flavio mi guardò e nei suoi occhi riapparve quel
barlume, quel fuoco. Bianca mi guardava incredula, Andrea si era messo sulla
poltroncina, comodo a godersi lo show.
«Cosa vuoi dire
con questo?»
«Nulla signora
Belsi, un bel nulla. Stavo solo constatando che se ipoteticamente lei fosse
l’assassino che stiamo cercando sarebbe una grande attrice. Se lo è recita
benissimo».
«Non lo dica
nemmeno per scherzo! Come può pensare che io sia l’assassino di mio marito?».
«Già. Ora che ci
penso … anche suo figlio è insospettabile».
Ducato si
spazientì. Forse stavo tirando un po’ troppo la corda. «Alex!» disse urlando
«stai zitto e lasciaci lavorare in pace!».
«Ma ispettore»
provò a dire Novato «forse ha risolto il caso e … » non fece in tempo a finire
la frase che si ritrovò fulminato da uno degli sguardi di Ducato. Avete
presente quei film di basso grado che fanno in televisione? Sì, quelli che vedi
solo quando hai l’influenza e sei troppo debole per prendere il telecomando e
ribellarti ai dogmi della televisione. Proprio quelli. Lo sguardo di Ducato
assomigliava ad uno di quei commissari di basso grado, uno di quelli che è
tutto birra e rutti e pochi fronzoli. Ovviamente nella realtà, l’ispettore non
era così(lo spero vivamente per lui).
«Meno male che
esistono i cellulari ispettore» gli dissi alzandomi e mettendomi le mani in
tasca.
«Ma cosa diamine
dici? Ti sei ubriacato?».
«Mai stato così
sobrio. Il fatto è che riflettevo sull’enorme potenza della tecnologia. Oggi
può anche inchiodare un assassino, lo sa?».
«C-cosa vuoi
dire?» intervenne Bianca con gli occhi sbarrati.
«Oh, è molto
semplice. E’ che se non fosse per questo aggeggio» dissi estraendo il mio
telefono «non avrei mai scoperto l’autore del delitto. Sono portentosi … non è
vero Mirko? Mi dica, è lei l’autore del delitto?»
«Cosa? Ma che
domande sono ragazzino? Io sono innocente!».
«Ah davvero? Mi
dica, dov’è stato oggi pomeriggio con i suoi amici?».
«Un po’ in giro,
perché?».
«Non ricorda con
esattezza dove ha passato il tempo?».
«Vediamo … prima
siamo andati al centro commerciale e poi in un bar qui vicino. Perché me lo
chiede? Cosa c’entra con il delitto di mio padre?» disse inviperito. I suoi
occhi avevano sfumature di sangue. Sangue che avevano le persone che si
arrabbiano all’inverosimile quando non ottengono ciò che vogliono.
«Oh,nulla. Ho
fatto un colpo di telefono ad una sua amica. Mi pare ha detto di chiamarsi
Marika. Sbaglio?».
«No, non sbaglia.
Cosa vuoi da lei?».
«Mi ha detto che
la vostra compagnia è stata per ben due ore al mare. Lei nega?».
«No, non nego. Ma
l’avevo dimenticato».
«Davvero? Quindi
lei ha una forma di memoria selettiva? Cioè ricorda solo alcune cose? Non stiamo
parlando di cose successe un mese fa. Le sto parlando di cosa ha fatto oggi
pomeriggio, per ben due ore».
«Cosa sta cercando
di insinuare?».
«Sa, a volte la
peggior cosa da fare in queste circostanze è proprio ciò che sta facendo lei.
Fare il furbo. Perché non confessa e da il cuore contento a sua madre?».
«Mirko … tu?»
chiese la signora Belsi. Sudava freddo, aveva le mani sudaticce e la fronte le
si era imperlata di sudore.
«No, mamma! Non
credere ad una sola parola di quello che dice questo idiota!» disse Mirko
riferendosi a me.
«Sa, Mirko. Questo
idiota la sta assicurando alla giustizia. Lei non mi ha detto che era andato al
mare perché voleva nascondere le tracce evidenti di sabbia che ha sotto le
scarpe e che ha disposto in cucina!».
«Non stavo
nascondendo niente. E poi come ti ho detto sono stato in cucina per cenare.
Dopo fatto la doccia ho indossato di nuovo le stesse scarpe di prima e deve
esserci rimasta della sabbia sotto».
«Già, ma mi dica,
lei era di fretta?».
«Dovevo uscire».
«Ok, diciamo che
era di fretta ok? Lei ha lasciato solo piccoli granelli sulle piastrelle della
cucina che fanno da pavimento. Il resto lo ha come accumulato agli angoli della
stanza. Non sono veri e propri cumuli, certo, ma sicuramente sono stati
allontanati agli angoli per non essere visti».
«No, stai dicendo
stupidate!» disse con violenza. «Io ho semplicemente spazzato via la sabbia
perché so che a mia madre dava fastidio».
«Ah davvero? E
così lei invece di prendere paletta e scopa come farebbe qualsiasi essere
umano, ha deciso di raggruppare i cumuli in un angolo?».
«Andavo di fretta
ti ho detto!».
«Ma mi dica, se
andava di fretta … come mai ha trovato il tempo per una veloce spazzata? Mi
dica, quanto le avrebbe portato via in più, prendere una paletta e raccogliere
normalmente il tutto? Pochi secondi. No, amico mio. Lei si è introdotto in casa
e … »
«E cosa? Ti pare
una priva sufficiente per incastrarmi? Voglio vedere le prove!»
«Le vuole? Bene,
eccole qua, servite come il migliore dei piatti della nouvelle cousine dal
miglior chef francese.» disse toccandomi i capelli per la stanchezza. «Lei ha
commesso l’errore di credere che per la propagazione del gas e quindi per
l’avvelenamento di suo padre, fosse necessario aprire un varco alla sostanza.
Invece se si apre il gas e si richiude normalmente lo sportello, la sostanza si
propaga lo stesso e si ottiene il medesimo risultato. Ma lei no, lei ha voluto
eccedere di minuziosità. Ha tirato fortemente lo sportello, la manopola si è
staccata e l’ha lasciata aperta per un bel po’. Probabilmente lei sapendo che
la manopola era già lenta di suo ed era stata appena riparata da suo padre ha
tirato fortemente fino a far scollare di nuovo quella parte dello sportellino.
Indossava una mascherina per non respirare. Poi ha incollato il tutto di nuovo,
ma si è dimenticato di farlo bene. Infatti, appena lo sportello si è bloccato,
poco fa in cucina, la manopola si è staccata di nuovo ed io sono caduto
all’indietro con essa in mano».
«Sono solo
supposizioni ragazzino» disse ridendosela di gusto.
«No. Sua madre ha
sessant’anni ed è una signora abbastanza magra, dotata di poca forza fisica.
L’unico che poteva tirare con forza la manopola a tal punto da scollarla è lei
signor Mirko, questa è una prova inattaccabile! Sono sicuro che per la
circostanza non indossava nemmeno i guanti quindi ritroveremo le sue impronte.
La vogliamo finire questa partita signor Mirko? Le va di mettere palla al centro
e di rientrare negli spogliatoi?».
Il sorriso del
ragazzo scomparve. Avevo colpito nel segno. Si lasciò andare sul divano. La
signora Belsi emise un gemito e si mise le mani davanti al volto.
«E va bene» disse
esausto. «Confesso. L’ho ucciso io».
«Ma perché?!
Perché Mirko?» disse la signora Belsi piangendo a dirotto.
«Tu non puoi
capire mamma! L’ho fatto per te dannazione!».
«Cosa vuol dire?»
chiesi guardando sia Mirko che Flavio.
«Mio padre tradiva
mia madre con una donna più giovane di lei. Mia madre sapeva tutto ma non
reagiva mai. Da qualche tempo ero venuto a scoprirlo anche io. Ho controllato
il suo cellulare e ho trovato messaggi di ogni genere rivolti a quella donna.
Non potevo perdonarlo. Mia madre soffriva. Sì, l’uomo che ammiravano tutti a scuola,
colui che veniva soprannominato “il genio della matematica”, era in realtà un
vile traditore».
«Signor Mirko»
disse Flavio sedendosi accanto a lui e mettendogli una mano sulla spalla. «Le
persone care sono un dono inestimabile. Lei oltre ad aver commesso un delitto
imperdonabile ha anche tolto a sua madre il suo unico amore oltre a lei. Suo
padre aveva sbagliato, ma non meritava questa punizione e lei lo sa bene. Ha
perso suo padre, mi auguro che lei non perda una cosa altresì importante e cioè
il rispetto che sua madre aveva per lei» Le parole INESTIMABILI e RISPETTO
erano state pronunciate quasi in modo solenne. Ma non avrei potuto comunicare
messaggio migliore. Flavio aveva perso la moglie. Era inutile girarci intorno.
Sapeva com’era perdere una persona cara. A dir la verità lo sapevo anch’io e lo
sapevano mia madre e i miei fratelli. Ma sicuramente c’era una cosa che forse
Flavio sapeva fare ed io no. Esternare il tutto. In qualunque modo possibile,
anche tirando calci. Non mi ero mai sfogato, non avevo mai parlato della morte
di mio padre. Mi avevano detto che era morto per una malattia indibile.
Mirko pianse
quella sera, ed ebbi l’impressione che a Flavio fossero venuti gli occhi
lucidi. Era andata così e parecchio tempo dopo, quando quella sera era finita,
i cattivi erano stati presi e i buoni si dondolavano sull’altalena contornata
da allori, presi coraggio e decisi di dire a Bianca qualcosa a proposito della
morte di sua madre. Avevo ottenuto qualche informazione con Fabio. Bianca non
l’avevo mai ancora sentita a proposito di questo problema. Quella sera, dopo
aver cenato in un orario a dir poco inusuale(erano le due del mattino quando
finimmo), Flavio si allontanò dal tavolo per andare a prendere qualcosa in
ufficio e alla fine in cucina rimanemmo io e Bianca.
«Allora Bianca.
Impressionata?».
«Per niente. Sai
che sono cresciuta in mezzo a queste cose».
«Già, ma è raro
trovare una ragazza che non si scandalizza davanti ad un cadavere».
«Lo so. Mi sono un
po’ commossa solo per il pianto di Mirko».
«Non importa se ha
agito perché non volesse far soffrire sua madre. Ha commesso un delitto e deve
essere punito».
Non rispose.
«Senti, posso
farti una domanda un po’ personale?».
«Certo» disse
voltandosi leggermente.
Il chiarore della
luna che filtrava dalla finestra quasi del tutto aperta le faceva risplendere
il viso.
«Ho già rivolto la
domanda a tuo fratello. Non sei obbligata a rispondermi».
«Lui ti ha
risposto?» disse accomodandosi di fronte a me.
«Be’ lui sì».
«E allora non può
essere una cosa indicibile. Dimmi pure».
«Senti, prima di
chiedertelo … non sono affari miei. Chiamami impiccione. Ma è per evitare
futuri fraintendimenti che ti faccio questa domanda».
«Come sei
misterioso e diplomatico» disse sorridendo sarcasticamente. «Guarda che parli
con me, non con il capo di stato americano».
Credetemi, sarebbe
stato meglio parlare con un capo di stato.
«Ok. Flavio è un
uomo affascinante. Tu sei una bellissima ragazza» le dissi facendola arrossire.
«La vostra famiglia è davvero meravigliosa. Tuo fratello mi ha detto che vostra
madre è morta. Ma non mi ha detto tutto, non è vero? Ripeto, non sei obbligata
a rispondermi e puoi darmi due ceffoni fin da adesso se ti ho portato alla
mente ricordi spinosi. Ma la mia domanda è un semplice incentivo a voler evitare
fraintendimenti in discorsi futuri. Non vorrei ritrovarmi in conversazioni con
uno di voi e senza volerlo fare qualche errore nel parlare di vostra madre».
Gli occhi neri si
riempirono di niente. Forse non avrei dovuto chiedere nulla. Ma lo facevo per
capire quale fosse la motivazione che in dieci giorni non avevo mai sentito la
parola “mamma” pronunciata da Bianca. Volevo sapere la verità. Alla fine è il
mio lavoro. Scoprire l’unica verità certa. E quella sulla famiglia Moggelli, la
quale mi ero affezionato, non era ancora chiara. Avevo come l’impressione che
si forzassero determinati discorsi.
«Mia madre … »
disse incominciando il discorso. «Cosa sai?».
«Solo che è morta»
dissi abbassando la voce.
«Sai quel che so
io allora Alex» dissi portando le mie mani sulle sue. Il suo sguardo era
sincero.
«Ma … non sai … ».
«Alex» disse
riprendendo fiato e guardandomi con gli occhi di lacrime. «Non so nulla. Ti
rendi conto? Non so niente di mia madre. Lui lo sa. Mio padre sa. Io posso
dirti solo che è sepolta a Cuneo. Ma ora che hai scoperto qualcosa anche tu …
ti prego di aiutarmi».
«Aiutarti a fare
cosa?» la guardai con paura. Aveva lo sguardo di una persona sofferente.
Incrinò la bocca.
«Di aiutarmi a
scoprire la verità. La verità, Alex. E’ il tuo lavoro. E’ quello di mio padre e
…»
«Bianca!» un urlo
possente interruppe la conversazione.
«Sì papà?» disse
rizzandosi subito in piedi.
«Non preoccuparti
per i piatti. Ci penso io».
Non sapevo da
quando Flavio fosse lì. Non sapevo quanto avesse ascoltato. Ma il suo tono non
prometteva davvero nulla di buono.
«Ok papà, grazie»
disse baciandolo sulla fronte. «Buonanotte papà, buonanotte Alex».
La salutai e
guardai Flavio fisso negli occhi.
Si avvicinò, mise
la sedia a posto,
Mi alzai, feci per
andarmene, quando mi bloccò trattenendomi con forza il braccio destro. Ci
ritrovavamo a pochi centimetri uno dall’alto. Ma non ci guardavamo in faccia.
«Alex, fatti dire
una cosa».
Non risposi.
«Saper stare zitti
è la cosa più preziosa del mondo. Il silenzio è d’oro. La parola è d’argento».
Non sapevo fin
dove volesse arrivare, ma riuscii a bisbigliare qualcosa come «quindi?».
«Ti consiglio di
non dire più nemmeno una parola a proposito di ciò che sai. Rispettami ed io
rispetterò te. Sono stato chiaro?».
Non risposi ancora
una volta, ma mi lasciò andare. Quando mi voltai, vicino alla porta, vidi un
uomo psicologicamente distrutto. Non sapevo ancora nulla. Ma il mio dovere era
scoprire la verità. Ora non più solo per una questione di circostanze, ma
perché la invocava una ragazza che non sapeva nulla del passato della madre.
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