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sabato 22 ottobre 2011

Alex Fedele: Il genio della matematica (stagione 1;episodio 10)


IL GENIO DELLA MATEMATICA




PROLOGO: Il figlio modello, la moglie modello, il padre modello, la famiglia modello. Ma siamo sicuri che sia davvero così? Toccherà ad Alex Fedele accertarlo, assaporando drammi familiari, bugie piene di odio e soprattutto ... la matematica, la scienza più complessa che ci sia! 



CAPITOLO I – Strani comportamenti

Quella sera, al tramonto, io e Bianca eravamo appena rientrati dal supermercato nel quale eravamo andati a fare spese. Flavio non aveva avuto voglia di uscire e Fabio era impegnato con delle cose varie dell’università, quindi io e Bianca uscimmo per andare nel solito supermarket di fiducia che si trovava a circa tre isolati. Comprammo gli ingredienti per una cenetta rustica. Wurstel, pizzette, patatine, supplì e cose di questo genere. Invece della solita pasta o della bistecca o di qualsiasi altra cosa, quella sera si era deciso di mangiare qualcosa di più semplice e meno impegnativo.
Ero lì ormai da parecchio tempo. Devo dire che mi ero abituato allo stile di vita di Torino, dei Moggelli. La mia giornata era molto semplice. Passavo la mattina a documentarmi su casi, indagini e certezze della cronaca. Il pomeriggio era destinato al relax, ma spesso si incappava in qualche caso e allora addio televisione. Era il mio sogno però, quello di fare il detective e non mi dispiaceva affatto occuparmi di casi. La sera aiutavo Bianca a preparare la cena. Era un’abitudine che avevo preso da circa un paio di settimane. Nulla di particolare. Sia chiaro, io in cucina sono una frana ed il risultato più straordinario che abbia mai avuto è quello di mettere a bollire l’acqua, ma comunque davo il mio contributo facendo cose diverse, come apparecchiare la tavola o sparecchiarla. Dopo cena mettevamo i piatti nella lavastoviglie e nel mentre di tutto questo chiacchieravamo. Una vita normale. Mi piaceva chiacchierare con Bianca. Era di indole ottimista. Non si abbatteva di fronte alle difficoltà, aveva un sorriso splendido e luminoso ed era senza dubbio la persona alla quale mi ero affezionata di più da quando ero arrivato in città.
 Quella sera, mentre lei preparava la cena ed io apparecchiavo, iniziammo un dialogo molto, molto interessante.
«Allora Bianca, come va la scuola?».
«Oh, non c’è male. Ho solo il problema dei compiti. Sono decisamente troppi».
«Immagino».
«A te a Fondi non ne davano molti?».
«Certo che sì. Io ero pieno di compiti dall’unghia dei piedi fino all’ultimo capello ogni giorno. Ma se vuoi le cose a questo mondo devi guadagnartele e le nostre professoresse erano decisamente una montagna dura da scalare».
«Davvero? Che tipo erano?».
«Vediamo se riesco a descrivertele» dissi sedendomi al mio posto con un fazzoletto in mano.«Ne avevo una di italiano che arrivava sempre in ritardo. Ogni cosa si facesse, lei aveva sempre una scusa pronta. Una volta non venne a scuola perché era convinta che fosse Domenica».
«Che fortuna!» disse sorridendo.
«In che senso?».
«Niente lezione no?».
«Immagini male. Venne il nostro vice-preside a farci lezione. Un tipo lungo e lugubre che aveva insegnato nei militari … e ti ho detto tutto».
«Nei militari?».
«Yes».
«Aveva dei modi … militareschi?».
«Si vede che sei figlia di un detective» dissi con ironia.
«Spiritoso» e mi fece una linguaccia.
Erano le piccole cose che mi facevano sentire bene. Solo queste. Il poter parlare con Bianca era davvero straordinario. Sentivo che potevo dirle quasi tutto ciò che provavo nelle varie circostanze. Avete presente un diario nel quale scrivere tutto ciò che volete senza che qualcuno spifferi niente? Ecco, per me Bianca era questo e molto altro.
«Alex, vai a chiamare papà. E’ pronto».
«Ok». Mi diressi verso l’ufficio di Flavio. Andrea intanto ci aveva già raggiunto in cucina. Se fosse dipeso da mio fratello avremmo mangiato in quel modo tutte le sere. Andava matto per il rustico. Aprì la porta di Flavio lentamente. Non lo sentivamo sbraitare un po’. Di solito ha il vizio di fumare come una ciminiera nell’ufficio, di bere tre o quattro caffè nel pomeriggio. Ha il vizio di abusare di qualunque cosa. Per essere detective conduceva una vita molto sregolata. Spesso rimaneva addormentato vicino alla televisione, si alzava nel cuore della notte, quando ormai si affacciava la mattina, e si addormentava per un paio d’ore. Poi, quando andavi in cucina per fare colazione, lo vedevi già alle prese col cibo, sua passione.
«Flavio è pronto in tavola».
Non mi rispose.
«Flavio, è pronto».
«Sì, sì, ti ho sentito, adesso arrivo» disse in maniera scorbutica. Tipico. Se ne stava con le gambe appoggiate alla scrivania di legno. Beveva caffè come un cammello disidratato e aveva la camicia fuori dai pantaloni e la cravatta allentata. Questo era strano.
Arrivò dopo circa dieci minuti, si sedette a tavola di mal voglia. Poi prese un bicchiere e si versò acqua per almeno due-tre volte. Fabio quella sera non cenava con noi. Era finalmente riuscito ad invitare fuori Martina, quella ragazza della quale si era invaghito.
«Che cos’hai papà?» chiese Bianca vedendo che Flavio non aveva ancora toccato cibo.
«Niente piccola, niente». Non era vero. Conoscevo ormai Flavio e quando non mangiava aveva sicuramente qualcosa da nascondere.
«No davvero, Flavio, sei strano oggi» dissi.
«Fatti gli affari tuoi, ok?». Gentile come sempre. Poi continuò «A me non va da mangiare. Vado in ufficio a riordinare qualche pratica».
«Scusa, ma c’è Sergio apposta per quello!» dissi non controllandomi.
«Cos’è che non capisci della frase “ fatti gli affari tuoi?”» chiese irritato.
«Papà!» Bianca lo rimproverò fortemente con veemenza.
«Che cosa c’è?», Flavio si voltò guardando storto la ragazza.
«Ti pare questo il modo di trattare le persone? Dovresti solo vergognarti!».
«Uh, ma quanto la fai lunga. Sembri una di quelle mammine isteriche che rimproverano i loro figlioletti» e così facendo si alzò dalla tavola e si diresse deciso verso l’ufficio.
Dopo circa cinque minuti, il dialogo a tavola riprese senza alcun problema, Poi parlammo d’altro, soprattutto quando rimanemmo solo io e Bianca da soli e Andrea era andato in camera sua.
«Cos’ha tuo padre? C’è qualcosa che non so?»
Non mi rispose subito.«Diciamo che ci sono parecchie cose che non sai di questa famiglia».
La guardai con sospetto.
«E non guardarmi con quello sguardo sospettoso» disse porgendomi i piatti.
«Me li tiri questi sguardi» dissi candidamente.
Sorrise. «Vedi di non farti … tirare qualche piatto». Dolce non è vero? Come lo zucchero filato, anzi di più.
La voce di Flavio mi chiamava ripetutamente dall’ufficio. Mi precipitai da lui immediatamente.
«Che cosa c’è?» dissi spalancando la porta in modo rabbioso. Ok, non ero arrabbiato con lui, ma a volte mi dava su i nervi. Sembrava non conoscere complimenti, ma solo parole che suscitassero distanza e poco affetto.
«C’è che abbiamo del lavoro» disse scolandosi alla Steve Austin l’ultimo goccio della lattina di birra.
«Un caso? A quest’ora?» dissi guardando l’orologio che ho al polso sinistro. Per la cronaca il mio orologio è praticamente un computer. Ha la luce, può andare sott’acqua fino ad una profondità di cento metri, si illumina al buio e tante altre cose. Erano le dieci e trenta di sera.
«Come ti ho detto … non aspettano mica te per commettere delitti? Su andiamo» disse rialzandosi pigramente dalla sedia che incornava la scrivania.
«E Bianca e Andrea?».
«Li portiamo con noi. E’ molto tardi e Fabio ha telefonato dicendo che non verrà prima di mezzanotte. Gli lascio un post-it in camera da letto e poi possiamo andare».
«Di cosa si tratta?».
«Ti ho già detto che hai la lingua lunga?».
«Sì».
«Hai la lingua lunga».

CAPITOLO II – Arriva il lavoro

Dopo aver preso la macchina, lasciata la cucina in uno stato pietoso e l’ufficio di Flavio anche, prendemmo l’auto e ci dirigemmo verso un normalissimo condominio della periferia torinese. Era un palazzo interamente grigio con una striscia di vernice rossa dipinta orizzontalmente sul balcone dell’ultimo piano.
Notai che le volanti della polizia erano già lì. Ducato aveva la puntualità di uno svizzero, l’appetito di un americano frequentatore di fast food e la discrezione di un giapponese. A pensarci bene aveva anche un carattere da pugile. Possibile che quell’uomo fosse sempre incavolato? Misteri della vita.
L’appartamento era al secondo piano ed era arredata in modo piuttosto modesto. All’entrata c’era un piccolo ingresso con una sedia a dondolo di legno. Successivamente si continuava dritti per dritti in un corridoio. A destra c’era la cucina, mentre andando sempre dritti sulla sinistra c’era una sorta di finestrone senza infissi il quale dava sulla camera da letto della vittima, un certo Filippo Belsi.
«Ricapitoliamo» disse l’ispettore Ducato dopo averci salutato con un veloce cenno della mano. Quando voleva ottenere l’attenzione era solito colpire qualcosa. Non importa se fosse cosa o persona. L’importante era che gli tirasse un pugno, un calcio, uno schiaffetto. Quel giorno colpì Novato sulla spalla, l’agente in erba che si portava sempre dietro nei casi più intricati.
«Dicevo, ricapitoliamo: La vittima si chiamava Filippo Belsi, ed aveva cinquantatre anni. Lavorava presso un liceo scientifico di Torino come professore di matematica. Era ben stimato da tutti ed i suoi colleghi l’adoravano. La vittima è morta apparentemente senza alcuna traccia, ma le indagini svolte dagli agenti hanno fatto ipotizzare un decesso per avvelenamento da monossido di carbonio. Lo sportello della cucina che conteneva le bombole del gas destinate alla cucina apparentemente non ha subito forzatura. L’ora del decesso è stimata tra le ventidue e cinque e le ventidue e quindici».
«Ispettore, chi sono i sospetti?» domandò Flavio.
«I sospetti sono riuniti in camera della vittima. Novato elencali per favore e vedi di darti una mossa».
Novato cominciò a leggere i suoi appunti. «Sì signor ispettore. I sospetti sono due al momento. La moglie della vittima, la signora Gilda Belsi di quarantasette anni e l’unico figlio della coppietta, il signor Mirko Belsi di ventiquattro anni. Le porte dell’edificio non hanno subìto forzatura, e nemmeno le finestre».
«Capisco. Mi porti da loro ispettore».
Ducato eseguì. Entrammo nella stanza della vittima. Lo stavano coprendo in quell’esatto momento. Aveva lunghi capelli brizzolati ed era completamente rasato. Non aveva la barba insomma.
«Ispettore, ha già interrogato i sospetti?» chiesi avanzando verso la vittima.
«Sì Alex. Vuoi che ti legga le loro testimonianze?».
«Se si può … ».
«Certo!» disse in modo gentile. Poi cambiò totalmente tono chiamando «Novato! Leggi le testimonianze!». Povero ragazzo.
«Sì subito. Allora» disse tenendo la cartellina con su il foglio «La signora Gilda Belsi ha affermato che ha passato tutto il pomeriggio dalle amiche del club del libro» In quel momento mi girai verso Bianca «vedi che è un passatempo per donne di mezza età?» dissi prendendola in giro. Mi fece la linguaccia. Hai capito al bohemièn. Novato continuò imperterrito la sua lettura. «Inoltre stasera aveva in programma di incontrarsi in pizzeria con quelle sue amiche. E’ uscita di casa verso le ventuno e dieci ed è rincasata verso le ventidue e quindici. Trovando il corpo di suo marito ha subito lanciato l’allarme».
«C’è qualcuno che possa dire se effettivamente la signora sia uscita a quell’ora da casa?» chiese Flavio.
«No, dico detective. Sospetta di me?» dissi irritata la signora Belsi, una donna con biondi capelli a caschetto, dagli occhi azzurri e dal viso solcato da alcune rughe inevitabili.
«Tranquilla signora. Faccio solo il mio lavoro».
«E allora veda di farlo senza sospettare di me!» disse ancora più irritata. «Io ho un alibi di ferro. La mia vicina di casa, la signora anziana qui di fronte mi ha visto uscire di casa a quell’ora e ci siamo anche intrattenute a parlare per un po’».
«Capisco» affermò Flavio. Poi si girò verso di me e mi sussurrò: «Simpatica non è vero?». Feci un cenno di assenso ironico.
«E per quanto riguarda il ragazzo Novato? Puoi gentilmente descrivermi anche il suo rapporto?» dissi indicando un ragazzo con la barba tagliata in stile punk ed i capelli tagliati in modo particolare.
«Il signor Mirko Belsi, ha passato il pomeriggio in giro con degli amici. Abbiamo già chiamato, così come per la signora, per verificare se l’alibi fosse attendibile, e ci risulta esserlo. E’ rientrato verso le venti, ha cenato e poi è uscito di casa verso le ventuno e quaranta. Aveva un appuntamento con la sua ragazza in un pub della zona».
«Capisco. Grazie agente Novato».
«All’apparenza sembra un mistero irrisolvibile» annunciò Flavio guardando Ducato.
«Storie! Non esistono misteri irrisolvibili. Non è vero Novato?» disse rabbioso gettando la penna a sfera a terra. L’agente si limitò ad un timido cenno di assenso.
«Scusate» dissi a bassa voce. «Posso guardare la cucina?».
«Certo»disse la signora Belsi.
«La ringrazio». Bianca e Andrea, rimasti in silenzio fino a quel momento, mi seguirono come di consueto. Il che non mi dava fastidio. Ma non era spettacolo per ragazzine o bambini.
Domandai a Ducato come mai respiravamo normale, senza usare nessuna precauzione, come se non fosse accaduto nulla. Avevo timore che il monossido fosse rimasto nell’aria. Mi rispose con scioltezza dicendo che gli uomini della scientifica avevano spruzzato un nuovo gas sperimentale della polizia che eliminava tracce di veleno che veniva immesso nell’aria. In poche parole: E’ una prova e noi siamo le cavie. Divertente, non c’è che dire. Ispettore dell’anno.
Ispezionai la cucina. Non trovai nulla di particolarmente interessante. Ispezionai dappertutto. Aprì anche lo sportello dove era contenuta la bombola di gas che aveva sprigionato il monossido.
«Cosa fai? E’ pericoloso!» disse Bianca.
«Ma cosa dici? Non hai sentito l’ispettore a proposito del gas spruzzato per depurare l’aria?».
«Ha detto sperimentale! Vuol dire che c’è possibilità che non faccia effetto!».
«Non direi. Altrimenti saremmo morti da un bel pezzo Bianca. Siamo qui da una mezz’ora e non ci è successo nulla. Quindi … ».
«Anche questo è vero, ma stai attento lo stesso» disse con aria disorientata.
«D’accordo» dissi aprendo lentamente lo sportello. Le molle che sostenevano l’apri-chiudi non mi sembravano allentate. Inoltre non vedevo segni di forzatura allo sportello. Sembrava solo un normale sportello che non era stato aperto.
«Mi dica signora» dissi incrociando lo sguardo della signora Belsi «lei dice che lo sportello è stato aperto?»
«Intende lo sportello dove c’era la bombola di gas? No, non credo. Soprattutto perché cigolava di parecchio e mio marito se ne sarebbe accorto visto che aveva il sonno molto leggero».
«Capisco» dissi aprendo lo sportello. Dire che cigolava era usare nettamente un gentile eufemismo. Faceva più rumore della marmitta di una motocicletta. Incredibile. La cosa di cui avevano bisogno quelle molle non era olio, ma una buona razione di preghiere per farlo smettere di cigolare.
Provai a riaprirlo di nuovo, ma stavolta non veniva via. La signora Belsi, vedendomi affannato nel da farsi, mi sussurrò: «No, non è colpa sua, a volte non si apre perché le molle rimangono bloccate».
«Lo vedo» dissi tirando con sempre più forza. Tirai talmente tanto che ad un certo punto la manopola si sganciò dallo sportello ed io caddi a terra come un perfetto imbranato. Bella figura. Un detective cadente.
«Oh, si è fatto male? E’ strano però, mio marito l’aveva appena incollato»
Inutile dire che sia Bianca che Andrea scoppiarono a ridere, mentre Flavio mi diede un’occhiata triste e poco benevola. Era stato così tutta la giornata. Triste, angosciato. I suoi occhi avevano brillato solo per un momento, e cioè quando stava conducendo le indagini. Probabilmente tra vent’anni sarei stato anche io come lui. Forse, l’unica cosa che poteva rialzare un uomo che celava chissà quale segreto, era far bene il proprio lavoro. Onestamente, e voglio essere sincero, fin da quando misi piede a Torino capii una cosa. Capii che Flavio non era ciò che voleva apparire. Forse era solo una mia impressione, o forse solo stupide illazioni. Ma c’era qualcosa in quella famiglia, qualcosa che non mi convinceva. Era come se tutto d’un tratto mi fossi trovato catapultato in una famiglia nella quale mi trovavo bene, nella quale vivevo in modo sostenuto, ma della quale sapevo meno di zero. La signora Moggelli era morta, ma perché? In quali circostanze? Perché la madre di Bianca e Fabio, nonché naturalmente moglie di Flavio era avvolta da un alone di mistero? Perché i figli ne sapevano meno di zero e soprattutto perché Flavio non ne parlava mai? Erano tutte cose che mi chiedevo da giorni ormai. Ok, so cosa state pensando. Non saranno affari miei. Ma mettetevi nei miei panni. Un detective che non si pone delle domande, un ragazzo che non riesce a scorgere tutto ciò che dovrebbe a quelle persone alle quali voleva bene. Ok, va bene, l’ho ammesso. Mi ero affezionato a Bianca, le volevo già un gran bene. Anche Flavio e Fabio, in modi diversi erano due grandi simpaticoni e mi trovavo bene con entrambi. Forse era proprio per quello che tentavo di scoprire delle cose del loro passato che non erano di mia competenza. Forse perché volevo troppo bene a tutti in quella famiglia. O forse semplicemente perché quando vedo qualcosa di sospetto, occultato, tappato, reagisco d’istinto e caccio fuori la parola “detective” dal cilindro. O forse semplicemente perché credevo che Flavio avesse una spina nel fianco e che ne avessero una anche Flavio e Bianca. Credetemi, non avrei mai dovuto immischiarmi di cose loro, intime della famiglia, ma soffrivo al pensiero che Bianca e Fabio non conoscessero il motivo della morte della loro madre. La ritenevo una cosa ingiusta e, si sa, di fronte alle ingiustizie, criminali o familiari che siano, non mi fermo. Nessuno dotato di un minimo di buonsenso lo farebbe e nessuno che fosse a contatto con quella famigliola resisterebbe nel provare a scoprire la verità.

CAPITOLO III – Il colpevole allo scoperto

Feci questi pensieri nel giro di pochi secondi. Ero ancora a terra, con la manopola in mano e la fissavo come un idiota.
«Vuoi una mano?» Bianca mi porse la sua per rialzarmi.
Una volta in piedi continuai a guardare la manopola, mi toccai i capelli, mi passai la mano tra di essi e poi continuai ancora a pensare. Mi venne in mente una strana idea. Forse l’assassino credeva che per far passare il gas correttamente dalla bombola verso l’esterno e quindi per ottenere la propagazione che avrebbe ucciso la vittima, avrebbe dovuto aprire qualche varco. Il buco lasciato libero dalla manopola era sufficiente per far pensare a questa balzana teoria. Mi servivano delle prove, avevo qualche sospetto, ma ora veniva la parte che preferisco di più. Quella nella quale c’è il detective che cammina a testa bassa stile Sherlock Holmes e trova qualche indizio.
La signora Belsi si era congedata dalla cucina. Bianca e Andrea anche. Insomma, ero rimasto lì da solo con la manopola. Romantico, non è vero? Sembra un film scadente, una di quelle commedie di Owen Wilson “Io e la manopola”. Vabbè, sto dilagando in termini di battute scadenti.
Perlustrai il pavimento alla ricerca di qualche indizio. Scrutavo le piastrelle incollate col silicone e pensavo alla mia balzana teoria. Spesso le cose impossibili, sono quelle che accadono realmente.
Un sussulto. Della sabbia. Più granelli di sabbia, quasi dei piccoli cumuli nascosti agli angoli della stanza. Ora era chiaro. Il quadro era decisamente meno complesso di quanto appariva in precedenza. Dovevo solo dire la mia, riunire i presenti e mettere a tacere una volta per tutte la persona crudele, colei che aveva commesso il delitto.
Entrai in soggiorno dopo aver fatto una brevissima telefonata di accertamento. Sapete com’è, volevo essere sicuro di non aver toppato.
«Sa, signora Belsi» dissi accomodandomi sul divanetto color legno. «lei è una persona relativamente insospettabile». Flavio mi guardò e nei suoi occhi riapparve quel barlume, quel fuoco. Bianca mi guardava incredula, Andrea si era messo sulla poltroncina, comodo a godersi lo show.
«Cosa vuoi dire con questo?»
«Nulla signora Belsi, un bel nulla. Stavo solo constatando che se ipoteticamente lei fosse l’assassino che stiamo cercando sarebbe una grande attrice. Se lo è recita benissimo».
«Non lo dica nemmeno per scherzo! Come può pensare che io sia l’assassino di mio marito?».
«Già. Ora che ci penso … anche suo figlio è insospettabile».
Ducato si spazientì. Forse stavo tirando un po’ troppo la corda. «Alex!» disse urlando «stai zitto e lasciaci lavorare in pace!».
«Ma ispettore» provò a dire Novato «forse ha risolto il caso e … » non fece in tempo a finire la frase che si ritrovò fulminato da uno degli sguardi di Ducato. Avete presente quei film di basso grado che fanno in televisione? Sì, quelli che vedi solo quando hai l’influenza e sei troppo debole per prendere il telecomando e ribellarti ai dogmi della televisione. Proprio quelli. Lo sguardo di Ducato assomigliava ad uno di quei commissari di basso grado, uno di quelli che è tutto birra e rutti e pochi fronzoli. Ovviamente nella realtà, l’ispettore non era così(lo spero vivamente per lui).
«Meno male che esistono i cellulari ispettore» gli dissi alzandomi e mettendomi le mani in tasca.
«Ma cosa diamine dici? Ti sei ubriacato?».
«Mai stato così sobrio. Il fatto è che riflettevo sull’enorme potenza della tecnologia. Oggi può anche inchiodare un assassino, lo sa?».
«C-cosa vuoi dire?» intervenne Bianca con gli occhi sbarrati.
«Oh, è molto semplice. E’ che se non fosse per questo aggeggio» dissi estraendo il mio telefono «non avrei mai scoperto l’autore del delitto. Sono portentosi … non è vero Mirko? Mi dica, è lei l’autore del delitto?»
«Cosa? Ma che domande sono ragazzino? Io sono innocente!».
«Ah davvero? Mi dica, dov’è stato oggi pomeriggio con i suoi amici?».
«Un po’ in giro, perché?».
«Non ricorda con esattezza dove ha passato il tempo?».
«Vediamo … prima siamo andati al centro commerciale e poi in un bar qui vicino. Perché me lo chiede? Cosa c’entra con il delitto di mio padre?» disse inviperito. I suoi occhi avevano sfumature di sangue. Sangue che avevano le persone che si arrabbiano all’inverosimile quando non ottengono ciò che vogliono.
«Oh,nulla. Ho fatto un colpo di telefono ad una sua amica. Mi pare ha detto di chiamarsi Marika. Sbaglio?».
«No, non sbaglia. Cosa vuoi da lei?».
«Mi ha detto che la vostra compagnia è stata per ben due ore al mare. Lei nega?».
«No, non nego. Ma l’avevo dimenticato».
«Davvero? Quindi lei ha una forma di memoria selettiva? Cioè ricorda solo alcune cose? Non stiamo parlando di cose successe un mese fa. Le sto parlando di cosa ha fatto oggi pomeriggio, per ben due ore».
«Cosa sta cercando di insinuare?».
«Sa, a volte la peggior cosa da fare in queste circostanze è proprio ciò che sta facendo lei. Fare il furbo. Perché non confessa e da il cuore contento a sua madre?».
«Mirko … tu?» chiese la signora Belsi. Sudava freddo, aveva le mani sudaticce e la fronte le si era imperlata di sudore.
«No, mamma! Non credere ad una sola parola di quello che dice questo idiota!» disse Mirko riferendosi a me.
«Sa, Mirko. Questo idiota la sta assicurando alla giustizia. Lei non mi ha detto che era andato al mare perché voleva nascondere le tracce evidenti di sabbia che ha sotto le scarpe e che ha disposto in cucina!».
«Non stavo nascondendo niente. E poi come ti ho detto sono stato in cucina per cenare. Dopo fatto la doccia ho indossato di nuovo le stesse scarpe di prima e deve esserci rimasta della sabbia sotto».
«Già, ma mi dica, lei era di fretta?».
«Dovevo uscire».
«Ok, diciamo che era di fretta ok? Lei ha lasciato solo piccoli granelli sulle piastrelle della cucina che fanno da pavimento. Il resto lo ha come accumulato agli angoli della stanza. Non sono veri e propri cumuli, certo, ma sicuramente sono stati allontanati agli angoli per non essere visti».
«No, stai dicendo stupidate!» disse con violenza. «Io ho semplicemente spazzato via la sabbia perché so che a mia madre dava fastidio».
«Ah davvero? E così lei invece di prendere paletta e scopa come farebbe qualsiasi essere umano, ha deciso di raggruppare i cumuli in un angolo?».
«Andavo di fretta ti ho detto!».
«Ma mi dica, se andava di fretta … come mai ha trovato il tempo per una veloce spazzata? Mi dica, quanto le avrebbe portato via in più, prendere una paletta e raccogliere normalmente il tutto? Pochi secondi. No, amico mio. Lei si è introdotto in casa e … »
«E cosa? Ti pare una priva sufficiente per incastrarmi? Voglio vedere le prove!»
«Le vuole? Bene, eccole qua, servite come il migliore dei piatti della nouvelle cousine dal miglior chef francese.» disse toccandomi i capelli per la stanchezza. «Lei ha commesso l’errore di credere che per la propagazione del gas e quindi per l’avvelenamento di suo padre, fosse necessario aprire un varco alla sostanza. Invece se si apre il gas e si richiude normalmente lo sportello, la sostanza si propaga lo stesso e si ottiene il medesimo risultato. Ma lei no, lei ha voluto eccedere di minuziosità. Ha tirato fortemente lo sportello, la manopola si è staccata e l’ha lasciata aperta per un bel po’. Probabilmente lei sapendo che la manopola era già lenta di suo ed era stata appena riparata da suo padre ha tirato fortemente fino a far scollare di nuovo quella parte dello sportellino. Indossava una mascherina per non respirare. Poi ha incollato il tutto di nuovo, ma si è dimenticato di farlo bene. Infatti, appena lo sportello si è bloccato, poco fa in cucina, la manopola si è staccata di nuovo ed io sono caduto all’indietro con essa in mano».
«Sono solo supposizioni ragazzino» disse ridendosela di gusto.
«No. Sua madre ha sessant’anni ed è una signora abbastanza magra, dotata di poca forza fisica. L’unico che poteva tirare con forza la manopola a tal punto da scollarla è lei signor Mirko, questa è una prova inattaccabile! Sono sicuro che per la circostanza non indossava nemmeno i guanti quindi ritroveremo le sue impronte. La vogliamo finire questa partita signor Mirko? Le va di mettere palla al centro e di rientrare negli spogliatoi?».
Il sorriso del ragazzo scomparve. Avevo colpito nel segno. Si lasciò andare sul divano. La signora Belsi emise un gemito e si mise le mani davanti al volto.
«E va bene» disse esausto. «Confesso. L’ho ucciso io».
«Ma perché?! Perché Mirko?» disse la signora Belsi piangendo a dirotto.
«Tu non puoi capire mamma! L’ho fatto per te dannazione!».
«Cosa vuol dire?» chiesi guardando sia Mirko che Flavio.
«Mio padre tradiva mia madre con una donna più giovane di lei. Mia madre sapeva tutto ma non reagiva mai. Da qualche tempo ero venuto a scoprirlo anche io. Ho controllato il suo cellulare e ho trovato messaggi di ogni genere rivolti a quella donna. Non potevo perdonarlo. Mia madre soffriva. Sì, l’uomo che ammiravano tutti a scuola, colui che veniva soprannominato “il genio della matematica”, era in realtà un vile traditore».
«Signor Mirko» disse Flavio sedendosi accanto a lui e mettendogli una mano sulla spalla. «Le persone care sono un dono inestimabile. Lei oltre ad aver commesso un delitto imperdonabile ha anche tolto a sua madre il suo unico amore oltre a lei. Suo padre aveva sbagliato, ma non meritava questa punizione e lei lo sa bene. Ha perso suo padre, mi auguro che lei non perda una cosa altresì importante e cioè il rispetto che sua madre aveva per lei» Le parole INESTIMABILI e RISPETTO erano state pronunciate quasi in modo solenne. Ma non avrei potuto comunicare messaggio migliore. Flavio aveva perso la moglie. Era inutile girarci intorno. Sapeva com’era perdere una persona cara. A dir la verità lo sapevo anch’io e lo sapevano mia madre e i miei fratelli. Ma sicuramente c’era una cosa che forse Flavio sapeva fare ed io no. Esternare il tutto. In qualunque modo possibile, anche tirando calci. Non mi ero mai sfogato, non avevo mai parlato della morte di mio padre. Mi avevano detto che era morto per una malattia indibile.
Mirko pianse quella sera, ed ebbi l’impressione che a Flavio fossero venuti gli occhi lucidi. Era andata così e parecchio tempo dopo, quando quella sera era finita, i cattivi erano stati presi e i buoni si dondolavano sull’altalena contornata da allori, presi coraggio e decisi di dire a Bianca qualcosa a proposito della morte di sua madre. Avevo ottenuto qualche informazione con Fabio. Bianca non l’avevo mai ancora sentita a proposito di questo problema. Quella sera, dopo aver cenato in un orario a dir poco inusuale(erano le due del mattino quando finimmo), Flavio si allontanò dal tavolo per andare a prendere qualcosa in ufficio e alla fine in cucina rimanemmo io e Bianca.
«Allora Bianca. Impressionata?».
«Per niente. Sai che sono cresciuta in mezzo a queste cose».
«Già, ma è raro trovare una ragazza che non si scandalizza davanti ad un cadavere».
«Lo so. Mi sono un po’ commossa solo per il pianto di Mirko».
«Non importa se ha agito perché non volesse far soffrire sua madre. Ha commesso un delitto e deve essere punito».
Non rispose.
«Senti, posso farti una domanda un po’ personale?».
«Certo» disse voltandosi leggermente.
Il chiarore della luna che filtrava dalla finestra quasi del tutto aperta le faceva risplendere il viso.
«Ho già rivolto la domanda a tuo fratello. Non sei obbligata a rispondermi».
«Lui ti ha risposto?» disse accomodandosi di fronte a me.
«Be’ lui sì».
«E allora non può essere una cosa indicibile. Dimmi pure».
«Senti, prima di chiedertelo … non sono affari miei. Chiamami impiccione. Ma è per evitare futuri fraintendimenti che ti faccio questa domanda».
«Come sei misterioso e diplomatico» disse sorridendo sarcasticamente. «Guarda che parli con me, non con il capo di stato americano».
Credetemi, sarebbe stato meglio parlare con un capo di stato.
«Ok. Flavio è un uomo affascinante. Tu sei una bellissima ragazza» le dissi facendola arrossire. «La vostra famiglia è davvero meravigliosa. Tuo fratello mi ha detto che vostra madre è morta. Ma non mi ha detto tutto, non è vero? Ripeto, non sei obbligata a rispondermi e puoi darmi due ceffoni fin da adesso se ti ho portato alla mente ricordi spinosi. Ma la mia domanda è un semplice incentivo a voler evitare fraintendimenti in discorsi futuri. Non vorrei ritrovarmi in conversazioni con uno di voi e senza volerlo fare qualche errore nel parlare di vostra madre».
Gli occhi neri si riempirono di niente. Forse non avrei dovuto chiedere nulla. Ma lo facevo per capire quale fosse la motivazione che in dieci giorni non avevo mai sentito la parola “mamma” pronunciata da Bianca. Volevo sapere la verità. Alla fine è il mio lavoro. Scoprire l’unica verità certa. E quella sulla famiglia Moggelli, la quale mi ero affezionato, non era ancora chiara. Avevo come l’impressione che si forzassero determinati discorsi.
«Mia madre … » disse incominciando il discorso. «Cosa sai?».
«Solo che è morta» dissi abbassando la voce.
«Sai quel che so io allora Alex» dissi portando le mie mani sulle sue. Il suo sguardo era sincero.
«Ma … non sai … ».
«Alex» disse riprendendo fiato e guardandomi con gli occhi di lacrime. «Non so nulla. Ti rendi conto? Non so niente di mia madre. Lui lo sa. Mio padre sa. Io posso dirti solo che è sepolta a Cuneo. Ma ora che hai scoperto qualcosa anche tu … ti prego di aiutarmi».
«Aiutarti a fare cosa?» la guardai con paura. Aveva lo sguardo di una persona sofferente. Incrinò la bocca.
«Di aiutarmi a scoprire la verità. La verità, Alex. E’ il tuo lavoro. E’ quello di mio padre e …»
«Bianca!» un urlo possente interruppe la conversazione.
«Sì papà?» disse rizzandosi subito in piedi.
«Non preoccuparti per i piatti. Ci penso io».
Non sapevo da quando Flavio fosse lì. Non sapevo quanto avesse ascoltato. Ma il suo tono non prometteva davvero nulla di buono.
«Ok papà, grazie» disse baciandolo sulla fronte. «Buonanotte papà, buonanotte Alex».
La salutai e guardai Flavio fisso negli occhi.
Si avvicinò, mise la sedia a posto,
Mi alzai, feci per andarmene, quando mi bloccò trattenendomi con forza il braccio destro. Ci ritrovavamo a pochi centimetri uno dall’alto. Ma non ci guardavamo in faccia.
«Alex, fatti dire una cosa».
Non risposi.
«Saper stare zitti è la cosa più preziosa del mondo. Il silenzio è d’oro. La parola è d’argento».
Non sapevo fin dove volesse arrivare, ma riuscii a bisbigliare qualcosa come «quindi?».
«Ti consiglio di non dire più nemmeno una parola a proposito di ciò che sai. Rispettami ed io rispetterò te. Sono stato chiaro?».
Non risposi ancora una volta, ma mi lasciò andare. Quando mi voltai, vicino alla porta, vidi un uomo psicologicamente distrutto. Non sapevo ancora nulla. Ma il mio dovere era scoprire la verità. Ora non più solo per una questione di circostanze, ma perché la invocava una ragazza che non sapeva nulla del passato della madre.

ANTICIPAZIONE EPISODIO 11: Flavio sparisce nel nulla. Già, nel nulla. Prende la macchina e lascia tutti a piedi. E' l'inizio di un'avventura ai limiti dei rancori che travolgerà tutti i protagonisti della nostra storia. Alex, la morale, Flavio, la forza d'impulso, Bianca e Fabio, la disperazione, la parte lesa. ALEX FEDELE EPISODIO 11: L'ANNIVERSARIO(1°parte)
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