LA
VERITA’ SUL PASSATO(1°parte)
PROLOGO: Ci risiamo, il passato ritorna, ma stavolta tocca ad Alex e non a Flavio, affrontarlo. L'arrivo della madre del ragazzo porterà squilibri, novità e ... inquietanti rivelazioni!
CAPITOLO
I – Un’e- mail inaspettata
Quel giorno il tardo pomeriggio
stava regalando un tramonto davvero niente male. La casa pullulava di
tranquillità e silenzio e i numerosi abitanti di casa Moggelli, erano tutti
indaffarati a fare qualcosa, me compreso. Ok, non proprio come loro. Flavio e
Sergio sbrigavano la loro consueta mansione in ufficio; Bianca studiava per un
importante compito in classe che si sarebbe dovuto svolgere a breve; Andrea era
in camera sua a disegnare per la sua maestra d’asilo, mentre Fabio era andato in
fretta e in furia in biblioteca per «prendere nuovi libri di medicina». Il
sospetto che dietro la quasi quotidiana visita alla biblioteca ci fosse un
secondo fine, diveniva sempre più chiaro e onestamente sia Flavio, che Bianca,
l’avevano ammonito più di una volta, ricevendo risposte secche, spiazzanti, del
genere «fatevi gli affari vostri». Per quanto mi riguarda, ero sul letto a
piedi incrociati, col pc sulle gambe, e guardavo in streaming qualche vecchio
serial giallo di cui mio padre era fan quando era ancora in vita. Già, mio
padre. Chissà cosa c’è dopo la vita? Il grande mistero, lui, l’aveva conosciuto
prima di me. Da quando ero a Torino ne
avevo avuti di modi per conoscere il grande mistero, eccome. Dalla lotta con
gli scagnozzi di Turbotti, all’incidente con la famiglia Pelviani, fino a
passare all’avventura indimenticabile della “Karen”, la nave da crociera andata
distrutta con l’esplosione della bomba programmata da quell’affiliata al clan
mafioso … come si chiamava? Non lo ricordavo proprio e a distogliermi dai miei
pensieri, arrivò il “bip” polifonico del pc. Era arrivata una mail e
l’indirizzo era tale e quale a quello aziendale di mia madre.
Come dettovi tante volte, mia
madre faceva la giornalista per un’importante emittente nazionale in Giappone.
Era stata una donna che aveva fatto della gavetta il suo pane e della fatica la
sua soddisfazione. Aveva prima lavorato per ben sette anni in un’emittente minuscola
di Fondi, la nostra città. Poi era stata chiamata al nord, ma aveva rifiutato
perché … be’perché io, Stefano e Andrea eravamo davvero troppo piccoli per stare senza
mamma. Eravamo troppo piccoli per stare senza uno dei due genitori. Mio padre
era ancora tra noi. Dopo la nascita di Andrea, nostro padre se n’era andato nel
giro di pochi mesi, non potendo assistere al suo ultimo pupillo. A mia madre,
quando Andrea non era nemmeno in programma e quando Stefano aveva dieci anni e io ne avevo sette,
avevano offerto un prestigiosissimo lavoro come redattrice a Brescia. Quando
poi Stefano era diventato maggiorenne, mamma aveva accettato il Giappone e mi
aveva lasciato con lui fino a quando mio fratello non aveva deciso di andare a
studiare architettura negli USA, cosa che si verificò in pochi mesi. Da quel
momento ero stato da solo per circa tre anni. Mia madre aveva avviato delle
procedure legali che parevano durare in eterno, per far capire ai giudici che
ero abbastanza responsabile per vivere da solo nonostante avessi soltanto
quindici anni. A quell’età sapevo già essere abbastanza indipendente, mamma
sognava il Giappone, Stefano gli USA. Ricordo che vennero degli inviati del
giudice tutti i giorni a casa mia per almeno un mese. Controllavano se fossi
davvero responsabile. Se mantenessi casa in ordine,se sapessi provvedere al
cibo e cose di questo genere. Dopo la sentenza del giudice, fortunatamente
positiva, mio fratello Andrea lo vedevo nelle festività,o in estate, in quanto
fino a quando non compii la maggior età,visse per ben tre anni con mia madre
nel Sol Levante. Una volta che avevo compiuto 18 anni, mio fratello insistette
per venire a vivere con me. Era così mio fratello, per me ha sempre avuto una
sorta di piccolo debole. Così mia madre e la legge, lo avevano affidato a me
tramite ancora delle estenuanti procedure legali. Poi c’era stato il PSD, e il
resto della storia la sapete.
La mail, proveniente dall’Oriente,
recitava più o meno così:
OGGETTO:
Ciao tesoro!!!
Ciao
amore, come va a Torino? Ti sei ambientato? Mangi? Bah … inutile farti queste
domande, tanto più che ho intenzione di venire lì tra soli due giorni per
riabbracciare il mio detective preferito!!! Spero sarai contento di rivedermi
dopo tanto tempo. Non fraintendermi, mi fido dei Moggelli, ma sono davvero
curiosa di sapere come te la cavi.
Ora
devo andare, ricordati che verrò a Torino con il volo delle 11 del mattino.
Un
bacio e … salutami Flavio!!!
Cioè, avete visto? Se qualcuno
avesse potuto equivocare sarebbe stato davvero uno scemo! La prima cosa che mi
ha chiesto è se mangio … la tipica madre apprensiva, anche se tendeva a non
farlo sembrare e a non dimostrarlo. Certo ero felice di riabbracciarla, ma non
avrei mai voluto che si mettesse a fare la mammina che deve per forza
disciplinare i comportamenti di suo figlio. Ero abbastanza maturo per cavarmela
da solo. Su una cosa però aveva ragione mia madre. La testardaggine ed io,
andiamo a braccetto.
Appena ricevuta la mail, decisi
di scendere dal letto e andare ad avvertire Flavio. Aprii la porta in legno
dell’ufficio e trovai sia lui che Sergio in mille scartoffie diverse. Davvero
non riuscivo a distinguere nessuno dei due per quanto entrambi fossero coperti
da post-it, di fogli di carta volanti e quant’altro.
«Chi è?» domandò la voce roca
segnata dal fumo di Flavio.
«Sono io. Ascolta, devo dirti una
cosa a proposito … ».
«Non mi interessa nulla della tua
vita, se hai notato qualcuno sospetto o se hai dei dubbi sul fratello della
portinaia del commesso del “Poe”, ora devo riuscire a mettere in ordine questi
fascicoli prima che faccia notte fonda!».
«Sei completamente fuori strada»
avvicinandomi, notai Sergio intento a raccogliere penne sul pavimento e lo
salutai.
«Ciao Alex» mi rispose con la sua
voce gentile sistemandosi gli occhialetti. Risposi con un veloce cenno del
capo.
«E allora cosa vuoi?» riprese
Flavio «ti auguro di avere un motivo davvero importante per venire qui mentre
lavoro!».
«Certo, ascolta. Ho ricevuto una
mail da mia madre che dice verrà a trovarmi tra due giorni. Non è mica un
problema?».
«E perché dovrebbe esserlo? Certo
che per essere un detective sei abbastanza stupido!»
Ha parlato il genio incompreso.
«Allora, posso confermarle … ».
«Puoi dirle che è la benvenuta!
E’ normale che una madre voglia vedere come si trovi il proprio figlio, non ti
pare?» chiese in modo scorbutico.
«Davvero verrà tua madre?»
domandò Bianca. Era apparsa dietro la porta in modo repentino. Il suo sguardo
era illuminato dalla gioia di poter vedere la mia mamma e di poter finalmente
conoscere una parte nuova di me, il figlio Alex. Me ne aveva accennato tante
volte. O meglio, quando stavamo parlando di ciò che facevo a Torino, chiedeva
sempre di descriverle mia madre. Chiedeva che carattere avesse, in che modo mi
avesse educato, se ci fosse qualche aneddoto interessante … ma io sviavo il
discorso e facevo lo stesso con i suoi tentativi di “estorcermi” più
informazioni possibili sul mio passato.
«Già» le risposi con poco
entusiasmo.
«E’ magnifico! Finalmente la
conosceremo, non è vero papà?».
«Già. Chi sarà mai quella santa
che ti ha sopportato per … quanto tempo hai vissuto per tua madre prima di
stare da solo? Quindici anni, vero?».
«Spiritoso» apostrofai annuendo.
«Lo hai detto a Andrea?» mi
chiese Bianca.
«Non ancora».
«Vuoi che … vada a dirglielo
io?».
«Se potessi farlo, ti
ringrazierei molto».
«Nessun problema».
Due giorni dopo, eravamo tutti
all’aeroporto di Torino. Erano le 11 meno un quarto, e onestamente, ero l’unico
indifferente della comitiva. Andrea, non appena saputo che mia madre sarebbe
arrivata, aveva cominciato a saltare e a chiedermi quanto mancasse per
riabbracciarlo.
Flavio, per presentarsi meglio,
si era letteralmente riempito di gel i suoi capelli e impomatato il ciuffo sul
davanti. Aveva indossato l’abito buono, quello messo al matrimonio del suo
miglior amico e aveva fatto una cosa che da sempre gli dava fastidio. Era
riuscito a mantenere la cravatta per più di cinque minuti. Di solito la metteva
sempre, ma se la slacciava nel corso della giornata, per poi rimettersela di
nuovo e … indovinate? Slacciarsela di nuovo. Fabio era anch’egli elegantemente
vestito con una camicia gessata ed un jeans nero classico. Bianca invece
indossava una camicetta di jeans nera ed una gonnellina bianca fino poco sopra
il ginocchio che lasciava intravedere le gambe. Era davvero splendida e non
potevo guardarla per più di dieci secondi senza arrossire.
Anche Sergio aveva voluto venire
con noi. Indossava un giubbotto bianco di rango primaverile ed un comunissimo
pantalone. Tra i più, era quello vestito in maniera più semplice. Per quanto mi
riguarda, mi ero dovuto sorbire le lamentele di Flavio, Fabio e Bianca, per
tutta la mattinata. Avevo indossato una maglietta a maniche corte ed un jeans abbinando
il tutto ad un paio di scarpe da tennis bianche. Per tutta l’attesa mi
tormentarono.
«Tua madre viene a trovarti dal
Giappone e tu ti vesti come se dovessi partecipare ad un party in discoteca?»
cominciò Flavio.
«A parte che a me le discoteche
non piacciono proprio … e poi mi dici come avrei dovuto vestirmi?».
«Be’, almeno una camicia ed un
pantalone elegante … potevi anche metterli su» continuò Fabio.
Tentai di rispondergli, ma fui
anticipato da Bianca. «Fabio ha ragione … forse tua madre potrebbe offendersi».
«Ma non siate ridicoli! Voi non
conoscete mia madre. E’ del tutto diversa dal come ve la immaginate».
«Perché non prendi esempio da tuo
fratello? A 5 anni è più maturo di te!» mi ammonì Flavio indicandomi Andrea.
Mio fratello era davvero un principino. Vestiva di una camicia bianca ed un
jeans normalissimo. Era davvero splendido.
Finimmo di discutere quando venne
annunciato il volo di mia madre.
Era paradossale. I Moggelli erano
più emozionati di me e di mio fratello! Dopo una ricerca abbastanza confusa, mi
sentii picchettare sulla spalla destra, ed una voce femminile, mi chiamò.
«Alex!».
CAPITOLO
II – Mia madre
Ci voltammo di scatto e vedemmo
mia madre, con il suo sorriso accattivante e un sacco di valigie in mano. Mia
madre era una donna bellissima. Davvero, non lo dico perché è mia madre. I
capelli a caschetto castani chiaro erano la cornice perfetta del viso
aggraziato di una donna obiettivamente giovanile e poco consona ai suoi
quarantaquattro anni. Gli occhi color nocciola, il nasino appena accennato e le
labbra carnose, davano poi il via ad un fisico egregiamente tenuto. Dalle
orecchie penzolavano lunghi orecchini avorio che si sposavano alla perfezione
con il suo tailleur sul giallino pallido.
«Tesoro! Ma usano il
fertilizzante per farti crescere? Sei ancora più grande dell’ultima volta!»
disse abbracciandomi e stringendomi a più non posso. Per un attimo sentii di
soffocare, ma poi fu molto coscienziosa nel lasciare la presa e darmi ossigeno.
Non appena Flavio vide mia madre si mostrò provvisto di cavalleria e andò
subito a prenderle le pesanti valigie dalle mani lanciando un urlo per richiamare
Fabio, reo di non aiutarlo.
Mia madre abbracciò mio fratello
sollevandolo con non poca fatica e apostrofandolo come «giovanotto». Poi, una
volta terminati i familiari da strapazzare, passò ai Moggelli. Flavio si parò davanti a tutti e con il suo
bohemièn, degno del miglior film romantico, disse:
«Signora Fedele, mi chiamo Flavio
Moggelli, lieto di fare la sua conoscenza» e così facendo le fece il baciamano
e le porse una rosa rossa che ardeva di passione.
«E quella dove l’hai presa?»
dissi ridendo. «Non è che l’hai cacciata fuori dal nulla?» proseguii
divertendomi un mondo. Bianca mi diede di gomito.
Mi guardò storto, ma non distolse
la sua attenzione da mia madre.
«Oh signor Moggelli, lei è un
galantuomo! Ma non doveva disturbarsi per me! Anche per l’ospitalità».
«Disturbarsi per una donna come
lei è un onore». Che spettacolo avvilente.
«Lei è proprio un mascalzone»
disse mia madre ridendo. Poi continuò «E chi sono questi due splendidi
ragazzini? Sono figli suoi signor Moggelli?».
«Mi chiami Flavio … comunque … »,
ma non riuscì a terminare la frase, venendo interrotto da mia madre.
«E allora lei mi chiami Federica.
Con questa “signora Moggelli” mi fate sentire vecchia!» disse ridendo.
«Ok» risposero in coro i
Moggelli.
«Comunque» continuò Flavio « lui
è mio figlio Fabio. Ha ventun anni e studia medicina». Che presentazione.
«Lieto di fare la tua conoscenza
Federica» disse semplicemente il ragazzo
«Lietissima caro Fabio. Anche tu
sei un bel giovanotto come tuo padre a quanto vedo! Hai la stessa età del mio
Stefano!».
«Eh
eh eh … » rise Flavio. Chissà
se era davvero convinto di essere ancora un giovanotto.
«Io sono Bianca, signora Fedele
».
«Ancora con questa signora
Fedele? Bianca, dammi del tu e chiamami Federica!».
«Ok … Federica». Bianca era più a
disagio di me. Era arrossita parecchio e pareva parecchio nervosa. Avete
presente quei risolini abbastanza timidi? Be’, li stava emettendo ormai da
qualche secondo.
«Bianca, sei bellissima! Flavio,
la ragazza ha il fisico di una modella e il viso di un’attrice!».
«Federica, non esagerare, così mi
metti in imbarazzo» disse Bianca abbassando lo sguardo e lasciando trasparire
un minimo di soddisfazione personale.
«Ma quale imbarazzo? Sei divina
mia cara. Mi ricordi un po’ me quando avevo la tua età».
Poi toccò a Sergio. «Io-Io mi
chiamo Sergio di Verna, ho trentuno anni e sono l’assistente burocratico del
detective Moggelli». Sembrava un provino per quei reality show di basso rango.
«Piacere di conoscerti Sergio.
Sei perfetto anche tu». Inutile dirvi che Sergio arrossì. Già era timido e
impacciato normalmente. Figuriamoci se poi una donna gli faceva un complimento.
Rischiavamo l’esplosione.
«Bene, ultimate le presentazioni»
disse Flavio «direi che è ora di pranzo. Andiamo a casa. Naturalmente Federica,
ci darai l’onore di essere nostra ospite». Flavio così non l’avevo mai visto.
Ma cos’era? Aveva ingoiato un libro che si occupava di galateo?
«Il dolce però» interruppe mia
madre «è affar mio. Ho portato alcune specialità dolciarie giapponesi. Sarei
contento se voi assaggiaste».
«Con estremo piacere!» annunciò
entusiasta Flavio. Figurarsi, quando c’è da mangiare non lo ferma nessuno.
Arrivati a casa pranzammo tutti
insieme. C’era il clima di un giorno di festa. Mi piacque il modo in cui
accolsero mia madre. Bianca le fece vedere la casa, Fabio le mostrò il letto
dove avrebbe dormito, mentre Flavio continuava a fare dialogo in modo amabile e
sciolto.
Andrea fu subito impaziente di
raccontarle la sua esistenza a Torino. Le raccontò delle avventure da lui
vissute. Mia madre prima lo fissò, poi fece schioccare un bacio sulla sua candida
fronte e, rivolgendomi uno sguardo, mi disse: «tu stagli sempre dietro,mi
raccomando. Ha insistito per venire con te, ma ha corso già molti rischi, lo
sai?».
«Lo so, ma come hai detto tu, ha
insistito per venire con me e non c’è stato modo di dissuaderlo. E’ normale che
nel lavoro di un detective vi siano attentati, casi complessi e a volte si può
rischiare. Ma ti assicuro che Andrea ha fegato da vendere e comunque i pericoli
ai quali alludi tu non sono veri pericoli».
«Ok» disse esasperata. «Dimmi un
po’ … tu come ti trovi?».
«Abbastanza bene. Torino è la mia
città, ormai».
«Ho letto molti dei tuoi casi su
internet! In redazione mi hanno fatto tutti i complimenti! Il mio bambino!»
disse accennando un pianto.
«Mamma! Che fai?» le dissi mentre
correva a soffocarmi ancora una volta.
Durante il pranzo parlammo del
più e del meno. Mamma raccontò la sua vita negli ultimi mesi. Flavio aveva
quasi un’adorazione per lei. Ascoltava i suoi racconti con entusiasmo e
partecipazione. Stessa cosa facevano Bianca e Fabio, mentre io, che li avevo
ascoltati già milioni di volte in tenera età, pensavo a quanto ancora sarebbe
dovuto durare quello strazio. Era bello stare con mia madre, ma avete presente
i racconti di Zio Paperone quando narra delle sua vicende nel Klondike? Ecco,
mia madre mi aveva narrato le sue avventure almeno il triplo delle volte.
In ordine, c’era la storia
dell’intervista alla fotomodella isterica la quale mandò a quel paese uno dopo
l’altro tutti i suoi principali manager. Poi venivano le due storie collegate
tra loro, quella del servizio sui posti di guerra e l’altro su un articolo che
la fece processare davanti alla corte di Tokyo per calunnie ad un famoso
politico giapponese, reo secondo mia madre, di aver falsato le elezioni. Anche
se non le avevo ascoltate direttamente, mia madre me le raccontava a valanga
quando ci sentivamo al telefono, o via mail.
«Mio figlio invece » terminò
mentre ero distratto «non mi racconta mai nulla. Non mi dice come sta, non mi
dice di che casi si occupa. Flavio io non ne so nulla delle vostre imprese!»
disse puntandomi il dito contro.
«Alex!» mi rimproverò Bianca «fai
il detective, risolvi casi difficili e non dici nulla a tua madre?».
«Be’ il fatto è che … » tentai di
giustificarmi imbarazzato.
«Non c’è nessuna giustificazione!
Come mai non aggiorni tua madre dei casi che fai?» mi domandò in aria da
maestrina.
«Ma li legge su internet!».
«Ma forse preferirebbe ascoltarli
da te, non credi?». Al rimprovero collettivo si era unito anche Fabio.
Nel bel mezzo del rimprovero,
fortunatamente squillò il telefono.
«Il lavoro chiama Federica, mi
spiace» si giustificò Flavio.
«Oh, la capisco Flavio».
«Detective Moggelli, al suo
servizio» rispose.
Dall’altro capo dal filo, si
udivano numerosi cambi di tono, come quasi in un film drammatico. La voce,
tipicamente femminile, di tipo giovanile, era passata in pochi secondi da
drammatica a paradossale, dall’assurdo al tragico. Alla fine di una
conversazione che pareva non finire mai, Flavio Moggelli riagganciò il telefono
congedandosi con un lampante «ci vediamo tra poco».
Mi guardò con la faccia di chi
non ha tempo da perdere, e mi disse:
«Preparati ragazzo, abbiamo un
caso».
«Di che si tratta?».
«Risparmia le domande per dopo.
Adesso, seguimi».
«Posso venire anch’io?». La voce di
mia madre aveva riempito i due secondi di silenzio venutosi a creare dopo il
dialogo da me raccontato poche righe fa.
«Nemmeno per sogno!» dissi
indignato. Figuriamoci se permettevo a mia madre di impressionarsi con cadaveri
e roba del genere.
«Perché no?» chiese quasi
supplicandomi «seguo sempre i polizieschi in tv e sono sicura di sapere come
comportarsi!
«Non puoi perché … », ma fui
interrotto da quel genio che tutti chiamavano Flavio.
«Perché no?».
«Cosa?» mi girai dietro quasi
balbettando per lo stupore.
«Federica, sei la benvenuta!»
disse a voce alta e trionfante.
«Grande!». Mia madre si lasciò
andare ad un grido liberatorio dei suoi, come per stemperare il clima che si
viene a creare prima di ogni caso. Insomma, alla fine le circostanze vollero che venne con noi.
CAPITOLO
III – Il mistero delle rose
La signorina che aveva avuto
l’idea di chiamarci, era una ragazzetta sui ventidue anni, con lunghi capelli
biondi e ricci e con un accenno di simpatiche lentiggini. Gli occhietti dolci,
completavano un quadro impreziosito da labbra carnose e da un piccolo nasino
aquilino.
«Grazie per essere venuti subito»
esordì facendoci entrare nel suo appartamento, una piccolissima abitazione
nella quale viveva da sola per studio. «Mi chiamo Arianna Cartinella, e sono
una studentessa universitaria».
«Grazie a lei per essersi rivolta
a noi» disse Flavio con charme, lasciandosi andare sul divanetto color porpora.
«Lui è un mio amico, Alex Fedele e lei è sua madre, la signora Federica». Io
sorrisi, mentre mia madre si limitò ad aggiungere «molto lieta» al dialogo
delle presentazioni. Fu presentata anche
Bianca, che, come me, sorrise in modo candido e innocente.
«Qual è il suo problema? Il
motivo della chiamata, intendo» continuò Flavio toccando e ritoccando un prezioso
soprammobile in legno che raffigurava un vecchio elefante indiano.
«Be’, signor Moggelli … il fatto
è che mi sono trasferita qui da poco. Io vengo dalla Calabria, ma per motivi di
studio sono dovuta arrivare fin qui. In pratica, ogni sera ricevo un mazzo di
rose rosse ma poi … ».
«Poi?» dissi con curiosità.
«E sta zitto!» mi disse Flavio
con la sua solita e proverbiale gentilezza. Spero voi cogliate la sottile, anzi
trasparente ironia.
«Be’, ogni sera trovo nel mazzo
la lama di un pugnale. La settimana scorsa sono arrivata addirittura a procurarmi
un taglio profondo» disse indicandoci l’indice della mano destra.
«Perbacco! Una lama dice? E le ha
conservate tutte?».
«Non tutte, perché all’inizio non
prendevo in considerazione l’idea di ingaggiare un professionista come lei, ma
poi … ».
«Una domanda» interruppe mia
madre «da quanto tempo riceve questi fiori … pericolosi?» disse aggiungendo un
risolino.
«Mamma, così disturbi le
indagini» tentai di rimproverarla, ma Flavio mi apostrofò come «irrispettoso» e
mi ammutolì.
«Da circa un mese».
«E da quando è qui per motivi di studio?»
continuò mia madre per l’occasione improvvisata detective.
«Vede, è da circa un mese e
mezzo».
«Quindi,» continuò Flavio «è
probabile che lei abbia avuto modo di far conoscenza, di iniziare qualche
relazione amorosa, non è vero?» disse sgomitando energicamente alla ragazza con
un sorrisino da ebete.
«Non credo» interruppi
sorridendo.
«E perché no?» rispose a tono
lui.
«In un mese e mezzo una persona
potrebbe anche innamorarsi di un’altra, ma in una casa abitata da una persona
così lontana dalla propria città natale, noteremmo sicuramente qualcosa che ricordi
i momenti felici passati insieme al suo innamorato. Sarebbe solo per …
ambientarsi di più. Nell’abitazione non vedo nessuna foto che possa lasciar
trasparire una relazione e anche nel cestino non vedo foto strappate e non noto
nemmeno segni di stizza per una relazione finita. Inoltre …» fui interrotto da
Flavio, che sbuffò come un bambino al quale hanno tolto il giochino preferito.
«Bah! Non dire sciocchezze,
detective in miniatura!» mi apostrofò toccandomi in segno di sfida sulla spalla
«potrebbe aver già svuotato il cestino, oppure … ».
«Per la miseria, ragiona un po’!
Ma ti pare che una studentessa della Calabria possa riuscire, qui a Torino, a
trovare un ragazzo che gli piace e possa fidanzarsi con lui … in un mese e
mezzo? Senza contare che come ho detto, non c’è nessun indizio di un papabile
fidanzamento».
«Ha ragione il ragazzino» disse
timidamente Arianna. «Non … non ho ancora conosciuto nessuno da quando sono a
Torino».
«Visto?».
«E sta zitto … » disse sottovoce
Flavio. Poi continuò a parlare «Quindi il nostro compito sarebbe quello di
capire cosa sta succedendo, giusto? ».
«Capire cosa sta succedendo,
esattamente» disse veloce e tremante la ragazza.
«Scusi, può dirci il nome del
fiorista?»chiesi.
«Subito» disse prendendo in mano
un bigliettino color avorio. Ce lo mostrò. Su di esso c’era scritto:
CIRCE
L’originalità non era il loro
forte.
Visto il bigliettino, lo presi in
custodia ed io e tutta l’allegra combriccola ci dirigemmo verso il fiorista.
“Circe” era un negozio di fiori
piuttosto desolato. Non sembrava essere molto curato. L’insegna era scolorita
da parecchio tempo, i fiori erano poco curati e la vetrina era parzialmente
rotta, probabilmente da qualche esaltato che l’aveva presa a sprangate.
Entrammo, e un campanello posto appena sopra la porta, uno di quelli che andavano
di moda nei gloriosi ’40 nelle botteghe artigianali, annunciò il nostro arrivo.
In verità entrammo solo io e Flavio, mentre
mia madre e Bianca rimasero in macchina.
«Buongiorno, chi è il titolare?»
chiese Flavio in modo spavaldo.
«Sono io» disse timidamente un
ragazzo sulla trentina, con i capelli mal pettinati e la barba incolta. Vestiva
di un gilet verdino e aveva una camicia gessata. A prima vista sembrava più
un broker di Wall Street che un
fiorista.
«In cosa posso esservi utile?»
disse scavalcando il bancone con un’agilità del tutto anomala guardando il suo
fisico non certo aitante.
«Lei conosce una certa Arianna
Cartinella?» chiese Flavio mettendosi una mano sulla barba incolta.
Intanto me ne stavo a guardare i
fiori tenuti male e trattati peggio. Più che il negozio di un fiorista, mi
sembrava quello di un disinfestatore.
«Arianna … no, mai conosciuta, mi
spiace».
«Ascolti, ci risulta che ogni
giorno un tale venga qui e ordini un mazzo di rose rosse. La destinataria è
sempre questa Arianna della quale vi ho appena parlato, ma puntualmente, il
mazzo di rose ha al suo interno la lama di un pugnale».
«Oh, misericordia!» apostrofò in
modo effeminato. «No, non la conosco proprio, mi spiace».
«E cosa mi dice dell’uomo che
ordina i fiori? Le sarà certamente capitato di notare un tizio che ordina tutte
i giorni lo stesso mazzo di rose rosse. La storia va avanti da un mesetto»
affermai guardandomi l’orologio.
«Be’ … in effetti … ».
«Allora? Sa dirci qualcosa?».
«Sì» disse avvicinandosi con
fermezza al mio orecchio. «Ma non dite niente alla polizia, per favore! A
proposito, con chi ho il piacere di … ».
«Detective Moggelli» disse Flavio
nervosamente
«Ah! Un detective!».
«Già. Allora?».
«Allora … posso dirvi solo che è
un tale che camuffa la voce e che chiama qui ogni giorno!» concluse affannato
il fiorista.
«Cosa?» dissi con rabbia «chiama
soltanto? Non è mai venuto di persona?».
«Mai, nemmeno una volta».
«Capisco. Credo lei sia d’accordo
nel» mi avvicinai lentamente al suo orecchio «far mettere i telefoni sotto
controllo dalla legge».
«Ve lo proibisco! Non se ne parla
nemmeno! Qui ci vado di mezzo io!». Il fiorista cominciò ad urlare agitando
vorticosamente le mani.
«Stia zitto, dannazione!» Flavio
gli aveva tappato la bocca ed ora lo guardava con un’aria mista tra il tragico
e il disperato.
«Non potete mettere … ».
«Ascolti» dissi in modo
aggressivo sempre attaccandomi al suo orecchio «c’è la vita di una ragazza in
pericolo. Non sappiamo chi sia quel folle che inserisce lame nei fiori e
dobbiamo scoprirlo. Che fa? L’omertoso? C’è in ballo la vita di una studentessa
universitaria!».
«E … va bene! Ma come farò?».
«In che senso?».
«Verrà sicuramente a scoprirlo e
… ».
«Stia tranquillo» intervenne
Flavio in modo sicuro «La polizia manderà degli uomini in borghese che fingeranno
di essere suoi parenti. Lei dovrà assecondarli in tutto e per tutto, chiaro?».
L’uomo deglutì.
Passarono giorni. Giorni
interminabili nei quali anche la studentessa universitaria fu protetta dalle
forze dell’ordine. A casa sua mandarono un’agente di polizia. Una bellissima
donna dai capelli mossi che finse di essere un’amica di Arianna. Furono giorni
nei quali mi sentii abbastanza a disagio. Mia madre mi trattava ancora come un
bambino. Mi tagliuzzava la carne nel piatto, mi puliva la bocca col fazzoletto
se l’avevo sporca, mi offriva mentine e caramelline varie, ed io dovevo
assecondare il tutto con un sorriso. Volevo bene a mia madre, ma addirittura il
bacetto della buonanotte, a diciotto anni, mi sembrava davvero eccessivo.
Alcuni giorni dopo però, Giuseppe
Novato entrò nello studio di Flavio. L’agente indossava un completo grigio senza
cravatta e sembrava, a giudicare dalle vistose occhiaie presenti sui propri
occhi, abbastanza provato.
«Come va detective Moggelli?».
«Potrebbe andar meglio Novato.
Allora, hai portato la documentazione sul caso di cui parlavamo al telefono
ieri sera?».
«Certo» disse aprendo un
fascicolo colmo di fogli scritti e riscritti.
Lo osservavo con ammirazione. In
una delle nostre conversazioni, Novato mi aveva fatto chiaramente capire come la
sua aspirazione, fin da quando era stato bambino, fosse diventare poliziotto. E
ce l’aveva fatta. Mai rinunciare ai sogni, segnatevelo in calce da qualche
parte.
«Il tizio dei fiori chiama tutti
i giorni in una fascia oraria compresa tra le 18 e le 19:45. La localizzazione
dovrebbe essere a circa una dieci di chilometri da qui. Sorvolo sulle
informazioni futili, ma il fatto che più ha sconvolto la polizia è un altro».
«E cioè?» chiesi curioso.
«L’appartamento dal quale sembra
provenire la chiamata, pare essere abitato da un tale di nome Fabrizio Dorati.
Dorati ha precedenti penali come rapinatore, fuga a mano armata, furto di un
furgone portavalori e infine … stupratore».
«Accidenti!» disse Flavio con un
pizzico di paura in gola. La parola “stupratore” aveva cominciato a far sudar
freddo tutti noi.
«E’ stato dentro per la bellezza
di quindici anni. Uccise una ragazza nel parco di Torino violentandola e
successivamente inferendo sul corpo con delle pietre molto pesanti. Inoltre ha
partecipato a numerosi stupri di gruppo anche fuori città. E’ praticamente un
malato, anche se la perizia psichiatrica ha evidenziato il soggetto come “capace
di intendere e di volere”».
«”Capace di intendere e di volere”?»
dissi incredulo ad alta voce.
«Alex, non ci capiscono niente,
abbi un po’ di comprensione» rispose ironicamente Novato.
Ma il problema era un altro.
Arianna era in pericolo. Cosa significava la lama nelle rose? Aveva un vero e
proprio significato o era solo un pretesto per minacciarla? E soprattutto,
quanto tempo ci sarebbe rimasto ancora per agire?
ANTICIPAZIONE EPISODIO 27: C'è un caso da risolvere! Alex e Flavio lo sanno e vogliono assolutamente salvare la vita ad Arianna e scoprire la verità sul caso dei "fiori taglienti". Ma c'è una sorpresa per Alex e, sfortunatamente per il ragazzo, non è affatto positiva. Il passato chiama e deve per forza rispondere ... ALEX FEDELE EPISODIO 27 LA VERITA SUL PASSATO(2°Parte), Solo qui a partire dal 18 Febbraio! NON PERDETELO PER NESSUNA RAGIONE!
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