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sabato 10 marzo 2012

Alex Fedele: La realtà dei fatti(stagione 1; episodio 30)


LA REALTA’ DEI FATTI

PROLOGO: The show must go on! Il segreto è finalmente svelato e tutti i meccanismi sono ben visibili! Finalmente c'è chiarezza, perchè è QUI che inizia la partita!




CAPITOLO I – La mia garza

Le ferite fanno male e rimangono sempre, ma meno male che esistono le garze, che quantomeno le tamponano e le rendono meno visibili agli occhi altrui. La mia garza si chiama Bianca e in quei giorni terribili che seguirono la tremenda rivelazione fattomi da mia madre sul conto di mio padre, fu veramente molto efficace. Un problema però rimaneva, ed era senza dubbio bello grosso. Non è mai facile parlare con le persone di argomenti spinosi o scottanti e non è mai facile parlare con i bambini, poiché a volte scopri che ne sanno infinitamente più di te sulla vita in generale.
Mio fratello Andrea giocava con le sue action figures sul tappeto della sua cameretta.  Avete presente quei personaggi di gomma che esistevano anche quando eravamo piccoli? Sì, quelli brutti e storti che però di fronte agli occhi di un bambino diventano i più belli del mondo.
La cameretta di Andrea era accarezzata dai dolci riflessi dell’ultimo sole quotidiano. Eravamo quasi al tramonto e gli sprazzi rossastri di atmosfera cittadina si rispecchiavano nei pavimenti e sui volti di noi, ignari protagonisti di quel dilemma chiamato vita.
«Stai giocando fratellino?».
«Sì» mi rispose con tutta la calma del mondo. Il viso candido si voltò verso di me, dandomi quasi soggezione. Dovevo parlarne con Andrea, ma non sapevo né come l’avrebbe presa, né come avrei potuto prendere io una sua eventuale reazione negativa.
«Posso giocare anch’io?» gli chiesi con dolcezza.
Rimase attonito, poi in tono quasi ironico mi chiese: «Ti senti bene? Di solito sei preso dai casi. Come mai vuoi giocare ai personaggi?».
«Be’» iniziai un po’ in colpa «un fratello maggiore deve fare anche questo no? Oppure esistono solo crimini e cose varie?».
Non rispose, porse lo sguardo verso il basso e continuò a fissare i suoi eroi, quei personaggi di cartoni animati che tanto ammirava in televisione e che tanto avrebbe voluto stringere tra le sue piccole braccia.
Rimasi un po’ a giocare con lui, tempo di qualche secondo. Finsi di divertirmi, ma in realtà non mi fu difficile. Il fatto è che io mi stavo divertendo davvero. Per qualche secondo ero incredibilmente tornato bambino. La mia mente mirava al gioco, i miei occhi si meravigliavano della fantasia che risiedeva nel mio cervello, la mia bocca si rimuoveva ritmicamente per far sì che i suoni da me simulati si fondessero perfettamente con quelli di mio fratello. Ma si diventa grandi, anche se questa cosa può durare dieci secondi.
«Ti devo dire una cosa fratellino» iniziai prendendo un respiro enorme.
«Che cosa c’è?».
«Ecco, vorrei che tu posassi per un attimo i giocattoli e mi ascoltassi con estrema attenzione. Non è facile ciò che devo dirti».
Andrea ubbidì. Mi guardò fisso negli occhi, quasi come a domandarmi con lo sguardo quale fosse la vera motivazione per la quale gli avevo chiesto di ascoltarmi così attentamente.
«Ricordi quando mamma ti disse che papà era morto per un incidente stradale?».
«Sì».
«In realtà …la verità è un'altra … ».
«E qual è? Papà è vivo?».
Mi commossi, lo ammetto. Non avrei mai voluto dirlo, ma mi commossi. Gli occhi di Andrea erano estremamente interessati a ciò che dicevo e probabilmente aveva compreso, nonostante avesse solo cinque anni, dove volessi arrivare. Sapeva cioè, che qualcosa era cambiato e che nessuno, nemmeno il detective più bravo del mondo, avrebbe potuto cambiare questo apparente dogma.
«No» dissi frenandomi. Un’altra parola e sarei scoppiato in lacrime. Lo so, io ero quello che le lacrime non le sopportava, il ragazzo di ghiaccio, il diciottenne senza lacrime, chiamatemi come più volete, ma fatto sta che quella sera ebbi una strana sensazione. Lo stomaco reagiva in un tutt’uno con il corpo e lanciava una sorta di colpo a tradimento, quasi per attivare le lacrime. Mi fu difficile non versare nemmeno una lacrima di fronte a quelle frasi.
«No, purtroppo no» continuai. «Papà, non sta in cielo per un incidente stradale. In realtà se n’è andato perché delle persone cattive gli hanno fatto del male».
Rimanemmo per circa un minuto zitti. Il silenzio era assordante, decisamente fastidioso anche per il cuore della persona più crudele del mondo.
«Quindi papà è in cielo per colpa loro?» riuscì a dire con voce candida e soave.
«Esattamente. Come va?» chiesi quasi d’impulso.
«Bene fratellone» affermò sorridendo. Mi spiazzò.
«Non sei dispiaciuto?» gli chiesi prendendogli il visino tra le mani.
«Sono un po’ arrabbiato con quelle persone cattive, e vorrei che papà fosse ancora qui, ma so che adesso è in cielo e ci protegge. Protegge anche Stefano che sta in America. E protegge anche la mamma che mangia sushi» concluse candidamente.
Feci un risolino. Mi alzai e baciai sulla fronte mio fratello. Spesso i piccoli sono più saggi dei grandi. Mio fratello, di soli cinque anni aveva praticamente insegnato a me come si affrontavano le difficoltà della vita. Andrea era così. Possedeva un carattere incredibilmente incisivo e coriaceo, considerando l’età. Aveva scelto di vivere con me a Torino, anziché decidere di andare in Giappone o negli USA. Aveva deciso di affrontare un’esistenza dove si sarebbe trovato a contatto con situazioni spiacevoli e persone col broncio. Ma l’aveva deciso lui, da solo, senza che nessun membro della famiglia gli dicesse nulla. Ed è per questo che ammiravo mio fratello. Già, ammiravo un bambino di soli cinque anni. Un bambino che aveva preso bene una notizia che probabilmente avrebbe colto di sorpresa chiunque al mondo.
Passeggiavo per la casa, quando vidi la porta dello studio di Flavio socchiusa. Entrai salutando in modo vigoroso, come mio solito, ma l’ambiente incredibilmente freddo mi zittì in un fremito di emozioni negative.
«Giusto in tempo» mi disse Bianca «papà stava giusto per mandarti a chiamare. C’è un caso».
«Lo vedo».
Una donna sulla settantina era seduta di fronte a Flavio. Il tempo non era stato generoso con lei. A settant’anni si è ancora relativamente giovane, ma la signora aveva le tempie imbiancate in modo pesante. Tempie che hanno solo ed esclusivamente le persone che nella vita di tutti i giorni soffrono, combattono, cadono e si rialzano in modo veemente e costante.
«Alex, questa è la signora Lampanti. Ha un caso da sottoporci».
«Molto piacere» mi presentai stringendole la mano. L’agitazione era ben visibile in ogni gesto della signora. Le mani tremavano, erano fredde, gelide. Gli occhi apparivano appassiti, come il più bello dei fiori ormai sfumato.
«Ci racconti tutto signora Lampanti» disse Flavio con aria estremamente professionale.
La signora si schiarì la voce e cominciò timidamente a parlare. «Sono venuta qui, detective Moggelli, perché ho bisogno della sua grande esperienza e della sua immensa capacità deduttiva».
Ma stava parlando di Flavio?
«Sono a sua completa disposizione signora».
«Mio marito è morto ieri sera» disse con il pianto in gola.
«Oh …mi dispiace molto, condoglianze vivissime» la consolò Flavio con aria avvilita.
«La polizia dice che si è suicidato, ma io non ci credo! Mio marito era una persona piena di gioia, di voglia di vivere. Ci amavamo all’inverosimile … no, non posso credere che si sia tolto la vita!».
Seguì un attimo di silenzio. La donna estrasse dalla piccola borsetta rosso carminio, un fazzoletto di stoffa ricamato con delle lettere dorate. Si leggevano chiaramente una “D” ed una “L”, con delle rose che abbracciavano entrambe le lettere.
«Questo è un fazzoletto che mi ha regalato quando eravamo poco più che due ragazzini» disse con aria malinconica. «Ogni volta che piango, questo piccolo pezzo di stoffa riesce a farmi sorridere». In effetti era così. Un triste sorriso si dipinse sul suo viso, quasi a dare sollievo all’aria corrucciata e preoccupata di qualche secondo prima.
«So che le chiedo molto. Andare contro il parere della polizia è davvero tremendo. Ma ci terrei particolarmente ad avere un suo parere. La prego signor Moggelli, se lei mi dice che la polizia ha ragione, me ne farò una ragione, ma per il momento … non posso credere che mio marito se ne sia andato in questo modo».
Flavio allungò le gambe sotto il tavolino da studio. Controllò varie volte la lucentezza del posacenere e si specchiò in esso.
«Accetto signora. Ma l’avverto. Se le mie indagini confermeranno quanto detto dalla polizia, dovrà rassegnarsi».
La donna si asciugò le lacrime che le erano rimaste sul viso. Forse è solo una mio punto fisso, ma credo una cosa, e cioè che le lacrime di un anziano siano le più preziose al mondo, insieme forse a quelle dei giovanissimi. Il fatto è che quando piange un anziano, piange per motivi davvero importanti, motivi che possono cambiare la sua esistenza. Inoltre, il pianto arriva da una persona che ha vissuto per un tempo considerevole e che ha passato veramente di tutto.

CAPITOLO II – Vecchio amore, giovani sentimenti


All’entrata del condominio di via Principe Amedeo, io,Flavio e Bianca eravamo abbastanza perplessi. Ci eravamo incamminati da soli, e ci ritrovavamo in un angusta abitazione, priva di ogni luce solare. Pochi, pochissimi raggi, filtrando dalle tapparelle abbassate, conferivano un senso di vissuto alle stanze della casa.
«Come mai tutte le tapparelle sono abbassate?» domando Bianca curiosa.
«Mio marito aveva dei problemi alla pelle e per questo passava le giornate al buio».
«Capisco».
Aprimmo le finestre, facendo filtrare rapidamente quel poco di vita esterna che riusciva quantomeno a schiarire la triste circostanza nella quale ci eravamo ritrovati.
Il sole rivelò ciò che nessuno di noi voleva vedere. Il corpo di un uomo, della stessa età della signora Lampanti, giaceva esanime appeso ad una corda, legata a sua volta ad un pesantissimo e antichissimo lampadario. Credetemi, quell’affare avrebbe potuto sorreggere il peso di mezzo Yemen.
L’uomo era sospeso inerme, vestito con abiti eleganti. Aveva un doppiopetto gessato ed una cravatta fucsia. Sembrava pronto per una cena di gala. Il volto era contorto nella sua ultima espressione di dolore, le labbra livide.
«Il corpo è freddo» disse Flavio toccando le mani della vittima. «Il decesso risale almeno a 24 ore fa».
«Esatto. E’ ciò che ha detto la polizia qualche ora fa detective».
«Lei ha qualche idea di chi possa essere stato?».
«Come?».
«Ma sì, signora!» affermò Flavio quasi spazientito. «Se lei sostiene che suo marito sia stato ucciso, deve anche aver in mente chi avrebbe potuto farlo, no?»
 «Oh,certo, che distratta» disse aggiustandosi la borsa. «Ci sono solo due persone, per quanto ne so io, che avrebbero potuto avercela con mio marito».
«Ovvero?» incitai
«Be’ … non so se posso dirtelo ragazzino».
«Signora» cominciò adirato Flavio «ci ha chiamati dopo che la polizia aveva già stabilito un referto. Ci ha chiesto di indagare ed ora lo stiamo facendo, ma se non ci fornisce il maggior numero di informazioni, non potremo mai e poi mai scoprire chi ha ragione, sono stato chiaro?».
«Va bene … mi spiace detective» la donna abbassò lo sguardo in modo graduale.
«Non faccia così signora, basta che collabori con noi per andare d’accordo».
«Il fatto è che da quando se n’è andato Nicola, mio marito … be’ … io … non riesco più a ragionare con lucidità» disse socchiudendo gli occhi. «Il fatto è che eravamo sposati da cinquant’anni … non è facile svegliarti una mattina e capire che la persone che hai amato per anni non c’è più» e così terminando, finì in lacrime. Lacrime copiose che Flavio tentò di attenuare offrendo un fazzoletto alla signora, che prontamente rifiutava, prendendo tra le mani il solito strausato fazzoletto regalatole dal marito. Voleva raccogliere lì tutte le sue lacrime, come a voler dimostrare alla vittima quanto tenesse a lui, quanto le sue lacrime per lui fossero preziose.
«Ehm … adesso non pianga signora … ci dica chi sono i sospetti» disse Flavio leggermente imbarazzato.
«Oh sì … » acconsentì prontamente la Lampanti. Aveva ancora le lacrime agli occhi, ma continuò comunque a parlare. Più la osservavo e più capivo che la donna era davvero sicura di ciò che diceva. Mai nessun passo indietro, nessuna incertezza. Voleva assolutamente andare fino in fondo. Che carattere, che tenacia, che donna.
«Come dicevo» riprese a parlare la donna «solo due persone potevano avercela con mio marito. Marcus Beroni e Ludovico Mastiani».
Io e Flavio rimanemmo in silenzio. Quei nomi non c dicevano nulla, mentre Bianca si limitò a chiedere chi fosse.
«Ludovico è il superiore di lavoro di mio marito, mentre Marcus è un suo amico intimo. Si conoscono da anni, figuriamoci che quando ieri ha saputo la notizia della morte di Nicola, si è rattristato a tal punto di piangere. Lui e mio marito erano molto legati, litigavano solo quando Marcus gli rimproverava di essere troppo fragile di carattere».
«Dove lavorava suo marito?» chiese Flavio osservando ancora il cadavere.
«Mio marito lavorava presso un ufficio contabile. Sa com’è, dopo la pensione voleva racimolare qualche soldino e così tre giorni alla settimana si recava in quegli uffici».
«Capisco. Ora signora, dovrebbe chiedere ai due sospettati di venire qui».
«Nessun problema, li adesco con un trucco» disse in modo birbante.
Hai capito la nonnetta.
Fatti arrivare i sospettati in casa, la signora Lampanti li fece accomodare in modo abbastanza ospitale, presentandoci solo successivamente.
«Un detective?» domandò agitato un uomo dalla capigliatura bianca e rasata. Aveva all’incirca la stessa età della vittima ed un volto piegato dai segni inevitabili degli anni. Il fisico era scheletrico, magrissimo, quasi invisibile.
«Già, ho deciso di far chiarezza su questo caso e … » ma la donna venne interrotta. A prender la parola, un uomo di circa quarant’anni. Era stempiato e aveva un paio di occhiali decisamente stravaganti. Il completo da lui indossato, che gli conferiva un aspetto importante, era portato con veemenza e presunzione di chi sa di occupare un ruolo carico di responsabilità.
«Signora Lampanti! Mi ha fatto arrivare qui dal lavoro apposta perché voleva comunicarmi un particolare della morte di suo marito, non pretenderà che mi sottoponga ad un interrogatorio, non è vero?». L’uomo, dalla corporatura possente e dalle grosse braccia, aveva assunto un’aria arrogante e decisamente poco incline al ragionamento.
«Stia calmo signore» lo placò Flavio. «Iniziamo con le presentazioni».
«Ma non iniziamo proprio con niente!» continuò con violenza l’uomo. «Io chiamo la polizia e vi faccio arrestare!».
«Ah davvero?» intervenni. «Lo sa che se la polizia viene a conoscenza del fatto che lei si rifiuta di sottoporsi a qualche domandina sul caso la vede come principale sospettato?».
«E tu chi sei ragazzino?».
«Mi chiamo Alex Fedele. E sono un detective incaricato del caso».
«Sei troppo giovane per … Non sarai mica uno di quel progetto ministeriale …?».
«Esattamente. E ora mi scusi, ma non abbiamo tempo da perdere».
«Signori» iniziò Flavio «finirà tutto in fretta. Basta che mi diciate cosa stavate facendo all’ora del decesso della vittima, che secondo la polizia e la circostanza, risale intorno a ventiquattro ore fa e cioè verso le quattro del pomeriggio di ieri. Naturalmente non dimenticate di presentarvi».
«Io ero a casa mia, a vedere la televisione» rispose l’uomo con le tempie imbiancate. «Ah, mi chiamo Marcus Beroni».
«Bene signor Beroni, c’è qualcuno che possa confermare il suo alibi?».
«Purtroppo no. Mia moglie è morta da circa dieci anni e io vivo da solo».
«Capisco. E per quanto riguarda lei signore?».
«Mi chiamo Ludovico Mastiani. Ieri era il mio giorno libero, ok? Ero andato a Pavia, ad una pista libera».
«E perché?».
«Uff … ho comprato una nuova moto e volevo provarla in modo libero e privato. Siccome a Pavia c’è anche Chignola, ho deciso di andar lì a fare un giro, è forse reato?» disse nervoso.
«No, non è reato» disse Flavio a muso pacato. Poi continuò « Ascolti signor Mastiani, ha un alibi? C’è qualcuno che possa confermare?».
«No, purtroppo no».
«Mi scusi» interruppi «Quando si entra alle piste, c’è sempre un qualcosa da registrare no? E’ la regola, o sbaglio?».
«Sbagli ragazzino, quella dove sono andato io, è una pista libera, dove si può andare con permesso del comune di Pavia».
Che sfortuna. Avevamo un modo per verificare se il suo alibi fosse attendibile e invece nulla.
Mentre Flavio parlava con i sospettati e cercava di sedare eventuali discussioni premature, mi guardai intorno. Bianca era rimasta in silenzio tutto il tempo, con lo sguardo fisso sulle scene alle quali stava assistendo.
«Ehi» le dissi toccandole la spalla. Non ne sono completamente sicuro, ma credo che per qualche secondo arrossì.
«Ehi» rispose a tono.
«Come mai non dici niente?» domandai.
«Non si deve per forza dire qualcosa» affermò filosoficamente rimanendo seduta sul divano.
Mi sedetti accanto a lei e presi fiato. «Comunque, volevo solo ringraziarti per il supporto che mi hai dato sulla questione di mia madre … non lo dimenticherò».
Si voltò guardandomi con un’aria perplessa, poi scoppiò a ridere.
«Cosa c’è? Ho scritto “giocondo” in faccia?».
«No, no» continuò ansimando tra le risate «è che sei buffo quando cerchi di fare il sentimentale».
Rimasi perplesso scucendo un piccolo sorriso.
«Io … faccio cosa?».
«Ma sì! Il sentimentale no? Con quella faccia tutta seria, quelle folte sopracciglia corrucciate … sembri un comico però … » disse ridendo.
«Ti ringrazio, molto gentile» affermai con sarcasmo.
«Dai, veramente … ».
Ma non l’ascoltavo più. Stavo guardando la vittima, quando ad un tratto notai una cosa. Verso la parte destra della stanza e quindi alla sinistra del corpo, era depositata la sedia con la quale la vittima si era arrampicata e poi tolta la vita.
Ma c’era qualcosa che non andava. La sedia aveva assunto una posizione del tutto innaturale. No, adesso ne ero certo, non era stato un suicidio. Guardai la signora Lampanti e pensai a quanto avesse maledettamente ragione.
Già, aveva ragione diamine. La sedia era con lo schienale rivolto verso la stessa direzione del corpo sospeso della vittima. Cioè era depositata a terra in modo che lo schienale volgesse verso sinistra, e cioè verso il corpo, e le gambe verso destra. Ma non poteva assolutamente essere. Non esisteva. La posizione era del tutto innaturale.
«Non te la sarai mica presa?» mi chiese Bianca facendomi rinvenire dal mio stato di profondo pensiero.
«Eh?» domandai stupito. Era come se venissi da un profondo shock interno.
«Non te la sarai mica presa? Scherzavo … ».
«Chi io? Macché. Pensavo a tutt’altra cosa».
«Qualcosa che ha a che fare con il caso, scommetto».
«Hai indovinato».

In quel momento Bianca vide Alex allontanarsi da lei. Il ragazzo aveva il corpo che protraeva in modo deciso verso la scena del crimine. «Ah, se solo non fossi così assorto dai casi … » pensò Bianca. Già, chissà cosa sarebbe avvenuto. Ma probabilmente se così fosse stato, i due ragazzi non si sarebbero mai conosciuti. La ragazza quindi, per distogliersi da pensieri un po’ troppo malinconici, chiese alla signora Lampanti il permesso di accendere la televisione.

«Flavio, forse ho capito come … ».
Mi guardò male e mi mandò a quel paese. Brutta cosa lo stress.
«Senti, ma io ho capito davvero come … ».
«Alex» disse voltandosi in modo apparentemente gentile.
«Sì?».
«Dì un’altra parola sul caso e vedrai come le mie mani possono essere pesanti … è chiaro?».
«Ehm … è una minaccia?».
«Più un preavviso direi».
«Ok» dissi allontanandomi con aria sorpresa. Mi soffermai parecchio a guardare di nuovo il cadavere. Era davvero vestito bene. Un abbigliamento di certo non casual. Molto, molto fine e raffinato. Allo stesso tempo sobrio. Sembrava avesse intenzione di andare ad un appuntamento. Guardai nel vuoto, fino a che i miei occhi non si illuminarono di nuovo. Ma certo! Ora sapevo chi era stato ad uccidere il signor Lampanti!
Mi avvicinai di nuovo a Bianca e presi posto di nuovo accanto a lei, sul divanetto
«Cosa guardi?» le domandai candidamente.
«Tra poco va in onda la milleduecentesima puntata di “Amore o non amore?”».
«E … che roba è?».
«Ma come?! E’ l’ultima telenovela creata dalla nota sceneggiatrice Maria Martelli».
«Deve essere una martellata al cuore per quanto è pesante e … » tentai di ironizzare, ma venni bloccato dallo sguardo crudo e diffidente di Bianca.
«Volevo dire» dissi schiarendomi la voce senza nascondere un mezzo sorrisino di ironia «che può essere molto interessante».
«Già, sono certa che volevi dirlo, non è vero?».
«Verissimo».
Ad interrompere i nostri sguardi venne una sorta di segno divino, un fulmine a ciel sereno sottoforma di indizio, anzi, sottoforma di giornalista. Dalla tv, partì la sigla di un telegiornale. Una edizione straordinaria.
«Che pizza! Io volevo vedere la telenovela e … ».
«Aspetta, fammi sentire».
L’annunciatore del tg, Dario Perelini, annunciò in modo drammatico: «Allarme maltempo nel nord Italia. I sindaci hanno stabilito due giorni fa di comune accordo di chiudere gli accessi ai posti pubblici e pare che la decisione debba continuare ad essere permanente. In particolare l’allarme maltempo sarebbe nelle città di Torino, Cuneo, Milano, Bergamo, Pavia, Padova e Verona».
Mi rialzai di scatto. Ora era tutto completamente chiaro! Sapevo chi era stato ad ucciderlo, il modo in cui l’aveva fatto e avevo anche le prove.

CAPITOLO III – E’ finita!

Mi diressi verso Flavio ancora arrabbiato e pensieroso. Non gli rivolsi parola. Andai quindi dalla signora.
«Signora Lampanti, le dico una cosa, però deve promettermi di stare calma, ok?».
«Più calma di un albero, ragazzino» affermò accennando ad un triste sorriso.
«Ok. Aveva ragione lei. Suo marito è stato ucciso, non si è trattato di suicidio» bisbigliai. La calma è la virtù dei forti, ma non degli anziani a quanto mi pare. La donna urlò talmente forte che probabilmente era stata udita anche in Emilia Romagna.
«Cosa? Hai scoperto l’assassino?!».
Provai ad avvisarla di non urlare, ma in breve tutti gli occhi dei presenti erano su di me. Fui inevitabilmente costretto ad anticipare così la triste ma unica verità.
«Ti ho detto di smettere di inventarti prove Alex!» urlò Flavio.
«Insomma, piantala!» reagii in modo veemente. «Ho le prove di tutto ciò che è successo, in modo dettagliato e oculato. Ormai per l’assassino non c’è più scampo … quindi le consiglio di confessare signor Mastiani!».
«Cosa?» esclamò quest’ultimo. Aveva la faccia gonfia e gli occhi arrossati. La sua bocca si contorceva in una patetica espressione di disappunto.
«Non faccia il finto tonto e confessi … oppure preferisce essere smentito con delle prove?».
«Io non confesso un bel niente! Non hai nessuna prova contro di me, pseudo detective!».
«Ah davvero? Be’, lasciate che vi spieghi come sono andati realmente i fatti» dissi distendendomi sul divano. Bianca si era alzata fin da quando aveva udito l’urlo della signora e se ne stava a guardarmi in modo imperterrito e decisamente interessato.
«Ed ora cosa fai? Ti metti comodo? Dico, vuoi un caffè? Gradisci un aperitivo?» mi rimproverò Flavio.
«Certo. E’ faticoso condannare i cattivi» dissi sprezzante. «Ad ogni modo» continuai guardando fuori dalla finestra dalla mia postazione«caro signor Mastiani, la prima cosa che non mi ha convinto è stata la posizione della sedia. Se un uomo decide di suicidarsi la sedia cade a terra sempre con lo schienale rivolto al senso opposto del corpo della vittima. Osservate adesso invece» dissi indicando la sedia rivolta con lo schienale nel senso del corpo «vedete?» continuai. «La posizione della sedia è innaturale e non è possibile che sia finita lì per spinta del signor Lampanti. Ergo, che il suicidio tanto millantato, in realtà è una grossa bufala».
Mi alzai dal divano con lo sguardo di tutti addosso. «Inoltre, avete notato com’è vestito la vittima?».
«E’… in giacca e cravatta» riuscì a dire timidamente Bianca.
«Già. In giacca e cravatta. Vi pare che uno che debba togliersi la vita si metta giacca e cravatta? Non so voi, ma per quanto mi riguarda non sarebbe certo alla moda che penserei in queste circostanze».
«Be’, è corretto» disse Flavio. «Ma allora come mai l’uomo è vestito in quel modo? Deve esserci un motivo!».
«Certo che c’è. Prova a ragionare. Tu di solito ti vesti sempre in giacca e camicia, ma in quali circostanze ti vestiresti più elegante del solito? Su … non è molto difficile … ».
Flavio assunse un’aria pensierosa. Stava riflettendoci sopra, quando cercai di incentivare il suo intuito.
«Pensaci bene … tu andresti mai ad un appuntamento con una donna in condizioni disastrate? Cioè … in modo trasandato?».
«Be’ effettivamente no … ma se è per questo non ci andrei nemmeno se dovessi incontrarmi con un … non ci andrei nemmeno se … adesso è tutto chiaro! Lampante direi! Perdonate il mio sciocco gioco di parole! Il signor Lampanti è stato avvisato dal signor Mastiani del fatto che avrebbero sostenuto un colloquio di lavoro. Per questo, la vittima si è vestita bene in attesa del suo capo!».
«Esattamente» affermai convinto. «E … signor Beroni, perché litigava sempre col suo migliore amico?»
«Era troppo debole di carattere e a volte discutevamo di questo».
«Già … troppo debole. L’assassino deve essere venuto qui e deve aver portato qualche alimento con qualche sonnifero. Di solito quando si va ospiti in casa di una persona che non ci è propriamente amica per la pelle, si porta sempre un piccolo dono. Scommetto che il signor Mastiani ha portato qualcosa di commestibile, qualcosa che si potesse mangiare o bere e quindi ha messo il sonnifero nella parte della vittima. Essendo un suo superiore, aveva una certa influenza su di lui e sommando questo fatto alla questione della debolezza di carattere … be’ … possiamo dire che la vittima è stata convinta dal suo assassino ad assumere del sonnifero!».
«Sono solo supposizioni!» urlò Mastiani.
«Ah davvero? E mi dica … dove ha portato la confezione che riponeva il cibo? Scommettiamo che l’ha portata via di qui e gettata a casa sua? Non voleva destare sospetti, ma sono certo che se verrà fatta un’autopsia alla vittima, scoprendo così cosa ha mangiato e verrà esaminata la sua spazzatura, troveremo sicuramente dei punti in comune. Voglio dire … se si trattasse di caffè, troveremmo i bicchieri, se invece fossero dei dolci da confezione, troveremo la carta che li avvolgeva nell’abitazione del signor Mastiani. Mi pare che lei sia un uomo molto impegnato dal punto di vista lavorativo e non vedo fede al suo dito … ne posso dedurre che può benissimo abitare da solo. Infine, essendo pieno di lavoro, sicuramente la sua casa non sarà perfettamente in ordine e non svuoterà i cestini tutti i giorni … o sbaglio?».
«Lei non può assolutamente dire … » provò a contestare, ma in cuor suo già sapeva cosa lo attendeva.
«L’unica persona che può aver sollevato la vittima ad alcuni metri dal suolo … è lei. Il signor Beroni è troppo gracile fisicamente e la sua età non l’avrebbe di certo aiutato. Ma lei, mi perdoni, è fisicamente possente e imponente. Sollevare un uomo che pesava almeno venti chili in meno di lei, non sarà stato un problema … allora, vuole confessare oppure devo continuare ad elencarle le prove che la inchiodano?».
Erano tutti esterrefatti. La gente mi fissava in un modo quasi cleptomane, come se volessero carpirmi qualche altra informazione.
«Dovevo immaginarlo … dovevo immaginarlo che prima o poi non l’avrei fatta franca». L’uomo si gettò a terra slacciandosi la cravatta in modo rapido e serio.
«Quindi è stato lei?» domandò Beroni.
«Sì … lo confesso. Lampanti mi aveva proposto tempo fa un investimento per villaggi turistici in Cambogia, ma non ero favorevole. Così aveva minacciato di rilevare il mio segreto agli altri dipendenti. Ora lo posso anche dire … ho un passato da criminale … quand’ero ragazzo rubavo auto per conto di un boss mafioso».
«Magari si fosse limitato solo alle auto» gli dissi.
«Lo so ragazzo» acconsentì con gli occhi lucidi. «Ma non potevo permettergli di farmi questo. Non potevo, capisci?».
La polizia fu avvisata e nel giro di pochissimo tempo, alcuni agenti vennero nel condominio di Via Principe Amedeo per prelevare il colpevole. Alcuni giorni dopo, gli agenti incaricati di risolvere il caso furono sgridati da Ducato e chi li conosce sa che non faranno mai più un errore del genere. Confondere un suicidio con un omicidio è quasi peccato mortale.
Quando tutti se ne andarono e Flavio aveva già imboccato le scale del condominio, la signora Lampanti, rimasta in silenzio per tutto il tempo, mi trattenne per il braccio impedendomi di andar via.
«Ehi … che cosa c’è signora?».
«Senti ragazzo. Ti volevo ringraziare per aver risolto il caso» mi disse con gli occhi lucidi «sei stato molto bravo!» Era sul punto di commuoversi e cercai di fermarla prima di commuovermi anch’io.
«La ringrazio, ma non deve assolutamente fare così! Ho fatto solo il mio lavoro» le dissi spiccicandole un sorriso e carezzandole le spalle.
«Lo so,ma ci tenevo a darti una cosa» sussurrò mettendosi una mano nella borsa.
«Di che si tratta? ».
Mi porse il suo fazzoletto, quello ricamato  usato solo per raccogliere le sue lacrime, quello che le aveva regalato il suo amato marito in gioventù. Non mi guardava più negli occhi, aveva paura di scoppiare in lacrime e ammetto che ebbi una strana sensazione allo stomaco anche io.
«Io non posso proprio … ».
«No, tu devi!» disse alzando il tono della voce.
«Signora, è … un dono del suo povero marito … io non lo merito e …».
«Ascoltami ragazzo. Hai dato sollievo al cuore di una povera anziana. Hai dato pace all’anima di una povera vittima. Questo fazzoletto è tuo … facciamo così … se il destino vorrà, un giorno me lo ridarai, quando ci rincontreremo … d’accordo?».
«E lei come fa a sapere che ci rincontreremo?».
«Intuito, mio piccolo detective, intuito» disse smorzando un sorriso.
Presi il fazzoletto come se maneggiassi un cristallo e rimasi a guardarlo per un po’ tempo. Furono secondi pesanti, interminabili, nei quali il silenzio dettava i tempi.
«Grazie signora Lampanti. Faccia conto che lo conservi lei».
«Sono certa che saprai usarlo. In quel fazzoletto è racchiuso l’amore di cinquant’anni di matrimonio». Guardai Bianca e lei fece lo stesso con me. Arrossii, mentre lei rise maliziosamente.

Erano passati tre giorni dal caso della Lampanti e me ne stavo nell’ufficio di Flavio, mentre rimiravo ancora il fazzoletto datomi in dono. Era davvero bellissimo. Le ricamature erano curatissime e la seta era di primissima qualità. Mi piaceva tenerlo in mano, ma non tanto per quanto fosse piacevole, quanto per cosa aveva significato per anni per due persone che si amavano. Ero fiero anche solo di poterne assaporare l’essenza.
Mi alzai e me lo misi in tasca. Presi il mio cellulare dalla scrivania di Flavio. L’avevo poggiato lì, mentre guardavo la tv.
Urtai una cartellina di colore rosa e la feci cadere. Era a spirale.
«Accidenti» esclamai ad alta voce. Quando tocchi qualcosa nell’ufficio di Flavio, se ne accorge subito. Una volta aveva persino notato la mancanza di un post-it che mio fratello aveva preso in prestito perché credeva fossero dei mini cartoncini per disegnarci sopra.
Era entrato sbraitando «Dov’è il mio post-it?!» e da allora facevo molta più attenzione. Centinaia di foglietti colorati uscirono fuori da quella famigerata cartellina.
Foglietti colorati ed un piccolo ritaglio di giornale striminzito. Era piccolo e accartocciato, consumato e maltrattato e  sembrava dover avere molti anni, ma a prima vista giurai si trattasse di un quotidiano. Lo aprii con estrema cura. Un movimento brusco avrebbe potuto romperlo del tutto.
Cominciai a leggere ad alta voce.
«”TRAGEDIA IN PIEMONTE. MORTA MOGLIE DI ISPETTORE POLIZIA. L’ispettore di polizia di Torino Flavio Moggelli ha avuto una spiacevolissima sorpresa quando,  nel tardo pomeriggio di ieri, ha ricevuto sul cellulare la chiamata del 118 della città piemontese. Il dramma si era già parzialmente consumato. Sua moglie Giulia era stata assalita a colpi di arma da fuoco da due uomini incappucciati. L’agguato sarebbe stato messo in atto all’esterno della Banca Cavour. La donna, uscita dal’edificio, sarebbe stata colpita da ben quattro colpi di pistola. La vittima è stata subito portata in ospedale  dove le sue condizioni sono apparse fin da subito del tutto disperate. I medici hanno provato un’operazione dell’ultimo minuto, ma purtroppo  non c’è stato nulla da fare. La donna è deceduta per emorragie interne alle 20:21. Si sospetta un coinvolgimento nella vicenda del Fuoco Re. Il noto clan mafioso con espansione mondiale che nonostante i numerosi reati riesce ad agire sempre nell’ombra sarebbe stato vittima di un’operazione poliziesca solo due mesi fa, nel quale Moggelli era il principale coordinatore oltre che l’infiltrato. Moggelli però è stato scoperto anzitempo e solo una corsa in macchina all’ultimo minuto è riuscita ad evitargli una tragica sorte. A Flavio Moggelli, che ha deciso di dimettersi dalla carica di ispettore, vanno le nostre più sentite condoglianze”».
Rimasi esterrefatto.  Era questo il tremendo segreto di Flavio?
«Cosa ci fai nel mio ufficio?» una voce roca, abbastanza aggressiva e rigida risuonò nell’aria. Flavio!
«Voglio spiegazioni!» urlai.
«Cosa … ?».
«Non cercare scuse!».

Nello stesso momento in un appartamento in campagna fuori da ogni qualsivoglia coinvolgimento quotidiano, un vecchio dalle mani rugose e dal passo stanco si alzava da una vecchia sedia a dondolo e, camminando per pochi metri, arrivava di fronte a due foto. Le foto, attaccate ad uno specchio da salone, ritraevano Alex e Flavio.
L’uomo impugnò la pistola e con tutta la violenza possibile fece esplodere un colpo contro lo specchio. Il proiettile distrusse le foto incenerendole e rendendole irriconoscibili. Una risata roca accompagnò il gesto, mentre gli occhi fieri, orgogliosi e feroci del vecchio rimiravano il paesaggio agreste.



PENSIERO DELL'AUTORE:

La prima stagione di Alex Fedele è dunque giunta al termine. Tanti gli interrogativi. Cosa succederà tra Flavio e Alex? E chi è realmente il Fuoco Re? E il sogno di Alex? Riuscirà a realizzarlo? E poi ci sono amori, passioni, vendette e casi ... tutti da svelare! Vero, la prima stagione è terminata, ma non disperare, ecco le tappe per arrivare alla seconda!

10 Marzo 2012 – Ultima puntata della prima stagione di AF
17 Marzo 2012 – Great Enigma  relativo alla prima stagione di AF  “Il ponte del diavolo”
24 Marzo 2012 – Pausa e lancio ufficiale della seconda stagione di AF
31 Marzo 2012 – Inizio della seconda stagione di AF


 Alla settimana prossima dunque! Vi aspetta il Great Enigma numero 1! Io non vedo l'ora ... e voi?

Matteo



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