LA
REALTA’ DEI FATTI
Sigla di oggi: "Pensieri e parole" by Lucio Battisti
CAPITOLO
I – La mia garza
Le ferite fanno male e rimangono
sempre, ma meno male che esistono le garze, che quantomeno le tamponano e le
rendono meno visibili agli occhi altrui. La mia garza si chiama Bianca e in
quei giorni terribili che seguirono la tremenda rivelazione fattomi da mia
madre sul conto di mio padre, fu veramente molto efficace. Un problema però
rimaneva, ed era senza dubbio bello grosso. Non è mai facile parlare con le
persone di argomenti spinosi o scottanti e non è mai facile parlare con i
bambini, poiché a volte scopri che ne sanno infinitamente più di te sulla vita
in generale.
Mio fratello Andrea giocava con
le sue action figures sul tappeto della sua cameretta. Avete presente quei personaggi di gomma che
esistevano anche quando eravamo piccoli? Sì, quelli brutti e storti che però di
fronte agli occhi di un bambino diventano i più belli del mondo.
La cameretta di Andrea era
accarezzata dai dolci riflessi dell’ultimo sole quotidiano. Eravamo quasi al
tramonto e gli sprazzi rossastri di atmosfera cittadina si rispecchiavano nei
pavimenti e sui volti di noi, ignari protagonisti di quel dilemma chiamato
vita.
«Stai giocando fratellino?».
«Sì» mi rispose con tutta la
calma del mondo. Il viso candido si voltò verso di me, dandomi quasi
soggezione. Dovevo parlarne con Andrea, ma non sapevo né come l’avrebbe presa,
né come avrei potuto prendere io una sua eventuale reazione negativa.
«Posso giocare anch’io?» gli
chiesi con dolcezza.
Rimase attonito, poi in tono
quasi ironico mi chiese: «Ti senti bene? Di solito sei preso dai casi. Come mai
vuoi giocare ai personaggi?».
«Be’» iniziai un po’ in colpa «un
fratello maggiore deve fare anche questo no? Oppure esistono solo crimini e
cose varie?».
Non rispose, porse lo sguardo
verso il basso e continuò a fissare i suoi eroi, quei personaggi di cartoni
animati che tanto ammirava in televisione e che tanto avrebbe voluto stringere
tra le sue piccole braccia.
Rimasi un po’ a giocare con lui,
tempo di qualche secondo. Finsi di divertirmi, ma in realtà non mi fu
difficile. Il fatto è che io mi stavo divertendo davvero. Per qualche secondo
ero incredibilmente tornato bambino. La mia mente mirava al gioco, i miei occhi
si meravigliavano della fantasia che risiedeva nel mio cervello, la mia bocca
si rimuoveva ritmicamente per far sì che i suoni da me simulati si fondessero
perfettamente con quelli di mio fratello. Ma si diventa grandi, anche se questa
cosa può durare dieci secondi.
«Ti devo dire una cosa
fratellino» iniziai prendendo un respiro enorme.
«Che cosa c’è?».
«Ecco, vorrei che tu posassi per
un attimo i giocattoli e mi ascoltassi con estrema attenzione. Non è facile ciò
che devo dirti».
Andrea ubbidì. Mi guardò fisso
negli occhi, quasi come a domandarmi con lo sguardo quale fosse la vera
motivazione per la quale gli avevo chiesto di ascoltarmi così attentamente.
«Ricordi quando mamma ti disse
che papà era morto per un incidente stradale?».
«Sì».
«In realtà …la verità è un'altra
… ».
«E qual è? Papà è vivo?».
Mi commossi, lo ammetto. Non
avrei mai voluto dirlo, ma mi commossi. Gli occhi di Andrea erano estremamente
interessati a ciò che dicevo e probabilmente aveva compreso, nonostante avesse
solo cinque anni, dove volessi arrivare. Sapeva cioè, che qualcosa era cambiato
e che nessuno, nemmeno il detective più bravo del mondo, avrebbe potuto
cambiare questo apparente dogma.
«No» dissi frenandomi. Un’altra
parola e sarei scoppiato in lacrime. Lo so, io ero quello che le lacrime non le
sopportava, il ragazzo di ghiaccio, il diciottenne senza lacrime, chiamatemi
come più volete, ma fatto sta che quella sera ebbi una strana sensazione. Lo
stomaco reagiva in un tutt’uno con il corpo e lanciava una sorta di colpo a
tradimento, quasi per attivare le lacrime. Mi fu difficile non versare nemmeno
una lacrima di fronte a quelle frasi.
«No, purtroppo no» continuai.
«Papà, non sta in cielo per un incidente stradale. In realtà se n’è andato
perché delle persone cattive gli hanno fatto del male».
Rimanemmo per circa un minuto
zitti. Il silenzio era assordante, decisamente fastidioso anche per il cuore della
persona più crudele del mondo.
«Quindi papà è in cielo per colpa
loro?» riuscì a dire con voce candida e soave.
«Esattamente. Come va?» chiesi
quasi d’impulso.
«Bene fratellone» affermò
sorridendo. Mi spiazzò.
«Non sei dispiaciuto?» gli chiesi
prendendogli il visino tra le mani.
«Sono un po’ arrabbiato con
quelle persone cattive, e vorrei che papà fosse ancora qui, ma so che adesso è
in cielo e ci protegge. Protegge anche Stefano che sta in America. E protegge
anche la mamma che mangia sushi» concluse candidamente.
Feci un risolino. Mi alzai e
baciai sulla fronte mio fratello. Spesso i piccoli sono più saggi dei grandi.
Mio fratello, di soli cinque anni aveva praticamente insegnato a me come si
affrontavano le difficoltà della vita. Andrea era così. Possedeva un carattere
incredibilmente incisivo e coriaceo, considerando l’età. Aveva scelto di vivere
con me a Torino, anziché decidere di andare in Giappone o negli USA. Aveva
deciso di affrontare un’esistenza dove si sarebbe trovato a contatto con situazioni
spiacevoli e persone col broncio. Ma l’aveva deciso lui, da solo, senza che
nessun membro della famiglia gli dicesse nulla. Ed è per questo che ammiravo
mio fratello. Già, ammiravo un bambino di soli cinque anni. Un bambino che
aveva preso bene una notizia che probabilmente avrebbe colto di sorpresa
chiunque al mondo.
Passeggiavo per la casa, quando
vidi la porta dello studio di Flavio socchiusa. Entrai salutando in modo
vigoroso, come mio solito, ma l’ambiente incredibilmente freddo mi zittì in un
fremito di emozioni negative.
«Giusto in tempo» mi disse Bianca
«papà stava giusto per mandarti a chiamare. C’è un caso».
«Lo vedo».
Una donna sulla settantina era
seduta di fronte a Flavio. Il tempo non era stato generoso con lei. A
settant’anni si è ancora relativamente giovane, ma la signora aveva le tempie
imbiancate in modo pesante. Tempie che hanno solo ed esclusivamente le persone
che nella vita di tutti i giorni soffrono, combattono, cadono e si rialzano in
modo veemente e costante.
«Alex, questa è la signora
Lampanti. Ha un caso da sottoporci».
«Molto piacere» mi presentai
stringendole la mano. L’agitazione era ben visibile in ogni gesto della
signora. Le mani tremavano, erano fredde, gelide. Gli occhi apparivano
appassiti, come il più bello dei fiori ormai sfumato.
«Ci racconti tutto signora
Lampanti» disse Flavio con aria estremamente professionale.
La signora si schiarì la voce e
cominciò timidamente a parlare. «Sono venuta qui, detective Moggelli, perché ho
bisogno della sua grande esperienza e della sua immensa capacità deduttiva».
Ma stava parlando di Flavio?
«Sono a sua completa disposizione
signora».
«Mio marito è morto ieri sera»
disse con il pianto in gola.
«Oh …mi dispiace molto,
condoglianze vivissime» la consolò Flavio con aria avvilita.
«La polizia dice che si è
suicidato, ma io non ci credo! Mio marito era una persona piena di gioia, di
voglia di vivere. Ci amavamo all’inverosimile … no, non posso credere che si
sia tolto la vita!».
Seguì un attimo di silenzio. La
donna estrasse dalla piccola borsetta rosso carminio, un fazzoletto di stoffa
ricamato con delle lettere dorate. Si leggevano chiaramente una “D” ed una “L”,
con delle rose che abbracciavano entrambe le lettere.
«Questo è un fazzoletto che mi ha
regalato quando eravamo poco più che due ragazzini» disse con aria malinconica.
«Ogni volta che piango, questo piccolo pezzo di stoffa riesce a farmi
sorridere». In effetti era così. Un triste sorriso si dipinse sul suo viso,
quasi a dare sollievo all’aria corrucciata e preoccupata di qualche secondo
prima.
«So che le chiedo molto. Andare
contro il parere della polizia è davvero tremendo. Ma ci terrei particolarmente
ad avere un suo parere. La prego signor Moggelli, se lei mi dice che la polizia
ha ragione, me ne farò una ragione, ma per il momento … non posso credere che
mio marito se ne sia andato in questo modo».
Flavio allungò le gambe sotto il
tavolino da studio. Controllò varie volte la lucentezza del posacenere e si
specchiò in esso.
«Accetto signora. Ma l’avverto.
Se le mie indagini confermeranno quanto detto dalla polizia, dovrà
rassegnarsi».
La donna si asciugò le lacrime
che le erano rimaste sul viso. Forse è solo una mio punto fisso, ma credo una
cosa, e cioè che le lacrime di un anziano siano le più preziose al mondo,
insieme forse a quelle dei giovanissimi. Il fatto è che quando piange un
anziano, piange per motivi davvero importanti, motivi che possono cambiare la
sua esistenza. Inoltre, il pianto arriva da una persona che ha vissuto per un
tempo considerevole e che ha passato veramente di tutto.
CAPITOLO
II – Vecchio amore, giovani sentimenti
All’entrata del condominio di via
Principe Amedeo, io,Flavio e Bianca eravamo abbastanza perplessi. Ci eravamo
incamminati da soli, e ci ritrovavamo in un angusta abitazione, priva di ogni
luce solare. Pochi, pochissimi raggi, filtrando dalle tapparelle abbassate,
conferivano un senso di vissuto alle stanze della casa.
«Come mai tutte le tapparelle
sono abbassate?» domando Bianca curiosa.
«Mio marito aveva dei problemi
alla pelle e per questo passava le giornate al buio».
«Capisco».
Aprimmo le finestre, facendo
filtrare rapidamente quel poco di vita esterna che riusciva quantomeno a schiarire
la triste circostanza nella quale ci eravamo ritrovati.
Il sole rivelò ciò che nessuno di
noi voleva vedere. Il corpo di un uomo, della stessa età della signora
Lampanti, giaceva esanime appeso ad una corda, legata a sua volta ad un
pesantissimo e antichissimo lampadario. Credetemi, quell’affare avrebbe potuto
sorreggere il peso di mezzo Yemen.
L’uomo era sospeso inerme,
vestito con abiti eleganti. Aveva un doppiopetto gessato ed una cravatta
fucsia. Sembrava pronto per una cena di gala. Il volto era contorto nella sua
ultima espressione di dolore, le labbra livide.
«Il corpo è freddo» disse Flavio
toccando le mani della vittima. «Il decesso risale almeno a 24 ore fa».
«Esatto. E’ ciò che ha detto la
polizia qualche ora fa detective».
«Lei ha qualche idea di chi possa
essere stato?».
«Come?».
«Ma sì, signora!» affermò Flavio
quasi spazientito. «Se lei sostiene che suo marito sia stato ucciso, deve anche
aver in mente chi avrebbe potuto farlo, no?»
«Oh,certo, che distratta» disse aggiustandosi
la borsa. «Ci sono solo due persone, per quanto ne so io, che avrebbero potuto
avercela con mio marito».
«Ovvero?» incitai
«Be’ … non so se posso dirtelo
ragazzino».
«Signora» cominciò adirato Flavio
«ci ha chiamati dopo che la polizia aveva già stabilito un referto. Ci ha
chiesto di indagare ed ora lo stiamo facendo, ma se non ci fornisce il maggior
numero di informazioni, non potremo mai e poi mai scoprire chi ha ragione, sono
stato chiaro?».
«Va bene … mi spiace detective»
la donna abbassò lo sguardo in modo graduale.
«Non faccia così signora, basta
che collabori con noi per andare d’accordo».
«Il fatto è che da quando se n’è
andato Nicola, mio marito … be’ … io … non riesco più a ragionare con lucidità»
disse socchiudendo gli occhi. «Il fatto è che eravamo sposati da cinquant’anni
… non è facile svegliarti una mattina e capire che la persone che hai amato per
anni non c’è più» e così terminando, finì in lacrime. Lacrime copiose che
Flavio tentò di attenuare offrendo un fazzoletto alla signora, che prontamente
rifiutava, prendendo tra le mani il solito strausato fazzoletto regalatole dal
marito. Voleva raccogliere lì tutte le sue lacrime, come a voler dimostrare
alla vittima quanto tenesse a lui, quanto le sue lacrime per lui fossero
preziose.
«Ehm … adesso non pianga signora
… ci dica chi sono i sospetti» disse Flavio leggermente imbarazzato.
«Oh sì … » acconsentì prontamente
la Lampanti. Aveva ancora le lacrime agli occhi, ma continuò comunque a
parlare. Più la osservavo e più capivo che la donna era davvero sicura di ciò
che diceva. Mai nessun passo indietro, nessuna incertezza. Voleva assolutamente
andare fino in fondo. Che carattere, che tenacia, che donna.
«Come dicevo» riprese a parlare la
donna «solo due persone potevano avercela con mio marito. Marcus Beroni e
Ludovico Mastiani».
Io e Flavio rimanemmo in
silenzio. Quei nomi non c dicevano nulla, mentre Bianca si limitò a chiedere
chi fosse.
«Ludovico è il superiore di
lavoro di mio marito, mentre Marcus è un suo amico intimo. Si conoscono da
anni, figuriamoci che quando ieri ha saputo la notizia della morte di Nicola,
si è rattristato a tal punto di piangere. Lui e mio marito erano molto legati,
litigavano solo quando Marcus gli rimproverava di essere troppo fragile di
carattere».
«Dove lavorava suo marito?»
chiese Flavio osservando ancora il cadavere.
«Mio marito lavorava presso un
ufficio contabile. Sa com’è, dopo la pensione voleva racimolare qualche soldino
e così tre giorni alla settimana si recava in quegli uffici».
«Capisco. Ora signora, dovrebbe chiedere
ai due sospettati di venire qui».
«Nessun problema, li adesco con
un trucco» disse in modo birbante.
Hai capito la nonnetta.
Fatti arrivare i sospettati in
casa, la signora Lampanti li fece accomodare in modo abbastanza ospitale,
presentandoci solo successivamente.
«Un detective?» domandò agitato
un uomo dalla capigliatura bianca e rasata. Aveva all’incirca la stessa età
della vittima ed un volto piegato dai segni inevitabili degli anni. Il fisico
era scheletrico, magrissimo, quasi invisibile.
«Già, ho deciso di far chiarezza
su questo caso e … » ma la donna venne interrotta. A prender la parola, un uomo
di circa quarant’anni. Era stempiato e aveva un paio di occhiali decisamente
stravaganti. Il completo da lui indossato, che gli conferiva un aspetto
importante, era portato con veemenza e presunzione di chi sa di occupare un
ruolo carico di responsabilità.
«Signora Lampanti! Mi ha fatto
arrivare qui dal lavoro apposta perché voleva comunicarmi un particolare della
morte di suo marito, non pretenderà che mi sottoponga ad un interrogatorio, non
è vero?». L’uomo, dalla corporatura possente e dalle grosse braccia, aveva
assunto un’aria arrogante e decisamente poco incline al ragionamento.
«Stia calmo signore» lo placò
Flavio. «Iniziamo con le presentazioni».
«Ma non iniziamo proprio con
niente!» continuò con violenza l’uomo. «Io chiamo la polizia e vi faccio
arrestare!».
«Ah davvero?» intervenni. «Lo sa che
se la polizia viene a conoscenza del fatto che lei si rifiuta di sottoporsi a
qualche domandina sul caso la vede come principale sospettato?».
«E tu chi sei ragazzino?».
«Mi chiamo Alex Fedele. E sono un
detective incaricato del caso».
«Sei troppo giovane per … Non
sarai mica uno di quel progetto ministeriale …?».
«Esattamente. E ora mi scusi, ma
non abbiamo tempo da perdere».
«Signori» iniziò Flavio «finirà
tutto in fretta. Basta che mi diciate cosa stavate facendo all’ora del decesso
della vittima, che secondo la polizia e la circostanza, risale intorno a
ventiquattro ore fa e cioè verso le quattro del pomeriggio di ieri.
Naturalmente non dimenticate di presentarvi».
«Io ero a casa mia, a vedere la
televisione» rispose l’uomo con le tempie imbiancate. «Ah, mi chiamo Marcus
Beroni».
«Bene signor Beroni, c’è qualcuno
che possa confermare il suo alibi?».
«Purtroppo no. Mia moglie è morta
da circa dieci anni e io vivo da solo».
«Capisco. E per quanto riguarda
lei signore?».
«Mi chiamo Ludovico Mastiani. Ieri
era il mio giorno libero, ok? Ero andato a Pavia, ad una pista libera».
«E perché?».
«Uff … ho comprato una nuova moto
e volevo provarla in modo libero e privato. Siccome a Pavia c’è anche Chignola,
ho deciso di andar lì a fare un giro, è forse reato?» disse nervoso.
«No, non è reato» disse Flavio a
muso pacato. Poi continuò « Ascolti signor Mastiani, ha un alibi? C’è qualcuno
che possa confermare?».
«No, purtroppo no».
«Mi scusi» interruppi «Quando si
entra alle piste, c’è sempre un qualcosa da registrare no? E’ la regola, o
sbaglio?».
«Sbagli ragazzino, quella dove
sono andato io, è una pista libera, dove si può andare con permesso del comune
di Pavia».
Che sfortuna. Avevamo un modo per
verificare se il suo alibi fosse attendibile e invece nulla.
Mentre Flavio parlava con i
sospettati e cercava di sedare eventuali discussioni premature, mi guardai intorno.
Bianca era rimasta in silenzio tutto il tempo, con lo sguardo fisso sulle scene
alle quali stava assistendo.
«Ehi» le dissi toccandole la
spalla. Non ne sono completamente sicuro, ma credo che per qualche secondo
arrossì.
«Ehi» rispose a tono.
«Come mai non dici niente?»
domandai.
«Non si deve per forza dire
qualcosa» affermò filosoficamente rimanendo seduta sul divano.
Mi sedetti accanto a lei e presi
fiato. «Comunque, volevo solo ringraziarti per il supporto che mi hai dato
sulla questione di mia madre … non lo dimenticherò».
Si voltò guardandomi con un’aria
perplessa, poi scoppiò a ridere.
«Cosa c’è? Ho scritto “giocondo”
in faccia?».
«No, no» continuò ansimando tra
le risate «è che sei buffo quando cerchi di fare il sentimentale».
Rimasi perplesso scucendo un
piccolo sorriso.
«Io … faccio cosa?».
«Ma sì! Il sentimentale no? Con
quella faccia tutta seria, quelle folte sopracciglia corrucciate … sembri un
comico però … » disse ridendo.
«Ti ringrazio, molto gentile»
affermai con sarcasmo.
«Dai, veramente … ».
Ma non l’ascoltavo più. Stavo
guardando la vittima, quando ad un tratto notai una cosa. Verso la parte destra
della stanza e quindi alla sinistra del corpo, era depositata la sedia con la
quale la vittima si era arrampicata e poi tolta la vita.
Ma c’era qualcosa che non andava.
La sedia aveva assunto una posizione del tutto innaturale. No, adesso ne ero
certo, non era stato un suicidio. Guardai la signora Lampanti e pensai a quanto
avesse maledettamente ragione.
Già, aveva ragione diamine. La
sedia era con lo schienale rivolto verso la stessa direzione del corpo sospeso
della vittima. Cioè era depositata a terra in modo che lo schienale volgesse
verso sinistra, e cioè verso il corpo, e le gambe verso destra. Ma non poteva
assolutamente essere. Non esisteva. La posizione era del tutto innaturale.
«Non te la sarai mica presa?» mi
chiese Bianca facendomi rinvenire dal mio stato di profondo pensiero.
«Eh?» domandai stupito. Era come
se venissi da un profondo shock interno.
«Non te la sarai mica presa?
Scherzavo … ».
«Chi io? Macché. Pensavo a
tutt’altra cosa».
«Qualcosa che ha a che fare con
il caso, scommetto».
«Hai indovinato».
In quel momento Bianca vide Alex
allontanarsi da lei. Il ragazzo aveva il corpo che protraeva in modo deciso
verso la scena del crimine. «Ah, se solo non fossi così assorto dai casi … »
pensò Bianca. Già, chissà cosa sarebbe avvenuto. Ma probabilmente se così fosse
stato, i due ragazzi non si sarebbero mai conosciuti. La ragazza quindi, per
distogliersi da pensieri un po’ troppo malinconici, chiese alla signora
Lampanti il permesso di accendere la televisione.
«Flavio, forse ho capito come …
».
Mi guardò male e mi mandò a quel
paese. Brutta cosa lo stress.
«Senti, ma io ho capito davvero
come … ».
«Alex» disse voltandosi in modo
apparentemente gentile.
«Sì?».
«Dì un’altra parola sul caso e
vedrai come le mie mani possono essere pesanti … è chiaro?».
«Ehm … è una minaccia?».
«Più un preavviso direi».
«Ok» dissi allontanandomi con
aria sorpresa. Mi soffermai parecchio a guardare di nuovo il cadavere. Era
davvero vestito bene. Un abbigliamento di certo non casual. Molto, molto fine e
raffinato. Allo stesso tempo sobrio. Sembrava avesse intenzione di andare ad un
appuntamento. Guardai nel vuoto, fino a che i miei occhi non si illuminarono di
nuovo. Ma certo! Ora sapevo chi era stato ad uccidere il signor Lampanti!
Mi avvicinai di nuovo a Bianca e
presi posto di nuovo accanto a lei, sul divanetto
«Cosa guardi?» le domandai
candidamente.
«Tra poco va in onda la
milleduecentesima puntata di “Amore o non amore?”».
«E … che roba è?».
«Ma come?! E’ l’ultima telenovela
creata dalla nota sceneggiatrice Maria Martelli».
«Deve essere una martellata al
cuore per quanto è pesante e … » tentai di ironizzare, ma venni bloccato dallo
sguardo crudo e diffidente di Bianca.
«Volevo dire» dissi schiarendomi
la voce senza nascondere un mezzo sorrisino di ironia «che può essere molto
interessante».
«Già, sono certa che volevi
dirlo, non è vero?».
«Verissimo».
Ad interrompere i nostri sguardi
venne una sorta di segno divino, un fulmine a ciel sereno sottoforma di
indizio, anzi, sottoforma di giornalista. Dalla tv, partì la sigla di un
telegiornale. Una edizione straordinaria.
«Che pizza! Io volevo vedere la
telenovela e … ».
«Aspetta, fammi sentire».
L’annunciatore del tg, Dario
Perelini, annunciò in modo drammatico: «Allarme maltempo nel nord Italia. I
sindaci hanno stabilito due giorni fa di comune accordo di chiudere gli accessi
ai posti pubblici e pare che la decisione debba continuare ad essere
permanente. In particolare l’allarme maltempo sarebbe nelle città di Torino,
Cuneo, Milano, Bergamo, Pavia, Padova e Verona».
Mi rialzai di scatto. Ora era
tutto completamente chiaro! Sapevo chi era stato ad ucciderlo, il modo in cui
l’aveva fatto e avevo anche le prove.
CAPITOLO
III – E’ finita!
Mi diressi verso Flavio ancora
arrabbiato e pensieroso. Non gli rivolsi parola. Andai quindi dalla signora.
«Signora Lampanti, le dico una
cosa, però deve promettermi di stare calma, ok?».
«Più calma di un albero,
ragazzino» affermò accennando ad un triste sorriso.
«Ok. Aveva ragione lei. Suo
marito è stato ucciso, non si è trattato di suicidio» bisbigliai. La calma è la
virtù dei forti, ma non degli anziani a quanto mi pare. La donna urlò talmente
forte che probabilmente era stata udita anche in Emilia Romagna.
«Cosa? Hai scoperto
l’assassino?!».
Provai ad avvisarla di non
urlare, ma in breve tutti gli occhi dei presenti erano su di me. Fui
inevitabilmente costretto ad anticipare così la triste ma unica verità.
«Ti ho detto di smettere di
inventarti prove Alex!» urlò Flavio.
«Insomma, piantala!» reagii in
modo veemente. «Ho le prove di tutto ciò che è successo, in modo dettagliato e
oculato. Ormai per l’assassino non c’è più scampo … quindi le consiglio di
confessare signor Mastiani!».
«Cosa?» esclamò quest’ultimo.
Aveva la faccia gonfia e gli occhi arrossati. La sua bocca si contorceva in una
patetica espressione di disappunto.
«Non faccia il finto tonto e
confessi … oppure preferisce essere smentito con delle prove?».
«Io non confesso un bel niente!
Non hai nessuna prova contro di me, pseudo detective!».
«Ah davvero? Be’, lasciate che vi
spieghi come sono andati realmente i fatti» dissi distendendomi sul divano.
Bianca si era alzata fin da quando aveva udito l’urlo della signora e se ne
stava a guardarmi in modo imperterrito e decisamente interessato.
«Ed ora cosa fai? Ti metti
comodo? Dico, vuoi un caffè? Gradisci un aperitivo?» mi rimproverò Flavio.
«Certo. E’ faticoso condannare i
cattivi» dissi sprezzante. «Ad ogni modo» continuai guardando fuori dalla
finestra dalla mia postazione«caro signor Mastiani, la prima cosa che non mi ha
convinto è stata la posizione della sedia. Se un uomo decide di suicidarsi la
sedia cade a terra sempre con lo schienale rivolto al senso opposto del corpo
della vittima. Osservate adesso invece» dissi indicando la sedia rivolta con lo
schienale nel senso del corpo «vedete?» continuai. «La posizione della sedia è
innaturale e non è possibile che sia finita lì per spinta del signor Lampanti.
Ergo, che il suicidio tanto millantato, in realtà è una grossa bufala».
Mi alzai dal divano con lo
sguardo di tutti addosso. «Inoltre, avete notato com’è vestito la vittima?».
«E’… in giacca e cravatta» riuscì
a dire timidamente Bianca.
«Già. In giacca e cravatta. Vi
pare che uno che debba togliersi la vita si metta giacca e cravatta? Non so
voi, ma per quanto mi riguarda non sarebbe certo alla moda che penserei in
queste circostanze».
«Be’, è corretto» disse Flavio.
«Ma allora come mai l’uomo è vestito in quel modo? Deve esserci un motivo!».
«Certo che c’è. Prova a
ragionare. Tu di solito ti vesti sempre in giacca e camicia, ma in quali
circostanze ti vestiresti più elegante del solito? Su … non è molto difficile …
».
Flavio assunse un’aria
pensierosa. Stava riflettendoci sopra, quando cercai di incentivare il suo
intuito.
«Pensaci bene … tu andresti mai
ad un appuntamento con una donna in condizioni disastrate? Cioè … in modo
trasandato?».
«Be’ effettivamente no … ma se è
per questo non ci andrei nemmeno se dovessi incontrarmi con un … non ci andrei
nemmeno se … adesso è tutto chiaro! Lampante direi! Perdonate il mio sciocco
gioco di parole! Il signor Lampanti è stato avvisato dal signor Mastiani del
fatto che avrebbero sostenuto un colloquio di lavoro. Per questo, la vittima si
è vestita bene in attesa del suo capo!».
«Esattamente» affermai convinto.
«E … signor Beroni, perché litigava sempre col suo migliore amico?»
«Era troppo debole di carattere e
a volte discutevamo di questo».
«Già … troppo debole. L’assassino
deve essere venuto qui e deve aver portato qualche alimento con qualche
sonnifero. Di solito quando si va ospiti in casa di una persona che non ci è
propriamente amica per la pelle, si porta sempre un piccolo dono. Scommetto che
il signor Mastiani ha portato qualcosa di commestibile, qualcosa che si potesse
mangiare o bere e quindi ha messo il sonnifero nella parte della vittima.
Essendo un suo superiore, aveva una certa influenza su di lui e sommando questo
fatto alla questione della debolezza di carattere … be’ … possiamo dire che la
vittima è stata convinta dal suo assassino ad assumere del sonnifero!».
«Sono solo supposizioni!» urlò
Mastiani.
«Ah davvero? E mi dica … dove ha
portato la confezione che riponeva il cibo? Scommettiamo che l’ha portata via
di qui e gettata a casa sua? Non voleva destare sospetti, ma sono certo che se
verrà fatta un’autopsia alla vittima, scoprendo così cosa ha mangiato e verrà
esaminata la sua spazzatura, troveremo sicuramente dei punti in comune. Voglio
dire … se si trattasse di caffè, troveremmo i bicchieri, se invece fossero dei
dolci da confezione, troveremo la carta che li avvolgeva nell’abitazione del
signor Mastiani. Mi pare che lei sia un uomo molto impegnato dal punto di vista
lavorativo e non vedo fede al suo dito … ne posso dedurre che può benissimo
abitare da solo. Infine, essendo pieno di lavoro, sicuramente la sua casa non
sarà perfettamente in ordine e non svuoterà i cestini tutti i giorni … o
sbaglio?».
«Lei non può assolutamente dire …
» provò a contestare, ma in cuor suo già sapeva cosa lo attendeva.
«L’unica persona che può aver
sollevato la vittima ad alcuni metri dal suolo … è lei. Il signor Beroni è
troppo gracile fisicamente e la sua età non l’avrebbe di certo aiutato. Ma lei,
mi perdoni, è fisicamente possente e imponente. Sollevare un uomo che pesava
almeno venti chili in meno di lei, non sarà stato un problema … allora, vuole
confessare oppure devo continuare ad elencarle le prove che la inchiodano?».
Erano tutti esterrefatti. La
gente mi fissava in un modo quasi cleptomane, come se volessero carpirmi
qualche altra informazione.
«Dovevo immaginarlo … dovevo
immaginarlo che prima o poi non l’avrei fatta franca». L’uomo si gettò a terra
slacciandosi la cravatta in modo rapido e serio.
«Quindi è stato lei?» domandò
Beroni.
«Sì … lo confesso. Lampanti mi
aveva proposto tempo fa un investimento per villaggi turistici in Cambogia, ma
non ero favorevole. Così aveva minacciato di rilevare il mio segreto agli altri
dipendenti. Ora lo posso anche dire … ho un passato da criminale … quand’ero
ragazzo rubavo auto per conto di un boss mafioso».
«Magari si fosse limitato solo
alle auto» gli dissi.
«Lo so ragazzo» acconsentì con
gli occhi lucidi. «Ma non potevo permettergli di farmi questo. Non potevo,
capisci?».
La polizia fu avvisata e nel giro
di pochissimo tempo, alcuni agenti vennero nel condominio di Via Principe
Amedeo per prelevare il colpevole. Alcuni giorni dopo, gli agenti incaricati di
risolvere il caso furono sgridati da Ducato e chi li conosce sa che non faranno
mai più un errore del genere. Confondere un suicidio con un omicidio è quasi
peccato mortale.
Quando tutti se ne andarono e
Flavio aveva già imboccato le scale del condominio, la signora Lampanti,
rimasta in silenzio per tutto il tempo, mi trattenne per il braccio impedendomi
di andar via.
«Ehi … che cosa c’è signora?».
«Senti ragazzo. Ti volevo
ringraziare per aver risolto il caso» mi disse con gli occhi lucidi «sei stato
molto bravo!» Era sul punto di commuoversi e cercai di fermarla prima di
commuovermi anch’io.
«La ringrazio, ma non deve
assolutamente fare così! Ho fatto solo il mio lavoro» le dissi spiccicandole un
sorriso e carezzandole le spalle.
«Lo so,ma ci tenevo a darti una
cosa» sussurrò mettendosi una mano nella borsa.
«Di che si tratta? ».
Mi porse il suo fazzoletto,
quello ricamato usato solo per
raccogliere le sue lacrime, quello che le aveva regalato il suo amato marito in
gioventù. Non mi guardava più negli occhi, aveva paura di scoppiare in lacrime
e ammetto che ebbi una strana sensazione allo stomaco anche io.
«Io non posso proprio … ».
«No, tu devi!» disse alzando il
tono della voce.
«Signora, è … un dono del suo
povero marito … io non lo merito e …».
«Ascoltami ragazzo. Hai dato
sollievo al cuore di una povera anziana. Hai dato pace all’anima di una povera
vittima. Questo fazzoletto è tuo … facciamo così … se il destino vorrà, un
giorno me lo ridarai, quando ci rincontreremo … d’accordo?».
«E lei come fa a sapere che ci rincontreremo?».
«Intuito, mio piccolo detective,
intuito» disse smorzando un sorriso.
Presi il fazzoletto come se
maneggiassi un cristallo e rimasi a guardarlo per un po’ tempo. Furono secondi
pesanti, interminabili, nei quali il silenzio dettava i tempi.
«Grazie signora Lampanti. Faccia
conto che lo conservi lei».
«Sono certa che saprai usarlo. In
quel fazzoletto è racchiuso l’amore di cinquant’anni di matrimonio». Guardai
Bianca e lei fece lo stesso con me. Arrossii, mentre lei rise maliziosamente.
Erano passati tre giorni dal caso
della Lampanti e me ne stavo nell’ufficio di Flavio, mentre rimiravo ancora il
fazzoletto datomi in dono. Era davvero bellissimo. Le ricamature erano
curatissime e la seta era di primissima qualità. Mi piaceva tenerlo in mano, ma
non tanto per quanto fosse piacevole, quanto per cosa aveva significato per anni
per due persone che si amavano. Ero fiero anche solo di poterne assaporare l’essenza.
Mi alzai e me lo misi in tasca.
Presi il mio cellulare dalla scrivania di Flavio. L’avevo poggiato lì, mentre
guardavo la tv.
Urtai una cartellina di colore
rosa e la feci cadere. Era a spirale.
«Accidenti» esclamai ad alta
voce. Quando tocchi qualcosa nell’ufficio di Flavio, se ne accorge subito. Una
volta aveva persino notato la mancanza di un post-it che mio fratello aveva
preso in prestito perché credeva fossero dei mini cartoncini per disegnarci
sopra.
Era entrato sbraitando «Dov’è il
mio post-it?!» e da allora facevo molta più attenzione. Centinaia di foglietti
colorati uscirono fuori da quella famigerata cartellina.
Foglietti colorati ed un piccolo
ritaglio di giornale striminzito. Era piccolo e accartocciato, consumato e
maltrattato e sembrava dover avere molti
anni, ma a prima vista giurai si trattasse di un quotidiano. Lo aprii con
estrema cura. Un movimento brusco avrebbe potuto romperlo del tutto.
Cominciai a leggere ad alta voce.
«”TRAGEDIA IN PIEMONTE. MORTA
MOGLIE DI ISPETTORE POLIZIA. L’ispettore di polizia di Torino Flavio Moggelli ha
avuto una spiacevolissima sorpresa quando,
nel tardo pomeriggio di ieri, ha ricevuto sul cellulare la chiamata del
118 della città piemontese. Il dramma si era già parzialmente consumato. Sua
moglie Giulia era stata assalita a colpi di arma da fuoco da due uomini
incappucciati. L’agguato sarebbe stato messo in atto all’esterno della Banca
Cavour. La donna, uscita dal’edificio, sarebbe stata colpita da ben quattro
colpi di pistola. La vittima è stata subito portata in ospedale dove le sue condizioni sono apparse fin da
subito del tutto disperate. I medici hanno provato un’operazione dell’ultimo
minuto, ma purtroppo non c’è stato nulla
da fare. La donna è deceduta per emorragie interne alle 20:21. Si sospetta un coinvolgimento
nella vicenda del Fuoco Re. Il noto clan mafioso con espansione mondiale che
nonostante i numerosi reati riesce ad agire sempre nell’ombra sarebbe stato
vittima di un’operazione poliziesca solo due mesi fa, nel quale Moggelli era il
principale coordinatore oltre che l’infiltrato. Moggelli però è stato scoperto
anzitempo e solo una corsa in macchina all’ultimo minuto è riuscita ad
evitargli una tragica sorte. A Flavio Moggelli, che ha deciso di dimettersi dalla
carica di ispettore, vanno le nostre più sentite condoglianze”».
Rimasi esterrefatto. Era questo il tremendo segreto di Flavio?
«Cosa ci fai nel mio ufficio?»
una voce roca, abbastanza aggressiva e rigida risuonò nell’aria. Flavio!
«Voglio spiegazioni!» urlai.
«Cosa … ?».
«Non cercare scuse!».
Nello stesso momento in un
appartamento in campagna fuori da ogni qualsivoglia coinvolgimento quotidiano,
un vecchio dalle mani rugose e dal passo stanco si alzava da una vecchia sedia
a dondolo e, camminando per pochi metri, arrivava di fronte a due foto. Le
foto, attaccate ad uno specchio da salone, ritraevano Alex e Flavio.
L’uomo impugnò la pistola e con
tutta la violenza possibile fece esplodere un colpo contro lo specchio. Il
proiettile distrusse le foto incenerendole e rendendole irriconoscibili. Una
risata roca accompagnò il gesto, mentre gli occhi fieri, orgogliosi e feroci
del vecchio rimiravano il paesaggio agreste.
PENSIERO DELL'AUTORE:
La prima stagione di Alex Fedele è dunque giunta al termine. Tanti gli interrogativi. Cosa succederà tra Flavio e Alex? E chi è realmente il Fuoco Re? E il sogno di Alex? Riuscirà a realizzarlo? E poi ci sono amori, passioni, vendette e casi ... tutti da svelare! Vero, la prima stagione è terminata, ma non disperare, ecco le tappe per arrivare alla seconda!
10 Marzo 2012 – Ultima puntata della prima stagione di AF
17 Marzo 2012 – Great Enigma relativo alla prima stagione di AF “Il ponte del diavolo”
24 Marzo 2012 – Pausa e lancio ufficiale della seconda stagione di AF
31 Marzo 2012 – Inizio della seconda stagione di AF
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