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sabato 12 maggio 2012

Alex Fedele Guerra al Clan(1°Parte)#37 (seconda stagione)


GUERRA AL CLAN(1°parte)


Sigla di oggi: "Whatever" by Oasis

PROLOGO: Quando l'eccitazione diventa terrore ... i nostri vanno ancora una volta in uno studio televisivo, ma avviene un orrendo crimine. Chi è l'assassino? Il mistero lo risolverà 




CAPITOLO I – Che l’incubo inizi

La pioggia batteva forte sui vetri dell’agenzia di Flavio Moggelli e il vento fluttuava nell’aria facendo volare volantini abbandonati dai maleducati in strada o sulle panchine.
La gente cercava di coprirsi come poteva usando cappelli, sciarpe e quanto più poteva per attenuare quella terribile ondata di freddo che aveva coinvolto tutto il paese.
Erano giorni che me ne stavo in casa, senza nulla da fare, come un perfetto idiota. Pensate che mi annoiavo così tanto che diedi un’occhiata ai libri dell’università. Ero d’accordo con mia madre. Se non fossi riuscito a diventare detective e a coronare dunque il mio sogno, mi sarei messo d’impegno a frequentare l’università e avrei cercato di dedicarmi alla sociologia, scienza che comunque mi appassionava, ma che non mi coinvolgeva così tanto da studiare mattoni da quattrocento pagine e sostenere esami su esami.
Che ne so? Forse non sarei mai diventato detective e forse sarei finito a chiedere elemosina in strada come un vagabondo, ma si sa, la vita riserva sorprese davvero troppo grandi per essere gestite con la calma necessaria. Il mio obiettivo di diventare detective era qualcosa di immensamente grande e di conseguenza qualcosa di immensamente ingestibile dalla mente umana. Le persone umane sono spesso nevrotiche, fastidiose e difficilmente riescono a controllare ciò che gli passa nella testa prima e nel cuore poi. Per me era l’esatto contrario. Non mi sono mai definito una persona espansiva, né emotiva. Non piangevo da anni, non avevo pianto per la morte di mio padre, non perché non mi dispiacesse, ma perché semplicemente non sono mai stato un soggetto che ha avuto bisogno del pianto per esprimere dispiacere a proposito di una cosa. Non parlai per tre giorni interi. Fu quello il mio modo di esprimere il mio dispiacere. Il silenzio. A volte è una virtù, a volte decisamente no. Per me era una gabbia, un tentativo di evadere dalla triste realtà nella quale mi ero inaspettatamente trovato, ma contemporaneamente era diventato un luogo dove pensare a quanto era successo e magari riflettere. Non tutto il dolore esce dagli occhi. A volte rimane nel cuore, in attesa di una spiegazione; a volte invece riesce ad essere decisivo nelle scelte di un uomo, mentre altre volte ti rimane dentro per sempre, almeno finché non scopri la verità. Era esattamente il mio caso. Avevo avuto quella sensazione di vuoto dentro fino a quando non avevo incontrato Flavio e fino a quando non avevo conosciuto la tematica di sua moglie. Mi ero incuriosito a proposito dei segreti di quella famiglia e avevo scoperto che la distanza non uccide il caso.
Già, quell’uomo e quelle persone avevano il mio stesso vuoto dentro e lo riempivano con le lacrime, con il ricordo oppure semplicemente con la rabbia e con un carattere decisamente scontroso. Ma ora erano chiare cose che prima non lo erano e se c’era qualcuno che aveva ucciso tanti innocenti e aveva provocato loro quello stesso vuoto, quello stesso cancro immaginario che avevo provato io, allora doveva pagare. E diventare detective, oltre che una passione, un sogno, diventava una missione, un dovere, un dogma scritto su qualche antica pergamena compilata da qualche strano Signore con la barba lunga.
«Alex, a che pensi?» mi domandò Bianca. La sua voce era tenue e dolce allo stesso tempo e quasi mi spaventò. Ero completamente assorto nei miei pensieri.
«Stai studiando?» mi chiese indicando il libro di sociologia che avevo in mano.
«Diciamo che mi ci stavo affezionando».
«A cosa?».
«Al libro no? Sono quasi trenta minuti che è con me».
Scoppiò in una risata timida e zuccherosa, poi mi guardò e disse:
«Pensavi a qualcosa, vero? A qualcos’altro …» assunse un’aria seria.
«Sono diventato così prevedibile?».
«Direi» affermò spostandosi una ciocca di capelli che le si era posata sul viso. «Allora, a che pensi?».
Tentennai per un momento. Poi presi fiato,aprii il libro ad una pagina a caso, la guardai con tutta la dolcezza del mondo e le dissi:
«La sociologia è essenzialmente una scienza applicata, anche se la sua vicinanza con la filosofia mantiene al suo interno un vasto dibattito teorico simile a quello specifico delle scienze filosofiche. Sotto questo aspetto possiamo dividere la sociologia in due parti, naturalmente e fortemente interconnesse: una parte formata soprattutto di grandi teorie che hanno lo scopo di creare modelli macro di spiegazione della società, modelli eminentemente teorici che nascono però come grandi sintesi teoriche di osservazioni della realtà sociale; un'altra parte costituita da studi maggiormente focalizzati su fenomeni sociali circoscritti per tempo e luogo».
Rimase zitta un attimo. «Eh?».
«Lascia stare. E’ roba della quale non capisce niente nessuno …».
«E’ un modo per dirmi che non stavi pensando a niente in particolare tranne che allo studio?».
«Sei sveglia» le dissi guardandola negli occhi e sorridendole ironicamente.
Non fece in tempo a rispondermi, in quanto la porta dell’ufficio si spalancò nella bufera generale che si stava scatenando fuori. A fare il suo ingresso, Flavio , che si portava appresso un ometto di circa un metro e sessanta, pelato e con una bombetta come cappello. Vestiva firmato, si vedeva lontano un miglio e dalle sue mani curate e dai suoi modi decisamente delicati mi accorsi che probabilmente si occupava di lavoro in ufficio.
«Che si dice, giovani?» domandò schizzando l’ombrello pieno di pioggia sul pavimento.
«Papà! Stai bagnando tutto il pavimento!».
«Oh, lascia stare, non preoccuparti …».
«E certo! Perché poi c’è Bianca che pulisce, non è vero?! Ma questa volta puoi anche scordartelo! Pulirai tu!» urlò sbattendo la porta e andandosene indignata. Aveva ragione. Sapevo benissimo quanto Bianca si impegnasse per tenere la casa pulita, visto che mio fratello ultimamente si era fissato con l’idea di dargli una mano.
Il signore che era arrivato con Flavio invece, poso delicatamente il suo ombrello color giallo ocra nell’apposito portaombrelli e sembrava quasi essere uno di quei balzani personaggi che spuntano dalle fiabe. Avete presente quelli alla Mary Poppins? Che risolvono tutto con un gesto magico? Ecco, quel buffo tizio era così.
Dopo qualche secondo di silenzio nel quale rimisi a posto il libro di sociologia, il tizio si sedette di fronte a me, nel divanetto che si opponeva a quello da me occupato. Flavio invece si accomodò alla sua scrivania e cominciò a parlare giungendo le mani e passandosele sulla fronte umida a causa della pioggia ricevuta.
«Allora, direi di cominciare con le presentazioni. Alex, questo è il signor Mauro Baselli. Signor Baselli, il ragazzino che vede di fronte a lei si chiama Alex Fedele ed è anche lui un detective, anche se in formato … “small”».
«Molto onorato» sussurrò tenendo lo sguardo basso.
«L’onore è tutto mio» risposi a tono.
«Bene, ora che vi siete presentati, direi di esporre il problema signor Baselli. Me ne stava parlando strada facendo, ma credo che sia molto meglio chiarire qui».
«Ok …» cominciò mostrandosi indeciso e quasi spaventato dalle sue stesse parole. Sembrava molto imbarazzato e continuava a tenere lo sguardo basso e ciò era strano, inusuale, tanto da innervosirmi.
«Il problema che voglio sottoporvi è molto semplice» affermò con voce limpida e squillante, quasi melodica. «Voglio che ritroviate mia moglie».
«Questo l’ho capito anche in strada. Vorrei che lei ci desse maggiori informazioni …  sui rapporti, ad esempio, che ci sono stati fra voi due. Ad esempio … avete avuto figli ai quali possiamo far capo?».
«No, sfortunatamente sono sterile e non ho potuto avere figli».
«Capisco … e da quando non vede sua moglie?» domandai incuriosito.
«Be’, il problema è proprio questo … non la vedo da quindici anni».
Mi distesi sul divanetto sgranando gli occhi, mentre vidi che Flavio si era allontanato dalla scrivania con la sedia quasi stizzito.
«E’ completamente impazzito?!» gridò ad un certo punto. Era davvero fuori di se. Le vene del collo si erano gonfiate e gli occhi erano iniettati di sangue. «Come pretende che ritroviamo una persona dopo quindici anni? Quando è stato l’ultimo contatto che ha avuto con sua moglie?».
«Quindici anni fa, gliel’ho appena detto. Non l’ho più rivista, ma nel frattempo sono successe tante cose. E’ più di un mese che nessuno la vede al lavoro e non risponde nemmeno al telefono!».
«E’ assurdo» continuò Flavio. «Per chi ci ha presi? Per perditempo? Non abbiamo …».
Ma l’uomo non gli fece finire la frase. Si gettò in ginocchio e con aria disperata e goffa cominciò ad urlare a più non posso.
«La prego detective! Lei è la mia ultima chance! Non può abbandonarmi!». Aveva le lacrime agli occhi e l’immagine dell’uomo perfettino e composto di pochi minuti prima sembrava ormai solo un ricordo lontano.
«Ok, ok, ma ora si alzi e non faccia tante storie. Dannazione, cosa mi tocca vedere».
Tentò di ricomporsi e mi fece un risolino che per pura educazione ricambiai.
«Cerchiamo di fare chiarezza» continuò Flavio accendendosi una sigaretta. «Lei non vede sua moglie da quindici anni ed ha avuto l’ultimo contatto con lei proprio quindici anni fa. Può scendere nei dettagli?».
«Certo» disse in aria sempre indecisa. «Il fatto è che mia moglie è stata davvero paziente con me, forse troppo. Il fatto è che …».
«Lei ha tradito sua moglie» interruppi.
«C- come lo sa?» domandò incredulo.
«Il segno della fede sul dito non è marcato, ma sbiadito, segno che la fede è tolta molte volte durante la settimana, forse anche durante il giorno. Ma sono passati quindici anni dall’ultimo rapporto con sua moglie, quindi direi che lei ha il costante vizio di … spendere dei soldi per donne, direi. Infine si guardi le maniche della camicia che le fuoriescono dalla giacchetta. Ci sono dei segni rossi, probabilmente di rossetto, lasciate da quella buontempona della sua ultima fiamma. Quand’è che ci è andato a letto? Ieri sera?».
«E’ … è stupefacente! Ora sono certo di aver fatto la scelta giusta! Lei ha ricostruito la mia serata di ieri solo guardandomi e  … ops …» si accorse di non essere proprio un esempio da seguire e quindi cadde in un altro momento di imbarazzo.
«Non c’è niente di cui imbarazzarsi. Se vuole che ritroviamo sua moglie, deve dirci tutto della sua vita, anche i particolari più … ehm … come dire … scabrosi».
Baselli annuì non molto convinto. Poi aggiunse:
«Voglio ritrovarla perché è l’amore della mia vita. E’ vero, ho il vizio delle belle donne, ma non la farei più soffrire e poi potrebbe essere in pericolo e …».
«Ok, basta così. Sono un detective, non un’agenzia di cuori affranti. Stia tranquillo. Ora mi dica tutte le informazioni su sua moglie».
«Questa è una sua foto detective Moggelli» fece porgendo una piccola fotografia che ritraeva una donna sulla quarantina, con lunghi capelli castani con meches bionde. Il color miele dei suoi capelli era affascinante e i suoi occhi da cerbiatto rafforzavano ancor di più questa qualità.
«E’ una bellissima donna» osservò Flavio.
«La ringrazio. Si chiama Arianna e il suo cognome da nubile è Draschi».
«Mi dica, attualmente sa qualcos’altro di sua moglie? Tipo dove lavora, oppure se ha relazioni in corso. Cose di questo genere insomma».
«Certo. Lavora a Udine, in uno studio legale, sa, lei è avvocatessa. Non ha relazioni con nessuno al momento. Lo so perché sento alcuni membri della sua famiglia che mi sono rimasti affezionati».
«Capisco. Va bene signor Baselli, vorrei dirle innanzitutto che può esistere la possibilità concreta di non trovarla».
«Non mi importa. Detective, non posso vivere con lo scrupolo di non essermi mai riproposto a lei. Devo essere perdonato e provare a ripartire con mia moglie».
«Lei è divorziato?» domandai.
«Ufficialmente».
«E allora perché porta la fede?».
«Be’, amo ancora mia moglie».
«Se la ama, perché va a pu …»
«Alex! Stai zitto un attimo, diamine!». Flavio sentenziò prima che potessi finire la frase. Sobbalzai.
«Perché? Stavo solo dicendo che se non la ama non dovrebbe andare a punti nella sua vita. Da quanto vedo e osservo sembra quasi consideri uno sport collezionare amanti. Cos’è? Una sorta di tiro a segno? Un biliardo erotico?
«La finisci di fare queste battute?» mi disse Flavio un po’ nervoso.
Intanto entrò Bianca. Pur spettinata era straordinaria.
«Alex, volevo farti vedere questi» disse mostrandomi i quaderni di Andrea.
«Perché?» domandai instabile.
«Tuo fratello mi ha chiesto di dirti se gentilmente potresti aiutarlo con un disegno che gli hanno dato da fare all’asilo».
«Ma ora non ho tempo. Ho un caso da risolvere».
«E battutacce da fare …» aggiunse Flavio continuando la ramanzina di pochi secondi prima.
«Che … che battute?» domandò Bianca.
«Battute a … lo sai no … a doppio senso».
«Alex!» disse colpendomi l’addome con il dorso della mano.
«Ahia! Che c’è?!».
«Fai battute a doppio senso, adesso?».
«E’considerato doppio senso paragonare il sesso al gioco del biliardo?».
«Alex!» disse ancora una volta lei e mi colpì più forte sempre sull’addome.
«Oppure al gioco delle freccette …».
«Ancora?! Pervertito!» affermò arrossendo.
«Non dico più niente perché altrimenti devo comprare un addome nuovo … ma tu sei diventata rossa però».
«E’ perché da queste cose preferisco tenermi alla larga … sono giovane».
«Già, già, dicono tutti così …».
«Che intendi dire?».
«Ehm … possiamo tornare al mio problema?» ci chiese educatamente Baselli.
«Ci scusi» rispondemmo tutti in coro.
«Comunque» continuò a parlare Flavio «non sarà facile signor Baselli. Trovare una persona è già di per sé un’impresa difficile. Se poi si aggiunge a questo che non la si vede da quindici anni, che è in un’altra città e che non è propriamente in pace con la persona che la cerca, le probabilità si riducono all’osso».
«Lo so. Ne sono cosciente, ma la prego di partire subito alla ricerca di mia moglie».
«Senz’altro. Accordiamoci per il viaggio e le spese e …».
«Non c’è nessun problema per quello detective Moggelli. Non dovete preoccuparvi per il viaggio. Pagherò per lei e per il suo amico» disse indicandomi.
«Non è mio amico, comunque …».
«E per il suo compenso» disse estraendo un assegno dal taschino interno della giacca «non deve preoccuparsi».
Flavio prese l’assegno e sgranò gli occhi. «Ventimila euro?! Ma sono una montagna di soldi!».
«E’ solo l’anticipo per il disturbo, detective. L’altro denaro lo riceverà a fine caso, comunque vada».
«Non so che dire. Ci vediamo domani allora. Andremo con la mia auto e arriveremo ad Udine».
«Ci vediamo domattina … alle nove diciamo?».
«E alle nove sia!» esclamò Flavio.

CAPITOLO II  – Il viaggio per il ritrovamento

La mattina dopo, il signor “e alle nove sia!” era praticamente a pezzi.
La sera prima c’erano stati i campionati giapponesi di golf fino a circa le tre del mattino e lui naturalmente aveva voluto seguirli tutti per intero. Poi aveva mangiato qualcosina, perché Flavio prima di andare a letto doveva  sempre mangiare qualcosina.
Così, mentre si era messo a letto si erano fatte le cinque passate. Gli occhi penzolavano e ballonzolavano a destra e a sinistra per tentare di scansare la calda luce dei raggi del sole che filtravano in casa.
«Un caffè forte» disse ripetutamente.
Fatto sta che partimmo con la Croma verso le dieci del mattino e arrivammo ad Udine alle tre del pomeriggio.
Nel viaggio mangiammo dei panini e Basetta si era praticamente snodato nel raccontarci tutta la sua vita. Aveva avuto un’infanzia bellissima, ma un’adolescenza difficile segnata da problemi con l’alcol. Si era sposato  appena ventenne con sua moglie praticamente bambina, di quindici anni. Poi aveva perso il lavoro ed erano nati i problemi. I soldi, sono il problema e la soluzione. Il problema quando non li hai, mentre diventano il contrario quando li possiedi.
«Non è stato sempre così» mi disse Baselli mentre mi complimentavo con lui per il suo Rolex d’oro. Aveva conosciuto anche lui lo spettro della povertà, quella cruda che ti costringe a rinchiuderti in casa e a farti male, sia psicologicamente che fisicamente. E poi se sei forte, rimani in piedi e sorridi, magari di meno, ma sorridi. Ma se vai giù e non sai rialzarti sei finito. Il mondo diventa una cella dalla quale vorresti evadere e che vorresti incendiare per intero, come un foglietto di carta.
Aveva fatto “migliaia di lavori”, parole sue, prima di trovare incarico come broker finanziario in una nota compagnia di Torino e guadagnare la bellezza di settemila euro al mese. Era felice, ma gli mancava la sua metà e aveva deciso, dopo scappatelle, figli illegittimi, contraccettivi usati coi piedi e altro, di essere serio, di diventare un uomo serio. Per quanto ci riguarda, avevamo lasciato Fabio a casa con Bianca e Andrea. Sia mio fratello che Bianca avevano insistito tanto per venire, ma Flavio non se l’era sentito di farli viaggiare per un caso all’apparenza così semplice.
«Siamo a Udine» disse Flavio parcheggiando la Croma davanti all’indirizzo che ci aveva dato Basella. Seguì un attimo di silenzio.
«Be’? Cosa sta aspettando?» chiese lo stesso Basella a Flavio.
«Forse una strategia da attuare? Mi lasci pensare».
«Ma a cosa?».
«Alla strategia da attuare, no? Non è che posso andare lì e dire “salve, sono un detective incaricato di sorvegliarle la vita!”».
«Fingiamoci clienti, no? In fondo è uno studio legale» affermai stirandomi.
«Inventa una storia allora, ma che sia credibile».
«Potremmo dire che sei mio padre e che siamo qui per un problema di truffa informatica ai miei danni».
«Truffa informatica?».
«Già, perché mi guardi con quella faccia strana?».
«Niente, è solo che trascuri un piccolo particolare».
«Sarebbe?».
«Io non capisco un tubo di computer e cose varie! La cosa che mi riesce meglio è aprire la posta elettronica e usare qualche social network!».
«E tu lascia parlare me. In fondo la truffa l’ho subìta io, no?» gli dissi facendogli gomito e occhiolino.
«Tu non stai affatto bene» mi disse accendendosi una sigaretta. «Mentalmente intendo» aggiunse.
«Per niente. Finalmente l’hai capito».
«Bene, il genio ha parlato. Signor Baselli, lei stia in macchina fino a nuovi aggiornamenti, chiaro?».
«Limpido» disse quest’ultimo.
Ci avviammo dunque lungo un sentiero di pietra molto particolare. A formarlo c’erano piccole pietre bianche che caratterizzavano a fondo quel posto. Non avevo mai visto il Friuli da così vicino.
Era davvero sorprendente come Udine fosse riuscita a mantenere, nonostante le grandissime diversità occorse nel tempo, una straordinaria individualità. L’aria frizzante della campagna accentuava ancora di più questa sorta di classicismo eterno.
Arrivammo dunque vicino ad una porta in mogano. Aveva una targhetta argentata sulla quale erano incise queste parole: “Studio Legale Ricci”.
Flavio tentò di suonare il campanello, ma una donna dall’altra parte della porta lo anticipò, sorprendendoci e spaventandoci.
«Ehm … cosa posso fare per voi?» chiese. Era una donna magra, secca, sulla sessantina certa. Aveva dei capelli color castagna raccolti in un pregevole chignon tenuto con un fermaglio con delle perle. Portava un paio di piccoli occhialetti e teneva in mano delle cartelline ordinatamente catalogate. Il suo fisico mi annunciò la sua attività preferita, la palestra. Nonostante l’età del tutto avanzata, teneva la schiena dritta e avevo notato nei movimenti e nella postura che l’attività fisica fosse ormai un elemento predominante della vita di quella donna. La sua faccia invece, anzi, l’espressione sulla sua faccia, non presagiva nulla di buono. La bocca era deformata in una smorfia di cruenta diffidenze e gli occhi sgranati, alla ricerca di un qualche appiglio.
«Ehm … ecco noi … volevamo sapere se per caso …» cominciò a farfugliare. Era in palese stato di difficoltà.
«Papà!» urlai «non siamo qui perché volevi denunciare quella truffa via internet? Quella dove ti chiedevano soldi collegando il tuo IP a quello di noti hacker».
«Eh … già, già. Hai proprio ragione, figliolo». Pronunciò “figliolo” come se avesse dovuto partorire due gemelli da un momento all’altro. Era quasi sofferente. Faceva così schifo essere mio padre?
«Ah bene» rispose a tono la donna. Era rasserenata in viso. Chissà, forse a primo impatto aveva pensato che fossimo dei malintenzionati. «Benissimo» disse scostandosi per farci entrare. Poi si sedette freneticamente alla sua scrivania, un bancone enorme ed ingombrante e cominciò a scrivere qualcosa al pc.
Dopo qualche minuto di silenzio, nei quali gli altri impiegati e segretari dello studio legale ci guardavano come se fossimo arrivati da un altro pianeta, la donna alzò le vispe pupille e ricominciò a parlare.
«Allora, vi metto con Crambi o Piolino?».
«Prego?» disse Flavio stranito.
«Preferisce l’avvocato Crambi o l’avvocatessa Piolino?».
«No, non ci siamo spiegati» interruppi «noi vorremmo Arianna Draschi. Ce l’ha raccomandata un nostro amico e volevamo vedere se …».
«Draschi ha detto?».
«Sì, proprio Draschi».
«Non mi pare che nelle nostre fila a Udine ci sia …, forse è fuori città, aspettate che controllo».
Dopo circa quindici minuti ritorno completamente sudata, quasi in preda a degli istinti omicidi e piena di polvere.
«No, mi dispiace» aveva un’aria così preoccupata che faceva venire da piangere «non abbiamo nessun Draschi in agenzia».
«Possibile? Controlli meglio» provò a dire Flavio, ma fu bloccato dallo sguardo della donna.
«Impossibile, ho già cercato in tutti gli archivi, anche quelli passati. Da quando esiste l’agenzia legale e cioè dal 1965, non abbiamo avuto nessun avvocato con quel nome».
Dopo aver ringraziato la donna, ce ne andammo via dallo studio legale con la testa abbassata. Il sentiero di pietre che prima sembrava pacifico, adesso era sprofondato giù nella delusione. Il caso si preannunciava molto più complicato di quanto si fosse presentato all’apparenza.
«Allora, l’avete trovata?» domandò goffamente Baselli quasi uscendo dalla macchina a causa della sua troppa foga.
«No. Una segretaria ha detto che non c’è mai stata nessuna Draschi in agenzia. E’ strano signor Baselli. Sicuro che l’agenzia sia proprio questa?».
«Al cento per cento, detective Moggelli».
«E allora come se lo spiega?» gli chiesi.
«Non me lo spiego».
«E nemmeno io».
Seguii un lungo momento di silenzio.
«Proviamo a cercarla sull’elenco» disse Flavio mentre guidava a vuoto. Deve esserci in un bar ad esempio, un elenco telefonico disponibile. Forse vive da sola».
«E se vivesse con qualcun altro?» Baselli già sudava freddo.
«Ma scusi» dissi io «ha detto che sua moglie non è impegnata».
«Ah … ehm … ha ragione … be’ intendevo che forse il telefono potrebbe essere intestato a qualcun altro, forse un’amica».
Che strano quel tizio. Non so perché, ma qualcosa mi diceva che non ci si poteva fidare di lui. Sarà per la sua faccia, per i suoi modi decisamente troppo frenetici, per la sua eccessiva emotività, ma ero sicuro davvero che nessuno avrebbe mai affidato suo figlio a quel tizio.

In definitiva: Flavio spulciò gli elenchi telefonici presenti in tredici bar, io domandai a circa una quarantina di passanti, mi feci la città in lungo e in largo a piedi e mi dannai l’anima per tentare di capire quale fosse la verità, ma non cavammo un ragno dal buco. Niente da fare, niente da dire. Arianna Draschi non si trovava da nessuna parte, sembrava svanita nel nulla. Per quanto riguarda Basella, lui continuava a sostenere di essere sicuro che sua moglie si trovasse a Udine. La domanda nacque spontanea:
«Ma la Draschi, esiste davvero?».

ANTICIPAZIONE EPISODIO 38: Casualità non definite destabilizzano l'ambiente. Ma sono davvero casualità? O forse sono solo biechi scopi da parte d persone senza scrupoli? ALEX FEDELE EPISODIO 38! GUERRA AL CLAN(2°Parte). Solo qui a partire dal 19/05/2012! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!





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